I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

mercoledì 31 luglio 2013

La quinta stagione ( 2012 )

In un piccolo paesino delle Ardenne dove la vita scorre sempre uguale a se stessa cominciano ad accadere strani fatti : si interrompe lo socrrere delle stagioni e sembra che l'inverno non voglia andarsene più via. La terra diviene arida , la routine quotidiana scardinata, un falò non vuole accendersi , nè un gallo vuol iniziare a cantare. Due ragazzi si amano di quell'amore che sfuma i suoi contorni nel sogno ma ci pensano gli adulti a farli scivolare nella bruttura della realtà. Per ingraziarsi gli dei ( quali poi...) decidono di affidarsi a un terribile rito pagano con tanto di sacrificio umano e guardacaso i prescelti per il sacrificio sono gli ultimi che sono arrivati al villaggio: un padre in cerca di fissa dimora e che ora sembrava averla trovata e suo figlio disabile, ridotto su una carrozzina.
Ma agli altri del villaggio non sembra importare nulla: la fame li sta attanagliando....
Difficile parlare di un film come La quinta stagione : impossibile o quasi catalogarlo. Post apocalittico? Fantascienza distopica? o semplicemente un dramma allegorico in cui i simbolismi dominano la scena?
O forse tutte queste cose insieme?
Da un certo punto di vista il film dei documentaristi Brosens e Woodworth ricorda quei film di fantascienza politica italiana anni 60 e 70 ambientati in epoche altre,passate o future ma che si ostinavano a parlare della stuazione politica del tempo in modo anche abbastanza aperto: vengono alla mente Il seme dell'uomo di Ferreri, Sotto il segno dello scorpione dei fratelli Taviani ma soprattutto un'opera anomala quanto affascinante come L'invenzione di Morel di Emidio Greco.
D'altra parte l'apocalisse che si avvicina a grandi passi nel grigiore che tutto ingoia non può far pensare al cinema di Bela Tarr,segnatamente The Turin Horse, mentre i riti pagani di cui sembra nutrirsi la popolazione del piccolo paese sembrano riferirsi alle quasi analoghe pratiche ancestrali viste in film come The Wicker man a cui sembrano rimandare anche quelle gigantesche statue di plastica, come spettrali carrozzoni carnevaleschi .
Lungi da me voler dare coordinate stilistiche a cui avvicinare questo film: La quinta stagione è qualcosa che veramente di nuovo, originale, di mai visto.
Che Brosens e Woodworth vengano dal mondo del documentario è piuttosto evidente  visto l'utilizzo degli attori, tutti volti giusti al posto giusto, utilizzati in modo molto pasoliniano per non parlare della cura nella costruzione dell'inquadratura e la fotografia magnifica ad opera di Hans Bruch jr.
La quinta stagione è un film che somiglia solo a se stesso talmente carico di simboli e metafore sulla grettezza dell'animo umano che se ne esce turbati proprio perchè non si è stupiti che qualcosa del genere possa accadere in una società in crisi socioeconomica come la nostra che per far progredire la massa non esiterebbe a sacrificare i più deboli e i diversi in genere.
Peter Brosens e Jessica Woodworth non si limitano però al semplice interesse antropologico, non mettono la loro lente da entomologo puntata su questo piccolo avamposto di umanità.
Il loro è un discorso che assume connotati universali come l'apocalisse che incombe e che si appalesa con un inverno che non vuole andare più via, quasi fossero prove generali di una nuova glaciazione.
L'uomo è figlio della natura che lo circonda ed è destinato a morire se lei muore.
Ma sembra non accorgersene.
Ecco perchè il mancato fluire delle stagioni inquieta e disturba, come quel gallo che si ostina a non cantare ( e fa una brutta fine) oppure quello struzzo che guarda fisso nella telecamera.
Un nuovo inizio? O la certitficazione della fine?
Parafrasando Amleto si può dire che c'è del marcio in Belgio.
Ma da tutto questo vien fuori dell'ottimo cinema....

( VOTO : 8,5  / 10 )


La cinquième saison (2012) on IMDb

martedì 30 luglio 2013

Maelstrom- Il figlio dell'altrove ( 2001 )

In un mondo che sembra aver superato non senza danni un'apocalisse, un manipolo di umani sopravvissuti deve combattere per la propria vita contro la minaccia portata dai "Grandi Antichi", esseri tra mito e incubo che stanno cercando di riprodursi e far nascere il figlio dell'altrove destinato a cambiare le sorti della battaglia millenaria che li sta coinvolgendo. L'unico modo che hanno gli umani per avere salva la vita è trovare il Necronomicon, il libro dei morti, l'unico che possa scardinare il potere dei "Grandi Antichi".
Ma trovarlo non sarà facile e la lotta sarà all'ultimo sangue....
Maelstrom- Il figlio dell'altrove ( ma si trova in commercio anche con altri titoli come Unknown beyond o Armee des Jenseits) è il sequel de L'altrove, l'esordio di Ivan Zuccon nel lungometraggio.
Contiene in embrione tutte le caratteristiche del cinema futuro di questo talentuoso cineasta nostrano : grande fantasia nel porsi dietro alla cinepresa con un gusto sopraffino nella costruzione dell'inquadratura, una regia sempre dinamica e volitiva, l'amore viscerale per Lovecraft e la sua iconografia satanica che qui cerca di riprodurre nei minimi termini.
Accanto a questi pregi ci sono i soliti problemi endemici non tanto al cinema di Zuccon ma un po' a tutto il panorama di genere italiano: riuscire a lavorare con budget ridicoli, una qualità non eccelsa dei dialoghi e della recitazione dei vari attori coinvolti , alcuni veramente a livello semiamatoriale ( ma in questo Zuccon migliorerà parecchio nella sua ancora breve carriera).
Maelstrom - Il figlio dell'altrove è apprezzabile proprio perchè come al solito si sono riuscite a celebrare nozze coi fichi secchi ma onestamente non è il film migliore del regista italiano.
Troppa ansia di raccontare, troppi avvenimenti compressi, una certa confusione che deriva dall'atmosfera onirica in cui si è voluto calare il film, non permettono di seguirlo agevolemente. Spesso si ha la sensazione che si navighi un po' a vista e che si sia voluta assemblare una compilation di scene horror e grandguignolesche da dare in pasto allo spettatore famelico.
Spesso la logica con cui agiscono i vari personaggi sfugge ma si potrebbe obiettare che in un film di questo genere cercare un filo logico equivarrebbe a spaccare il capello in quattro.
Probabilmente è vero ma se alcuni avvenimenti sembrano accadere nella modalità random, senza seguire uno schema preciso, beh allora anche la capacità di fruizione del film va a farsi benedire.
Zuccon che cura un po' tutto, dalla regia , alla fotografia e al montaggio, cerca di riscattare le debolezze del copione e un livello non eccelso della qualità della recitazione, con la sua bravura dietro la macchina da presa e un plauso va anche alla fotografia, che di solito in produzioni no-budget come questa ( che non è neanche low budget) mostra sempre una qualità meno che accettabile.
In questo film invece è molto curata e valorizza non poco le scenografie che pur avendo un aspetto molto spartano, non sfigurano di certo.
Le muse ispiratrici di Zuccon sono bene evidenti ( direi soprattutto Raimi e Fulci), ma il nostro riesce a rielaborare il tutto in una chiave abbastanza personale.
In Malestrom- Il figlio dell'altrove non tutto funziona a dovere ma è interessante vederlo proprio per capire da dove è partita la carriera di Ivan Zuccon, uno dei nostri ( pochi) talenti che per farsi conoscere è dovuto praticamente emigrare all'estero ...
Sembra che da noi non ci sia spazio per il suo talento.
O forse non c'è spazio per il talento in genere....

