Mark, giornalista e scrittore 38 enne costretto a vivere la maggior parte della sua grama esistenza in un polmone d'acciaio e con un'aspettativa di vita a breve scadenza decide di non voler essere più vergine. Consigliandosi con il suo prete che dimostra un'invidiabile apertura mentale e con il suo psicoterapeuta riesce a ottenere di incontrare una terapista sessuale che in 6 soli incontri educherà Mark alle gioie che può riservargli il suo corpo e il sesso.Il tutto senza alcun coinvolgimento emozionale, pagato in busta chiusa e senza stupide complicazioni sentimentali. Sembra facile. E invece non lo è
Per niente.
Che cosa è The Sessions? Una commedia incentrata sul tema altrove assai spinoso del rapporto tra i disabili e il sesso? Un film pruriginoso in cui una MILF con famiglia al seguito per un pugno di dollari assicura le sue prestazioni a un poliomielitico con il corpo paralizzato ? O il solito film edificante che tratta un tema a cui molti sono allergici sforzandosi di essere il più politically correct possibile?
Fortunatamente il film di Lewin, regista anche lui poliomielitico ma colpito in maniera assai meno invalidante dalla malattia rispetto al protagonista Mark, è qualcosa di diverso.
E' equiparabile al percorso di crescita e di formazione di un classico nerd saputello scansato un po' da tutta la metà femminile dell'universo.
Però il tutto visto con l'ironia, l'intelligenza e il disincanto di Mark che vuole dare e vuole ricevere amore . Il problema è che l'amore che riceve dalle donne che premurosamente gli stanno intorno non è del tipo che interessa a lui. Colpisce la sua visione del sentimento amoroso e del sesso che coincidono con quella di un adolescente in preda ai primi stravasi ormonali. Rendono il suo personaggio ancora più tenero e vulenrabile, nonostante la corazza d'acciaio che lo circonda ogni giorno.
Ed ecco che quindi entra in scena la terapista sessuale, Cheryl.
Ecco , ora bisogna armarsi anche di benevolenza per leggere questo personaggio e per riuscire a cogliere le lievi sfumature che distinguono una terapista sessuale da una prostituta ottimamente pagata. Lei cerca di spiegarlo in modo anche convincente ma non è che ci riesca molto, alla fine uno l'idea che si fa è che Cheryl sia una specie di prostituta di lusso che abbia anche cognizioni di fisioterapia.
Esilaranti le varie tappe di avvicinamento di Mark a quello che può arrivare ad essere un rapporto completo: si va dal fantozziano alla tenerezza condita sempre dalla sua visione della vita ricca di humour e di disillusione.
E' il classico ragazzino preda dell'ansia da prestazione.
E qui la memoria corre a un fatto successo a una persona che conoscevo, con lo stesso problema di verginità patologica di Mark, che al primo appuntamento con una "terapista sessuale" si comportò più o meno come il protagonista di questo film al primo incontro: lei gli mette fraternamente una mano sulla spalla per farlo entrare in camera da letto e lui letteralmente fa "esplodere" la sua gioia.
A parte gli scherzi: The sessions è un film tutt'altro che pruriginoso nonostante Helen Hunt si immoli anima ma soprattutto corpo ( mostrato più che generosamente , epperò che fisichetto che c'ha la quasi cinquantenne Helen , candidata al premio Marisa Tomei per il 2013), è una commedia sentimentale in cui una voce fuoricampo sottolinea umoristicamente i vari passaggi che portano Mark a non essere più vergine e a sbandierarlo orgogliosamente, un quadro efficace per leggerezza di quanto sia difficile trattare un argomento da molti considerato tabù come quello della sessualità di disabili.
Invece qui sembra la cosa più normale del mondo, senza tanti pietismi ed ipocrisie e questo rientra tra i grandi meriti di un film che tuttavia mantiene meno di quello che promette.
Presto si incanala in un qualcosa di abbastanza prevedibile non mostrando di avere quello scatto in più che hanno mostrato altri film sull'argomento . La regia si dimostra poco più che scolastica affidandosi alla verve di due ottimi protagonisti ( ma perchè candidare all'Oscar l'ottima Helen Hunt e ignorare la prova splendida di John Hawkes?) e a un comprimario di classe come il lungocrinito William H. Macy.
The Sessions col passare dei minuti tende sempre più a somigliare a quelle linguacciute commedie da cinema indipendente americano ( chi ha detto Sundance?) che sono ormai un genere a parte nel panorama cinematografico d'oltreoceano.
E anche la potenziale lacrimogenicità del finale appare smorzata proprio perchè non ci si allontana da uno spartito già scritto e visto e altrove.
( VOTO : 6,5 / 10 )
I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.
giovedì 28 febbraio 2013
mercoledì 27 febbraio 2013
Gangster Squad ( 2013 )
Los Angeles 1949: Mickey Cohen , gangster con un passato da pugile domina tutti i traffici illegali della città ,dalla droga , al gioco d'azzardo, alla prostituzione e ha in mano molte pedine importanti della politica e della polizia losangelina. Tranne il capo della polizia , Parker, che sceglie l'integerrimo sergente O' Mara, un veterano della Seconda Guerra Mondiale, per essere a capo di una squadra di poliziotti in incognito che deve fare una guerra totale a Cohen, anche andando oltre i paletti che la legge impone. Nessuna ricompensa, solo la consapevolezza di aver fatto qualcosa di giusto per la propria città. Aiutato dalla moglie O'Mara sceglie i componenti della sua squadra e comincia a mettere i bastoni tra le ruote alle innumerevoli attività di Cohen. Il quale, dal canto suo, individua i componenti della squadra dopo aver teso loro una trappola e scatena i suoi scagnozzi.
Naturalmente lo scontro finale lascerà a terra molti cadaveri...
E'innegabile che Gangster Squad provochi piacere epidermico. Ti accomodi in sala, lo segui senza problemi perchè è veramente molto lineare nel suo svolgimento( pure troppo forse), sei piacevolmente intrattenuto dai soliti ingredienti del gangster movie ( e questo film li contiene tutti, chiameteli clichè se volete) e quando ti alzi dalla tua poltroncina e ti avvii verso casa ti sembra anche di aver visto un bel film con tutte le cosine al posto giusto, ben confezionato, con degli attori che ti piacciono impegnati in un genere che normalmente riscuote la tua approvazione.
E però più ti allontani e più gli trovi difetti e questo film ne ha uno capitale: è totalmente e ripeto totalmente derivativo.
Molti giustamente parlano di questa pellicola come dell'anello di congiunzione tra Gli Intoccabili e L.A. Confidential ( due cosette che qui sul mio ramo d'albero hanno il loro altarino singolo davanti a cui inchinarsi ogni santo giorno) ma io ci aggiungerei anche Dick Tracy perchè mi sembra abbastanza evidente il taglio fumettistico che si è voluto dare a tutta l'operazione.
A partire da Sean Penn, caricato a pallettoni, letteralmente sepolto sotto un orribile trucco e parrucco che lo rende simile a un personaggio di Dick Tracy o di Sin City. Col cappello giusto , che viene sfoggiato in una sequenza nella parte centrale del film, ha anche una certa somiglianza con Freddie Krueger.
La figura che incarna, quella del gangster che vuole entrare nel salotto buono di Los Angeles dalla porta principale è abbastanza caricaturale e i dialoghi tagliati con l'accetta ( ma questo vale un po' per tutto il film) non danno molto spazio all'evoluzione del suo personaggio come a quella degli altri protagonisti in campo, praticamente dei blocchi di granito durissimo.
Si spezzano ma non si piegano.
Solo sparatorie, senso di appartenenza alla squadra, le perdite necessarie per non far finire tutto,ma proprio tutto a tarallucci e vino ( e guarda caso vengono sacrificate le due pedine che hanno meno carisma ), la solita pupa del gangster combattuta tra ragione e sentimento, un'omerica scazzottata alla fine per far vedere chi tra Cohen e O'Mara ce l'ha più duro ( il pugno, ma che avete capito?).
Vogliamo poi parlare della citazione plateale de Gli Intoccabili nel finale? La scala dell'albergo teatro dello scontro decisivo perchè è così sfacciatamente uguale alla scalinata della stazione del film di De Palma? Manca solo la carrozzella col bambino, che era già una citazione, ma qui poi saremmo arrivati alla citazione della citazione.Forse troppo anche per un film come Gangster Squad che vive solo di luce riflessa.
Il film del giovane Ruben Fleischer tenta una rilettura del genere che magari col suo look fumettistico strizza
l'occhio al pubblico dei teenagers alla ricerca di eroi e antieroi tutti di un pezzo come quelli che vengono raccontati in questa pellicola.
Il problema è che tutto quello che qui vorrebbe essere novità è solo una citazione del passato, non è una rilettura postmoderna del genere come in Public Enemies di Mann, Gangster Squad è un gangster movie figlio della civiltà dei videogames.
Perchè a tratti sembra proprio di essere in un videogame con quella Los Angeles che appare solo come un fondale prerenderizzato.
Ma ci si può divertire.
( VOTO : 6 / 10 )
Naturalmente lo scontro finale lascerà a terra molti cadaveri...
E'innegabile che Gangster Squad provochi piacere epidermico. Ti accomodi in sala, lo segui senza problemi perchè è veramente molto lineare nel suo svolgimento( pure troppo forse), sei piacevolmente intrattenuto dai soliti ingredienti del gangster movie ( e questo film li contiene tutti, chiameteli clichè se volete) e quando ti alzi dalla tua poltroncina e ti avvii verso casa ti sembra anche di aver visto un bel film con tutte le cosine al posto giusto, ben confezionato, con degli attori che ti piacciono impegnati in un genere che normalmente riscuote la tua approvazione.
E però più ti allontani e più gli trovi difetti e questo film ne ha uno capitale: è totalmente e ripeto totalmente derivativo.
Molti giustamente parlano di questa pellicola come dell'anello di congiunzione tra Gli Intoccabili e L.A. Confidential ( due cosette che qui sul mio ramo d'albero hanno il loro altarino singolo davanti a cui inchinarsi ogni santo giorno) ma io ci aggiungerei anche Dick Tracy perchè mi sembra abbastanza evidente il taglio fumettistico che si è voluto dare a tutta l'operazione.
A partire da Sean Penn, caricato a pallettoni, letteralmente sepolto sotto un orribile trucco e parrucco che lo rende simile a un personaggio di Dick Tracy o di Sin City. Col cappello giusto , che viene sfoggiato in una sequenza nella parte centrale del film, ha anche una certa somiglianza con Freddie Krueger.
La figura che incarna, quella del gangster che vuole entrare nel salotto buono di Los Angeles dalla porta principale è abbastanza caricaturale e i dialoghi tagliati con l'accetta ( ma questo vale un po' per tutto il film) non danno molto spazio all'evoluzione del suo personaggio come a quella degli altri protagonisti in campo, praticamente dei blocchi di granito durissimo.
Si spezzano ma non si piegano.
Solo sparatorie, senso di appartenenza alla squadra, le perdite necessarie per non far finire tutto,ma proprio tutto a tarallucci e vino ( e guarda caso vengono sacrificate le due pedine che hanno meno carisma ), la solita pupa del gangster combattuta tra ragione e sentimento, un'omerica scazzottata alla fine per far vedere chi tra Cohen e O'Mara ce l'ha più duro ( il pugno, ma che avete capito?).
Vogliamo poi parlare della citazione plateale de Gli Intoccabili nel finale? La scala dell'albergo teatro dello scontro decisivo perchè è così sfacciatamente uguale alla scalinata della stazione del film di De Palma? Manca solo la carrozzella col bambino, che era già una citazione, ma qui poi saremmo arrivati alla citazione della citazione.Forse troppo anche per un film come Gangster Squad che vive solo di luce riflessa.
Il film del giovane Ruben Fleischer tenta una rilettura del genere che magari col suo look fumettistico strizza
l'occhio al pubblico dei teenagers alla ricerca di eroi e antieroi tutti di un pezzo come quelli che vengono raccontati in questa pellicola.
Il problema è che tutto quello che qui vorrebbe essere novità è solo una citazione del passato, non è una rilettura postmoderna del genere come in Public Enemies di Mann, Gangster Squad è un gangster movie figlio della civiltà dei videogames.
Perchè a tratti sembra proprio di essere in un videogame con quella Los Angeles che appare solo come un fondale prerenderizzato.
Ma ci si può divertire.
martedì 26 febbraio 2013
Stitches ( 2012 )
Richard detto Stitches è uno di quei clown a pagamento noleggiati per allietare le feste di bambini con i suoi trucchi, lazzi e giochi di prestigio vari. Stavolta la festicciola però è diversa dalle altre, è la festa per il decimo compleanno di Tom e pur essendoci solo bambini di 10 anni o giù di lì si trova di fronte a dei veri e propri teppisti che non gradiscono nulla del suo repertorio e in compenso gli fanno passare un brutto quarto d'ora. Anzi bruttissimo perchè a causa di uno scherzo stupido Stitches cade su un coltello nella lavastoviglie messo dalla parte sbagliata e muore praticamente sul colpo. Dopo qualche anno, riportato in vita da un culto fatto da altri clowns all'interno del cimitero dove è sepolto, Stitches viene catapultato di nuovo nel mondo dei vivi e si ritrova alla festa di compleanno di Tom, quel Tom, ora sedicenne e classico nerd scansato un po' da tutti forse perchè l'unico traumatizzato da quello che successe alla festa del suo decimo compleanno.
Tom è spinto dai suoi amici a fare questa festa, la casa è libera , così...
L'occasione per Stitches è troppo ghiotta per non vendicarsi. E la mattanza di teenagers ha inizio.
Diavoli di irlandesi! Sto continuando ad imbattermi in maniera abbastanza casuale in horror che provengono dall'Irlanda ( realizzati con finanziamenti anche dell'Irish Board, mentre qui da noi finanziano solo autori già affermati, commedie e fetecchie paseudoautoriali, perchè loro si e noi no?) e ogni volta mi sorprendono.
Stitches, presentato all'ultimo Frightfest ad agosto 2012, è allo stesso tempo uno slasher devastante e una commedia dai tempi comici perfetti, una storia di incantesimi e vendetta che si incrocia con il solito gruppo di teenagers idioti ( non tutti , via) che stavolta fa parte di un liceo irlandese.
Rispolvera alla grande il potenziale orrorifico della figura del clown dopo che lo aveva fatto Stephen King col suo It creando con Pennywise una macchina di vendetta e di morte mascherata da pagliaccio.
