I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

martedì 31 luglio 2012

Exte : Hair Extensions ( 2007 )


Ecco un motivo in  più per guardare con sospetto le posticce extensions che vanno tanto di moda. Possono uccidere!
Che anche i capelli posticci potessero diventare assassini è idea assolutamente bizzarra ma sarebbe un errore liquidare come filmetto sgangherato girato con la mano sinistra questa pellicola di Sion Sono. Exte : Hair Extensions si rivela un film più stratificato di quanto si pensi, perfettamente inserito nella poetica e nello stile del suo regista.
E'un horror ? Sicuramente si, ma diciamo che si sposta verso l'ultima frontiera del genere, quella che separa l'horror puro con annessa la capacità di evocare paura e ribrezzo ( a seconda dei casi) e quella di coglierne gli aspetti più perfidamente esilaranti. 
Siamo tra il genere di riferimento e la sua parodia, c'è una rilettura grottesca di tutti gli stereotipi del J-horror a partire dalla presenza di fantasmi con  tanti capelli lisci, neri corvini che coprono immancabilmente le facce.
Qui sono solo i capelli la fonte di morte.
Accanto a tali suggestioni Shion Sono narra la storia della bella Yuki aspirante parrucchiera, della sua coinquilina Yuko aspirante ballerina, della piccola Mami la quale è figlia della sorellastra di Yuki che  ha il vizietto odioso di picchiarla per un nonnulla  e non perde occasione di ricordare alla sorellastra particolari sgradevoli del passato.   
Last but not least l'inquietante  figura dell'operaio dell'obitorio Yamazaki, una specie di maniaco feticista che arriva a trafugare un cadavere a cui crescono spropositatamente capelli da tutte le parti, da dentro il corpo svuotato degli organi interni e da dentro la bocca( la lingua capelluta è una visione ad alto tasso di sgradevolezza e siamo messi ancora peggio con i capelli che escono dai globi oculari).
Non soddisfatto il maniaco mascherato con una parrucca cerca di vendere queste extensions alla parrucchiera dove lavora Yuki e ad altre.
E sono capelli che uccidono.
Il film si avvale anche di un  discreto numero di effetti speciali: niente computer grafica ma animazione a passo uno (almeno così sembra) che dà una visualizzazione grezza ed efficace di un orrore che sfiora sempre tangenzialmente la parodia.
Di sangue in realtà se ne vede molto poco, mentre rimane impresso il bozzolo di capelli che ingloba i poliziotti nel finale.
Accanto alla volontà di parodiare il genere è evidente che il regista nipponico tratti alcune tematiche comuni alla sua filmografia come quella del disgregamento familiare e dell'alienazione dovuta alla solitudine.
Particolarmente efferati i  flashback che si susseguono velocissimi allorchè le extensions stanno agendo e che fanno rivivere alle malcapitate la morte della proprietaria "originale" dei capelli uccisa al suono di un canto natalizio.
Exte : Hair Extensions è un film tra i più lineari e intellegibili di Shion Sono,lontano dai suoi capolavori ma è un horror anarchico e surreale mescolato ad altre suggestioni ( come anche una spruzzata di Novelle Vague o Free Cinema quando Yuki in bicicletta parla alla telecamera raccontando di se stessa guardando anche verso la macchina da presa ), una sorta di divertissment cinefilo in cui la cultura dell'eccesso è la cifra stilistica dominante.
Decisamente orrorifico il personaggio di Yamazaki ( Ren Osugi ) un feticista necrofilo che potrebbe abitare in molti dei nostri incubi peggiori.

( VOTO : 7 + / 10 )
Exte: Hair Extensions (2007) on IMDb

lunedì 30 luglio 2012

Blitz ( 2011 )


Non posso nascondere che la mia opinione su Jason Statham sia cambiata radicalmente negli anni, soprattutto dopo aver visto uno degli action più divertenti degli ultimi anni, quel Crank che conteneva al suo interno delle vere e proprie impennate di genio.
Se prima lo consideravo un fratello povero e un po'sfigato di Bruce Willis dopo il suddetto film ha assunto i connotati quasi mi (s) tici di un Chuck Norris del nuovo millennio, si proprio quel tizio che con i calci volanti ci aggiustava discorsi e nella sua carriera ci ha fatto più panoramiche dentali di un odontoiatra di successo.
Scritto da Nathan Parker già responsabile dello script di Moon , favoloso esordio di Duncan " non chiamatemi più figlio di David Bowie" Jones , tratto da un romanzo di Ken Bruen, Blitz è la storia del detective Brant ( Jasonuccio Statham ) che assieme a un collega ai suoi antipodi intepretato da Paddy Considine, un altro molto considerato qui a bottega, deve dare la caccia a un serial killer di poliziotti che sta terrorizzando Londra.
Non precisamente un film di suspense perchè il colpevole è noto fin da subito, descritto nella sua psicopatologia in modo esauriente, interpretato da un Aidan Gillen caricato a pallettoni che sembra una rockstar.
Un film di inseguimento in cui a Statham si chiede molto in termini di carisma e meno in termini di action: anche quella non manca e i fans avranno da rallegrarsi quando il nostro eroe fracassa le rotule a tre giovinastri con una mazza da hurling ( uno sport tra l'hockey  e l'omicidio come afferma il protagonista ) o insegue il killer a piedi mostrando una falcata non propriamente da quattrocentista olimpionico oppure andranno in sollucchero quando cercherà di cambiare i connotati a una certa persona usando il piede di porco, l'attrezzo metallico, non certo il manicaretto.
Blitz è un film che non si distacca dalla media del genere, è lineare  con varie sottotrame che si incastrano al posto giusto, ha una regia che si concede qualche impennata di stile e che non nasconde la violenza efferata. Inoltre a suo favore c'è un finale che se ne sbatte allegramente di tutte le regole del politically correct.
Insomma Londra odia ma stavolta la polizia può sparare.
Altra cosa che lo fa giudicare con (relativo) favore è anche il volersi affrancare a tutti i costi dal modello americano: Blitz urla inglesità da tutte le inquadrature di una casa madre Londra sempre perfettamente riconoscibile e da tutte quelle tazze di tè consumate a profusione.
Francamente non è un film irresisitibile anche se regala la sua giusta dose di divertimento.
Ma come visione tamarra estiva, una di quelle a neuroni spenti, ci sta ampiamente.