( VOTO : 5 / 10 )


  Unknown Beyond (2001) on IMDb

lunedì 29 luglio 2013

Con gli occhi dell'assassino ( 2010 )

Julia e Sara sono due gemelle affette da un problema degenerativo al nervo ottico che ne sta pregiudicando la vista e che le porterà alla cecità in poco tempo.Quando Sara viene trovata impiccata la polizia cataloga il fatto come suicidio mentre Sara comincia ad indagare sull'ultimo mese di vita della sorella perchè non crede alla tesi ufficiale.Conosce i vicini di casa di Sara, le amiche del centro in cui va a curarsi, addirittura viene a conoscenza di un misterioso fidanzato sulle cui tracce cerca di mettersi. Ma anche la sua vista sta vacillando e il marito improvvisamente muore.Per lei è solo l'inizio di un incubo perchè il nemico è molto più vicino di quanto lei stessa osi immaginare.
Quando non si occupa in prima persona di regie e sceneggiature Guillermo Del Toro ama tanto fare il talent scout e scopriamo dal suo nome bene in evidenza ( anzi direi che più in evidenza di così si muore) sulla locandina che ha messo il suo zampino anche in questa opera seconda di Guillem Morales che con El habitante incierto aveva dato una lettura originale e stimolante al cinema di genere, il tutto da una prospettiva piuttosto sbilenca, mostrando un talento visivo fuori dall'ordinario e una notevole capacità di utilizzare pochi ambienti per creare ansia e suspense.
Che poi sono gli stessi ingredienti con cui è condito questo Con gli occhi dell'assassino ( titolo da codice penale inserito al posto del ben meno spoileroso Los ojos de Julia) incursione nel thriller horror non priva di difetti ma che ha anche qualche buona freccia al suo arco.
Hitchcock aleggia in modo fin troppo evidente su tutto il film ( vedi i riferimenti al complesso di Edipo, il tema del doppio, dell'invisibilità, la sequenza coi flash che ricorda tanto La finestra sul cortile ) ma il tutto è riletto attraverso  il filtro caleidoscopico del giallo all'italiana anni '70,un pizzico di De Palma  a last but not least un po' di new wave spagnola , quella inaugurata proprio dal Del Toro e continuata da film di successo come The Orphanage.
Impossible poi non ricordare due capisaldi del thriller " cieco" come Gli occhi della notte , con una deliziosa Audrey Hepburn e soprattutto Terrore cieco con una superba Mia Farrow nella parte della mattatrice.
Con gli occhi dell'assassino è un melting pot ricco di spezie che nella parte centrale sbanda per eccesso di generosità, introducendo personaggi usa e getta che complicano inutilmente la storia, già intricata di suo, non aggiungendo nulla.
Superato però lo scoglio di una parte centrale farraginosa ( che aumenta un po' troppo il minutaggio del film che arriva a sfiorare le due ore) l'ultima parte presenta tutti gli ingredienti al posto giusto, compresi un paio di colpi di scena ben assestati.
Interessante la prospettiva di visione adottata da Morales: lo spettatore condivide gli stessi problemi di Julia e anche lui non vede il volto dell'assassino, fin quando la protagonista porta le bende.
La visionarietà di Morales permette inoltre di riscattare quelle debolezze , soprattutto di scrittura con qualche personaggio secondario inutile o scentrato, che appesantiscono la pellicola soprattutto nella succitata parte centrale.
Un degno esponente di cinema di genere quindi che strizza l'occhio al pubblico senza cercare di arruffianarselo in tutti i modi.
E' evidente che anche la Spagna ci abbia superato in tromba su un terreno che una volta era a nostro totale appanaggio.
Che tristezza!

( VOTO : 6 + / 10 )

Julia's Eyes (2010) on IMDb

domenica 28 luglio 2013

Green Fish ( 1997 )

Makdong sta ritornando a casa con la sua divisa militare dopo che è stato congedato. Sul trenoin un impulso da buon samaritano prova a soccorrere una donna aggredita da tre bruti ma il risultato è quello di prendere un sacco di botte e di perdere pure il treno dopo aver provato a vendicarsi. Torna al sobborgo di Seul in cui abitava con la sua famiglia e le cose non è che vadano tanto bene. Il quartiere è più degradato di quanto lo ricordi, i soldi non sono tanti, i sogni si sono infranti, non si vive, al massimo si sopravvive . Eppure per lui arriva l'occasione perchè la donna che aveva soccorso era l'amante di un piccolo gangster che gli dà un lavoro da garagista. Entra quindi nella gang e riesce anche a scalare posti  nelle gerarchie. Ma la sua passione, ricambiata a fasi alterne, per la donna del capo lo porterà irrimediabilmente alla caduta dopo un'ascesa vertiginosa.
Green Fish è un film che si discosta dallo stile degli altri film di Lee Chang Dong, scrittore che nel campo del cinema aveva solo scritto un paio di sceneggiature e passato senza alcun appredistato particolare alla regia.
E'un film meglio intellegibile ad una prima lettura, più epidermico, cristallino nel suo assunto e lineare nel suo corso. E' inserito in stilemi tipici del gangster movie da cui si distacca però con una poderosa ( dal punto di vista emozionale) parte finale e per un discorso politico che è sempre bene evidente.
Makdong vive una situazione disagiata come la vivono la maggior parte dei coreani: il malaffare impera, la polizia è corrotta( buffa la scena di quando fanno la multa a suo fratello e i poliziotti oltre a farsi corrompere lo derubano anche di 5 mila won oltre il pattuito), l'unico modo di far successo è entrare nell'underworld delle bande criminali. Il suo boss si atteggia anche a filosofo di vita ma Makdong ha la sua visione, è impulsivo, umorale, prigioniero dei suoi istinti e soprattutto si avvicina troppo alla moglie del capo.
Da questo punto di vista il film di Lee Chang Dong ci racconta qualcosa di già visto soprattutto nel cinema di Hong Kong: storia di mafia, lotte intestine, violenze e prevaricazioni ingiustificate, lotte all'ultimo sangue per sopravvivere.
Ed è proprio per la passionalità che immette nella propria vita che Makdong va incontro a un destino funesto: ha perso quell'innocenza da bambino che lo caratterizzava (il discorso al telefono sul pesce verde, simbolo della perdita di una giovinezza e di un candore) e pagherà a caro prezzo le sue azioni.
Dal punto di vista strettamente formale stupisce la maturità nell'uso dello strumento espressivo, magari meno ellittico e raffinato di quello dei film successivi però di un livello sempre molto alto.
Green Fish sembra tutto fuorchè un film d'esordio di un autore passato al cinema dopo una carriera da scrittore.
Se la parabola di Makdong è qualcosa di già visto, quello che appare nuovo nel film coreano è la malinconia che lo caratterizza, il pessimismo cosmico che lo avvolge, la critica politica che esonda allorchè sembra che l'unica possibilità di emergere per un poveraccio è quella di darsi al crimine.
E quell'ultima sequenza in cui la placida rusticità anche un pò antica del ristorante dei familiari di Makdong è contrapposta ai mostri di ferro e cemento che fendono l'aria per arrivare a "grattare" il cielo simbolo del nuovo e dell'arricchimento impazzito vale più di qualsiasi critica al rinnovamento che avanza in Corea.
Così come letteralmente trafigge il pianto catartico della donna del gangster che di nascosto si accorge che quel ristorantino che serve zuppa di pollo freschissima, è dei familiari di Makdong.
Un brano di cinema destinato a rimanere parecchio nella memoria.