Il successo di questa operazione lo si deve soprattutto alla prova del performer Ross Noble, uno che in passato ha fatto il clown a pagamento per mantenersi e che è impegnato più che altro nella commedia, non certo nell'horror. La sua performance è strepitosa: all'inizio sembra un Beetlejuice spiritello molto più porcello di quello di Tim Burton ( diciamo che ha un'inizio sprint con una MILFona che sembra molto gradire ) e poi con la sua Fiat Seicento scassata guidata letteralmente coi piedi si presenta oltre le soglie dell'ubriachezza molesta alla festa dei bambini. I quali "pampini" non sono altro che vandali in erba che gliele combinano di tutti i colori. Poi diventa un'inesorabile macchina di morte assomigliando sempre di più al Pennywise kinghiano.
La trovata del film è che Stitches ritroverà tutti quelli che gli hanno fatto del male in quella festa e li ucciderà ( o cercherà di farlo) usando una sorta di contrappasso dantesco.
Nonostante lo splatter e il gore abbondino ( cervelli estratti con l'attrezzo per fare palline di gelato, intestini strappati, usati come palloncini e fatti a forma di cane, il gatto di casa seviziato solo per vedere quante vite ha, ombrelli usati in modo piuttosto creativo ecc ecc ) l'ironia la fa sempre da padrona anche quando Stitches è in azione.
Certo non siamo ai livelli di Shaun of the dead ( decisamente più comedy che horror ) ma è impossibile non sorridere di quello che si sta vedendo.
E anche se considerassimo Stitches solo uno slasher, proprio la creatività degli omicidi perpetrati dal clown già da sola basterebbe a formulare un giudizio positivo su questo film.
Naturalmente non stiamo parlando di un capolavoro: i personaggi non sono così approfonditi , lo spartito su cui il regista Conor McMahon ( nel suo curriculum un discreto zombie movie Dead Meat, girato con due soldi molto influenzato dal primo Jackson) e il protagonista Ross Noble non è inedito ma ugualmente il film è apprezzabilissimo per quell'impronta nuova, visivamente parlando, che cerca di dare al genere, essendo letteralmente straripante di tutti i colori che compongono solitamente il costume di un clown e non zavorrato dalla solita fotografia dai toni scuri e metallici.
E poi ho sempre ritenuto il clown una delle figure potenzialmente più orrorifiche mai create e peggio sfruttate al cinema, tranne qualche raro caso.
Stitches restituisce quell'aura horror alla figura del pagliaccio: non triste, non felice , solo assassino ritornante dal mondo dei morti .
Ce n'è abbastanza per fare un discreto horror.
( VOTO : 7 / 10 )
Tom è spinto dai suoi amici a fare questa festa, la casa è libera , così...
L'occasione per Stitches è troppo ghiotta per non vendicarsi. E la mattanza di teenagers ha inizio.
Diavoli di irlandesi! Sto continuando ad imbattermi in maniera abbastanza casuale in horror che provengono dall'Irlanda ( realizzati con finanziamenti anche dell'Irish Board, mentre qui da noi finanziano solo autori già affermati, commedie e fetecchie paseudoautoriali, perchè loro si e noi no?) e ogni volta mi sorprendono.
Stitches, presentato all'ultimo Frightfest ad agosto 2012, è allo stesso tempo uno slasher devastante e una commedia dai tempi comici perfetti, una storia di incantesimi e vendetta che si incrocia con il solito gruppo di teenagers idioti ( non tutti , via) che stavolta fa parte di un liceo irlandese.
Rispolvera alla grande il potenziale orrorifico della figura del clown dopo che lo aveva fatto Stephen King col suo It creando con Pennywise una macchina di vendetta e di morte mascherata da pagliaccio.
Il successo di questa operazione lo si deve soprattutto alla prova del performer Ross Noble, uno che in passato ha fatto il clown a pagamento per mantenersi e che è impegnato più che altro nella commedia, non certo nell'horror. La sua performance è strepitosa: all'inizio sembra un Beetlejuice spiritello molto più porcello di quello di Tim Burton ( diciamo che ha un'inizio sprint con una MILFona che sembra molto gradire ) e poi con la sua Fiat Seicento scassata guidata letteralmente coi piedi si presenta oltre le soglie dell'ubriachezza molesta alla festa dei bambini. I quali "pampini" non sono altro che vandali in erba che gliele combinano di tutti i colori. Poi diventa un'inesorabile macchina di morte assomigliando sempre di più al Pennywise kinghiano.
La trovata del film è che Stitches ritroverà tutti quelli che gli hanno fatto del male in quella festa e li ucciderà ( o cercherà di farlo) usando una sorta di contrappasso dantesco.
Nonostante lo splatter e il gore abbondino ( cervelli estratti con l'attrezzo per fare palline di gelato, intestini strappati, usati come palloncini e fatti a forma di cane, il gatto di casa seviziato solo per vedere quante vite ha, ombrelli usati in modo piuttosto creativo ecc ecc ) l'ironia la fa sempre da padrona anche quando Stitches è in azione.
Certo non siamo ai livelli di Shaun of the dead ( decisamente più comedy che horror ) ma è impossibile non sorridere di quello che si sta vedendo.
E anche se considerassimo Stitches solo uno slasher, proprio la creatività degli omicidi perpetrati dal clown già da sola basterebbe a formulare un giudizio positivo su questo film.
Naturalmente non stiamo parlando di un capolavoro: i personaggi non sono così approfonditi , lo spartito su cui il regista Conor McMahon ( nel suo curriculum un discreto zombie movie Dead Meat, girato con due soldi molto influenzato dal primo Jackson) e il protagonista Ross Noble non è inedito ma ugualmente il film è apprezzabilissimo per quell'impronta nuova, visivamente parlando, che cerca di dare al genere, essendo letteralmente straripante di tutti i colori che compongono solitamente il costume di un clown e non zavorrato dalla solita fotografia dai toni scuri e metallici.
E poi ho sempre ritenuto il clown una delle figure potenzialmente più orrorifiche mai create e peggio sfruttate al cinema, tranne qualche raro caso.
Stitches restituisce quell'aura horror alla figura del pagliaccio: non triste, non felice , solo assassino ritornante dal mondo dei morti .
Ce n'è abbastanza per fare un discreto horror.
( VOTO : 7 / 10 )
lunedì 25 febbraio 2013
Premi Oscar 2013 : due parole di commento
Ieri per la prima volta avevo azzardato "pubblicamente" pronostici per l'assegnazione dei premi Oscar e sinceramente stamattina non avevo voglia di tornare sull'argomento.
Ma visti i premi , molti dei quali a mio modesto parere assegnati ad minchiam non mi posso astenere da due parole di commento. E poi magari vedremo anche la mia percentuale di successo con le previsioni.
Sono contentissimo della vittoria di Argo come miglior film, in mancanza del film della Bigelow credo che sia stata la migliore scelta da parte dei giurati dell'Academy.
Ma qui veniamo già al primo punto dolente: perchè Affleck che firma da regista il film è stato escluso dalla cinquina di registi migliori?
E soprattutto perchè il premio da miglior regista è andato ad Ang Lee?
Sia chiaro non ho nulla contro il regista asiatico più hollywoodiano del mondo ma non mi pare che un tale premio lo meriti uno che ha lavorato quasi interamente di computer grafica o su fondali verdi o blu per poi ricreare le sue sequenze digitalmente. A questo punto l'Oscar lo merita il suo tecnico del digitale e non lui in quanto regista.
Vogliamo poi parlare dell'esclusione di Tarantino? a me Django Unchained ha lasciato più di un dubbio ma confrontare la regia di Tarantino a quella di Ang Lee è come paragonare cioccolato finissimo a ...beh mi avete capito.
Daniel Day Lewis ha vinto la sua terza statuetta : beh , fa un lavoro straordinario di mimesi credo che a parte Joaquin Phoenix ( attore magnifico, uno dei pochi che possa competere con lui in quanto a bravura) non avesse molta concorrenza.
Su Jennifer Lawrence non mi posso esprimere in quanto non ho visto il suo film, so che era molto quotata dai bookmakers ma credevo che per entrare nella storia i giurati avrebbero premiato la piccola Quivenzhanè Wallis. A proposito ho sentito pronunciare il suo nome e ho visto in streaming anche un'intervista alla piccola: in Armani junior con la sua borsetta a forma di cane mi sembrava una perfetta simulazione di Little Miss Sunshine, un piccolo mostriciattolo so-tutto-io che mi ha tolto un bel po' di poesia dal suo film. Avrei fatto meglio a non vedere l'intervista in originale. E' stata di un'antipatia unica, se la tirava alla grandissima il soldo di cacio.
Peccato aver ignorato la Chastain che recitava un personaggio femminile tra i più belli , cinematograficamente parlando, degli ultimi anni.
Anche su Ann Hathaway non mi posso esprimere ( e non lo potrò fare mai perchè eviterò Les Miserables come la peste bubbonica, i musicals mi fanno venire le bolle) mentre sono contento per Christophe Waltz che è stato premiato come miglior attore non protagonista anche se a tutti gli effetti era lui il vero protagonista incontrastato di Django Unchained. Non pensando che Argo prendesse il premio come miglior film ritenevo che il premio andasse alla vecchia gloria Arkin, ma alla fine poco male.
Il contentino più imbarazzante è andato a Quentin Tarantino per il premio per la miglior sceneggiatura originale, un premio che non desta sicuramente scandalo ma che appare più come un premio di consolazione al povero Quentin che si è visto sfilare il premio di miglior regista da un mestierante che pur bravo, sempre mestierante è.
Direi che invece il premio a Chris Terrio per la miglior sceneggiatura non originale è quello che auspicavamo un po' tutti...l'importante che non lo vincesse Lincoln.
Altro premio assegnato leggermente ad minchiam è quello per la fotografia e qui si ritorna al discorso sulla computer grafica: ma davvero la fotografia di Vita of Pi può competere col lavoro magnifico che ha fatto Janusz Kaminski in Lincoln?
Direi che invece erano già assegnati prima della reale consegna i premi al miglior film di animazione per The Brave-Ribelle e alla miglior canzone per Skyfall ( certo che se non glielo davano, Adele metteva fuoco al teatro).
Anche il premio ad Amour come miglior film straniero era abbastanza scontato: dopo The Artist gli americani si sono guardati bene dal premiare qualcosa al di fuori di casa loro e quindi nonostante la pioggia di nominations il film di Haneke è rimasto sostanzialmente a bocca asciutta.
Ricapitolando: i premi Oscar in questo 2013 sono stati distribuiti un po' a pioggia come i nostrani finanziamenti statali al cinema e in fondo non hanno creato nessun vincitore ma solo tanti sconfitti. O forse il parziale vincitore c'è ed è Argo, mentre il film che ha vinto il maggior numero di Oscar(4) , Vita di Pi, se ne è aggiudicati almeno quattro di troppo.
Il fatto che la notizia della serata fosse la caduta rovinosa a faccia in avanti di Jennifer Lawrence ( ma figlia mia ma hai una maledizione coi vestiti, ai Globes sei arrivata tutta scosciata perchè ti sei persa un pezzo di vestito, qui invece ne avevi un po' troppo di vestito) e non altro la dice lunga sulla sostanziale mancanza di un film vittorioso in questa nottata.
Dicevamo degli sconfitti: il primo ha la barbetta e gli occhialetti di Spielberg che esce scornato a tutto campo, altro film vergognosamente ignorato è lo splendido Zero Dark Thirty che probabilmente, essendo scevro da trionfalismi di stampo nazionalistico è stato abbastanza boicottato e anche il possibile outsider Beast of the Southern Wild è stato lasciato a becco asciutto nonostante la sponsorizzazione più o meno occulta di Obama.
Altra cosa da segnalare è che film ad alto tasso di effetti speciali come The Hobbit o come The Avengers non hanno vinto neanche il più misero tra i premi tecnici.
Il premio per i migliori effetti speciali è andato a Vita di Pi, altro premio clamorosamente ad minchiam perchè la tigre durante il film sembrava calare di qualità visiva. Ma forse è perchè sono io un ignorantone in materia.
Per quanto riguarda i miei pronostici siamo a una percentuale bassina: ne ho presi 4 su 13, cannando naturalmente tutti i più importanti tranne quello di Daniel Day Lewis.
Sarà per l'anno prossimo.
Questo giochino mi piace assai.
Ma visti i premi , molti dei quali a mio modesto parere assegnati ad minchiam non mi posso astenere da due parole di commento. E poi magari vedremo anche la mia percentuale di successo con le previsioni.
Sono contentissimo della vittoria di Argo come miglior film, in mancanza del film della Bigelow credo che sia stata la migliore scelta da parte dei giurati dell'Academy.
Ma qui veniamo già al primo punto dolente: perchè Affleck che firma da regista il film è stato escluso dalla cinquina di registi migliori?
E soprattutto perchè il premio da miglior regista è andato ad Ang Lee?
Sia chiaro non ho nulla contro il regista asiatico più hollywoodiano del mondo ma non mi pare che un tale premio lo meriti uno che ha lavorato quasi interamente di computer grafica o su fondali verdi o blu per poi ricreare le sue sequenze digitalmente. A questo punto l'Oscar lo merita il suo tecnico del digitale e non lui in quanto regista.
Vogliamo poi parlare dell'esclusione di Tarantino? a me Django Unchained ha lasciato più di un dubbio ma confrontare la regia di Tarantino a quella di Ang Lee è come paragonare cioccolato finissimo a ...beh mi avete capito.
Daniel Day Lewis ha vinto la sua terza statuetta : beh , fa un lavoro straordinario di mimesi credo che a parte Joaquin Phoenix ( attore magnifico, uno dei pochi che possa competere con lui in quanto a bravura) non avesse molta concorrenza.
Su Jennifer Lawrence non mi posso esprimere in quanto non ho visto il suo film, so che era molto quotata dai bookmakers ma credevo che per entrare nella storia i giurati avrebbero premiato la piccola Quivenzhanè Wallis. A proposito ho sentito pronunciare il suo nome e ho visto in streaming anche un'intervista alla piccola: in Armani junior con la sua borsetta a forma di cane mi sembrava una perfetta simulazione di Little Miss Sunshine, un piccolo mostriciattolo so-tutto-io che mi ha tolto un bel po' di poesia dal suo film. Avrei fatto meglio a non vedere l'intervista in originale. E' stata di un'antipatia unica, se la tirava alla grandissima il soldo di cacio.
Peccato aver ignorato la Chastain che recitava un personaggio femminile tra i più belli , cinematograficamente parlando, degli ultimi anni.
Anche su Ann Hathaway non mi posso esprimere ( e non lo potrò fare mai perchè eviterò Les Miserables come la peste bubbonica, i musicals mi fanno venire le bolle) mentre sono contento per Christophe Waltz che è stato premiato come miglior attore non protagonista anche se a tutti gli effetti era lui il vero protagonista incontrastato di Django Unchained. Non pensando che Argo prendesse il premio come miglior film ritenevo che il premio andasse alla vecchia gloria Arkin, ma alla fine poco male.