( VOTO : 6 / 10 ) Blitz (2011) on IMDb

domenica 29 luglio 2012

The Yellow Sea ( 2010 )


Gu nam è un taxista col vizio del gioco, oberato di debiti nella grigia Yanji, città cinese al confine tra Cina, Russia e Corea del Nord ma etnicamente popolata quasi tutta da coreani chiamati Josenjok, disprezzati sia dai cinesi che dai coreani stessi che non ne capiscono nemmeno il dialetto.
La moglie per fare un pò di soldi e inviarglieli è andata a lavorare a Seul ma è da molto che non si fa sentire e soprattutto che non invia soldi.
Così il taxista è costretto suo magrado ad accettare un lavoro da un malavitoso locale. Un omicidio su commissione da commettere a Seul.
Gu nam ben presto si accorge di trovarsi in mezzo a una macchinazione molto più grossa di lui arrivando ad essere inseguito dalla polizia coreana, dalla mafia cinese e da gangsters del posto.
Una lotta all'ultimo sangue in cui il piccolo taxista combatterà per la propria vita.
Hong-jin Na aveva folgorato con il suo bellissimo esordio The Chaser. La sua opera seconda ( sempre rischiosissima) qualitativamente si attesta più o meno sugli stessi livelli  del suo bellissimo esordio.
The Yellow Sea è un solido film di genere che parte benissimo con lo stile accecante del giovane regista: molta cinepresa a mano, sequenze lunghe in cui il montaggio non nasconde ma contribuisce a mostrare ancora meglio, un modo di girare scene action estremamente scrupoloso ed armonioso.
Il tutto è immerso in un atmosfera plumbea, soffocante in cui il massimo che ti puoi aspettare è un cielo grigio fumo che ti penda sopra la testa come una spada di Damocle.
Gu nam lotta, corre, si difende, si trova invischiato in una trama aggrovigliata da cui è praticamente impossibile uscire.
E' ritenuto l'assassino dell'uomo che in realtà doveva uccidere ma quello è l'unico omicidio che non ha commesso.
La prima parte del film scivola via con ritmo placido e sicuro scandito dal viaggio avventuroso del protagonista verso Seul e dall'attesa di Gu nam per organizzare l'omicidio cercando di capire le abitudini della sua vittima.
Dopo l'omicidio il film cambia pelle, diventa un action a tutti gli effetti che rilegge il modello americano cercando di personalizzandolo ma non affrancandosene del tutto.
Gli inseguimenti a piedi si susseguono, la polizia dimostra la sua comica inadeguatezza ( e Hong-jin na come aveva fatto nell'opera precedente usa dell'amaro sarcasmo sull'incapacità cronica dei poliziotti coreani, sono molto più efficienti e meglio addestrati i gangsters), le scene di massacro perpetrate abbondano mentre viene abbandonato praticamente del tutto il discorso politico ( sui Josenjok).
Da notare che questo è praticamente un thriller all'arma bianca: il massacro avviene con armi da taglio di tutti i tipi (dai coltelloni da macellaio alle asce bipenni ) o addirittura vengono usate ossa di bovino avanzate a un pranzo come arma del delitto. L'unico colpito da un proiettile è un poliziotto centrato da un collega a cui è partito un colpo per sbaglio.
Il problema della seconda parte del film è che per seguire un modello americano ( da considerare che questo film è stato realizzato col contributo della 20th Century Fox e ha incassato ottimamente in patria, ottenendo anche la partecipazione a Cannes 2011, sezione Un certain regard ) si esagera con le coincidenze. 
Difficili da giustificare il fatto che Gu Nam che all'inizio del film ci viene presentato come un furbetto senza particolari qualità,un taxista assolutamente normolineo riesca sempre a sfuggire a decine e decine di gangsters ( e prima a un battaglione di poliziotti) che non riescono a fermarlo.
Ma alla fine chissenefrega.
Pur durando qualcosa come 150 minuti abbondanti non si guarda mai l'orologio.
The Yellow Sea è comunque un ottimo esempio di film di genere che conferma la mano felicissima del regista nel tratteggiare una Corea sordida, corrotta in cui si può emergere solo mediante la capacità di delinquere.
Il casting è azzeccato( i protagonisti sono gli stessi di The Chaser  ma praticamente a ruoli invertiti anche se in The Yellow Sea  non ci sono buoni o cattivi ma solo più o meno cattivi), efficace il finale con la sordina, senza l'iperbole attesa dopo una seconda parte di film molto "hollywoodiana".
La morte è  senza enfasi, come il tonfo di un corpo che viene buttato in mare...   

( VOTO : 8 / 10 )

The Yellow Sea (2010) on IMDb

Marilyn ( 2011 )

