La carriera di Kwon-taek Im, classe 1936,l'anno prossimo taglierà il prestigioso traguardo dei 50 anni, mentre questo suo ultimo film è la sua opera numero 101.
E pensare che in Italia è conosciuto principalmente solo per un bel film del 2002 , quell' Ebbro di donne e di pittura che gli fece vincere il premio per la migliore regia al Festival di Cannes di quell'anno.
Hanji è un ideale punto di congiunzione tra fiction e documentario, tra passato e presente.
Se da una parte abbiamo il dramma familiare di Pil Yong, grigio funzionario statale che accetta di lavorare su un progetto riguardante l'hanji ( la preziosa carta coreana resistente più di tutte le altre all'usura del tempo) per avanzare di grado e poter aiutare meglio la moglie disabile, dall'altra parte abbiamo lunghe sezioni dallo stile documentaristico che fanno conoscere anche allo spettatore occidentale tutte le virtù di questo materiale così prezioso.
Il problema è che il film funziona molto meglio sotto il lato fiction che sotto quello documentaristico. Non che sapere di più sull'hanji non sia interessante ma dal punto di vista cinematografico queste parti sono meno efficaci ( nonostante l'indubbia funzione divulgativa che hanno) della storia di Pil Yong, la cui vita è scossa da questo suo nuovo lavoro.
E' facile per lo spettatore identificarsi in lui perchè sa poco o nulla dell'hanji ed è facile empatizzarlo per la particolare situazione familiare in cui vive: la moglie disabile ha bisogno di cure continue che lui cerca di dargli ma allo stesso tempo il loro rapporto è complicato dal fatto che la sua disabilità è stata provocata indirettamente dal marito (si parla di un ictus che l'ha colpita dopo che era venuta a conoscenza di una scappatella coniugale del consorte).
Quindi si incrociano il rancore da parte della moglie ( che lo può esprimere solo con gesti, come il rifiutare contatti intimi con il marito) e i sensi di colpa di Pil Yong che sembra quasi rassegnato come se la malattia della moglie fosse una sorta di punizione divina per il tradimento commesso.
Il film racconta del documentario sull'hanji commissionato dal governo e che deve essere portato a termine da una regista con l'aiuto di Pil Yong e di altri funzionari.
Quasi inevitabile appare l'avvicinamento tra lui e la regista, sola come lui e in cerca di un antidoto alla solitiudine, un po' come lui.
E qui forse l'empatia per il personaggio viene meno perchè se assistendo la moglie voleva espiare i suoi sensi di colpa con questa ennesima scappatella mostra ancora una volta che, wildianamente, può resistere a tutto tranne che alle tentazioni.
Bello il finale che in poche sequenze unisce le due anime del film: da una parte una necessità istituzionalizzata dal governo di recuperare le antiche tradizioni coreane e farle conoscere a più gente possibile,dall'altra il bisogno insopprimibile di Pil Yong di ricongiungersi finalmente alla moglie,ironia della sorte discendente di una famiglia dedita alla manifattura dell'hanji.
Hanji è un film più rivolto all'audience coreana che a quella occidentale e demarca la distanza che c'è tra il cinema orientale e quello del resto del mondo: prevalgono i silenzi , sequenze non soffocate dal montaggio lunghe e armoniose, una fotografia curatissima che quasi toglie il fiato per come coglie la bellezza dei luoghi inquadrati, un attento e rispettoso sguardo al passato.
Insomma è un'opera di un vecchio maestro del cinema coreano che si occupa del recupero di tradizioni millenarie assolutamente estranee al mondo occidentale.
A mio parere è comunque un film da vedere e da apprezzare, tra le altre cose , per una messa in scena notevole e per un'eccezionale prova attoriale del protagonista, Joong Hoon Park.
( VOTO : 6 / 10 )
( VOTO : 6 / 10 )
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