Il contentino più imbarazzante è andato a Quentin Tarantino per il premio per la miglior sceneggiatura originale, un premio che non desta sicuramente scandalo ma che appare più come un premio di consolazione al povero Quentin che si è visto sfilare il premio di miglior regista da un mestierante che pur bravo, sempre mestierante è.
Direi che invece il premio a Chris Terrio per la miglior sceneggiatura non originale è quello che auspicavamo un po' tutti...l'importante che non lo vincesse Lincoln.
Altro premio assegnato leggermente ad minchiam è quello per la fotografia e qui si ritorna al discorso sulla computer grafica: ma davvero la fotografia di Vita of Pi può competere col lavoro magnifico che ha fatto Janusz Kaminski in Lincoln?
Direi che invece erano già assegnati prima della reale consegna i premi al miglior film di animazione per The Brave-Ribelle e alla miglior canzone per Skyfall ( certo che se non glielo davano, Adele metteva fuoco al teatro).
Anche il premio ad Amour come miglior film straniero era abbastanza scontato: dopo The Artist gli americani si sono guardati bene dal premiare qualcosa al di fuori di casa loro e quindi nonostante la pioggia di nominations il film di Haneke è rimasto sostanzialmente a bocca asciutta.
Ricapitolando: i premi Oscar in questo 2013 sono stati distribuiti un po' a pioggia come i nostrani finanziamenti statali al cinema e in fondo non hanno creato nessun vincitore ma solo tanti sconfitti. O forse il parziale vincitore c'è ed è Argo, mentre il film che ha vinto il maggior numero di Oscar(4) , Vita di Pi, se ne è aggiudicati almeno quattro di troppo.
Il fatto che la notizia della serata fosse la caduta rovinosa a faccia in avanti di Jennifer Lawrence ( ma figlia mia ma hai una maledizione coi vestiti, ai Globes sei arrivata tutta scosciata perchè ti sei persa un pezzo di vestito, qui invece ne avevi un po' troppo di vestito) e non altro la dice lunga sulla sostanziale mancanza di un film vittorioso in questa nottata.
Dicevamo degli sconfitti: il primo ha la barbetta e gli occhialetti di Spielberg che esce scornato a tutto campo, altro film vergognosamente ignorato è lo splendido Zero Dark Thirty che probabilmente, essendo scevro da trionfalismi di stampo nazionalistico è stato abbastanza boicottato e anche il possibile outsider Beast of the Southern Wild è stato lasciato a becco asciutto nonostante la sponsorizzazione più o meno occulta di Obama.
Altra cosa da segnalare è che film ad alto tasso di effetti speciali come The Hobbit o come The Avengers non hanno vinto neanche il più misero tra i premi tecnici.
Il premio per i migliori effetti speciali è andato a Vita di Pi, altro premio clamorosamente ad minchiam perchè la tigre durante il film sembrava calare di qualità visiva. Ma forse è perchè sono io un ignorantone in materia.
Per quanto riguarda i miei pronostici siamo a una percentuale bassina: ne ho presi 4 su 13, cannando naturalmente tutti i più importanti tranne quello di Daniel Day Lewis.
Sarà per l'anno prossimo.
Questo giochino mi piace assai.
domenica 24 febbraio 2013
Chiamateli Oscar
Quale attendibilità pretendere da uno che canna regolarmente tutti i pronostici che fa a tal punto che ha rinunciato fin dalla più tenera età di giocare alla schedina e non è mai entrato in un'agenzia di scommesse?
Nessuna !
Infatti, questo post non ha nessuna attendibilità , è un gioco e proprio per il suo carattere ludico è scritto in famiglia perchè, dato che molte mie visioni sono condivise con la bradipa che incredibilmente ancora mi sopporta, allora abbiamo deciso di scriverlo a quattro man...ehm...zampe...Siamo sempre ungulati!
Diciamo subito che i film che si sono accaparrati più nominations ( Lincoln con 12 e Vita di Pi con 11 ) non sono esattamente stati molto amati in casa nostra...e sentiamo che soprattutto il primo potrà fare incetta di statuette. Naturalmente non avendo visto tutti i film questi tentativi di pronostici sono ancora più campati in aria.Allora bando alle ciance e cominciamo:
MIGLIORE FILM: qui la bradipa e io siamo d'accordo. Per noi dovrebbe vincere Zero Dark Thirty che ci ha entusiasmato parecchio ma è difficile che la Bigelow faccia en plein di nuovo con un film non esattamente retorico e nazionalista. Temiamo che vincerà Lincoln che incarna proprio tutto quello che non ha il film della Bigelow. E in cuor nostro tifiamo anche per Beasts of the Southern Wild.
MIGLIOR REGIA:Il nostro favorito è senza dubbio Benh Zeitlin per il succitato Beasts of the Southern Wild, l'unica pellicola che in campo registico dice qualcosa di nuovo. Vergognoso inserire Ang Lee ed escludere gente come la onnipresente Bigelow o Tarantino. Anche qui crediamo che sia scontata la vittoria di Lincoln ma per mancanza di concorrenza appetibile per i giurati dell'Academy.
MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA: e qui i pareri divergono: la bradipa vota Denzelo, l'ammmore della sua vita, nonostante stia invecchiando e gli addominali non siano più quelli di un tronista, mentre io credo che la statuetta andrà a Daniel Day Lewis, tra l'altro il mio favorito perchè scompare totalmente nel personaggio( sogno di qualsiasi attore), impegnato in una di quelle opere di mimetismo che piacciono tanto agli americani .
La bradipa e io assegniamo all'unanimità il premio Ammazza la vecchia a Jean Louis Trintignant per essersi particolarmente distinto nel campo.
MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA: qui la bradipa vota per Quivenhanè Wallis, io naturalmente per Jessica Chastain che in Zero Dark Thirty è alle prese con uno dei personaggi femminili più belli e intensi visti al cinema negli ultimi anni ma crediamo entrambi che essendo la Wallis la più giovane candidata mai nominata l'Oscar lo prenderà lei , giusto per far entrare questa edizione degli Oscar nella storia, un'occasione troppo ghiotta per non essere sfruttata.
MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA: qui la risposta è una sola : Christophe Waltz che è straordinario. Ma è difficile per i giurati ignorare la prova encomiabile e autocelebrativa ( di Hollywood) di Alan Arkin. Crediamo che vincerà lui
MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: abbiamo visto solo le prove di Sally Field e Helen Hunt in The Sessions, troppo poco per farci un'idea nostra. L'Oscar andrà alla vecchia gloria Field
MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: la bradipa vota Flight ( potenza dell'ammmore) , io Zero Dark Thirty. Crediamo però che l'Oscar se lo prenderanno Wes Anderson e Roman Coppola per la sceneggiatura di Moonrise Kingdom.
MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: il nostro voto è per Argo ma entrambi temiamo che vincerà Lincoln
MIGLIOR FILM STRANIERO: qui i nostri voti divergono: la bradipa vota Amour e io voto No, nel senso del film, non in un altro senso, Meglio precisare di questi tempi. Per noi la statuetta la vincerà Amour soprattutto perchè sarà ignorato nelle altre numerose nominations che ha racimolato.
MIGLIOR FILM D'ANIMAZIONE: premesso che entrambi pensiamo che lo vincerà The Brave-Ribelle e che è anche il voto della bradipa, io voto per Tim Burton e per il suo Frankenweenie.
MIGLIOR FOTOGRAFIA: qui la bradipa si astiene , io voto Janusz Kaminski che in Lincoln fa un lavoro straordinario. Credo che anche l'Academy lo premierà.
MIGLIOR MONTAGGIO: Votiamo per quello di Zero Dark Thirty e crediamo che vincerà l'Oscar
MIGLIOR CANZONE: qui l'Oscar sembra sia stato già assegnato a Skyfall, brano che ha avuto un successo mondiale. Credo che sia l'Oscar più scontato della serata.
E' stata dura ma ce l'abbiamo fatta: è la prima volta che faccio i pronostici per la notte degli Oscar( almeno pubblicamente) ed è anche la prima volta che scriviamo un post a quattro zampe.
E già che ci sto anche un'altra confessione: non ho mai visto in diretta la Notte degli Oscar, anche perchè purtroppo ho ancora il cattivo gusto di dover lavorare il lunedì mattina e non potendomi permettere una notte insonne fino a che non la sposteranno a un giorno prefestivo non la potrò mai vedere tutta in diretta.
Però la mattina il primo pensiero è quello di andare a vedere chi ha vinto.
Chiamateli Oscar!
Nessuna !
Infatti, questo post non ha nessuna attendibilità , è un gioco e proprio per il suo carattere ludico è scritto in famiglia perchè, dato che molte mie visioni sono condivise con la bradipa che incredibilmente ancora mi sopporta, allora abbiamo deciso di scriverlo a quattro man...ehm...zampe...Siamo sempre ungulati!
Diciamo subito che i film che si sono accaparrati più nominations ( Lincoln con 12 e Vita di Pi con 11 ) non sono esattamente stati molto amati in casa nostra...e sentiamo che soprattutto il primo potrà fare incetta di statuette. Naturalmente non avendo visto tutti i film questi tentativi di pronostici sono ancora più campati in aria.Allora bando alle ciance e cominciamo:
MIGLIORE FILM: qui la bradipa e io siamo d'accordo. Per noi dovrebbe vincere Zero Dark Thirty che ci ha entusiasmato parecchio ma è difficile che la Bigelow faccia en plein di nuovo con un film non esattamente retorico e nazionalista. Temiamo che vincerà Lincoln che incarna proprio tutto quello che non ha il film della Bigelow. E in cuor nostro tifiamo anche per Beasts of the Southern Wild.
MIGLIOR REGIA:Il nostro favorito è senza dubbio Benh Zeitlin per il succitato Beasts of the Southern Wild, l'unica pellicola che in campo registico dice qualcosa di nuovo. Vergognoso inserire Ang Lee ed escludere gente come la onnipresente Bigelow o Tarantino. Anche qui crediamo che sia scontata la vittoria di Lincoln ma per mancanza di concorrenza appetibile per i giurati dell'Academy.
MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA: e qui i pareri divergono: la bradipa vota Denzelo, l'ammmore della sua vita, nonostante stia invecchiando e gli addominali non siano più quelli di un tronista, mentre io credo che la statuetta andrà a Daniel Day Lewis, tra l'altro il mio favorito perchè scompare totalmente nel personaggio( sogno di qualsiasi attore), impegnato in una di quelle opere di mimetismo che piacciono tanto agli americani .
La bradipa e io assegniamo all'unanimità il premio Ammazza la vecchia a Jean Louis Trintignant per essersi particolarmente distinto nel campo.
MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA: qui la bradipa vota per Quivenhanè Wallis, io naturalmente per Jessica Chastain che in Zero Dark Thirty è alle prese con uno dei personaggi femminili più belli e intensi visti al cinema negli ultimi anni ma crediamo entrambi che essendo la Wallis la più giovane candidata mai nominata l'Oscar lo prenderà lei , giusto per far entrare questa edizione degli Oscar nella storia, un'occasione troppo ghiotta per non essere sfruttata.
MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA: qui la risposta è una sola : Christophe Waltz che è straordinario. Ma è difficile per i giurati ignorare la prova encomiabile e autocelebrativa ( di Hollywood) di Alan Arkin. Crediamo che vincerà lui
MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: abbiamo visto solo le prove di Sally Field e Helen Hunt in The Sessions, troppo poco per farci un'idea nostra. L'Oscar andrà alla vecchia gloria Field
MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: la bradipa vota Flight ( potenza dell'ammmore) , io Zero Dark Thirty. Crediamo però che l'Oscar se lo prenderanno Wes Anderson e Roman Coppola per la sceneggiatura di Moonrise Kingdom.
MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: il nostro voto è per Argo ma entrambi temiamo che vincerà Lincoln
MIGLIOR FILM STRANIERO: qui i nostri voti divergono: la bradipa vota Amour e io voto No, nel senso del film, non in un altro senso, Meglio precisare di questi tempi. Per noi la statuetta la vincerà Amour soprattutto perchè sarà ignorato nelle altre numerose nominations che ha racimolato.
MIGLIOR FILM D'ANIMAZIONE: premesso che entrambi pensiamo che lo vincerà The Brave-Ribelle e che è anche il voto della bradipa, io voto per Tim Burton e per il suo Frankenweenie.
MIGLIOR FOTOGRAFIA: qui la bradipa si astiene , io voto Janusz Kaminski che in Lincoln fa un lavoro straordinario. Credo che anche l'Academy lo premierà.
MIGLIOR MONTAGGIO: Votiamo per quello di Zero Dark Thirty e crediamo che vincerà l'Oscar
MIGLIOR CANZONE: qui l'Oscar sembra sia stato già assegnato a Skyfall, brano che ha avuto un successo mondiale. Credo che sia l'Oscar più scontato della serata.
E' stata dura ma ce l'abbiamo fatta: è la prima volta che faccio i pronostici per la notte degli Oscar( almeno pubblicamente) ed è anche la prima volta che scriviamo un post a quattro zampe.
E già che ci sto anche un'altra confessione: non ho mai visto in diretta la Notte degli Oscar, anche perchè purtroppo ho ancora il cattivo gusto di dover lavorare il lunedì mattina e non potendomi permettere una notte insonne fino a che non la sposteranno a un giorno prefestivo non la potrò mai vedere tutta in diretta.
Però la mattina il primo pensiero è quello di andare a vedere chi ha vinto.
Chiamateli Oscar!
sabato 23 febbraio 2013
Die Hard- Un buon giorno per morire ( 2013 )
John McClane si imbarca per un viaggio a Mosca per tirare fuori dai guai suo figlio Jack e riconciliarsi a lui, con cui i rapporti non sono propriamente idilliaci da anni e anni. Lo hanno arrestato e assieme a lui hanno arrestato Komorov , un informatore del governo a cui la malavita russa dà la caccia perchè in possesso di un file che potrebbe da solo scatenare una nuova guerra nucleare. In realtà il giovane Jack è un agente della CIA in missione e ha fatto lui fuggire Komorov.
Ma anche il russo non è affatto chi sembra o dice di essere e per i due McClane sarà dura salvare la pelle tra Mosca e Chernobyl. Si , proprio quella Chernobyl, non un' altra dove ci sono montagne, neve e su cui si può sciare.
Sgombriamo il campo da ogni equivoco: io a Bruce Willis ci voglio un sacco di bene. Nel corso degli anni mi ha educato all'azione, all'ironia, l'ho conosciuto che faceva il barboncino a pelo liscio ( e già piuttosto rado) di una dea come Cybill Shepherd e con gli anni è migliorato come il buon vino, soprattutto non prendendosi mai sul serio.