( VOTO : 7,5 / 10 ) 


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sabato 27 luglio 2013

Blue Valentine ( 2010 )

La storia d'amore tra Dean e Cindy vista nell'arco di dieci lunghi anni. Quando si conoscono lui lavora in una ditta di traslochi, lei è una studentessa universitaria di belle speranze.Lei per Dean lascia addirittura Bobby, il suo fidanzato fin dai tempi della scuola. Dieci anni dopo troviamo una coppia amareggiata e disillusa, con una bellissima bambina amatissima da entrambi e un muro che gradualmente hanno tirato su tra di loro. Decidono di prendersi un week end tutto per loro prenotando in albergo ma nulla è come prima. La magia del loro primo incontro è svanita per fare posto a qualcosa d'altro. Fine di un amore.
Strano destino quello di Blue Valentine: presentato in pompa magna al Sundance del 2010 , poi a Cannes nello stesso anno e a una miriade di festivals specializzati tra il 2010 e il 2011. Poi l'oblio lo ha inghiottito nonostante avesse anche portato a casa una nomination come miglior attrice protagonista per Michelle Williams. Poi complice il sempre crescente successo di Ryan Gosling quello che era diventato a tutti gli effetti un fondo di magazzino rigettato da tutti e vista la concomitante uscita anche del film successivo di Cianfrance, Come un tuono sempre con Gosling e con Bradley Cooper tra gli altri, Blue Valentine è assurto a quasi oggetto di culto ed è stato recuperato con "soli" tre anni di ritardo..
Il film di Cianfrance in effetti è uno strano oggetto filmico: se a raccontare una storia d'amore sono buoni un po' tutti a raccontarla frammentando così l'unità temporale non è proprio roba alla portata del primo che passa.
La cosa che colpisce primariamente di Blue Valentine è la sua strutturazione rapsodica che se ne va allegramente a spasso avanti e indietro nel tempo e che a conti fatti si dimostra uno strumento eccellente per raccontare l'eutanasia di un amore seguendone i vari passi in modo trasversale.
E' come se il regista si mettesse in riva a uno stagno, gettasse un sasso nell'acqua e si divertisse a vedere quanti cerchi fa in un film che procede a cerchi concentrici e che somiglia più a un puzzle emotivo che a un percorso comune insieme, quello che dovrebbe essere una storia d'amore.
Qui invece il burattinaio con la macchina da presa si diverte a mescolare le varie tessere del mosaico  e la partita non la vince chi rimette assieme tutti i pezzi ma solo chi riesce a venirne fuori il più integro possibile.
E tra Dean e Cindy è arduo stabilire se esiste un vincitore o uno sconfitto.
Probabilmente sono sconfitti tutti e due e l'unica loro ancora di salvezza  è quella bambinetta festosa che è l'unico segno tangibile rimasto di quello che è stato il loro amore.
Michelle Williams è perfetta nella parte, Gosling a volte sovraccarica le sue battute.
Blue Valentine all'inizio lascia abbastanza perplessi proprio per via della sua struttura filmica particolare che richiede un surplus di attenzione e di partecipazione da parte dello spettatore, ma poi attrae con la sua forza centripeta dentro una vicenda di straziante normalità.
A volte Cianfrance eccede in rifiniture, ha un'ansia nel raccontare che magari non fa fluire tutto armonicamente , ma sono peccati per generosità.
Quindi sono perdonabili.

( VOTO : 7 / 10 ) 


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venerdì 26 luglio 2013

Black Rock ( 2012 )

Tre amiche, veramente due di loro si possono vedere come il fumo negli occhi per una vecchia storia di furto di un maschietto dell'una all'altra , decidono, nonostante i contrasti, di passare un week end su un 'isola disabitata al alrgo delle coste del Maine per superare le vecchie incomprensioni e staccare un attimo dalla vita caotica della terraferma. Sembra andare tutto bene fino a che incontrano tre cacciatori con cui trascorrono la serata. L'alcool ,si sa , disinibisce e una delle tre fa la sciocchina con uno dei cacciatori.
Lui tenta di violentarla ( anche in nome dei vecchi tempi, visto che si conoscevano dai tempi del liceo) e lei con un sasso lo uccide colpendolo alla testa. Per le tre amiche comincia una lotta selvaggia per la vita perchè i due compari del defunto vogliono vendicarlo a tutti i costi.
Devo ammettere che la molla che ha fatto scattare la visione di Black Rock è stato un mix tra una bella locandina, piuttosto evocativa con quella barchetta lasciata alla deriva di fronte a un'isola il cui profilo mi ha ricordato molto quello dell'isola protagonista dell'inquietante Bedevilled ( di cui abbiamo parlato qui) e il nome di Mark Duplass , uno degli alfrieri più valorosi della scena indie americana , la mente dietro film come Cyrus e A casa con Jeff, oltre a essere la star di quel piccolo cult che è Safety not guaranteed.
In genere il suo compagno di scorribande è il fratello , invece qui firma la scneggiatura assieme a una delle protagoniste Katie Aselton che è anche produttrice e regista.
E poi si scopre che Duplass e la Aselton sono sposati e , vista la ricorrenza degli stessi nomi nei credits, questo Black Rock assume sempre più le fattezze di un progetto fatto in casa, con un pugno di dollari, poche locations assortite a costo zero e pochissimi attori.
A qualcuno della produzione per pubblicizzare il film è partita la frase " la versione femminile di Deliverance ( che da noi è noto come Un tranquillo week end di paura)"...
Beh, ragazzi, non scherziamo. E' vero che è un film al femminile e che i maschietti sono brutti, sporchi, cattivi e meschini, è vero che la natura incontaminata fa la sua porca figura nel film e l'ambientazione può dirsi riuscita ,è vero anche che gli attori coinvolti sono meno mediocri di quello che uno si aspetta da un filmetto fatto in casa, ma ogni paragone con Deliverance è veramente fuori luogo.
E' come paragonare cioccolato finissimo con un qualcosa che gli assomiglia ma è molto meno aromatico...beh ci siamo capiti...
Black Rock scivola via veloce e senza particolari scossoni anche in virtù della sua breve durata ( circa 75 minuti) e sinceramente non viene da definirlo un survival horror come hanno fatto altri.
Anche perchè la parte survival horror occupa un minutaggio molto limitato ( diciamo al massimo un terzo del film perchè il restante è occupato dalle chiacchiere delle tre e dalla serata passata attorno al fuoco assieme ai tre cacciatori) e poi non è che fuggire a rotta di collo in un bosco, tuffarsi in acque gelide per poi togliersi i vestiti e ripararsi per la notte o fare le imboscate ai tre cacciatori , equivale automaticamente a far entrare di diritto questo film nella categoria suddetta.
Anzi , questa lotta tra cattivoni e gentili donzelle , a parte che una riedizione fuori tempo massimo della lotta tra i sessi, fa pensare a una puntata di Walker Texas Ranger (che purtroppo ho avuto modo di vedere), con tre dame al posto del barbudo che da solo fa fuori una squadra di militari.
Finale aperto.
Direi che complessivamente mi sembra abbastanza da evitare anche perchè mi sembra che ci sia veramente poco di cui parlare riguardo a questo prodotto che non riuscirà nemmeno ad alleviare l'afa di una serata estiva..