Quando vediamo il logo della BBC films campeggiare serioso sui titoli di testa di un film sappiamo già più o meno, nel bene  e nel male, dove si vada a parare: ricostruzioni impeccabili, una confezione elegante , una regia corretta ma raramente con impennate di genio.
La solida linearità  domina incontrastata  a dispetto dell'estro che viene lasciato in un angolino.
Marilyn di Simon Curtis è proprio così: un film solido, ben confezionato e che ha una regia corretta ma un filo anonima complice la provenienza televisiva del suo autore.
C'è un ottimo cast con nomi di spicco che si adattano anche in ruoli da comprimario e poi c'è la variabile impazzita: Michelle Williams nella parte di Marilyn.
Beh , non ci avrei scommesso un centesimo di euro bucato, confesso anche che i primi minuti in cui le è stata in scena ho sperato ardentemente di coglierla in fallo ma poi.... Beh mi è sembrato che la Williams piano piano si nascondesse dietro Marilyn e che alla fine scomparisse in lei, dentro lei. 
E prima di questo film non avevo nessuna predilezione particolare per la Williams che a malapena conoscevo.
E' lei la luce guida di questo film, la stella polare e il suo lavoro magnifico sul personaggio, dopo un'accurata mimesi mette quasi in secondo piano il lavoro di Kenneth Branagh, uno dei pochi che non avrebbe mai tremato nel recitare la parte di Laurence Olivier, suo mito incrollabile dagli inizi della carriera, di Judy Dench in una parte piccola ma che incombe in tutto il film e  di Eddie Redmayne, appena visto in Black Death di Smith . Per non parlare degli altri nomi di un certo peso nel luminoso cast.
Il film racconta una settimana della vita della Monroe sul set de Il principe e la ballerina  ( titolo di lavorazione Il principe addormentato), come suggerisce correttamente il titolo originale My week with Marilyn.
E' tratto dalle memorie di Colin Clarke, terzo assistente alla regia ( lui stesso si autodefinisce un galoppino, praticamente è un tuttofare che però ha poco a che fare con gli spetti tecnico/realizzativi di un film ) che ha la ventura di entrare nelle grazie della divina.
Il ritratto che il film dipinge  di Olivier e della Monroe è piuttosto impietoso: come dice lo stesso Clarke in una battuta il primo è un grande attore che vuole avere successo nel cinema, mentre lei è una diva di successo del cinema che vuole diventare una grande attrice.
Il loro rapporto professionale è perlomeno difficile: lui perfezionista all'eccesso, pianificatore di tutto si trova ogni giorno scombussolato dai ritardi di lei, dal suo modo di recitare estemporaneo e dai suoi umori variabili.
Lei è terrorizzata da lui e dall'atmosfera che si respira sul set.
In mezzo a questo si inserisce il giovane Clarke che passerà la settimana più bella della sua vita, contribuirà alla riuscita del film e a restituire un briciolo di solidità psicologica a una diva americana prigioniera della sua solitudine e della sua insicurezza.
Marilyn è la storia di un abbozzo di sentimento a tempo determinato, del sogno di un ragazzo che diventa vero, dell'amore (forse) che scivola tra le dita. 
A Curtis però sfugge l'essenza, l'intimità del melodramma amoroso lasciando sullo sfondo il dolore, il rimpianto forse del giovane Clarke per aver perso un qualcosa di importante.
Mette al centro di tutto Marilyn nel ruolo duplice di diva e di donna.
E' tutto improntato alla nostalgia di una stagione irripetibile, al ricordo di un capitolo, forse il più intenso,  della propria vita.
La giovane sfrontatezza di un 23enne che ha passato la settimana più bella della sua vita assieme a Marilyn Monroe.
E vuoi mettere?
Ci sarà un motivo per cui il mito resiste incontrastato a 50 anni dalla sua scomparsa, no?

( VOTO : 6,5 / 10 ) My Week with Marilyn (2011) on IMDb

sabato 28 luglio 2012

I più grandi di tutti ( 2011 )

Qui a bottega se un  film parla di rock o affini , lo si vede a prescindere.
Anche se è firmato da uno che ha sempre un po' l'aria da raccomandato come Carlo Virzì ( fratello di Paolo )  autore di un primo film all'acqua di rose assolutamente dimenticabile e che ora con questa sua opera seconda cerca di alzare un po' il tiro infarcendola di massimi sistemi e minimi comuni denominatori, ma soprattutto caricandola abbestia (come direbbero i protagonisti) di nostalgia.
La trama ricorda alla lontana quella del supercult Still crazy: un ritorno sulle scene di una banda seminale del rock italico ( i Pluto, che si chiamano così non per oscure metafore legate all'origine greca del nome ma solo perchè si chiamava così il cane della nonna della bassista) dovuto all'interessamento di uno strano giornalista musicale che si rivela ossessionato da loro, dalla loro musica e dal loro merchandising. Nelle sue intenzioni vuole riunire il gruppo per un ultimo concerto e per fare un dvd intervista sui loro trascorsi dopo aver abbandonato le scene.
Il problema sono i modelli a cui ispirarsi: se il rock internazionalmente è incarnato da gente come i Deep Purple o i Led Zeppelin qui in Italia i modelli puramente rock o hard rock sono ben più modesti. E vanno quindi denudati oltre che mostrati in tutta la loro pochezza.
Ecco perchè un film come I più grandi di tutti suo malgrado assume un'aria più provinciale di quanto vorrebbe,in questo caso livornese a voler essere precisi.
Non che sia un male perchè il lessico è piacevole, la volgarità non viene usata come grimaldello per arrivare alla risata facile e l'atmosfera che si respira è di vera complicità.
Carlo Virzì sa di che cosa parla perchè ha un passato da musicista  il fratello Paolo che qui collabora da parte sua è autore di un bellissimo documentario sulla figura di Bobo Rondelli, intitolato L'uomo che aveva picchiato la testa, storia buffa e un po' patetica di  una leggenda del rock livornese arrivato puntualmente in ritardo all'appuntamento col successo, quindi il film scorre che è un piacere nella descrizione di un pugno di personaggi che vive a una velocità diversa dal mondo che li circonda.
Loris, il batterista, status da disoccupato cronico,è mantenuto dalla moglie e ha un figlio che mostra di essere molto più maturo di lui, Maurilio, il cantante , vive di espedienti e ha una montagna di debiti, Sabrina è ingabbiata letteralmente in una relazione sentimentale infelice da  cui non vede l'ora di fuggire mentre Dario, chitarrista, è l'unico che si è "normalizzato" con un lavoro in fabbrica.
Prima che tornare a suonare è difficile ritornare a stare assieme senza scannarsi.
E comunque bisogna aspettare quasi tutto il film per vederli suonare.
I più grandi di tutti in fondo è un film su persone che avrebbero voluto essere altro e si ritrovano a vivere una vita dopo aver praticamente rimosso dalla memoria tutto il passato.
Volontariamente perchè la vita del rocker è stato un sogno che non si sono potuti permettere.
Se Alessandro Roja ( Loris ) è efficacissimo a caratterizzare un personaggio avulso dalla realtà che lo circonda e anche la Pandolfi risulta credibile dei panni della bassista che non aspettava altro che ritornare al passato, è Marco Cocci, cantante e rocker vero prima di essere attore, che ruba la scena con la sua innata fisicità.
D'altro canto la presenza di Dario Kappa Cappanera è un colpo ben assestato al cuore di  chi ricorda la Strana Officina seminale band livornese di heavy metal arrivata più al successo internazionale che a quello nei nostri confini e assurdamente falcidiata dal destino.
Occhio alla performance dei Pluto, chissenefrega se è una messa in scena ( e chi vedrà il film capirà che cosa intendo dire ),  in una cornice particolare e orecchio ai testi dei loro pezzi ( " Sputo in faccia al bagnino e gli fotto il pattino").
E come si fa a non farsi scappare la lacrimuccia quando il tuo figliolo vuol diventare batterista come il padre e scrive in un tema che "vuol fare un gruppo rock un bel po'ribelle"?
La ribellione ormai si fa seduti in poltrona e col telecomando , novello scettro del potere, in mano: ci si ribella solo vivendo.
O meglio sopravvivendo.