E non riesco proprio a condannarlo per aver accettato un assegno a diversi zeri per fare un film come questo in cui sembra che faccia il traghettatore, per raggiunti limiti di età, a un nuovo reboot della serie, ormai arrivata al quinto capitolo, con un protagonista più giovane e sempre di famiglia.
Solo che se il suo sostituto è il mascellone australiano Jai Courtney, già visto in Jack Reacher dove faceva la parte del cattivone, che ha gli addominali più espressivi della faccia, allora marca male.
Perchè verrebbe perso del tutto il trademark della serie, cioè quella capacità di alleggerire con l'ironia le situazioni più complesse e la facilità di ridere di se stessi.
E poi Bruce ogni volta che è in scena cancella Jai come usasse il bianchetto che si usa sui banchi di scuola.
Che dire di Die Hard- Un buon giorno per morire? Poco, nel senso che è un action come tanti, con un budget spropositato rispetto alla resa artistica del prodotto ( che ha incassato meno del previsto) e l'ironia , da sempre presente nella serie, messa in un angolino e relegata solo a qualche battuta del McClane senior.
Per sorbirsi la storia ( elementare fino all'imbarazzante, magari nel prossimo Die Hard mettiamo una sceneggiatura nella dotazione di serie e non tra i costosi optionals a pagamento) bisogna sospendere l'incredulità ma aiutandosi con un' overdose di tequila, le esplosioni provocano un frastuono addirittura fastidioso ma i nostri eroi escono sempre senza un graffio anche buttandosi da un grattacielo. E continuano a menare a dei russi non particolarmente intelligenti che quando hanno l'occasione di uccidere i due americani senza tanti cerimoniali piantandogli una pallottola in testa si mettono a fare balletti...
La mano del regista John Moore ( una carriera e un curriculum al di sotto di ogni sospetto ) non è poi particolarmente felice nelle scene action che devono molto al glamourama bondiano.
Passi per l'inseguimento nelle affollatissime strade di Mosca con un camion blindato e vari altri mezzi di locomozione che comunque tiene incollati allo schermo, l'ispirazione non sembra regnare sovrana in sequenze soffocate da un montaggio triturante e che si susseguono praticamente senza soluzione di continuità.
E poi vogliamo parlare di questo rapporto padre figlio tenuto sempre sul filo della macchietta del figlio che chiama il padre per nome e lui non fa altro che ripetere che si trova in vacanza?
Ecco, meglio di no, è un qualcosa trattato in maniera talmente grezza e priva di sorprese che forse era meglio evitare.
Dopo aver visto il film mi sono spiegato anche il can can suscitato non si sa da chi per la presunta eccessiva violenza presente in questo film: a parte che in giro si vede di molto peggio, ma col senno di poi , si sente la puzza di battage pubblicitario per sollevare un prodotto non in grado di competere con i primi tre titoli della serie.
Qui siamo all'intrattenimento decerebrato: nulla di male ma se uno conosce già John McClane non potrà rimpiangere un po' il suo passato glorioso. Se uno non lo conosce si può anche divertire.
Due avvertenze per l'uso: McClane funziona meglio da solo, anche se le primavere sono 57 ( 58 tra poco più di un paio di settimane) lo stato di conservazione è ottimo per cui non gli servono spalle di manzo estrogenato come Jai Courtney.
La seconda è che comunque sia il film io a Bruce Willis anzi a brusuillis continuo a volerci un sacco di bene.
( VOTO : 5 / 10 )
Ma anche il russo non è affatto chi sembra o dice di essere e per i due McClane sarà dura salvare la pelle tra Mosca e Chernobyl. Si , proprio quella Chernobyl, non un' altra dove ci sono montagne, neve e su cui si può sciare.
Sgombriamo il campo da ogni equivoco: io a Bruce Willis ci voglio un sacco di bene. Nel corso degli anni mi ha educato all'azione, all'ironia, l'ho conosciuto che faceva il barboncino a pelo liscio ( e già piuttosto rado) di una dea come Cybill Shepherd e con gli anni è migliorato come il buon vino, soprattutto non prendendosi mai sul serio.
E non riesco proprio a condannarlo per aver accettato un assegno a diversi zeri per fare un film come questo in cui sembra che faccia il traghettatore, per raggiunti limiti di età, a un nuovo reboot della serie, ormai arrivata al quinto capitolo, con un protagonista più giovane e sempre di famiglia.
Solo che se il suo sostituto è il mascellone australiano Jai Courtney, già visto in Jack Reacher dove faceva la parte del cattivone, che ha gli addominali più espressivi della faccia, allora marca male.
Perchè verrebbe perso del tutto il trademark della serie, cioè quella capacità di alleggerire con l'ironia le situazioni più complesse e la facilità di ridere di se stessi.
E poi Bruce ogni volta che è in scena cancella Jai come usasse il bianchetto che si usa sui banchi di scuola.
Che dire di Die Hard- Un buon giorno per morire? Poco, nel senso che è un action come tanti, con un budget spropositato rispetto alla resa artistica del prodotto ( che ha incassato meno del previsto) e l'ironia , da sempre presente nella serie, messa in un angolino e relegata solo a qualche battuta del McClane senior.
Per sorbirsi la storia ( elementare fino all'imbarazzante, magari nel prossimo Die Hard mettiamo una sceneggiatura nella dotazione di serie e non tra i costosi optionals a pagamento) bisogna sospendere l'incredulità ma aiutandosi con un' overdose di tequila, le esplosioni provocano un frastuono addirittura fastidioso ma i nostri eroi escono sempre senza un graffio anche buttandosi da un grattacielo. E continuano a menare a dei russi non particolarmente intelligenti che quando hanno l'occasione di uccidere i due americani senza tanti cerimoniali piantandogli una pallottola in testa si mettono a fare balletti...
La mano del regista John Moore ( una carriera e un curriculum al di sotto di ogni sospetto ) non è poi particolarmente felice nelle scene action che devono molto al glamourama bondiano.
Passi per l'inseguimento nelle affollatissime strade di Mosca con un camion blindato e vari altri mezzi di locomozione che comunque tiene incollati allo schermo, l'ispirazione non sembra regnare sovrana in sequenze soffocate da un montaggio triturante e che si susseguono praticamente senza soluzione di continuità.
E poi vogliamo parlare di questo rapporto padre figlio tenuto sempre sul filo della macchietta del figlio che chiama il padre per nome e lui non fa altro che ripetere che si trova in vacanza?
Ecco, meglio di no, è un qualcosa trattato in maniera talmente grezza e priva di sorprese che forse era meglio evitare.
Dopo aver visto il film mi sono spiegato anche il can can suscitato non si sa da chi per la presunta eccessiva violenza presente in questo film: a parte che in giro si vede di molto peggio, ma col senno di poi , si sente la puzza di battage pubblicitario per sollevare un prodotto non in grado di competere con i primi tre titoli della serie.
Qui siamo all'intrattenimento decerebrato: nulla di male ma se uno conosce già John McClane non potrà rimpiangere un po' il suo passato glorioso. Se uno non lo conosce si può anche divertire.
Due avvertenze per l'uso: McClane funziona meglio da solo, anche se le primavere sono 57 ( 58 tra poco più di un paio di settimane) lo stato di conservazione è ottimo per cui non gli servono spalle di manzo estrogenato come Jai Courtney.
La seconda è che comunque sia il film io a Bruce Willis anzi a brusuillis continuo a volerci un sacco di bene.
( VOTO : 5 / 10 )
venerdì 22 febbraio 2013
La madre ( 2013 )
Prologo: un uomo, dopo aver ucciso la moglie e i suoi partners al lavoro, fugge con le sue due figlie piccole e dopo un incidente sulla strada ghiacciata trova rifugio in un capanno isolato in un bosco . Le vuole uccidere ma qualcosa di sovrannaturale se lo porta via. Le bimbe invece vengono ritrovate cinque anni dopo da cacciatori e date in affidamento al fratello del padre e la sua ragazza, sbalestrata bassista di una band punk in cambio della possibilità di averle sempre sotto osservazione psichiatrica. Le due ragazze sono delle piccole selvagge e soprattutto parlano di una presenza incombente, che loro chiamano mamà, che cerca di proteggerle ad ogni costo. Anche nella nuova casa in cui accettano di vivere per curare meglio il ritorno alla civiltà della bambine cominciano a succedere strane cose: mentre Victoria,la più grande, sembra gradualmente ritornare alla normalità, la piccola Lilly non ne vuole sapere. E poi c'è qualcosa o qualcuno nella casa che ispira sogni spaventosi nei suoi occupanti.
E se questa presenza fosse molto più reale di quello che ognuno degli occupanti della casa sospetta?
E chi è questa mamà? E' veramente la madre delle bambine? Perchè vuole portare con sè le piccole?
La risposta sta in una vecchia storia....
Prendi un regista argentino trapiantato a Barcellona da molti anni, fagli realizzare un corto di 3 minuti appena girato nel 2008 che fece parlare di sè al Sitges e soprattutto fai arrivare in qualche modo questo corto al cospetto di Guillermo del Toro che in questi ultimi tempi sta facendo più il produttore e il talent scout che il regista. Da qui l'ascesa di Andres Muschietti, subito ribattezzato Andy all'americana, a cui nel frattempo viene elargito un budget di 20 milioni di dollari per realizzare un film a partire dal suo cortometraggio.
Cosa peraltro pericolosa perchè arrivare da 3 minuti a 99 può voler dire di allungare il brodo oltre ogni misura. Soprattutto perchè il corto, una discreto colpo basso basato soprattutto sul non detto e sull'espressività di due bambine che all'interno di una grande casa cercano di fuggire da una specie di fantasma spaventoso, era già autoconclusivo in maniera piuttosto soddisfacente pur lasciando molti punti interrogativi in sospeso.
Nel film viene creato tutto il background alla storia delle due bambine e purtroppo si scivola presto nel clichet da ghost story senza troppi guizzi eccetto un finale che, sotto le spoglie di fiaba dark , sfiora quasi il melodramma lancinante.
Quindi se c'è qualcosa che colpisce di La madre non è certamente la storia : d'altra parte c'è però un comparto visivo di primissimo ordine ( la fotografia dalle tonalità spettrali è di Antonio Riestra, già direttore delle luci in Pa Negre di Agustì Villaronga che dona un'aria familiare da horror spagnolo al tutto, da Del Toro a Villaronga passando per Bayona), una regia che cerca angolazioni sempre originali e che regala diverse sequenze di forte impatto emotivo,oltre alla presenza di un'atmosfera sulfurea inquietante in presenza della mamà del titolo ( creaturona in CGI che forse sarebbe stato meglio mostrare il meno possibile).
Da sottolineare anche l'ottimo commento musicale ad opera di Fernardo Velàzquez, già autore delle musiche per The Orphanage ( ancora l'aria di famiglia) e per il recente The impossible.
Jessica Chastain mette la sua bravura al servizio di un personaggio sbalestrato, letteralmente nascosta sotto una parruccona nera a caschetto mentre le due bimbe protagoniste sono brave e credibili: non danno sicuramente quell'idea di piccoli mostri alla Little Miss Sunshine che infestano letteralmente molti film americani.
E il film gioca molto su queste due bambine e meno sui personaggi adulti che sono solo un corollario alla loro vicenda di separazione traumatica dai loro genitori e alla difficoltà di elaborare un lutto troppo grande per due esserini così piccoli e indifesi.
Il finale con arzigogoli di sceneggiatura non particolarmente originali cambia un po' le carte in tavola ma complessivamente non più di tanto.
La madre si rivela comunque un'efficace compilation di spaventi che prende molto dalle ghost stories di matrice spagnola e qualcosa dal J horror ( le apparizioni di mamà con questi capelli neri corvini che le ricadono sul volto per coprirlo) .
Il tutto confezionato all'americana.
La madre è film che vale soprattutto per la sua confezione e che non deluderà gli appassionati.
Basta non pretendere originalità a tutti i costi.
E comunque Jessica Chastain è sempre un bel vedere, anche sepolta sotto parrucconi inguardabili.
( VOTO : 6 + / 10 )
E se questa presenza fosse molto più reale di quello che ognuno degli occupanti della casa sospetta?
E chi è questa mamà? E' veramente la madre delle bambine? Perchè vuole portare con sè le piccole?
La risposta sta in una vecchia storia....
Prendi un regista argentino trapiantato a Barcellona da molti anni, fagli realizzare un corto di 3 minuti appena girato nel 2008 che fece parlare di sè al Sitges e soprattutto fai arrivare in qualche modo questo corto al cospetto di Guillermo del Toro che in questi ultimi tempi sta facendo più il produttore e il talent scout che il regista. Da qui l'ascesa di Andres Muschietti, subito ribattezzato Andy all'americana, a cui nel frattempo viene elargito un budget di 20 milioni di dollari per realizzare un film a partire dal suo cortometraggio.
Cosa peraltro pericolosa perchè arrivare da 3 minuti a 99 può voler dire di allungare il brodo oltre ogni misura. Soprattutto perchè il corto, una discreto colpo basso basato soprattutto sul non detto e sull'espressività di due bambine che all'interno di una grande casa cercano di fuggire da una specie di fantasma spaventoso, era già autoconclusivo in maniera piuttosto soddisfacente pur lasciando molti punti interrogativi in sospeso.
Nel film viene creato tutto il background alla storia delle due bambine e purtroppo si scivola presto nel clichet da ghost story senza troppi guizzi eccetto un finale che, sotto le spoglie di fiaba dark , sfiora quasi il melodramma lancinante.
Quindi se c'è qualcosa che colpisce di La madre non è certamente la storia : d'altra parte c'è però un comparto visivo di primissimo ordine ( la fotografia dalle tonalità spettrali è di Antonio Riestra, già direttore delle luci in Pa Negre di Agustì Villaronga che dona un'aria familiare da horror spagnolo al tutto, da Del Toro a Villaronga passando per Bayona), una regia che cerca angolazioni sempre originali e che regala diverse sequenze di forte impatto emotivo,oltre alla presenza di un'atmosfera sulfurea inquietante in presenza della mamà del titolo ( creaturona in CGI che forse sarebbe stato meglio mostrare il meno possibile).
Da sottolineare anche l'ottimo commento musicale ad opera di Fernardo Velàzquez, già autore delle musiche per The Orphanage ( ancora l'aria di famiglia) e per il recente The impossible.
Jessica Chastain mette la sua bravura al servizio di un personaggio sbalestrato, letteralmente nascosta sotto una parruccona nera a caschetto mentre le due bimbe protagoniste sono brave e credibili: non danno sicuramente quell'idea di piccoli mostri alla Little Miss Sunshine che infestano letteralmente molti film americani.