( VOTO : 4,5 / 10 ) 


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giovedì 25 luglio 2013

A field in England ( 2013 )

Whitehead , alchimista male in arnese durante una battaglia della Guerra Civile inglese (XVII secolo o giù di lì), scappa da quello che è il suo maestro ed è preso in ostaggio dal losco Cutler che lo droga assieme ad altri due uomini imprigionati anche loro. Cutler cerca un fantomatico irlandese per riuscire a disseppellire un tesoro all'interno di un campo. Un piccolo particolare però li devia: il campo è letteralmente cosparso di funghi allucinogeni e il loro uso smodato renderà tutto più difficile e maligno.
Ammetto che sono un discreto fan di Ben Wheatley dai tempi di Kill List e , nonostante il suo ultimo lavoro uscito al cinema , Killer in viaggio, si sia dimostrato poco più di un divertissment calibrato però sullo stile acido e corrosivo del regista inglese, non ho smesso di apprezzare il suom stile coraggioso e visionario.
Così quando ho potuto mettere le mani su questo A field in England di cui fino a qualche giorno fa ignoravo persino l'esistenza , non mi sono potuto trattenere.
Diciamo subito che l'ambizione di Wheatley vien fuori tutta in questo suo ultimo film, una pellicola girata in un bianco e nero sgargiante  e messa in circolazione con una strategia commerciale rivoluzionaria: agli inizi di luglio nel Regno Unito è stato reso disponibile per le sale cinematografiche, è uscito in vari formati home video, è stato programmato sulle pay tv e addirittura su canali free.
Del resto il budget miserrimo del film ( si parla di 300 mila sterline) non rappresentava certo un ostacolo.
Dicevamo dell'ambizione di Wheatley: abituato alla sua concezione sbilenca di cinema di genere, non sapevo proprio cosa attendermi  da un film come questo, tratto da una piece teatrale, ambientato in un'epoca passata e che narrava in fondo una semplicissima caccia al tesoro da parte di un gruppetto di personaggi messi maluccio, sia fisicamente che mentalmente.
Il regista inglese con A field in England cerca di volare ancora più in alto con il suo stile crudo e trasversale e devo dire che , pur non risultando comprensibilissimo in alcuni passaggi, del resto quando ci sono di mezzo funghetti allucinogeni la logica può pure farsi andare a benedire, soprattutto nell'ultima mezz'ora, quella più "lisergica", dà prova del suo notevole talento visivo, pur usando il bianco e nero.
La parte finale di A field in England è un trip audiovisivo un po' come quello che vivono i suoi protagonisti, un flusso di immagini ipnotico in cui la realtà va e viene intervallandosi a visioni fantasmagoriche.
Non mancano le screziature horror, non manca quel mix di ironia e violenza che caratterizza il cinema di Wheatley, stavolta però più che richiamarsi al cinema odierno ci sono cospicui rimandi a quella gloriosa stagione cinematografica squisitamente inglese nota sotto il nome di free cinema a cui aderirono grossi calibri come Joseph Losey, Ken Russell, John Schlesinger, Tony Richardson, Lindsay Anderson, tanto per citare i primi nomi venuti in mente.
Assoluta anarchia narrativa, un modo totalmente libero di usare la macchina da presa, uno stile cangiante e volitivo non rispondente ad alcuna convenzione.
In più di un'occasione A field in England fa venire alla mente i principi cardine del free cinema inglese.
Ed è forse il suo più grande merito.
Per il resto dubito che un'opera del genere possa essere stata apprezzata dal grosso pubblico: troppo elitaria anche nella sua ricerca filologica ( si parla inglese arcaico), troppo episodica, troppo sbilenca nel modo di narrare una caccia al tesoro.
Tesoro di cui ci dimentichiamo ben presto col passare dei minuti....

( VOTO : 7 / 10 ) 


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mercoledì 24 luglio 2013

Battle Royale ( 2000 )

Giappone : un futuro prossimo che assomiglia tanto a un pessimo presente. Il governo giapponese ha emanato una legge per cui quarantadue studenti della nona classe del liceo sono selezionati per una tre giorni di combattimenti e sopravvivenza in un'isola sperduta. E' la Battle Royale: ognuno avrà un'arma in sorteggio e dovrà azionare i neuroni per arrivare vivo alla fine del terzo giorno. Alla fine ne dovrà rimanere soltanto uno.
In Giappone questo film con il fenotipo di uno slasher per ragazzini ipervitaminizzati da troppa real tv che lascia ben poco all'immaginazione e dagli immancabili filmetti horror  trashwoodiani ha scatenato persino interrogazioni parlamentari.
E tutto ciò perchè pure se all'apparenza il film sembra un innocuo divertissment ,se si legge tra le righe, si nota che non è divertente per niente quello che si vede.
Il Giappone che filtra attraverso questa pellcola è quello dell'arrivismo sfrenato,della competizione selvaggia ed è analizzato ai raggi X da Fukasaku che non risparmia acide osservazioni sul regime che castra le possibili aspirazioni dei giovani mascherando il tutto sotto la patina di un finto gioco di sopravvivenza in cui se si rispettano le regole del gioco perderanno tutti tranne uno.
Il motivo? in un futuro molto prossimo gli adulti hanno perso il polso della situazione giovanile e con questo la loro autorità.
Il film inizia con una gita scolastica,spensierata come sanno essere allegre e spensierate le escursioni fuori porta che si fanno a scuola tutti insieme a ridere e scherzare.
Si arriva ad un 'isola in cui ritrovano un loro vecchio professore (interpetato da un Takeshi Kitano crudele e stralunato) e tanti militari armati fino ai denti. Già qui ci si accorge che c'è qualcosa che non va.
A tutti i presenti  riuniti in uno stanzone vengono spiegate le regole del "gioco" con l'ausilio di un videofilmato di istruzioni per l'uso di grottesca comicità.
I primi che manifestano "perplessità" o hanno reazioni inconsulte vengono direttamente uccisi sul posto.
E qui comincia l'orrore.

A ciascuno di loro viene consegnata una mappa dell'isola e un kit di sopravvivenza con  l'arma con cui si possono difendere che varia e anche di parecchio; si va da un mitra a un coperchio di pentola.

Tra Lost e L'isola dei Famosi,tra Arancia Meccanica e Il signore delle mosche la pellicola di Fukasaku diventa una mattanza organizzata che conserva toni fumettistici (il tutto origina da un manga, si notino le scritte in giapponese quando qualcuno degli studenti viene a mancare per causa violenta) che forse a tratti sarà ripetitiva ma  stimola più di una riflessione: da innocui studentelli in gita scolastica qualcuno si trasforma in perfetta macchina per uccidere, qualcuno non regge emotivamente alla nuova situazione e si impicca, qualcuno è destinato per propria forma mentis a fare da vittima sacrificale perchè incapace di competere ed eventualmente fare del male ad altri.

Comunque la cosa migliore da fare è non fidarsi di nessuno. I giovani arrivano a replicare la parte peggiore del mondo dei "grandi" nel pochissimo tempo che hanno a disposizione per vincere il "gioco" .
La struttura da survival game del film non permette di affezionarsi a nessun personaggio anche perchè sono troppi,il film è frammentato nelle varie microstorie descrivendo un campionario di varia umanità con tonalità agghiaccianti.
Battle Royale è una lucida seppur estremizzata e stilizzatissima disamina di una società odierna che tollera gli eccessi in cui solo i furbi vanno avanti mentre quelli puri di cuore spesso sono destinati a morire nei modi più atroci.
Qualche volta sono solo i cattivi che vedranno la nuova alba.
Qualche volta ci piace pensare che il bene comunque vince su tutto.
Una cosa è certa.Battle Royale è un film che accompagnerà dopo la visione per diverso tempo, lasciando un certo senso di inquietudine proprio perchè la critica sociale aspra di questo film ha punti di contatto ben visibili con quello che vediamo attorno a noi giorno per giorno....  