( VOTO : 7+ / 10 )

I più grandi di tutti (2011) on IMDb

venerdì 27 luglio 2012

La meute ( 2010 )

Credo che sia difficile al momento trovare un'attrice così versatile come la belga , corpulenta, quasi sessantenne Yolande Moreau, una vita da caratterista e poi improvvisamente balzata agli onori della cronaca con la  grottesca ferocia Louise-Michel di de Kervern e Delépine che poi l'hanno riconfermata anche nel loro successivo Mammuth in cui recitava la parte della moglie del mastondonte Depardieu. Da qui in poi una una nuova carriera da protagonista.
Ed è venuto fuori il suo talento multiforme tanto da mettersi alla prova in un film crudo ed efferato come questo.Credo che sia raro, se non unico trovare un'attrice che spazi così da un genere all'altro , dal cinema  d'autore all'horror senza compromessi.
Ero inoltre ansioso di rivedere all'opera la protagonista di un film che all'epoca mi trafisse il cuore, Rosetta, in cui lo sguardo intenso e i gesti nervosi dell'esordiente , giovanissima Emilie Dequenne si affacciavano per la prima volta al cinema.
Dicevamo horror senza compromessi: effettivamente La meute spinge sull'acceleratore da subito e si ferma solo ai titoli di coda.
Una ragazza in fuga non si sa da che e non si sa per dove per proteggersi da una banda di motociclisti carica un bell'autostoppista. Quando si fermano per rifocillarsi in un locale ( La spack,dal nome della robusta  un vero e proprio saloon western disperso nelle campagne francesi che prende il nome dalla proprietaria, una Yolande Moreau inquietante come poche ) lui va in bagno e sparisce.
La ragazza aspetta la notte e rientra nel locale per cercarlo ma....
La meute, esordio alla regia di Franck Richard ( anche sceneggiatore) è un film che non nasconde i suoi punti di riferimento del genere a cui appartiene. I padri putativi di questo film sono opere come il magnifico Calvaire di Du Welz o anche Frontier(s) di Gens però spogliato di tutte le sue connotazioni politiche.
La campagna francese, silenziosa terra di nessuno in cui si possono nascondere mostri è protagonista in questi film che poi esplorano le nuove frontiere dello splatter e del gore cercando di spostare sempre più in alto l'asticella dell'eccesso.
Un altro riferimento che sarà colto da tutti quelli che vedranno il film è senza dubbio quello del marshalliano The Descent ( altro film di culto qui a bottega ) che viene citato a più riprese.
The meute ha comunque la capacità di mescolare in modo abbastanza nuovo ingredienti già abbondantemente usati e  sorvolando su qualche pecca di logica ( per esempio ma perchè una deve rischiare la vita per cercare uno sconosciuto ? ) e di sceneggiatura ( diciamo che i dialoghi nella seconda parte del film non brillano di luce propria ) bisogna riconoscere che assolve benissimo al suo ruolo di brutale intrattenimento.
E' confezionato benissimo, ben fotografato, con un cast all'altezza e un'ambientazione che fa da adeguata cornice horror agli avvenimenti.
E comunque La meute il meglio lo lascia per il finale. E qui mi tocca spoilerare di brutto per spiegare.
SPOILER SPOILER SPOILER SPOILER Dopo un prefinale stile The Descent che comunque già ti faceva salire il groppo in gola facendo intuire la ciclicità degli avvenimenti , Richard assesta il colpo di genio con l'ultima sequenza in cui vediamo la protagonista, oramai ridotta a cibo insanguinato per mutanti, appesa a testa in giù e con una gamba di meno ad attendere che si compia il suo destino. Vede il sole che sta per sorgere e vede allo stesso tempo la sua vita la tramonto. Il sangue scende copioso sull'inquadratura come a chiudere un sipario. Sul film e sulla vita della protagonista. Titoli di coda. FINE DELLO SPOILER FINE DELLO SPOILER FINE DELLO SPOILER.
Il film è stato presentato in concorso a Cannes 2010 . Non oso pensare alla reazione del pubblico sicuramente non abituato a tali sollecitazioni orrorifiche.

(VOTO : 7 / 10 )  The Pack (2010) on IMDb

giovedì 26 luglio 2012

La donna che canta ( 2010 )

Quale Dio permetterebbe di uccidere nel suo nome?

Dovrebbe essere domanda retorica e invece non è così.
Ci sono spicchi di mondo in cui si uccide ancora nel nome di Dio, quasi facendosene scudo.
Il film di Villeneuve, tratto dall'omonima piece teatrale è un viaggio indietro nella memoria storica della loro stirpe di due gemelli , Jeanne e Simon, che alla morte della madre scoprono di avere un padre ( che pensavano morto) e un fratello ( che ignoravano di avere).
E mentre Simon comprende subito che intraprendere questa ricerca equivale a immergersi nel dolore, Jeanne dall'alto della sua formazione matematica che impone conoscere tutto fino in fondo, decide di sapere a tutti i costi.
La verità sarà però più brutta del peggiore degli incubi.
La donna che canta è il viaggio di una figlia alla riscoperta di una madre che probabilmente non ha mai conosciuto.
Una donna indomita, incapace di chinare il capo anche dopo anni e anni di prigionia in una segreta in cui non c'è spazio neanche per distendere le braccia.
Una donna cristiana a cui la guerra di religione ha negato l'amore, capace di uccidere il capo delle milizie cristiane e capace di pagare il suo debito nella massima sofferenza e senza il minimo cedimento fisico nè morale.
Non un film sulla religione ma sulla mancanza di tolleranza tra uomini di religioni diverse e che con le loro azioni negano la parola del loro Dio.
 Perchè non c'è nessun Dio che può insegnare di far male ad altri uomini.
La donna che canta è un film che vive di momenti intensissimi come lo sguardo della protagonista, o quello del ragazzino all'inizio del film che posa i suoi occhi grandi e penetranti sulla macchina da presa.
Un'opera importante, di grande presa emotiva che si allontana dai canoni estetici del cinema che circola in gran massa sui nostri schermi.
Un film diverso e proprio per questo da preservare.
La musica dei Radiohead accompagnata a musiche mediorientali è stridente con la brutalità che viene mostrata ma contribuisce alla forza di sequenze quasi insostenibili dal punto di vista emotivo.
Villeneuve dimostra ancora una volta il suo talento nella narrazione con un film che geometricamente alterna senza soluzione di continuità il passato col presente.
La donna che canta racconta il viaggio di Jeanne e il tormentato percorso di vita della madre con la loro grande somiglianza che suggerisce ellitticamente una sorta di identificazione.
Quella che Simon rifiuta a priori ma non è un semplice atto di codardia.
E' solo cercare di evitare un dolore sordo e lancinante ma soprattutto inutile. 
L'unica cosa che potranno fare è cercare di alleviare questo peso portando le lettere della madre a destinazione.
Perchè, per dirla nei termini del paradosso matematico evocato nel film, a volte 1 + 1 fa sempre 1....