E il film gioca molto su queste due bambine e meno sui personaggi adulti che sono solo un corollario alla loro vicenda di separazione traumatica dai loro genitori e alla difficoltà di elaborare un lutto troppo grande per due esserini così piccoli e indifesi.
Il finale con arzigogoli di sceneggiatura non particolarmente originali cambia un po' le carte in tavola ma complessivamente non più di tanto.
La madre si rivela comunque un'efficace compilation di spaventi che prende molto dalle ghost stories di matrice spagnola e qualcosa dal J horror ( le apparizioni di mamà con questi capelli neri corvini che le ricadono sul volto per coprirlo) .
Il tutto confezionato all'americana.
La madre è film che vale soprattutto per la sua confezione e che non deluderà gli appassionati.
Basta non pretendere originalità a tutti i costi.
E comunque Jessica Chastain è sempre un bel vedere, anche sepolta sotto parrucconi inguardabili.
( VOTO : 6 + / 10 )
giovedì 21 febbraio 2013
Promised Land ( 2012 )
Steve , agente della Global , società da 9 miliardi di dollari nel campo delle risorse minerarie,assieme a una collega si sta assicurando per la sua ditta i diritti di sfruttamento delle risorse di gas naturali , convincendo con un lavoro porta a porta gli abitanti di una piccola città. Promette un sacco di soldi e tace sui possibili effetti collaterali sulle falde acquifere dell'estrazione di gas. Si mette contro di lui un vecchio professore universitario in pensione che vuole indire un referendum tra gli abitanti che Steve sta cercando faticosamente di convincere e arriva anche un ambientalista, Dustin, che snocciola prove su prove dei danni che provoca il lavoro della Global.
In paese la situazione si fa pesante per Steve , si va verso la votazione ma ...colpo di scena!( che naturalmente non svelerò).
Gus Van Sant è (stato) uno dei registi dal linguaggio più innovativo del reame hollywoodiano. Oggi forse ha perso questa carica di novità in almeno in questo film ( che comunque è un'opera su commissione del suo amico Matt Damon che doveva esordire alla regia con questa pellicola da lui anche cosceneggiata assieme al coprotagonista John Krasinski) a favore di un classicismo conclamato, con una macchina da presa che segue quasi immobile i placidi ritmi della profonda provincia americana e ritrae un'umanità anacronistica, quasi fuori del mondo, un paesino nella campagna della Pennsylvania che è una sorta di contenitore a tenuta stagna praticamente impermeabile agli influssi esterni in cui le emozioni massime sono le sbornie e il karaoke che si tengono al locale bar.
Promised Land è una perfetta simulazione di film anni '70 che però abbandona il fervore democrat delle istanze collettive del cinema di quegli anni in favore di un discorso se possibile più profondo eppure anche più ambiguo.
Si parla di un Sogno Americano con l'odore nauseabondo del gas naturale che ha permeato le sue radici incancrenite , di un possibile progresso che ha un costo alto in termini di rischio ecologico ma a cui non sembra importare a nessuno ma Van Sant invece di buttarsi a capofitto nel pamphlet politico sceglie di mantenere le distanze ( simboleggiate anche sa tutte quelle panoramiche dall'alto e l'utilizzo abbondante di campi lunghissimi) concentrandosi sulla crisi personale di Steve, alle prese coi propri fantasmi e con il conto che la coscienza gli presenta ogni fottutissimo giorno, ogni volta che fa firmare quei contratti capestro che promettono mari e monti ma che in realtà arricchiranno solo la Global.
E poi c'è l'ambientalismo, vero o finto che sia, che fa presa sulle coscienze , che cerca di risvegliarle dal torpore dato dal dio dollaro con tutte le sue nobili istanze e le sue lotte idealiste.
L'ambiguità di fondo sta proprio in questo: Steve che porta in questo paesino il verbo del gas naturale sottacendone i rischi si fa molti più scrupoli rispetto a un personaggio come quello di Dustin, ambientalista apparso dal nulla come un cavaliere senza macchia e senza paura ma che, pur di ottenere il suo scopo, non esita a utilizzare mezzi scorretti e provocazioni.
E questa ambiguità è ben radicata nel film almeno fino al twist di sceneggiatura che rimette tutto in gioco e che incanala verso un finale in cui la maturazione del personaggio di Steve viene spiegata col solito pistolotto hollywoodiano( con annessa deriva sentimentale rimasta sospesa a mezz'aria per tutto il film) che cerca di blandire tutte le anime nobili scosse da tutta questa botta di scorrettezza politica.
Perchè non mantenere fino in fondo l'ambiguità di un personaggio come quello di Steve, una volta risolte le contraddizioni apparenti di tutti gli altri personaggi in campo?
Ecco il finale è forse la parte meno efficace di un film che comunque ha una sua armonia, probabilmente il buonismo dilagante ha fatto contrarre dal dolore anche le budella di Van Sant mentre lo stava girando.
Ma qui siamo a Hollywood, bellezza!
( VOTO : 7 / 10 )
In paese la situazione si fa pesante per Steve , si va verso la votazione ma ...colpo di scena!( che naturalmente non svelerò).
Gus Van Sant è (stato) uno dei registi dal linguaggio più innovativo del reame hollywoodiano. Oggi forse ha perso questa carica di novità in almeno in questo film ( che comunque è un'opera su commissione del suo amico Matt Damon che doveva esordire alla regia con questa pellicola da lui anche cosceneggiata assieme al coprotagonista John Krasinski) a favore di un classicismo conclamato, con una macchina da presa che segue quasi immobile i placidi ritmi della profonda provincia americana e ritrae un'umanità anacronistica, quasi fuori del mondo, un paesino nella campagna della Pennsylvania che è una sorta di contenitore a tenuta stagna praticamente impermeabile agli influssi esterni in cui le emozioni massime sono le sbornie e il karaoke che si tengono al locale bar.
Promised Land è una perfetta simulazione di film anni '70 che però abbandona il fervore democrat delle istanze collettive del cinema di quegli anni in favore di un discorso se possibile più profondo eppure anche più ambiguo.
Si parla di un Sogno Americano con l'odore nauseabondo del gas naturale che ha permeato le sue radici incancrenite , di un possibile progresso che ha un costo alto in termini di rischio ecologico ma a cui non sembra importare a nessuno ma Van Sant invece di buttarsi a capofitto nel pamphlet politico sceglie di mantenere le distanze ( simboleggiate anche sa tutte quelle panoramiche dall'alto e l'utilizzo abbondante di campi lunghissimi) concentrandosi sulla crisi personale di Steve, alle prese coi propri fantasmi e con il conto che la coscienza gli presenta ogni fottutissimo giorno, ogni volta che fa firmare quei contratti capestro che promettono mari e monti ma che in realtà arricchiranno solo la Global.
E poi c'è l'ambientalismo, vero o finto che sia, che fa presa sulle coscienze , che cerca di risvegliarle dal torpore dato dal dio dollaro con tutte le sue nobili istanze e le sue lotte idealiste.
L'ambiguità di fondo sta proprio in questo: Steve che porta in questo paesino il verbo del gas naturale sottacendone i rischi si fa molti più scrupoli rispetto a un personaggio come quello di Dustin, ambientalista apparso dal nulla come un cavaliere senza macchia e senza paura ma che, pur di ottenere il suo scopo, non esita a utilizzare mezzi scorretti e provocazioni.
E questa ambiguità è ben radicata nel film almeno fino al twist di sceneggiatura che rimette tutto in gioco e che incanala verso un finale in cui la maturazione del personaggio di Steve viene spiegata col solito pistolotto hollywoodiano( con annessa deriva sentimentale rimasta sospesa a mezz'aria per tutto il film) che cerca di blandire tutte le anime nobili scosse da tutta questa botta di scorrettezza politica.
Perchè non mantenere fino in fondo l'ambiguità di un personaggio come quello di Steve, una volta risolte le contraddizioni apparenti di tutti gli altri personaggi in campo?
Ecco il finale è forse la parte meno efficace di un film che comunque ha una sua armonia, probabilmente il buonismo dilagante ha fatto contrarre dal dolore anche le budella di Van Sant mentre lo stava girando.
Ma qui siamo a Hollywood, bellezza!
( VOTO : 7 / 10 )
mercoledì 20 febbraio 2013
Phantasm ( 1979 )
Mike, un adolescente che ha appena perso i genitori in un incidente stradale , per paura di essere lasciato dall'unica persona cara che gli è rimasta, segue ovunque il fratello Jody, anche quando lui va al funerale di un amico ucciso in circostanze misteriose. Appostatosi col binocolo vede una scena incredibile: il becchino, un uomo dall'altezza fuori dell'ordinario ( e infatti nel film il suo nome è sempre The tall man) afferra una bara che pesa almeno trecento kilogrammi con una mano e la mette nel carro funebre. La notte successiva Mike entra nel mausoleo del cimitero, un luogo quasi irreale con il suo candore abbacinante, è catturato prima da un custode che viene ucciso da una strana sfera argentea che gli si conficca nella fronte con delle lame dissanguandolo all'istante e poi inseguito dal becchino di cui sopra. Gli mozza il dito di una mano da cui esce un liquido giallastro e lo mostra al fratello appena prima che questo dito si trasformi in un mostriciattolo nero volante e con dei demoniaci occhietti rossi. Jody e Mike,con l'aiuto del loro amico Reggie, di professione gelataio, calvizie oltre i limiti di guardia ma un codino che te lo raccomando, tornano di nuovo al mausoleo per scoprire la vera natura del becchino e quello che fa con i cadaveri che trafuga dal cimitero. Roba da non credere.
Naturalmente non sarà così facile sfuggirgli.
Impossibile condensare in poche parole l'enorme messe di avvenimenti che percorre il film. Prodotto nel 1977 e uscito nel 1979, diretto da uno spilungone ( alto come il Tall man del film, un uomo nero che è facilmente indentificiabile con l'incarnazione della morte o di un lutto pregresso che ancora non si riesce a superare) poco più che ventenne, Don Coscarelli , è nelle sue stesse parole una compilation di suoi incubi adolescenziali.
Girato in un'atmosfera sospesa tra sogno e realtà , Phantasm è un'ibrido fantahorror in cui emerge prepotente tutta la cinefilia del suo autore dotato da sempre di un'inventiva fuori dal comune, stracolmo di idee, magari non tutte organiche al racconto e che lo fanno sbandare per eccesso di generosità, ma sempre orgogliosamente in anticipo sui tempi.
In più di una sequenza viene fuori il lato un po' naif della realizzazione: Phantasm in fondo è un film realizzato da Coscarelli con un budget bassissimo e girato con attori non professionisti scelti tra i suoi amici. Tutto questo giustifica alcuni dettagli sgangherati nel racconto, qualche frangente più che amatoriale e più di un' ingenuità ma il giovane Don adotta soluzioni all'epoca inedite che poi saranno adocchiate da altri registi in film horror successivi a questo.
Sarà una mia illazione ma beccami gallina se tra Spielberg e Hooper non hanno visto questo film e hanno pensato al loro cimitero indiano che si rianima improvvisamente in Poltergeist o Craven non ha trovato l'ispirazione giusta per Nightmare vedendo questo film in cui il sonno genera mostri proprio come nel suo.
Gli effetti speciali, considerando che è stato girato con quattro soldi, sono di buon livello e un plauso va anche alla colonna sonora il cui tema portante, angoscioso quanto basta, è una riuscita amalgama tra il tema de L'esorcista ( Tubular bells di Mike Oldfield) e quello usato da Carpenter nel suo Halloween di appena un anno precedente a Phantasm.
Interessante anche il ribaltamento finale, diciamo anche doppio a guardare la sequenza finale che però lascia molti punti interrogativi in sospeso che si tradurranno in tre sequels.
Che anche Shyamalan ci abbia buttato un occhio quando ha ideato Il sesto senso?
( VOTO : 7 + / 10 )
Naturalmente non sarà così facile sfuggirgli.
Impossibile condensare in poche parole l'enorme messe di avvenimenti che percorre il film. Prodotto nel 1977 e uscito nel 1979, diretto da uno spilungone ( alto come il Tall man del film, un uomo nero che è facilmente indentificiabile con l'incarnazione della morte o di un lutto pregresso che ancora non si riesce a superare) poco più che ventenne, Don Coscarelli , è nelle sue stesse parole una compilation di suoi incubi adolescenziali.
Girato in un'atmosfera sospesa tra sogno e realtà , Phantasm è un'ibrido fantahorror in cui emerge prepotente tutta la cinefilia del suo autore dotato da sempre di un'inventiva fuori dal comune, stracolmo di idee, magari non tutte organiche al racconto e che lo fanno sbandare per eccesso di generosità, ma sempre orgogliosamente in anticipo sui tempi.
In più di una sequenza viene fuori il lato un po' naif della realizzazione: Phantasm in fondo è un film realizzato da Coscarelli con un budget bassissimo e girato con attori non professionisti scelti tra i suoi amici. Tutto questo giustifica alcuni dettagli sgangherati nel racconto, qualche frangente più che amatoriale e più di un' ingenuità ma il giovane Don adotta soluzioni all'epoca inedite che poi saranno adocchiate da altri registi in film horror successivi a questo.
Sarà una mia illazione ma beccami gallina se tra Spielberg e Hooper non hanno visto questo film e hanno pensato al loro cimitero indiano che si rianima improvvisamente in Poltergeist o Craven non ha trovato l'ispirazione giusta per Nightmare vedendo questo film in cui il sonno genera mostri proprio come nel suo.
Gli effetti speciali, considerando che è stato girato con quattro soldi, sono di buon livello e un plauso va anche alla colonna sonora il cui tema portante, angoscioso quanto basta, è una riuscita amalgama tra il tema de L'esorcista ( Tubular bells di Mike Oldfield) e quello usato da Carpenter nel suo Halloween di appena un anno precedente a Phantasm.
Interessante anche il ribaltamento finale, diciamo anche doppio a guardare la sequenza finale che però lascia molti punti interrogativi in sospeso che si tradurranno in tre sequels.
Che anche Shyamalan ci abbia buttato un occhio quando ha ideato Il sesto senso?
( VOTO : 7 + / 10 )
martedì 19 febbraio 2013
Tower Block ( 2012 )
Un ragazzo viene inseguito da due loschi figuri incappucciati e sale le scale del Tower Block 31, una volta simbolo di progresso e ora destinato alla demolizione ( anche contro il volere di chi ci abita). All'ultimo piano cerca soccorso da qualcuno degli abitanti che badano bene a chiudersi dentro col chiavistello.L'unica che cerca di aiutarlo è Becky ma viene selvaggiamente malmenata prima che i due si portino via il ragazzo per ucciderlo. E soprattutto evita di raccontare alcunchè alla polizia.