( VOTO : 8 / 10 ) 


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martedì 23 luglio 2013

Solo Dio perdona ( 2013 )

Julian gestisce assieme al fratello una palestra di thai boxe in quel di Bangkok. In realtà è solo una copertura per trafficare droga. Quando il fratello violenta e uccide una prostituta minorenne la polizia thailandese incarica delle indagini Chang, un ex funzionario che ha un suo personalissimo codice d'onore. Individua il colpevole e lo fa uccidere dal padre della ragazza a cui poi lui taglierà la mano destra.
La madre di Julian arriva a Bangkok per recuperare il corpo del figlio morto e ordina all'altro di consumare una feroce vendetta.
Ma forse Julian non è il tipo adatto e Mr Chang è un osso decisamente duro....
Per Refn era complicato gestire il ritorno il sala dopo un successo planetario come quello di Drive.
Poteva semplicemente girare un film sulla scia del precedente , senza troppi voli pindarici oppure perdersi dietro alle ossessioni del suo cinema passato ( e forse anche futuro) che erano appena appena state ammortizzate in occasione della pellicola che lo aveva fatto conoscere a tutto il globo terracqueo.
I produttori sicuramente premevano per avere un Drive 2 e ciò spiega anche il vergognoso trailer che ha accompagnato Solo Dio perdona e che ha cercato in tutte le maniere di far capire che questa sua nuova pellicola fosse nella scia della sua opera precedente.
Niente di più sbagliato.
Solo Dio perdona è la visione personalissima di Refn del revenge movie di stampo orientale.
Fatta la tara al personaggio di Gosling ( all'inizio del film ci si chiedeva se stavolta avesse parlato oppure sarebbe stato come nell'altro), laconico come nella pellicola precedente ma stavolta privo del carisma del personaggio senza nome di Drive, la nuova opera di Refn orbita attorno al concetto di vendetta e di codice di giustizia.
Quale è la migliore giustizia? quella amministrata dalle leggi , quella divina o quella per cui la vendetta è un piatto da consumare caldo, caldissimo?
Julian e Mr Chang sono due pianeti dalle orbite lontanissime che si troveranno fatalmente a cozzare a causa  del concetto distorto di vendetta che anima la madre di Julian,
E qui si innesca anche la tematica di un rapporto madre figlio probabilmente mai sbocciato ( lei ricorda continuamente che il fratello era meglio in questo, in quell'altro e in quell'altro ancora), l'ansia di un figlio tormentato da tutte le implicazioni di Edipo e del suo complesso che cerca di rispondere alla madre nel linguaggio che finalmente lei vuole sentire e la mancanza di personalità di Julian abbastanza disinteressato a vendicarsi di un fratello mai troppo amato e preoccupato più di soddisfare le richieste dell'ingombrante genitrice che con la sua personalità prorompente lo prevarica e lo oscura.
Solo Dio perdona rinvigorisce il gusto di Refn per la narrazione frammentaria, non lineare, l'unità temporale viene flessa continuamente come per adattarla alle suggestioni estemporanee del suo autore affascinato dalle dinamiche sinusoidali del cinema orientale, hongkonghese in particolare ( il ritmo della quiete prima della tempesta intervallato ad accelerazioni di violenza improvvisa e senza compromessi che qui viene suggerita più che mostrata) che vengono rilette alla luce del suo stile talmente poco hollywoodiano che quasi stupisce che il suo talento non sia stato fagocitato e appiattito dalla fabbrica dei sogni americana.
Solo Dio perdona è opera spuria, un diamante grezzo volutamente opacato nella notte di una Bangkok che somiglia più a un girone infernale che a una delle mete turistiche più ambite al mondo.
Refn ha fatto un'altra volta centro ma stavolta Gosling non lo ha aiutato più di tanto.
Ormai i personaggi che gli vengono cuciti addosso sono tutti pericolosamente vicini allo stereotipo creato da Drive.
Impagabile l'apparizione di una Kristin Scott Thomas che sembra un angelo caduto dall'inferno: nascosta sotto un turbine di capelli biondi è lei la stella polare del film, molto più del pusillanime Julian e del violento Chang, reso un filo ridicolo dalle sue velleità canterine.
Solo Dio perdona è film nato più per dividere che per unire.

( VOTO:  7 / 10) 


Only God Forgives (2013) on IMDb

lunedì 22 luglio 2013

The hunger games ( 2012 )

Katniss Everdeen prende volontariamente il posto della sorella più giovane quando questa viene sorteggiata per i 74 esimi Hunger Games, reality televisivo in cui due ragazzi appartenenti a ognuno dei dodici distretti di Panem sono scelti a caso dai dominatori di  Capitol City  combattono tra di loro per avere salva la vita. Rappresentano una sorta di tributo di vite umane a memoria imperitura di una vecchia rivolta soffocata nel sangue.
E c'è spazio solo per un vincitore.
Katniss mette a frutto tutte le sue conoscenze in fatto di caccia e di tiro con l'arco per cercare di vincere quella che fin da subito si appalesa come una lotta all'ultimo sangue.
FInalmente sono riuscito a vederlo: probabilmente ero una delle poche persone residenti sulle terre emerse che ancora non era venuto a contatto con il fenomeno della scorsa stagione cinematografica, il film che da solo ha dato una svolta alla carriera di Jennifer Lawrence, passata dallo status di ragazzotta di belle speranze a diva assoluta e capace anche di vincere un Oscar l'anno successivo per l'intepretazione ne Il lato positivo.
Non l'avevo mai visto però avevo letto dei paragoni con un film che ha un altarino singolo  per rendergli meglio onore, sul mio personalissimo ramo d'albero. Sto parlando di Battle Royale , film di Kinji Fukasaku.
A mio modesto parere i paragoni che si fanno tra i due film sono abbastanza fuorvianti: pur avendo più o meno lo stesso meccanismo ( ragazzotti che si ammazzano tra di loro in diretta televisiva per avere salva la vita) mentre il film giapponese è una critica amara e sentita a una società alienata e senza speranza, il film di Gary Ross sembra molto più interessato alla superficie, alla macchina spettacolare che non  a tutto il resto.
E ciò è provato anche dal brillantissimo cast di supporto che oscura quelli che dovrebbero essere i protagonisti del reality ( a parte una Lawrence indomita): parliamo di un inedito Stanley Tucci con parruccone e sorriso falso d'ordinanza, di una quasi irriconoscibile Elizabeth Banks, di un Harrelson con inedito ciuffo biondo a cadergli davanti agli occhi oppure anche a Lenny Kravitz, che si presta molto di rado al cinema..
Nessuna menata sociologica, solo una lunga introduzione ( forse anche troppo) del mondo di Capitol City, del suo dietro le quinte e del meccanismo di un reality game che ha più contatti con un film come L'implacabile di Paul Michael Glaser ( uno Schwarzy d'annata godibilissimo) che non con Battle Royale.
The Hunger games è una macchina da incassi che procede senza tentennamenti al fine di perseguire il suo scopo finale: i dollaroni freschi e sonanti da far entrare in grande quantità nelle tasche dei produttori e della casa cinematografica ( si parla di un film da 700 milioni di dollari di incasso complessivi, di cui più di 400 negli Stati Uniti).
Proprio per questo sono cassati tutti i particolari spiacevoli o dal gusto horror che corroboravano l'andamento di Battle Royale in favore della "solita " relazione sentimentale , che probabilmente sarà sviluppata in un senso o nell'altro nel sequel vista la quantità di cose lasciate in sospeso dopo questo primo capitolo, e di un attenzione particolare nell'evitare quei particolari "scabrosi" ( nel senso lato del termine) che avrebbero potuto far incorrere il film  in spiacevoli divieti: traduzione diminuizione di incassi.
The Hunger games a causa della sua durata ragguardevole , siamo sui 140 minuti, è un film dai tempi dilatati con una prima parte quasi cloroformizzata.
Anche la critica al mondo della apparenze di Capitol city, dove tutto è eccessivo, dai colori dei vestiti alle acconciature, sembra abbastanza innocua e stantia, più che altro viene trattata come folklore per dare una cornice adeguata , uguale e opposta, al mondo primitivo e senza troppi fronzoli in cui si troveranno a combattere i 24 pretendenti alla vittoria.
E' tutto al servizio dello spettacolo e in fondo il film di Ross non è molto dissimile dal mondo che cerca di mettere allegramente alla berlina.
Una macchina spettacolare che cerca continuamente il consenso con delle svolte narrative che ammiccano chiaramente allo spettatore medio, quello che se ne sbatte dell'alienazione della società e che va al cinema solo per essere intrattenuto, senza tante complicazioni magari dopo una dura giornata di lavoro.
Siamo tutti parte di un reality game, confezionato un po' come un Truman Show.
E siamo noi che lo muoviamo con i biglietti che facciamo staccare al botteghino cinematografico.
O forse no.....