( VOTO : 9 / 10 )

Incendies (2010) on IMDb

Mutants ( 2009 )

Con l'adrenalina a farla da padrona Mutants catapulta  fin dal primo secondo  lo spettatore in mezzo a un bosco innevato dove si sta consumando una lotta all'ultimo sangue tra esseri deformi cannibali ( zombie? in ogni modo i mutanti del titolo) e umani all'apparenza normali.
Una ragazza ferita e sporca di sangue riesce a fuggire, si trova in mezzo a una strada di montagna e un'ambulanza....
Interno ambulanza: una sta soccorrendo un ferito mentre un'altra donna in divisa punta un'arma contro di lei e contro l'autista che sta sfrecciando con l'acceleratore a tavoletta in mezzo a due file di alberi.
A sentir loro il ferito è a rischio trasformazione, quindi lo abbandonano e proseguono il viaggio.
Apprendiamo dalle parole di Sonia, l'infermiera ( o forse è medico ) che stanno cercando di raggiungere una base militare che sembra essere la salvezza dopo che un pandemia ha sterminato la maggior parte delle popolazione. Marco, colui che guidava l'ambulanza è il suo fidanzato e insieme arriveranno a un mastodontico edificio abbandonato (  un ospedale? un albergo? ) in cui cercare di mettersi in contatto con la base militare.
Marco è stato ferito e sta mutando. Sonia si prende cura di lui fino all'inevitabile trasformazione.
E comunque nella base presto non saranno soli.
L'inizio di Mutants lasciava presagire qualcosa di nuovo e veramente originale per quanto riguarda i film su zombies e affini.
Oltretutto Morlet ( che nei credits si firma con un ben più americaneggiante Morley) aggiunge alla ricetta già abbastanza corposa un' ambientazione inconsueta in mezzo a montagne innevate che fanno la loro porca figura e un'atmosfera postapocalittica grazie anche alla suggestiva location di questo mastodonte di cemento di cui sopra, spettrale per come è vuoto e disperso in mezzo a foreste.
Un' Overlook Hotel in salsa francese.
Il problema è che dopo una prima parte notevole per ritmo, efferatezza e ansia primigenia  il film poi si appiattisce sulla forma e sulla sostanza di tanti altri film d'assedio e di tortura .
Gli zombies sono là fuori ( anche se li chiamiamo Mutants la sostanza non cambia) mentre dentro c'è chi cerca di difendersi da loro commettendo stupidaggini una dietro l'altra.
Morlet non è certo  Romero o Carpenter, il budget a vista non sembra così faraonico, le riprese con macchina a mano per aggiungere concitazione ( oltre a  quel senso di mal di mare in chi guarda ) e gli snodi farlocchi della sceneggiatura    non convincono: la solita solfa dell'amor vincit omnia , la gravidanza di Sonia, i maltrattamenti subiti al limite del torture porn, qualche rigurgito di La Bella e la Bestia, gli "aiutini " che la protagonista trova inaspettatamente  lo rendono un prodotto nella media di tante altre opere del genere.
Ed è un peccato perchè viene buttata via una prima mezz'ora di film assolutamente notevole: intendiamoci la visione prosegue senza problemi fino alla fine , ci sono gli ingredienti giusti per divertire il fan irriducibile di schizzi di sangue, frattaglie e fegatini ( anche se la realizzazione in alcuni frangenti dà l'impressione di essere molto , molto economica ) ma manca quel quid, quello scatto in avanti che lo faccia emergere dal mare magnum dei dvd buttati nello scatolone delle offerte al supermercato.
Sicuramente da notare  la compenetrazione che esiste tra un genere molto caro al cinema horror americano ( zombie movie ibridato con il postapocalittico già europeizzato con successo in 28 giorni dopo di Danny Boyle ) e una messa in scena che riconduce senza mezzi termini agli stilemi del nuovo horror francese.
Nell'horror la chiusura è forse anche più importante se non fondamentale rispetto agli altri generi perchè necessaria per dare sostegno a quanto visto negli 80-90 minuti precedenti: in Mutants pur essendo abolito lo spiegone conclusivo killer di tante pellicole dalle buone intenzioni,  il finale è fatto di tutto il deja vù che riuscite ad immaginare.
Ed è un peccato perchè rimane la sensazione di un'occasione sprecata.