Un anno dopo il piano teatro dell'omicidio viene bersagliato da un cecchino che cerca di ammazzare tutti gli occupanti degli appartamenti. Non fa differenza se uomini, donne o bambini.
I superstiti cercano di organizzarsi ma le vie di comunicazione sono state inattivate e loro si ritrovano tagliati fuori dal resto del mondo.
Comincia una lotta all'ultimo sangue contro un nemico invisibile e inafferrabile che uccide senza pietà, apparentemente senza motivo.
In principio fu Carpenter col suo Distretto 13: cinema d'assedio, di trincea, in cui la claustrofobia degli ambienti regnava sovrana e diventava il personaggio più importante.
Un nemico invisibile che compie una strage, l'immensità del palazzo , dei suoi corridoi e tutti quegli appartamenti uguali tra di loro rischiano di diventare un sarcofago di cemento per chi li abita.
Il film di James Nunn e Ronnie Thompson, all'esordio nel lungometraggio ma già con discreta esperienza nel cinema di genere soprattutto per quanto riguarda Nunn che ha un nutrito curriculum da assistente alla regia , contiene pochi ingredienti, magari poco originali ma frullati decisamente bene.
La ricetta del cinema d'assedio anni '70 viene aggiornata alle condizioni sociali del nuovo millennio e non è un caso che stiano proliferando sui nostri schermi film ambientati in mostri di cemento simili. Mi vengono in mente l'indonesiano The Raid: Redemption, la sua quasi copia carbone Dredd del 2012, l'ironico Attack the block,il zombie horror francese The Horde, il recente horror irlandese The Citadel , il meno recente Fish Tank oppure di tanto cinema di Loach.
I personaggi sono tratteggiati in modo efficace cercando di fuggire dallo stereotipo e sembrano proprio estratti di peso da un film di Loach , la lotta contro il cecchino è appassionante e coinvolgente così come la parte in cui cominciano a fioccare i cadaveri non si sa perchè.
Se il cecchino è un assassino senza coscienza, all'interno del gruppo degli assediati non è che ci siano tutte colombe e sicuramente nessuno di loro vuol fare l'agnello sacrificale.
Il gruppo di assediati è così variegato ed eterogeneo che il clima tra di loro si fa subito teso: non hanno niente in comune tra di loro, si disprezzano l'un con l'altro ma si devono alleare loro malgrado contro un nemico invisibile e questo crea un clima ansiogeno e di sospetto reciproco che si affetta col coltello perchè c'è anche chi può avere l'idea di sfruttare il killer per i propri scopi.
Ed è questa la carta vincente del film: un ritmo incessante che non permette allo spettatore di farsi troppe domande e soprattutto non importa chi ci sia là fuori perchè la partita si svolge tutta nei corridoi dell'ultimo piano del palazzone, tra gli assediati che cercano una via per uscire vivi da questa situazione incresciosa.
Tower Block è un energetico esempio di cinema di genere, thriller nella sostanza e quasi horror nel suo svolgimento ( ha lo stesso meccanismo di uno slasher solamente che il killer uccide con un fucile di precisione e non all'arma bianca), un film che pur non contenendo nulla di nuovo , tiene incollati alla poltrona con la sua regia adrenalinica e un gruppo di bravi attori ( componente non scontata in film di questo genere ) che danno un eccellente contributo alla causa.
Non è un caso che il finale sia la parte meno interessante del film, così come è quasi maltrattato il personaggio del killer di cui si intuisce subito l'identità.
Apprezzabile anche un certo grado di ironia che contribuisce ad alleviare la tensione a tratti insostenibile.
Tower Block è il classico film appartenente alla cosiddetta serie B cinematografica ( per budget e per velocità realizzativa) che però assicura all'appassionato un divertimento da serie A con la sua ricetta semplice e senza pretese.
( VOTO : 7 / 10 )
Un anno dopo il piano teatro dell'omicidio viene bersagliato da un cecchino che cerca di ammazzare tutti gli occupanti degli appartamenti. Non fa differenza se uomini, donne o bambini.
I superstiti cercano di organizzarsi ma le vie di comunicazione sono state inattivate e loro si ritrovano tagliati fuori dal resto del mondo.
Comincia una lotta all'ultimo sangue contro un nemico invisibile e inafferrabile che uccide senza pietà, apparentemente senza motivo.
In principio fu Carpenter col suo Distretto 13: cinema d'assedio, di trincea, in cui la claustrofobia degli ambienti regnava sovrana e diventava il personaggio più importante.
Un nemico invisibile che compie una strage, l'immensità del palazzo , dei suoi corridoi e tutti quegli appartamenti uguali tra di loro rischiano di diventare un sarcofago di cemento per chi li abita.
Il film di James Nunn e Ronnie Thompson, all'esordio nel lungometraggio ma già con discreta esperienza nel cinema di genere soprattutto per quanto riguarda Nunn che ha un nutrito curriculum da assistente alla regia , contiene pochi ingredienti, magari poco originali ma frullati decisamente bene.
La ricetta del cinema d'assedio anni '70 viene aggiornata alle condizioni sociali del nuovo millennio e non è un caso che stiano proliferando sui nostri schermi film ambientati in mostri di cemento simili. Mi vengono in mente l'indonesiano The Raid: Redemption, la sua quasi copia carbone Dredd del 2012, l'ironico Attack the block,il zombie horror francese The Horde, il recente horror irlandese The Citadel , il meno recente Fish Tank oppure di tanto cinema di Loach.
I personaggi sono tratteggiati in modo efficace cercando di fuggire dallo stereotipo e sembrano proprio estratti di peso da un film di Loach , la lotta contro il cecchino è appassionante e coinvolgente così come la parte in cui cominciano a fioccare i cadaveri non si sa perchè.
Se il cecchino è un assassino senza coscienza, all'interno del gruppo degli assediati non è che ci siano tutte colombe e sicuramente nessuno di loro vuol fare l'agnello sacrificale.
Il gruppo di assediati è così variegato ed eterogeneo che il clima tra di loro si fa subito teso: non hanno niente in comune tra di loro, si disprezzano l'un con l'altro ma si devono alleare loro malgrado contro un nemico invisibile e questo crea un clima ansiogeno e di sospetto reciproco che si affetta col coltello perchè c'è anche chi può avere l'idea di sfruttare il killer per i propri scopi.
Ed è questa la carta vincente del film: un ritmo incessante che non permette allo spettatore di farsi troppe domande e soprattutto non importa chi ci sia là fuori perchè la partita si svolge tutta nei corridoi dell'ultimo piano del palazzone, tra gli assediati che cercano una via per uscire vivi da questa situazione incresciosa.
Tower Block è un energetico esempio di cinema di genere, thriller nella sostanza e quasi horror nel suo svolgimento ( ha lo stesso meccanismo di uno slasher solamente che il killer uccide con un fucile di precisione e non all'arma bianca), un film che pur non contenendo nulla di nuovo , tiene incollati alla poltrona con la sua regia adrenalinica e un gruppo di bravi attori ( componente non scontata in film di questo genere ) che danno un eccellente contributo alla causa.
Non è un caso che il finale sia la parte meno interessante del film, così come è quasi maltrattato il personaggio del killer di cui si intuisce subito l'identità.
Apprezzabile anche un certo grado di ironia che contribuisce ad alleviare la tensione a tratti insostenibile.
Tower Block è il classico film appartenente alla cosiddetta serie B cinematografica ( per budget e per velocità realizzativa) che però assicura all'appassionato un divertimento da serie A con la sua ricetta semplice e senza pretese.
( VOTO : 7 / 10 )
lunedì 18 febbraio 2013
John Travolta day - Pelham 1-2-3.ostaggi in metropolitana ( 2009 )
Una banda di uomini armati di tutto punto e oragnizzati come un commando militare prende in ostaggio un intero convoglio della metropolitana di New York e comincia le trattative per il rilascio chiedendo un riscatto più che cospicuo. I rapitori hanno preso un vagone con 18 ostaggi chiedono 10 milioni di dollari in 60 minuti e se non saranno esaudite le loro richieste uccideranno un ostaggio ogni ora.Walter Garber( Denzel Washington), addetto allo smistamento ferroviario è il primo che si accorge che sta succedendo qualcosa di grosso ed è anche colui che è chiamato per intavolare la trattativa col capo dei terroristi Ryder ( John Travolta). In una partita a scacchi tra i due che intanto parlano di massimi sistemi e minimi comuni denominatori, parte una lotta contro il tempo. I banditi devono trovare la loro via di uscita dai sotterranei e i poliziotti li devono prendere.
Fuga rocambolesca e rendez vous finale tra Garber e Ryder sul Manhattan Bridge.
Nella seconda ( o terza...boh! ) fase della sua carriera a John Travolta, forte del suo collo beluino e del suo mascellone volitivo tipico da star hollywoodiana hanno affidato spesso parti da cattivo. E anche qui è così: fortemente voluto dal compianto Tony Scott è il perfetto contraltare al personaggio di Denzel Washington che invece anche somaticamente pare venga considerato poco come ideale cattivo in un film.
Se devo essere sincero da questo Pelham 1-2-3 : ostaggi in metropolitana mi aspettavo peggio,molto peggio e l'inizio con il montaggio iperaccelerato a prova di antiemetico già mi faceva presagire chissà quali sventure(cinematografiche).
E invece, pur rimanendo nel campo della mediocrità da blockbuster vitaminizzato, qualcosa di salvabile c'è.
Anche se è un remake di un bel film film di Sargent del 1974 intitolato Il colpo della metropolitana ,(il titolo originale è lo stesso,è quello italiano che cerca di sviare l'attenzione gettando una cortina fumogena in faccia allo spettatore) in realtà ci sono parecchie cose che non coincidono nei due film e questo lo si deve soprattutto allo script di Helgeland che, non potendo competere con l'ironia sardonica dell'originale, cerca di differenziare i personaggi dei due protagonisti da quelli del film di Sargent, creando un duello dialettico in crescendo tra due personalità diametralmente opposte.
Così abbiamo un cattivo che addirittura dopo aver appena ammazzato un ostaggio si autodefinisce cattolico integralista e un buono la cui integrità è macchiata da una presunta mazzetta intascata.
La regia di Scott soprattutto nella seconda parte riesce a ricreare l'atmosfera claustrofobica del primo film ma mentre Travolta carica il suo personaggio a pallettoni sempre in bilico tra eccesso calcolato e ridicolo involontario restando comunque impresso pur se Scott e Helgeland omettono di caratterizzarlo psicologicamente (perchè è così?ci è o ci fa?),è la prova di un Denzel Washington bolso e stanco (oltre che inopinatamente panzuto) che fa rimpiangere l'ironia pungente del modello Matthau.
Il quale dal canto suo con un solo sguardo e un increspatura appena accennata di labbra si divora letteralmente la prova di Washington.
C'è da rimarcare anche la sostanziale difformità dei due finali: secondo me è molto migliore quello del film di Sargent, mentre Scott sembra quasi che non possa fare a meno fisicamente di un inseguimento adrenalinico e una resa dei conti aromatizzata al piombo in piena luce del sole.
Tony Scott rimane sempre il fratello minore (in tutti i sensi) di Ridley però bisogna riconoscere che questo film ,pur sostanzialmente mediocre, è uno dei migliori dei suoi ultimi anni.
E fa ritornare la voglia di rivedersi l'originale.
( VOTO : 5,5 / 10 )
Questo post fa parte di una serie di recensioni di illustri colleghi bloggers intesa come piccolo regalo di compleanno per il 5..ehsimo compleanno di John Travolta. Naturalmente lui non lo saprà mai e noi testimonieremo ancora una voltache non abbiamo un cazzo di meglio da fare il nostro amore per il cinema e per una star di prima grandezza come John. Buon John Travolta day e spandete il suo verbo.Leggete e commentate.
Ecco qui i links delle altre recensioni:
Thriller 50/50
Il Bollalmanacco del cinema
Cipolla pensierosa
Combinazione casuale
Il cinema spiccio
Ho voglia di cinema
In Central Perk
La fabbrica dei sogni
Life functions terminated
Pensieri cannibali
Le recensioni di Robydick
White Russian
Fuga rocambolesca e rendez vous finale tra Garber e Ryder sul Manhattan Bridge.
Nella seconda ( o terza...boh! ) fase della sua carriera a John Travolta, forte del suo collo beluino e del suo mascellone volitivo tipico da star hollywoodiana hanno affidato spesso parti da cattivo. E anche qui è così: fortemente voluto dal compianto Tony Scott è il perfetto contraltare al personaggio di Denzel Washington che invece anche somaticamente pare venga considerato poco come ideale cattivo in un film.
Se devo essere sincero da questo Pelham 1-2-3 : ostaggi in metropolitana mi aspettavo peggio,molto peggio e l'inizio con il montaggio iperaccelerato a prova di antiemetico già mi faceva presagire chissà quali sventure(cinematografiche).
E invece, pur rimanendo nel campo della mediocrità da blockbuster vitaminizzato, qualcosa di salvabile c'è.
Anche se è un remake di un bel film film di Sargent del 1974 intitolato Il colpo della metropolitana ,(il titolo originale è lo stesso,è quello italiano che cerca di sviare l'attenzione gettando una cortina fumogena in faccia allo spettatore) in realtà ci sono parecchie cose che non coincidono nei due film e questo lo si deve soprattutto allo script di Helgeland che, non potendo competere con l'ironia sardonica dell'originale, cerca di differenziare i personaggi dei due protagonisti da quelli del film di Sargent, creando un duello dialettico in crescendo tra due personalità diametralmente opposte.
Così abbiamo un cattivo che addirittura dopo aver appena ammazzato un ostaggio si autodefinisce cattolico integralista e un buono la cui integrità è macchiata da una presunta mazzetta intascata.
La regia di Scott soprattutto nella seconda parte riesce a ricreare l'atmosfera claustrofobica del primo film ma mentre Travolta carica il suo personaggio a pallettoni sempre in bilico tra eccesso calcolato e ridicolo involontario restando comunque impresso pur se Scott e Helgeland omettono di caratterizzarlo psicologicamente (perchè è così?ci è o ci fa?),è la prova di un Denzel Washington bolso e stanco (oltre che inopinatamente panzuto) che fa rimpiangere l'ironia pungente del modello Matthau.
Il quale dal canto suo con un solo sguardo e un increspatura appena accennata di labbra si divora letteralmente la prova di Washington.
C'è da rimarcare anche la sostanziale difformità dei due finali: secondo me è molto migliore quello del film di Sargent, mentre Scott sembra quasi che non possa fare a meno fisicamente di un inseguimento adrenalinico e una resa dei conti aromatizzata al piombo in piena luce del sole.
Tony Scott rimane sempre il fratello minore (in tutti i sensi) di Ridley però bisogna riconoscere che questo film ,pur sostanzialmente mediocre, è uno dei migliori dei suoi ultimi anni.