( VOTO : 5,5 / 10 ) 

The Hunger Games (2012) on IMDb

domenica 21 luglio 2013

Attacco al potere- Olympus has fallen ( 2013 )

Mike Banning fa parte della scorta del presidente degli Stati Uniti d'America ma a causa di un incidente in cui perisce la first lady perde la fiducia del presidente e il lavoro. 18 mesi dopo il fattaccio la Casa Bianca è attaccata da un gruppo di organizzatissimi terroristi nord coreani che , dopo aver fatto una strage, prendono in ostaggio il presidente e il suo staff.Obiettivo è quello di rimettere in equilibrio il panorama strategico orientale ( facendo ritirare le flotte giapponesi e americane dall'Oceano Pacifico) anche a costo di scatenare una guerra nucleare.
Ma i cattivoni nordcoreani non hanno fatto i conti con Banning,ora agente del Ministero del Tesoro, che da solo cerca di mandare a monte i loro piani bellicosi.
Piccola premessa: prima di stravaccarsi comodamente sul divano per apprestarsi alla visione di questo film , bisogna staccare tutte le connessioni neurali perchè è l'unico modo che permette di bersi ( letteralmente) tutto quello che succede nel film.
Altro che sospensione di incredulità.
Vietato farsi domande su come un manipolo di nordcoreani riesca a infiltrarsi così facilmente negli USA confondendosi con i loro colleghi del sud ( ah si! tanto gli orientali, cinesi, giapponesi, coreani...sono tutti uguali), su come un edificio così strategico come la Casa Bianca sia così facilmente aggredibile e su come gli americani, che di solito prima sparano  e poi chiedono " chi va là? " vengano sterminati come mosche sul parabrezza in una corsa autostradale estiva.
Vietato anche chiedersi come mai questi terroristi superintelligenti ed ipertecnologizzati si facciano gabbare così vergognosamente da un uomo solo, dopo aver sterminato decine e decine di altri agenti.
Vogliamo poi parlare dei militari addestratissimi con il loro generale affannato a definirli " i più cazzuti del mondo" e che ritornano con le pive nel sacco dopo aver subito gravi perdite?
Tutto calcolato per l'ennesimo inno all'individualismo americano: Gerard Butler nella parte di Mike Banning è un surrogato andato a male dei vari Bruce Willis di Trappola di Cristallo o degli Steven Seagal di Trappola in alto mare ( o Trappola sulle montagne Rocciose perchè cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia) senza avere l'ironia del primo e le abilità nelle arti marziali del secondo. A pensarci bene riesce a far sembrare un maestrino delle scuole elementari in gita premio lo Schwarzy di Commando.
E non è un caso che stia citando tutti capisaldi action degli anni '80 o giù di lì.
Il film del veterano Fuqua ( una carriera con talmente tanti alti e bassi che fa sembrare le montagne russe piatte come un mare in bonaccia) sembra una perfetta simulazione di action anni '80, però arrivata fuori tempo massimo.
Deleterio trafelarsi a cercare un senso a tutto ciò come è perfettamente inutile utilizzare il pallottoliere per il body count: Olympus has fallen- Attacco al potere pullula di cadaveri ammazzati, i morti fioccano da tutte le parti .
Anzi è questa l'unica cosa che lo distingue dal classico blockbuster hollywoodiano: la cospicua dose di violenza esibita che gli ha fatto guadagnare una R ( i ragazzi devono essere accompagnati almeno da un adulto) nel sistema di divieti rigidissimo delle sale cinematografiche americane.
Per il resto siamo al più puro e becero stereotipo: caduta e ascesa del nostro eroe che guardacaso coincide con la caduta ( dell'Olimpo) e il riscatto di un'intera nazione.
Un po' troppo per essere ingurgitato senza effetti collaterali assieme a pop corn e Coca Cola.
Oppure no?

( VOTO : 5 / 10 ) 


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sabato 20 luglio 2013

Fido ( 2006 )

In una ridente (e immaginaria) città di Willard,negi anni '50, americana fino al midollo, c'è il quartier generale della ZomCom,industria che ha inventato un collare elettronico addomestica-zombie.
L'universo in cui si vive è ben strano:è sotto l'influsso di nubi tossiche che provocano la trasformazone di qualsiasi morto in zombi (per evitare ciò bisogna staccare la testa dal collo) cosicchè qualsiasi essere vivente deve programmare un funerale apposito,in cui venga seppellita solo la testa in apposite minicasse funebri.
La ZomCom ha inventato e brevettato un collare addomestica zombie che ha riscosso un grande successo tra il pubblico.
Con il collare inibitorio l'uomo domina e lo zombie è utilizzato per le mansioni più umili (ragazzo dei giornali,lattaio,domestico) legate alle sue funzioni cerebrali non particolarmente elaborate e diventa una sorta di status symbol. 
La storia è quella di una famiglia in cui entra per la prima volta uno zombie a cui mettono nome Fido: il papà ha una vera e propria fobia per i morti viventi, la mamma ha bisogno di un aiuto in casa ma soprattutto vuole farsi bella con la vicina,
Timmy è un ragazzino tremendamente solo e vessato dai compagni di scuola che bulleggiano. 
Fido aiuterà tutti loro.
Metti un giorno di avere uno zombie per amico.
La commedia zombesca è genere frequentato relativamente poco al cinema: qui il riferimento più prossimo è l'irresistibile Shaun of the dead  ma con un singolare cambiamento di prospettiva: se nel film inglese gli umani del bus del mattino venivano equiparati a morti viventi, qui i morti viventi sono assoggettati dagli umani in quanto diversi e inferiori.E soprattutto sono resi inoffensivi da quei collari che indossano.
Ma si sa il diavolo fa le pentole ma non i coperchi e qualcosa andrà storto.
Il paesino di Willard (lo stesso nome del paese in cui era ambientato La notte dei morti viventi, esordio shock di Romero) sembra estratto da una cartolina: strade ordinate, poco traffico, tutti conoscono tutti ( anche troppo bene), giardini puliti con l'erba rasata di fresco, una cittadina della provincia americana presa da una sitcom oppure da film come Pleasantville .