( VOTO : 5,5 / 10 )


Mutants (2009) on IMDb

mercoledì 25 luglio 2012

Small town murder songs ( 2010 )

In un paesino situato sulle sponde di un lago della profonda provincia canadese nell'Ontario, dove non succede mai nulla, tutti si conoscono per nome e la maggior parte della popolazione fa parte della comunità cristiana  mennonita (  beccami gallina se prima di questo film sapevo chi fossero , comunque tutte le informazioni del caso le trovate qui) è ritrovato il corpo di una giovane ragazza ,morta per asfissia da strangolamento.
Per i poliziotti del luogo che non hanno mai avuto a che fare con un omicidio è un caso troppo grosso , così vengono aiutati da colleghi della Squadra Omicidi arrivati appositamente dalla città.
Per Walter , sceriffo del paese, con un passato burrascoso gettato dietro le spalle anche grazie alla conversione al cattolicesimo e a un nuovo rapporto con la religione, vede questo caso come una prova da affrontare considerando anche che è coinvolta la sua ex fidanzata con cui non si è lasciato in termini precisamente amichevoli (e sto usando un eufemismo).
I suoi tentativi di risolvere le indagini cercando allo stesso tempo di aiutarla lo metteranno in gravi difficoltà di fronte ai poliziotti venuti dalla città.
Small town murder songs è una ballata dolente in cui onnipresenti musiche da chiesa sono contrappuntate dalla citazione di passi biblici che dividono il film in diversi quadri.
Una scelta estetica ( spesso le musiche sono abbastanza invadenti) che forse non a tutti sarà gradita.
Non è un thriller,è meglio definibile come un poliziesco dell'anima o addirittura un noir esistenziale  in cui  l'indagine viene quasi maltrattata dal regista Ed Gass-Donnelly che si interessa soprattutto del travaglio emotivo di Walter prigioniero della memoria di un passato impossibile  da superare senza traumi che si ripercuotono nella sua relazione attuale con una cameriera ingenua e timorata di Dio.
Altro tratto dominante del film è la descrizione di un ambiente spettrale in cui le barriere religiose diventano lo specchio di un'integrazione mai portata a compimento con il resto della popolazione da parte dei cristiani mennoniti che si ostinano anche a parlare il loro idioma derivato dal tedesco in una terra che si esprime in altre lingue.
La regia dilata le sequenze ( forse pure troppo, il film ha un ritmo piuttosto compassato, sembra più lungo dei suoi 75 minuti ) riducendo al minimo i movimenti di macchina riuscendo così a far assaporare allo spettatore la slowness della vita di provincia e a caratterizzare con poche opportune pennellate i vari personaggi in campo.
Walter ( uno Stormare gigantesco, in tutti i sensi ) domina incontrastato con i suoi sensi di colpa e le varie screziature di un'anima divisa in tanti frammenti.
Però lui rappresenta la legge, è anche lui il pastore di un gregge e quindi la sua missione diventa molto più importante della sua individualità.
A costo di annullarsi .
E questo per lui è il modo migliore per riscattarsi di fronte ai suoi concittadini.
Facile trovare assonanze con il western postmoderno alla Coen ( in fondo questo paesino dell'Ontario incarna alla perfezione il concetto di frontiera sia dal punto di vista reale che spirituale proprio per la contrapposizione tra cattolici e cristiani mennoniti ) ma è ancora trovare più assonanze con il cinema americano indipendente che sta guardando in modo sempre più insistente verso l'altra faccia dell'America ( penso ad esempio a Winter's bone oppure a Frozen river  che tracciano percorsi esistenziali diversi ma  ugualmente condizionati dall'ambiente).
Qui siamo in Canada ma in fondo la provincia e la sua capacità di nascondere mostri in grembo è un pò uguale da tutte le parti.

( VOTO : 7 / 10 )

Small Town Murder Songs (2010) on IMDb

martedì 24 luglio 2012

Animal kingdom ( 2010 )

Un ragazzo e una donna che potrebbe essere sua madre sono sul divano di fronte alla televisione. Il ragazzo sta seguendo uno stupido quiz a premi, la donna ha la testa reclinata , come se fosse addormentata.
E lo è , ma del sonno eterno. Si è appena sparata in vena un'overdose mortale. Arrivano due infermieri per soccorrerla ma non c'è nulla da fare. Il ragazzo  telefona alla nonna per informarla dell'avvenimento.
Il giovane Josh , minorenne, si ritrova così senza madre e catapultato a casa della nonna , una donnetta bionda e azzimata dai modi insopportabilmente melliflui che in realtà, dall'alto della sua posizione matriarcale è capo di una famiglia di criminali dediti alle rapine , allo spaccio e a qualsiasi attività che porti reddito. Oltre che agli omicidi.
Un diabulus ex machina , insomma, che ha lo strano potere di attrarre Josh e di respingerlo come fa il resto della famiglia che ti fa sentire protetto ma al contempo sempre sul filo del rasoio.
Animal Kingdom, esordio nel lungometraggio ( e tuttora pezzo unico ) di David Michôd è una crime story australiana che si avvale di una prospettiva originale, un taglio socio antropologico abbastanza inedito. 
Tutto viene visto attraverso gli occhi di Josh, il membro più giovane della famiglia, quello posto più in basso nella scala gerarchica.
Il film narra la lotta e la tensione della famiglia alle prese con la polizia che sta loro alle calcagna ma punta molto più sulla tensione e sull'atmosfera che sugli ingredienti classici del poliziesco ( tipo inseguimenti e sparatorie). La violenza esplode improvvisa e incontrollata magari dopo sequenze che mostrano le piccole cose che compongono la vita familiare, la regia provvede a svuotare il tutto  di quelle coreografie ad uso e consumo dello spettacolo che siamo abituati a vedere soprattutto negli action hollywoodiani.
Qui di colpi di pistola o di fucile ne vengono sparati pochi e vanno quasi tutti a segno.
E il sangue esce copioso, rosso rutilante che risalta ancor di più nel grigio della fotografia desaturata che lo circonda.
Il cuore del film è in realtà il dilemma che si trova ad affrontare l'ultimo arrivato in questa stramba realtà che si ritrova preso in mezzo da una famiglia che lo sta stritolando e dalla polizia che lo sta utilizzando come cavallo di Troia per portare in carcere tutti i componenti della banda rimasti a piede libero.
E il giovane Josh che a causa della famiglia ci ha rimesso anche la ragazza sceglie di risolvere il dilemma a suo modo.
Nè con la famiglia , nè con la polizia.

La vendetta per una volta è un piatto da assaporare bollente.
A suo modo Animal kingdom è un racconto di formazione, narra la crescita di un diciassettenne che è costretto a maturare troppo in fretta.
I personaggi contenuti in questo "regno animale" sono privi di fascino , impegnati nella loro quotidiana lotta per la dominanza e per la sopravvivenza, medi se non mediocri però capaci di crudeltà inarrivabili. E anche il personaggio del poliziotto interpretato da Guy Pearce ha più l'aria del grigio funzionarietto statale che del superdetective.
La vita criminale di Melbourne che fornisce una cornice molto anni '70 , è colta quindi con piglio semidocumentaristico ( da un autore che proviene dai documentari su bande criminali) senza fascinazioni di sorta da parte dei personaggi negativi e con dei poliziotti che usano metodi molto spicci ( e illegali) per risolvere i problemi che hanno con questa famiglia.
Ha vinto il premio della giuria al Sundance del 2010 , Jackie Weaver ( che interpreta la diabolica nonna ) si è guadagnata meritatamente anche una nomination all'Oscar come miglior attrice non protagonista.