E fa ritornare la voglia di rivedersi l'originale.
( VOTO : 5,5 / 10 )
Questo post fa parte di una serie di recensioni di illustri colleghi bloggers intesa come piccolo regalo di compleanno per il 5..ehsimo compleanno di John Travolta. Naturalmente lui non lo saprà mai e noi testimonieremo ancora una volta
Ecco qui i links delle altre recensioni:
Thriller 50/50
Il Bollalmanacco del cinema
Cipolla pensierosa
Combinazione casuale
Il cinema spiccio
Ho voglia di cinema
In Central Perk
La fabbrica dei sogni
Life functions terminated
Pensieri cannibali
Le recensioni di Robydick
White Russian
domenica 17 febbraio 2013
No ( 2012 )
Nel 1988 dopo quindici anni di dittatura sanguinosa il regime del generale Augusto Pinochet è praticamente costretto dalla comunità internazionale a indire un referendum per stabilire la propria legittimità a continuare ad esercitare il potere o meno.Si apre la campagna elettorale per il Si ( pro regime) e per il No a cui addirittura viene dato uno spazio quotidiano di 15 minuti sulla tv di Stato, però nel cuore della notte, solo per sancire nominalmente la correttezza del regime nel dare voce ai dissidenti.
La galassia di partiti che compongono il fronte del No decide di affidare la campagna pubblicitaria a un esperto del settore marketing, Renè Saavedra, che mette in gioco l'idea dell'allegria per sconfiggere il regime.
La sua vita e quella dei suoi collaboratori diventa però un incubo: il regime non esita a mettere in campo la strategia del terrore psicologico e reale.
In un clima di costante minaccia la campagna per il No va avanti.
In soli tre film ( Tony Manero, Post Mortem e No), Pablo Larrain, regista cileno classe '76, quindi ancora non venuto al mondo quando accadevano certi fatti fondamentali per la storia del suo Cile, ha dato un quadro corrosivo ma soprattutto esauriente di quello che è accaduto nel suo Paese dall'avvento di Pinochet in poi.
Se nei primi due film prevaleva lo squallore della povertà e la protesta accorata sotto forma di autopsia di Allende e di tutti quei corpi accatastati che sono visione indelebile nella memoria del cinefilo, in No l'aspetto esteriore è più leggero, ma solo apparentemente.
Il Cile comunque si è evoluto nonostante il suo regime, c'è gente che sta bene, che si fa gli affari suoi e che vive con tutte le comodità del caso.
Però la libertà è una chimera, tutto è controllato dall'alto, tutto è razionato , dietro una facciata rassicurante il regime mostra comunque la sua ferocia in un clima artificialmente tranquillizzato, con le coscienze sedate dall'apparente benessere di alcuni.
Il film di Larrain verte sulla campagna elettorale di quel 1988 muovendosi negli spazi angusti della storia del proprio Paese eppure riesce sempre a sorprendere nonostante la fine sia nota.
L'idea della campagna elettorale del fronte del No viene cambiata in corsa dal pubblicitario: invece di sottolineare tutte le brutture di un regime di cui tutti conoscono le metodologie, perchè non concentrare gli sforzi nella visualizzazione di un Paese migliore, libero e senza dittatura?
Perchè non regalare un sogno invece di ricordare una realtà assodata e toccata con mano da milioni di elettori?
No è la storia di come il linguaggio del marketing, della pubblicità entri in quello politico e viceversa, narra il rincorrersi degli strateghi delle due campagne referendarie in un appassionante testa a testa su uno sfondo comunque inquietante perchè il regime non vuole lasciare nulla di intentato per vincere questo referendum che però all'inizio è visto solo come una stupida formalità.
L'errore capitale è quello di sottovalutare l'impatto di una campagna elettorale referendaria condotta con un linguaggio nuovo, mutuato dalle (allora) nuove tecniche di comunicazione.
Dal punto di vista formale No è una perfetta simulazione di film anni '80: aspetto anticato, formato in 4 :3 che è esteticamente di rottura rispetto a tutto quanto venga girato oggi, un sollucchero il dietro le quinte degli spot pubblicitari , la loro costruzione in studio e in esterni.
Tutto questo però non nasconde il terrore che si respira ad ogni momento , l'atmosfera di tensione esacerbata dai mille e mille occhi che sembrano continuamente controllare ogni mossa di chi sta lavorando alla campagna pubblicitaria.
Stavolta il regime è catturato in tutta la sua brutalità non nelle strade ma nelle stanze dei bottoni dove si cerca di manipolare la coscienza di una nazione, uccidendola.
E uccidere le menti è come privare i corpi di vita.
Candidato all'Oscar 2013 come miglior film straniero.
( VOTO : 8 / 10 )
La galassia di partiti che compongono il fronte del No decide di affidare la campagna pubblicitaria a un esperto del settore marketing, Renè Saavedra, che mette in gioco l'idea dell'allegria per sconfiggere il regime.
La sua vita e quella dei suoi collaboratori diventa però un incubo: il regime non esita a mettere in campo la strategia del terrore psicologico e reale.
In un clima di costante minaccia la campagna per il No va avanti.
In soli tre film ( Tony Manero, Post Mortem e No), Pablo Larrain, regista cileno classe '76, quindi ancora non venuto al mondo quando accadevano certi fatti fondamentali per la storia del suo Cile, ha dato un quadro corrosivo ma soprattutto esauriente di quello che è accaduto nel suo Paese dall'avvento di Pinochet in poi.
Se nei primi due film prevaleva lo squallore della povertà e la protesta accorata sotto forma di autopsia di Allende e di tutti quei corpi accatastati che sono visione indelebile nella memoria del cinefilo, in No l'aspetto esteriore è più leggero, ma solo apparentemente.
Il Cile comunque si è evoluto nonostante il suo regime, c'è gente che sta bene, che si fa gli affari suoi e che vive con tutte le comodità del caso.
Però la libertà è una chimera, tutto è controllato dall'alto, tutto è razionato , dietro una facciata rassicurante il regime mostra comunque la sua ferocia in un clima artificialmente tranquillizzato, con le coscienze sedate dall'apparente benessere di alcuni.
Il film di Larrain verte sulla campagna elettorale di quel 1988 muovendosi negli spazi angusti della storia del proprio Paese eppure riesce sempre a sorprendere nonostante la fine sia nota.
L'idea della campagna elettorale del fronte del No viene cambiata in corsa dal pubblicitario: invece di sottolineare tutte le brutture di un regime di cui tutti conoscono le metodologie, perchè non concentrare gli sforzi nella visualizzazione di un Paese migliore, libero e senza dittatura?
Perchè non regalare un sogno invece di ricordare una realtà assodata e toccata con mano da milioni di elettori?
No è la storia di come il linguaggio del marketing, della pubblicità entri in quello politico e viceversa, narra il rincorrersi degli strateghi delle due campagne referendarie in un appassionante testa a testa su uno sfondo comunque inquietante perchè il regime non vuole lasciare nulla di intentato per vincere questo referendum che però all'inizio è visto solo come una stupida formalità.
L'errore capitale è quello di sottovalutare l'impatto di una campagna elettorale referendaria condotta con un linguaggio nuovo, mutuato dalle (allora) nuove tecniche di comunicazione.
Dal punto di vista formale No è una perfetta simulazione di film anni '80: aspetto anticato, formato in 4 :3 che è esteticamente di rottura rispetto a tutto quanto venga girato oggi, un sollucchero il dietro le quinte degli spot pubblicitari , la loro costruzione in studio e in esterni.
Tutto questo però non nasconde il terrore che si respira ad ogni momento , l'atmosfera di tensione esacerbata dai mille e mille occhi che sembrano continuamente controllare ogni mossa di chi sta lavorando alla campagna pubblicitaria.
Stavolta il regime è catturato in tutta la sua brutalità non nelle strade ma nelle stanze dei bottoni dove si cerca di manipolare la coscienza di una nazione, uccidendola.
E uccidere le menti è come privare i corpi di vita.
Candidato all'Oscar 2013 come miglior film straniero.
( VOTO : 8 / 10 )
sabato 16 febbraio 2013
The ABCs of Death ( 2012 )
Prendete 26 registi che si stanno affermando ( o che hanno già un certo nome) nella nuova scena horror internazionale, date loro una lettera dell'alfabeto, un budget di circa 5000 dollari e fategli fare un corto, 4 minuti o giù di lì, improntato alla massima libertà sia per tematiche che per stile.
Ed ecco a voi The ABCs of Death progetto molto ambizioso ma anche decisamente low cost , facendo un po' di conti della serva. Eppure sembra tutto fuorchè povero.
Il primo aggettivo che mi viene in mente appena uscito dalla visione di questa antologia dell'orrore è frastornante. E' impossibile non essere frastornati da un tale bombardamento di suggestioni, di stili, di provocazioni.
26 piccoli film, 26 piccole storie, ognuna basata su una lettera dell'alfabeto e su una parola che inizia per quella lettera scelta in massima libertà. Forse un po' troppa roba per chi non è veramente appassionato.
Girare un film di 4 minuti in cui raccontare una storia compiuta è un qualcosa secondo me ancora più difficile che girare un film che stia nei canonici 80-90 minuti. Ci vuole una capacità invidiabile di sintesi, ogni sequenza acquista un peso specifico enorme, tutto deve essere raccontato con pochi frames.
E già questa è una sfida da far tremare i polsi che , seppur in modi diversi, è stata affrontata da questo pugno di registi.
Altro rischio è quello di salire sulle montagne russe qualitativamente parlando, cioè di incappare in episodi di qualità disomogenea che rendano oggettivamente difficoltosa la prosecuzione della visione.
In The ABCs of Death ci sono alcuni episodi che spiccano ( un paio spaccano veramente!) e ce ne sono un paio che magari ti chiedi che cosa ci stiano a fare in un'antologia horror ma la qualità realizzativa è complessivamente abbastanza alta, poi naturalmente sta alle preferenze di ognuno.
L'ostacolo maggiore , oltre la durata che supera complessivamente i 120 minuti, è quello di resettare il cervello ogni 4-5 minuti e tributare la giusta attenzione agli episodi che si susseguono praticamente senza soluzione di continuità ( solo un siparietto alla fine di ogni episodio segnala il titolo del microfilm appena visto e il nome del regista).
Impossibile parlare in dettaglio di ogni episodio altrimenti non se ne esce più, questo post diventerebbe un mappazzone informe ( diciamo anche più del solito): scorrendo velocemente direi che l'A come Apocalypse di Nacho Vigalondo fa partire a mille il film con la storia di una moglie che cerca in tutti i modi di uccidere il marito. Effetti speciali di impatto, gore a livelli alti , due attori che riescono a essere credibili in situazioni oltre il limite del sadismo.
C come Cyclo di Ernesto Diaz Espinoza sembra un incrocio tra Los Cronocrimenes del succitato Vigalondo e un episodio di Ai confini della realtà, senza ironia. Non eccezionale proprio perchè derivativo ma direi che tiene desta al'attenzione.
D come Dogfight non è propriamente un horror ma è uno dei migliori del lotto. Girato in maniera stilosa con uso abbondante di rallenty è il combattimento selvaggio tra un uomo e un cane che si risolve in maniera del tutto sorprendente. Sanguinoso, cattivo e girato benissimo. Ma per me non è horror.
Anche E come Exterminate di Angela Bettis non è affatto male: una lotta all'ultimo sangue tra un uomo e un ragno ( vero? immaginario? chissà?) vista dalla soggettiva del ragno. Questo è uno dei corti che mi sembra più penalizzato dalla durata troppo breve per costruire un'atmosfera di perdurante inquietudine dovuta al crescendo di violenza inflitta e autoinflitta.
La F come Fart è un altro episodio non horror ad opera di Noboru Iguchi. Siamo all'apologia del peto in stile pinku eiga , cromaticamente curioso ma non nel mio gusto.
Disturbante al punto giusto sono sia la I come Ingrown di Jorge Michel Grau che la J come Jidai-geki di Yudai Yamaguchi la cui carica orrorifica è smorzata da una componente ironica che appare un po' fuori luogo.
Poi arriva l'elegantissima mazzata nelle gengive di L come Libido che tiene fede al suo titolo ma nell'accezione più malata del termine. Diretto da Timo Tjahjanto ( co regista anche di Macabre la cui recensione la trovate anche da qualche parte in questo blog) è qualcosa di veramente inquietante inadatto a chi ha lo stomaco delicato.
Non ho capito il senso di M come Miscarriage di Ti West ( uno dei segmenti che attendevo con più fervore), così come non sono riuscito a capire la presenza di O come Orgasm di Bruno Forzani ed Helen Cattet, uno short girato con indubbio savoir faire ma sinceramente mi è sembrato abbastanza fuori tema.
Altro peso massimo dell'antologia è P come Pressure di Simon Rumley costruito in maniera molto efficace e con un finale che fa stare male per una settimana.
Q come Quack di Adam Wingard è più che altro una specie di commedia macabra che gioca intorno al meccanismo alla base di The ABCs of Death con un personaggio che dice al regista che gli hanno affidato la lettera peggiore.
R come Removed di Srdjan Spasojevic ( A Serbian Film) è un altro degli episodi che colpiscono basso e che ti danno da pensare dopo che hai finito di vederlo soprattutto per un finale enigmatico. Comunque uno degli episodi migliori come S come Speed di Jake West che gira come un Tarantino ibridato con Russ Meyer per finire in modo assolutamente inaspettato. U come Unearthed di Ben Wheatley è praticamente il nulla infiocchettato con grande eleganza stilistica, decisamente originale visivamente ed estremamente godibile , W come WTF ( What the fuck!) di Jon Schnepp tiene perfettamente fede al suo titolo perchè è qualcosa di veramente weird mentre il migliore short di tutto il lotto è X come XXL di Xavier Gens che in poco più di quattro/cinque minuti riesce a lasciare un disagio addosso difficile da scrostare: autolesionismo, sangue, paranoia concentrato in pochissimi frames che ti si fissano nella memoria.
Dopo XXL anche l'apoteosi del trash rappresentata da Z come Zetsumetsu di Yoshihiro Nishimura diventa qualcosa di innocuo nonostante la sua intenzione di provocare.
The ABCs of Death era operazione rischiosa ma complessivamente si può dire riuscita anche tenendo conto di un materiale di partenza estremamente eterogeneo.
Nota di demerito per Ti West, il suo episodio è quello che mi ha deluso più di tutti mentre il massimo delle lodi va a XXL di Gens. Note di merito anche ai corti di Timo Tjahjanto ( Libido) e Simon Rumley ( Pressure).
Forse per il non appassionato è dura arrivare fino alla fine ma a mio parere ne vale la pena.
Anche se forse sono un po' di parte...