Tutti si sorridono, tutto è lindo e pinto, però pullula di zombie.
La facciata perbenista che nasconde mostri: stavolta veri però e che presto presenteranno il conto alla cassa.
In Fido si ride molto ma lo si fa a denti stretti, amaramente ed essendo una produzione canadese mi viene da pensare che si cerchi di satireggiare sulla società americana basata sul possesso delle armi (da collasso la scena in cui il padre regala a Timmy la sua bella pistola a tamburo con proiettili anche se non ha ancora dodici anni come prescrive la legge ma a suo dire se l'è meritata) e sull'ipocrisia dell'apparire.
Tra  Lassie decine di altre citazioni si resta quasi disorientati in un mondo dominato dalle tinte pastello che mette sullo stesso piano il  gore puro ( e crudo) e i sentimenti sparati a raffica ad alzo zero.
Questo film è una vera chicca per gli amanti, un piccolo cult che ha avuto scarsa fortuna al botteghino.
A fronte di un investimento di circa 8 milioni di dollari è rientrato poco più di mezzo milione.
Ma merita di essere visto.
Così , anche solo per allargare la propria prospettiva di film di zombie.
FIdo è sicuramente diverso dagli altri.

( VOTO : 7 + / 10 ) .


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venerdì 19 luglio 2013

Les revenants ( 2012 , Stagione 1 )

Un brutto giorno un autobus pieno di bambini in gita scolastica precipita giù per il viadotto di una diga. Dopo qualche anno, Camille, una delle vittime di quel tragico incidente torna a casa sua come se niente fosse, inconsapevole di quanto sia mancata e di che cosa sia successo. In compenso manda in crisi tutta la sua famiglia, soprattutto sua madre che ancora non si era abituata all'idea della sua perdita. Non è facile però ricominciare a vivere in questa nuova condizione cercando di nascondere la propria natura..
Ma Camille non è sola: altri stanno ritornando come a riprendersi le loro vite e stanno modificando inevitabilmente le esistenze di chi non è ritornato dall'aldilà.
In più strane cose stanno accadendo nel bacino acquifero vicino alla diga. L'acqua si sta abbassando di livello e sta affiorando il campanile della chiesa del vecchio paese distrutto a suo tempo da una tragica inondazione.
L'apocalisse sembra che si stia avvicinando a grandi passi.
Erano vari anni che non seguivo così appassionato una serie tv: il mondo della tv di oggi poco mi garba , ho abbandonato praticamente del tutto la visione di prodotti televisivi seriali sia perchè preferisco delle storie autoconcluse e che in due ore o poco più diano il loro esito, sia perchè non posso garantire la mia puntualità nel seguire le varie puntate. Questo lo potrei risolvere raccogliendo prima tutti gli episodi per poi spararmeli uno dietro l'altro ma c'è sempre il problema del finale di stagione che, naturalmente , visto che deve dare materiale per aprire alla stagione successiva ti lascia sempre con un palmo di naso, senza conclusione di tutto quello che finora si è intrecciato durante le puntate.
Diciamo che non sono tipo a cui piace sopportare il respiro troppo ampio della serialità tv e proprio per questo mi sono perso prodotti veramente validi sotto ogni punto di visto e che di televisivo hanno poco o nulla.
Non hanno soprattutto niente a che fare con il concetto nostrano di fiction che probabilmente contribuisce a tenermi lontano dalla serialità televisiva.
E si che fino a qualche anno fa, le vedevo tutte...poi è scattata l'insofferenza...
Ma parliamo di Les revenants: ecco per vedere le 8 puntate di questa prima stagione( viste una dietro l'altra in pochissimo tempo)  ho abiurato quasi del tutto dai principi enunciati prima perchè questa serie francese, ispirata a un omonimo film del 2004 ( e che presto passerà sul mio schermo), ha tutte quelle cose che io cerco di evitare ma ha una qualità tecnico realizzativa talmente alta che è veramente riduttivo parlare di televisione.
8 puntate da 52 minuti l'una, più o meno, tutte intitolate con il nome di uno dei protagonisti in cui il senso dell'apocalisse incombente, il mistero, l'ambientazione da urlo in una piccola città di montagna ricostruita dopo la succitata inondazione, la colonna sonora ipnotica e straniante targata Mogwai oltre a  tutto il coacervo di rapporti tra i vari personaggi creano un'atmosfera sulfurea da cui è difficile distaccarsi.
I vari personaggi si alternano all'interno dello stesso episodio creando un senso di attesa spasmodica per ognuna delle storie trattate nonostante si scelga spesso la dilatazione dei tempi e delle sequenze.
Questi non morti non sembrano versare una goccia di sangue, non dormono, mangiano avidamente , sembrano anche non deteriorarsi ( almeno all'inizio) e questa prospettiva attraverso cui vedere gli zombie è assolutamente originale: non interessa il morto vivente tout court ma si indaga soprattutto sulle implicazioni che il loro ritorno provoca su coloro che hanno subito la perdita.
E siccome il procedere degli anni cambia inesorabilmente le vite, per molti di loro non sarà facile riabituarsi alla presenza dei ritornanti ( revenants) i quali gradualmente si accorgeranno della crudeltà di questa nuova condizione esistenziale.
Siamo dalle parti dell'horror psicologico, molta atmosfera e pochissimi effetti speciali, un pugno di attori veramente valido e una progressione lenta e inarrestabile che viene troncata in un finale di stagione che lascia aperti tutti gli interrogativi già in campo  e ne pone di nuovi.
Un finale forse un po' troppo "americano" per i miei gusti ma che non pregiudica assolutamente quanto di buono ammirato in precedenza.Soprattutto fornisce molto materiale per una futura seconda stagione che stiamo già qui ad aspettare impazienti.
Proprio tutto quello che odio del mondo della serialità televisiva.
Se questa è "solo" tv , beh direi che siamo messi bene, benissimo.
E questi diavoli di francesi ci hanno surclassato ancora una volta con un prodotto di qualità eccellente e che non ha nulla da invidiare a serie ben più blasonate.
Anzi forse è vero il contrario....

( VOTO : 8,5 / 10 ) 

giovedì 18 luglio 2013

To the wonder ( 2012 )