( VOTO : 8 / 10 )  Animal Kingdom (2010) on IMDb

lunedì 23 luglio 2012

[•REC]3: Génesis ( 2012 )

Sposa insanguinata, sposa.....

Il primo [•REC] aveva prepotentemente portato sotto i riflettori la nuova moda di fare horror: quella del mockumentary mescolata alla tecnica del found footage. Un'iniezione di adrenalina dentro un sistema venoso affamato di brividi di paura . Il secondo capitolo aveva sostanzialmente confermato soprattutto la tecnica del primo ma con una storia molto più articolata e con degli snodi narrativi piuttosto duri da mandar giù. 
Il terzo capitolo che vede il solo Paco Plaza dietro la macchina da presa e che nelle intenzioni doveva essere un prequel o qualcosa di simile è in realtà contemporaneo agli avvenimenti del primo film che viene richiamato in maniera evidente con il riflesso dei demoni nello specchio che rimanda a quello della vecchia posseduta del primo film e in modo più subliminale quando per esempio in alcune scene negli schermi di televisioni accese compaiono immagini riconducibili all'epidemia del condominio da cui sembrava originare tutto.
Un contemporary-quel insomma. 
Ma c'è da divertirsi. E parecchio anche.
Tutto parte dal matrimonio di Koldo e Clara, giovani, belli e innamorati. Non una ma due telecamere riprendono l'avvenimento: una è tenuta da un invitato, l'altra dall'incaricato di fare il filmino delle nozze che ha  aspirazioni tenute a malapena  segrete di fare il regista di cose ben più ispirate ( parla di cinema veritè, di montaggio leggero, qualcosa alla Renoir insomma ...son parole sue).
E quando ormai si è rassegnati ad assistere al più innocuo filmino di matrimonio mai realizzato, uno di quelli da vedere neanche sotto tortura succede il macello.
Un massacro di proporzioni bibliche.
Succede anche un'altra cosa inaspettata e siamo circa al ventesimo minuto: Paco Plaza pur non rinunciando a fonti suppletive di punti di vista per le sue immagini (le telecamere di sicurezza per esempio) abbandona quasi del tutto la tecnica del found footage optando per una tecnica più tradizionale , una regia più elaborata che rinuncia all'aria fintoamatoriale che contraddistingue questo genere di films.
E già che c'è dà una rispolverata al coté religioso della saga in modo decisamente originale.

[•REC]3: Génesis quindi prosegue a rotta di collo con zombies sempre più affamati e crudeli contro non contagiati in cerca di salvezza all'interno del resort in cui si celebrava il matrimonio. Koldo e Clara sono separati dagli eventi e il film segue le rispettive traiettorie : Koldo si veste con l'armatura di San Giorgio e spadone mentre Klara dopo aver tagliato il vestito e mostrato un quadricipite femorale con giarrettiera da svenimento ( e l'amico che è con lei gradisce molto nonostante sia circondato da zombies) si arma di motosega per dissezionare cadaveri come se ci trovassimo nell'ultimo slasher americano.
Una goduria assoluta il delirio di sangue e frattaglie sparso per ogni dove, l'uso di armi particolari (oltre alla motosega e allo spadone direi anche un frullatore con cui asportare parte della faccia a uno zombie) e quel neanche tanto sottile senso di ironia alla Raimi che pervade il tutto.
Un 'ironia talmente sbracata e scorretta che fa sorgere il sospetto di un certo qual intento parodistico.
[•REC]3: Génesis ha un aspetto vintage da horror americano anni '80 con  colori accesissimi ma coniuga il tutto con la modernità  degli effetti speciali ( veramente notevoli) e con un linguaggio registico vivacissimo.
Paradossalmente il ritorno a una regia tradizionale fa quasi apparire vecchia la tecnica del found footage o del mockumentary che aveva creato il successo dei primi due capitoli della saga oltre che corroborare una moda partita dallo storico The Blair witch project.
[•REC]3: Génesis è una scheggia d'orrore impazzito che in 70 minuti scarsi non fa prigionieri.
A questo punto la curiosità per il quarto capitolo previsto per fine anno aumenta a dismisura.
E Letizia Dolero in abito da sposa è  di una bellezza che stordisce.


( VOTO : 7,5 / 10 )

[REC]³ Génesis (2012) on IMDb

domenica 22 luglio 2012

Cesare deve morire ( 2012 )

"Da quando ho conosciuto l'arte 'sta cella è 'na prigione."