( VOTO : 7 / 10 )
Ed ecco a voi The ABCs of Death progetto molto ambizioso ma anche decisamente low cost , facendo un po' di conti della serva. Eppure sembra tutto fuorchè povero.
Il primo aggettivo che mi viene in mente appena uscito dalla visione di questa antologia dell'orrore è frastornante. E' impossibile non essere frastornati da un tale bombardamento di suggestioni, di stili, di provocazioni.
26 piccoli film, 26 piccole storie, ognuna basata su una lettera dell'alfabeto e su una parola che inizia per quella lettera scelta in massima libertà. Forse un po' troppa roba per chi non è veramente appassionato.
Girare un film di 4 minuti in cui raccontare una storia compiuta è un qualcosa secondo me ancora più difficile che girare un film che stia nei canonici 80-90 minuti. Ci vuole una capacità invidiabile di sintesi, ogni sequenza acquista un peso specifico enorme, tutto deve essere raccontato con pochi frames.
E già questa è una sfida da far tremare i polsi che , seppur in modi diversi, è stata affrontata da questo pugno di registi.
Altro rischio è quello di salire sulle montagne russe qualitativamente parlando, cioè di incappare in episodi di qualità disomogenea che rendano oggettivamente difficoltosa la prosecuzione della visione.
In The ABCs of Death ci sono alcuni episodi che spiccano ( un paio spaccano veramente!) e ce ne sono un paio che magari ti chiedi che cosa ci stiano a fare in un'antologia horror ma la qualità realizzativa è complessivamente abbastanza alta, poi naturalmente sta alle preferenze di ognuno.
L'ostacolo maggiore , oltre la durata che supera complessivamente i 120 minuti, è quello di resettare il cervello ogni 4-5 minuti e tributare la giusta attenzione agli episodi che si susseguono praticamente senza soluzione di continuità ( solo un siparietto alla fine di ogni episodio segnala il titolo del microfilm appena visto e il nome del regista).
Impossibile parlare in dettaglio di ogni episodio altrimenti non se ne esce più, questo post diventerebbe un mappazzone informe ( diciamo anche più del solito): scorrendo velocemente direi che l'A come Apocalypse di Nacho Vigalondo fa partire a mille il film con la storia di una moglie che cerca in tutti i modi di uccidere il marito. Effetti speciali di impatto, gore a livelli alti , due attori che riescono a essere credibili in situazioni oltre il limite del sadismo.
C come Cyclo di Ernesto Diaz Espinoza sembra un incrocio tra Los Cronocrimenes del succitato Vigalondo e un episodio di Ai confini della realtà, senza ironia. Non eccezionale proprio perchè derivativo ma direi che tiene desta al'attenzione.
D come Dogfight non è propriamente un horror ma è uno dei migliori del lotto. Girato in maniera stilosa con uso abbondante di rallenty è il combattimento selvaggio tra un uomo e un cane che si risolve in maniera del tutto sorprendente. Sanguinoso, cattivo e girato benissimo. Ma per me non è horror.
Anche E come Exterminate di Angela Bettis non è affatto male: una lotta all'ultimo sangue tra un uomo e un ragno ( vero? immaginario? chissà?) vista dalla soggettiva del ragno. Questo è uno dei corti che mi sembra più penalizzato dalla durata troppo breve per costruire un'atmosfera di perdurante inquietudine dovuta al crescendo di violenza inflitta e autoinflitta.
La F come Fart è un altro episodio non horror ad opera di Noboru Iguchi. Siamo all'apologia del peto in stile pinku eiga , cromaticamente curioso ma non nel mio gusto.
Disturbante al punto giusto sono sia la I come Ingrown di Jorge Michel Grau che la J come Jidai-geki di Yudai Yamaguchi la cui carica orrorifica è smorzata da una componente ironica che appare un po' fuori luogo.
Poi arriva l'elegantissima mazzata nelle gengive di L come Libido che tiene fede al suo titolo ma nell'accezione più malata del termine. Diretto da Timo Tjahjanto ( co regista anche di Macabre la cui recensione la trovate anche da qualche parte in questo blog) è qualcosa di veramente inquietante inadatto a chi ha lo stomaco delicato.
Non ho capito il senso di M come Miscarriage di Ti West ( uno dei segmenti che attendevo con più fervore), così come non sono riuscito a capire la presenza di O come Orgasm di Bruno Forzani ed Helen Cattet, uno short girato con indubbio savoir faire ma sinceramente mi è sembrato abbastanza fuori tema.
Altro peso massimo dell'antologia è P come Pressure di Simon Rumley costruito in maniera molto efficace e con un finale che fa stare male per una settimana.
Q come Quack di Adam Wingard è più che altro una specie di commedia macabra che gioca intorno al meccanismo alla base di The ABCs of Death con un personaggio che dice al regista che gli hanno affidato la lettera peggiore.
R come Removed di Srdjan Spasojevic ( A Serbian Film) è un altro degli episodi che colpiscono basso e che ti danno da pensare dopo che hai finito di vederlo soprattutto per un finale enigmatico. Comunque uno degli episodi migliori come S come Speed di Jake West che gira come un Tarantino ibridato con Russ Meyer per finire in modo assolutamente inaspettato. U come Unearthed di Ben Wheatley è praticamente il nulla infiocchettato con grande eleganza stilistica, decisamente originale visivamente ed estremamente godibile , W come WTF ( What the fuck!) di Jon Schnepp tiene perfettamente fede al suo titolo perchè è qualcosa di veramente weird mentre il migliore short di tutto il lotto è X come XXL di Xavier Gens che in poco più di quattro/cinque minuti riesce a lasciare un disagio addosso difficile da scrostare: autolesionismo, sangue, paranoia concentrato in pochissimi frames che ti si fissano nella memoria.
Dopo XXL anche l'apoteosi del trash rappresentata da Z come Zetsumetsu di Yoshihiro Nishimura diventa qualcosa di innocuo nonostante la sua intenzione di provocare.
The ABCs of Death era operazione rischiosa ma complessivamente si può dire riuscita anche tenendo conto di un materiale di partenza estremamente eterogeneo.
Forse per il non appassionato è dura arrivare fino alla fine ma a mio parere ne vale la pena.
Anche se forse sono un po' di parte...
( VOTO : 7 / 10 )
venerdì 15 febbraio 2013
Zero Dark Thirty ( 2012 )
Maya è un'agente della CIA che si è fatta le ossa nel post 11 settembre , durante gli interrogatori di terroristi o sospetti di essere legati ad Al Qaeda. Pur non condividendo i metodi si adegua, gira la testa dall'altra parte essendo convinta che quella possa essere la strada giusta per combattere la piaga del terrorismo islamico.Lavora alla caccia di Osama Bin Laden per tanti anni finchè nel 2011 pare che il suo lavoro diventi fruttuoso. Lo ha individuato ma è la sola ad avere questa convinzione. Con la propria pervicacia, però, continua a raccogliere prove e da qui l'operazione per la cattura di Osama Bin Laden ha inizio.
La fine è nota.
Meno ovvio il senso di smarrimento di Maya , una volta che ha raggiunto l'obiettivo della sua vita.
Kathryn Bigelow continua a raccontare brani della storia più recente americana. senza pietismi, senza false ipocrisie ma con occhio quasi documentaristico, senza fare sconti a nessuno, men che meno ai suoi compatrioti della CIA.
La prima parte del film è infatti un resoconto durissimo, ai limiti dell'horror, di metodi di interrogatorio che dovrebbero essere banditi dalla faccia della Terra, talmente brutali da far chiedere se chi porta avanti queste attività sia veramente appartenente al genere umano.
Non ci sono buoni da una parte e cattivi dall'altra. C'è una guerra in atto e ogni mezzo è lecito per portare a casa la vittoria.
Interessante anche annotare la genesi del film, riscritto parzialmente alla luce della cattura di Osama Bin Laden: nelle intenzioni degli autori Zero Dark Thirty doveva essere un resoconto dettagliato degli insuccessi dei servizi di intelligence americani in giro per il mondo.
Con la cattura del terrorista numero uno la Bigelow si guarda bene dal far diventare il suo film un racconto agiografico ma aggiunge solamente la postilla della missione che dà il titolo al film e che ne occupa la mezz'ora finale. Nulla di celebrativo, quello che rimane di Bin Laden, che nel film viene giustiziato senza tanti fronzoli in spregio di qualsiasi nozione di diritto internazionale, è solo il suo naso prominente e uno scorcio della sua barba bianca che fa capolino dal sacco scuro in cui è stato sistemato.
Zero Dark Thirty non celebra, racconta una pagina controversa della storia recente americana dando allo spettatore gli elementi sufficienti per giudicare con la propria testa e non guidandolo su una tesi preconfezionata.Non sappiamo in realtà quante libertà si prenda dalla storia vera ma in fondo non importa, un film come questo è necessario per mettere a posto tutti i brandelli di verità che abbiamo appreso dai notiziari di questi anni.
Durante la proiezione mi chiedevo quanto si vedesse che questo film era ad opera di una donna: cioè è facile dirlo sapendolo prima dei titoli di testa ma se fossi andato all'oscuro di tutto avrei capito che era tutto opera di una donna?
La risposta è un bel " non lo so": il personaggio femminile al centro del film assomiglia molto all'alter ego di una regista cresciuta all'ombra di un ex marito regista famoso e che ha dovuto farsi strada col machete per spazzare via i pregiudizi legati sia al fatto di essere una donna alle prese con generi cinematografici considerati per soli uomini ( come il thriller o il war movie) sia a sospetti di presunte porte spalancate per via delle sue "conoscenze " altolocate.
Maya vive in un mondo di soli uomini e si fa strada grazie alla propria intelligenza e alla propria tenacia.
Un personaggio caratterizzato in modo così accurato, oserei dire quasi affettuoso per le sfumature con cui viene disegnato ( vedere per credere la sequenza finale) non poteva che essere stato creato da una donna.
Ma qui ci si ferma perchè Zero Dark Thirty non è un film veterofemminista o qualcosa di simile.
A suo modo è un film storico come Lincoln, racconta( meglio di Spielberg) la coscienza di una nazione che è riuscita finalmente a catturare il responsabile di una delle ferite più profonde e mai rimarginate della sua storia.
E racconta anche lo smarrimento, il senso di vuoto che assale Maya una volta che ha la consapevolezza di aver raggiunto lo scopo della sua vita.
Non c'è più il nemico da abbattere, non ci sono più scuse.
Si apre un capitolo nuovo . Certo , ma come?
Zero Dark Thirty pur durando due ore e quaranta sembra passare in un attimo: i dialoghi serrati , le esplosioni di violenza improvvisa, il montaggio stringato al servizio di una regia senza tanti fronzoli ma di rara efficacia possono arrivare a rappresentare l'estasi del cinefilo militante.
Due ore e quaranta ma ne vorresti ancora.
( VOTO : 8,5 / 10 )
La fine è nota.
Meno ovvio il senso di smarrimento di Maya , una volta che ha raggiunto l'obiettivo della sua vita.
Kathryn Bigelow continua a raccontare brani della storia più recente americana. senza pietismi, senza false ipocrisie ma con occhio quasi documentaristico, senza fare sconti a nessuno, men che meno ai suoi compatrioti della CIA.
La prima parte del film è infatti un resoconto durissimo, ai limiti dell'horror, di metodi di interrogatorio che dovrebbero essere banditi dalla faccia della Terra, talmente brutali da far chiedere se chi porta avanti queste attività sia veramente appartenente al genere umano.
Non ci sono buoni da una parte e cattivi dall'altra. C'è una guerra in atto e ogni mezzo è lecito per portare a casa la vittoria.
Interessante anche annotare la genesi del film, riscritto parzialmente alla luce della cattura di Osama Bin Laden: nelle intenzioni degli autori Zero Dark Thirty doveva essere un resoconto dettagliato degli insuccessi dei servizi di intelligence americani in giro per il mondo.
Con la cattura del terrorista numero uno la Bigelow si guarda bene dal far diventare il suo film un racconto agiografico ma aggiunge solamente la postilla della missione che dà il titolo al film e che ne occupa la mezz'ora finale. Nulla di celebrativo, quello che rimane di Bin Laden, che nel film viene giustiziato senza tanti fronzoli in spregio di qualsiasi nozione di diritto internazionale, è solo il suo naso prominente e uno scorcio della sua barba bianca che fa capolino dal sacco scuro in cui è stato sistemato.
Zero Dark Thirty non celebra, racconta una pagina controversa della storia recente americana dando allo spettatore gli elementi sufficienti per giudicare con la propria testa e non guidandolo su una tesi preconfezionata.Non sappiamo in realtà quante libertà si prenda dalla storia vera ma in fondo non importa, un film come questo è necessario per mettere a posto tutti i brandelli di verità che abbiamo appreso dai notiziari di questi anni.
Durante la proiezione mi chiedevo quanto si vedesse che questo film era ad opera di una donna: cioè è facile dirlo sapendolo prima dei titoli di testa ma se fossi andato all'oscuro di tutto avrei capito che era tutto opera di una donna?
La risposta è un bel " non lo so": il personaggio femminile al centro del film assomiglia molto all'alter ego di una regista cresciuta all'ombra di un ex marito regista famoso e che ha dovuto farsi strada col machete per spazzare via i pregiudizi legati sia al fatto di essere una donna alle prese con generi cinematografici considerati per soli uomini ( come il thriller o il war movie) sia a sospetti di presunte porte spalancate per via delle sue "conoscenze " altolocate.
Maya vive in un mondo di soli uomini e si fa strada grazie alla propria intelligenza e alla propria tenacia.
Un personaggio caratterizzato in modo così accurato, oserei dire quasi affettuoso per le sfumature con cui viene disegnato ( vedere per credere la sequenza finale) non poteva che essere stato creato da una donna.
Ma qui ci si ferma perchè Zero Dark Thirty non è un film veterofemminista o qualcosa di simile.
A suo modo è un film storico come Lincoln, racconta( meglio di Spielberg) la coscienza di una nazione che è riuscita finalmente a catturare il responsabile di una delle ferite più profonde e mai rimarginate della sua storia.
E racconta anche lo smarrimento, il senso di vuoto che assale Maya una volta che ha la consapevolezza di aver raggiunto lo scopo della sua vita.
Non c'è più il nemico da abbattere, non ci sono più scuse.
Si apre un capitolo nuovo . Certo , ma come?
Zero Dark Thirty pur durando due ore e quaranta sembra passare in un attimo: i dialoghi serrati , le esplosioni di violenza improvvisa, il montaggio stringato al servizio di una regia senza tanti fronzoli ma di rara efficacia possono arrivare a rappresentare l'estasi del cinefilo militante.
Due ore e quaranta ma ne vorresti ancora.
( VOTO : 8,5 / 10 )
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