Neil, classico mascellone americano a Parigi, conosce la bella divorziata Marina, con sua figlia Tatiana, di dieci anni. Si innamorano e poi tornano a casa di Neil, in Oklahoma. Che non è proprio Mont Saint Michel, il magico sfondo su cui è nato il loro amore. Le difficoltà aumentano giorno per giorno, lei trova conforto in padre Quintana, un prete che sta lottando per capire veramente se la sua è vocazione oppure no, mentre Neil si rifugia nelle capienti braccia di Jane, sua conoscenza fin dai tempi dell'infanzia...ma Marina non si rassegna alla fine del loro amore....
Detta così la sinossi di To the wonder sembra quella di un normale film su un menage a trois, al massimo un melodramma lacrimevole che può sconfinare nella classica rimpatriata tra trombamici.
E invece no.
Cerchiamo di dare un giudizio critico equilibrato e distaccato.
E allora possiamo affermare che To the wonder "è una cagata pazzesca!"( cit.).
Applausi.
Anzi 92 minuti di appalusi.
Candidato da subito ad essere uno dei miei scult dell'anno, il film di Malick, che dopo il successo a sorpresa  di The tree of life è stato colto da insopprimibile ansia creativa alla stessa stregua di un Allen qualunque, è un qualcosa tra le più insopportabili viste in questi ultimi anni.
Se in The tree of life si parlava di massimi sistemi e aveva un senso paragonare la cosmogonia di Malick a quella di Kubrick, da lui ribaltata, To the wonder sembra la caricatura di un film, costruito con la stessa tecnica del precedente ma senza affrontare i grandi temi dell'altro.
Qui al massimo si parla di minimi comuni denominatori, di storielle d'amore di una banalità infinita infiocchettate però come se fossero storie larger than life.
Una voce fuori campo anticipa come il migliore degli stopper pallonari  tutto quello che sta succedendo rendendo praticamente pleonastici i dialoghi che nel loro anelito alla poesia varcano spesso la soglia del ridicolo involontario.
Ben Affleck dopo Argo ridiventa il solito quarto di bue inespressivo mentre Olga Kurylenko gioca a fare l'attrice con esiti tremendi, quasi raggiunti anche dall'apparizione della nostrana Romina Mondello nei panni di una specie di invasata senza requie.
La Kurylenko invece di stare davanti a una macchina da presa sembra che stia davanti all'obiettivo di un fotografo di moda per come ammicca, fa le mossette, cerca lo scatto migliore in una gamma di espressioni che va dall'attonito allo sbarazzino senza passare dal via.
Simpatica come un gatto che ti affonda le unghie nei marroni, quasi vorresti che se la ingroppasse il primo serial killer di passaggio per far terminare questa tortura.
Si, tortura è il termine giusto per questa lenta agonia che sfiora le due ore e che cerca di elevarsi al rango di cinema d'autore non adatto alla vulgata cinematografica.
To the wonder mi è sembrato uno scarabocchio informe modellato sul cinema dell'incomunicabilità di Antonioni ma il maestro ferrarese era troppi universi cinematografici avanti rispetto al regista americano.
L'impressione è che Malick, una volta fatto il colpo gobbo con The tree of life abbia voluto ritentare la carta del successo con un film costruito con la stessa tecnica: immagini stile National Geographic, una forma di narrazione non lineare , vari personaggi in cerca di qualcosa all'interno della loro vita , monologhi interiori ( qui in quattro lingue, inglese , francese, italiano e spagnolo..sic!) e un trituramento perseverato di zebedei tale da farci un granella finissima, una specie di nocciolato testicolare.
Se Bardem con la sua choma alla Don Buro di vanziniana memoria può avere un futuro come testimonial di lacche, il film di Malick può avere successo nel campo dei sedativi o dei sonniferi in genere.
Funziona, garantito!
La cosa grave è che questo To The wonder arriva a farmi rileggere in negativo anche il precedente The tree of life che alla sua uscita avevo salutato con particolare favore.
Mi sono sentito preso per il culo da Malick e dalla sua merda d'autore.
E la merda d'autore puzza molto di più di quella normale,

( VOTO : 2 / 10 )


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mercoledì 17 luglio 2013

Pacific Rim ( 2013 )

Il mondo è sotto attacco. Gigantesche creature che sorgono dal mare, i Kaiju, stanno mettendo a ferro e fuoco le terre emerse e hanno scatenato una guerra totale. L'uomo risponde con dei giganteschi robot, , gli Jaeger, guidati ognuno da due piloti in connessione interneurale ma nelle battaglie ne vengono persi più di quanto si riesca a costruirne. Si prova a costruire allora delle gigantesche muraglie per arginare la potenza dei Kaiju ma servono a ben poco.Si deve distruggere il sito da dove provengono i mostri e per questo vengono richiamati alla battaglia gli ultimi Jaeger rimasti, tra cui uno particolarmente obsoleto che sarà guidato da Raleigh che ha perso cinque anni prima il fratello durante una lotta con un Kaiju all'interno del loro robot, e da Mako, che non ha alcuna esperienza. Naturalmente la battaglia sarà totale e definitiva.
Urca! Da dove comincio?
Cominciamo ringraziando prostrati a faccia in terra Guillermo del Toro per averci regalato il film che stavamo sognando a occhi aperti da quando seguivamo il ragazzo che correva laggiù perchè il suo nome era Jeeg e nel petto gli batteva un cuore d'acciaio?
Oppure per aver portato alla stazione della mia memoria una fila interminabile di vagoni di ricordi legati all'oratorio, a quella minuscola sala cinematografica dietro la chiesa in cui dopo la messa domenicale delle 9 e 30 feci la conoscenza con il professor Honda e parecchi film del suo Godzilla?
Volendo, posso ringrazire il grande Benicio anche perchè , portando i bradipini al cinema , mi ha reso partecipe di una sorta di passaggio generazionale del mio immaginario di quando avevo la loro età e la mia giornata era popolata di robot di tutte le risme e se è vero che i figli si sono esaltati per queste mazzate tra robot giganti, il padre non è stato da meno, anzi forse era quello più entusiasta di tutti.
Perchè siamo entrati al cinema , ci siamo muniti di occhialoni con sovrapprezzo per vedere robot massicci e inkazzati che prendevano a mazzate giganteschi mostri marini e Guillermo del Toro ci ha dato tutto quello che volevamo e anche in gran quantità.
Battaglie interminabili girate come il dio del cinema comanda, Kaiju presi a colpi di petroliera, mostri veramente alti come palazzi e Del Toro piazza la cinepresa là in mezzo, tu stai comodamente seduto in sala con i tuoi occhialoni ben calcati sul naso eppure ti sembra di stare là al centro della battaglia, quasi ti viene da schivare i detriti che sembrano venirti addosso o gli schizzi d'acqua che si alzano per ogni dove ( a proposito non sono un grande fan della tecnologia 3 D, ma qui ha un senso, fa acquisire a tutto un contorno ancora più preciso e ti fa gustare le risse tra Jaeger e Kaiju come meglio non si potrebbe).
Ma non siamo di fronte a un episodio di Transformers della premiata ( si fa per dire )  ditta  Maicolbei e company.
Anzi io di film coi Transformers ne ho sopportato a malapena uno, il primo, per gli altri avrei volentieri organizzato un rogo pubblico in piazza per bruciarli in mondovisione.
Perchè Pacific Rim si e i robottoni di Maicolbei no?
La risposta è semplice: perchè dietro Pacific Rim c'è un regista vero, mentre dietro i Transformers c'è solo un impiegatuccio degli studios, ahinoi miliardario, che , dopo aver timbrato il cartellino, continua a sfregiare l'arte cinematografica per puro amore di pecunia.
Del Toro invece è uno di noi, ci porta a spasso per il suo immaginario personale che coincide magicamente col nostro, ci regala il film che volevano vedere da quando eravamo bambini ( anche se non lo sapevamo), ci regala un sogno a occhi aperti.
E solo per questo dovremmo essergli grati all'infinito.
Pacific Rim dietro e oltre la confezione da blockbuster nasconde passione e gli si perdona un gruppetto di personaggi pericolosamente vicini allo stereotipo e magari quel filino, anche qui si fa per dire, di retorica che lo percorre trasversalmente (con l'apoteosi toccata durante  il discorso alla Indipendence Day di Stacker).
E gli si perdona quasi tutto proprio perchè alla fine noi siamo venuti al cinema per vedere robot giganti fare a mazzate contro mostri marini: e siamo stati abbondantemente serviti in questo.
In più ci sono alcune punte di esaltazione massime allorchè un Kaiju viene preso a colpi di petroliera oppure quando , in tempi di armi supermoderne, lo Jaeger tira fuori un bello spadone con cui affettare il nemico ( una specie di San Giorgio contro il drago, con tutto il cinema a mormorare la sua approvazione).
Dopo due ore e dieci di massacro audiovisivo esci con la pupilla che rotea, una gocciolina che fa capolino alla base del naso, la testa che gira leggermente ma è una sensazione bellissima.
E se qualcuno vi parla di tre imbecilli ( uno grande e altri due piccoli) che nell'atrio della multisala stavano mimando all'unisono il modo di muoversi degli Jaeger...beh eravamo noi.
Voto al film da parte dei bradipini: 10+.


( VOTO : 8 + / 10 ) 


Pacific Rim (2013) on IMDb