Questa frase che testimonia la grandezza dell'arte, qualunque essa sia è uno dei messaggi  lasciati  dall'ultimo film dei fratelli Taviani, artefici di tante opere dal sapore spiccatamente  politico( e anche vagamente mattonesco per chi ha esplorato la loro carriera) quando il nostro cinema contava ancora qualcosa e che oggi , ultraottuagenari, si presentano con una nuova opera  girata in modo molto più moderno di quello che la loro età e la loro esperienza di lungo corso farebbe presupporre.
Cesare deve morire è comunque un film importante per l'Italia. Dopo oltre venti anni ci ha fatto rivincere un Festival internazionale importante ( l'Orso d'oro a Berlino) ma proprio per la sua estemporaneità, per la sua unicità nel nostro panorama cinematografico è un qualcosa di assolutamente paradigmatico dello stato di catalessi ( speriamo che sia morte solo apparente e non vera come molti affermano) in cui versa il nostro cinema di questi ultimi anni.
La storia è quella di una rappresentazione teatrale del Giulio Cesare di Shakespeare organizzata in un carcere e recitata da un gruppo di detenuti che si ritrovano a fare gli attori portando in scena più loro stessi che il personaggio shakespeariano.
Così ecco un Giulio Cesare in polo Lacoste che afferma la sua posizione gerarchica preminente anche nella realtà del carcere, ecco una rivisitazione del testo dell'immortale bardo usando ognuno il proprio dialetto, ecco l'approccio originale di tutti gli "attori" a personaggi che probabilmente hanno la ventura di conoscere per la prima volta.
L'unica critica che si può muovere è quella di aver forse descritto una realtà fin troppo idilliaca della vita in carcere, in una nazione come la nostra in cui i suicidi di detenuti sono all'ordine del giorno.
Ma descrivere una situazione molto più rosea della media non è assolutamente un delitto, anzi può essere un punto di partenza verso qualcosa di nuovo.
Cesare deve morire con la sua alternanza di bianco/nero e colore( con netto predominio del primo) non è teatro inscatolato in 16/9 ma qualcosa di più caldo e stimolante, è cinema ripulito da tutti gli orpelli, costruito su poche assi malferme di legno ultrastagionato e quattro pareti ammuffite che lasciano traspirare l'odore della propria immutabilità, con una regia volitiva e una macchina da presa che sembra instancabile a donare allo spettatore punti di vista sempre nuovi.
Arduo per chi non è abituato ma una fonte a cui abbeverarsi per chi ricorda la grande stagione del cinema d'autore italiano.
E qui sta tutta la preoccupazione: se questo film dei Taviani, il nuovo di Bertolucci, Bellocchio e pochi altri testimoniano di un ritorno in auge del nostro grande cinema d'autore , dall'altra si nota sempre di più un aumento della distanza tra questo tipo di cinema e l'altro che in Italia non è medio ( cioè confezionato con decenza ma tendenzialmente più vicino al pubblico che alla critica), ma solo assolutamente becero rifilato col taglia e cuci alla fiera del " bbona la prima! ".
Eppure Cesare deve morire non si nutre di astruse formule autoriali e di quella spocchia di tanto cinema da cinefilo snob.
E' costruito con una semplicità meravigliosa, con dei momenti assolutamente straordinari ( i provini in cui ci viene presentata la "compagnia attoriale" oppure anche il finale) e delle perle di saggezza che sfiorano il genio da parte di questi uomini segnati dalla vita e dalla detenzione ( "sembra che questo Shakespeare sia vissuto nelle vie della mia città" ).
Cesare deve morire è per loro un modo per evadere almeno per poco tempo da un'esistenza con i ritmi scanditi da altri.
Dopo la gioia del successo della rappresentazione quello che risuona comunque è il rumore di quella porta che si chiude dietro le spalle di ognuno.
Quel rumore metallico dello scatto della serratura rappresenta il ritorno alla dura realtà.
E con quello c'è lo scivolamento nella malinconia.

( VOTO : 8 / 10 ) Caesar Must Die (2012) on IMDb

sabato 21 luglio 2012

Himizu ( 2011 )

Trattandosi di Sion Sono, non mi sono potuto trattenere e e mi sono letteralmente catapultato sul suo ultimo film  per vederlo il prima possibile.
Himizu, tratto da un manga inedito in Italia, è però un qualcosa che è figlio sia della poetica trasversale e bizzarra del regista nipponico ma è soprattutto figlio dello tsunami che ha spazzato via un pezzo di Giappone.
E con lui si è portato via anche una parte della cinematografia di Sono.
Che rimane naturalmente agli alti livelli che gli sono consoni ma in questo caso è troppo evidente che un evento catastrofico come quello del Giappone si è abbattuto violentemente anche su questo film e sulla visione del suo autore.
Credo che sia inevitabile essere condizionati e sconvolti da quello che è accaduto nella tua tanto amata terra.
I rimandi allo tsunami sono continui e la devastazione che le immagini eloquenti come non mai rimandano allo spettatore è lo specchio delle macerie che sono dentro Sumida, appena quattordicenne ma con un visione della vita così acre e disillusa che pensa continuamente al suicidio.
Sumida ha un padre che lo picchia ogni volta che lo vede, fuggito chissaddove e che si ricorda della famiglia solo quando ha bisogno di soldi. Anche la madre stufa di stare nel capanno vicino al lago, decide di andarsene lasciandolo da solo con la sua corte di amici dropout come lui costretti, volenti o nolenti, ad un esistenza ai margini.
A cercare di infondergli l'amore per la vita è la sua compagna di scuola Chazawa che ha la pretesa di inculcargli il sogno di un futuro normale. Proprio lei che è così lontana dalla normalità, almeno quanto Sumida.
Sumida si sente morto dentro , è come se facesse pendant con la desolazione che lo circonda e per questo pensa che morire non sia poi tutta questa gran perdita.
La sua rinascita , l'urlo di non mollare mai nelle ultime sequenze diventa simbolicamente l'urlo di una nazione in ginocchio.
Un messaggio forse semplicistico, addirittura banale da leggere ma assolutamente necessario.
Himizu ( una talpa) è un'antologia della cinematografia di Sono in cui da una parte c'è una galleria di personaggi eccessivi e dalle psicologie quanto meno contorte, dall'altra l'iperrealismo figlio della distruzione portata dallo tsunami.
Sotto i riflettori in questo suo ultimo film sono soprattutto l'adolescenza difficile e la disgregazione familiare, con la famiglia che da ultimo rifugio diventa qualcosa di profondamente ostile. Qualcosa da cui fuggire.
Così sfilano disordinatamente yakuza caricaturali, un padre che vuole vedere il figlio(Sumida) morto per riscuotere l'assicurazione, una madre che preferisce fuggire con la sua ultima fiamma e lasciare solo il figlio, il quale  esplora il dolore e il sacrificio ogni giorno quasi con piacere masochistico, i genitori di Chazawa che hanno costruito una forca  fai-da-te per spingere la figlia al suicidio perché pensano che sia l'unico sfogo possibile della sua vita e della sua psiche deviata ( e invece la loro...),  mentre lei è  votata alla visione positiva della vita e con i suoi vezzi infantili riesce finalmente a scalfire la corazza di cinismo di cui si è rivestito Sumida.
In fondo Himizu è anche la storia del loro sentimento asimmetrico, un qualcosa che un giorno forse arriverà alla tanto agognata simmetria.
Dopo un incipit elettrizzante e disperato con Chazawa che declama versi nella pioggia , una panoramica a schiaffo che mostra solo un minimo della forza distruttiva dello tsunami dell'11 marzo scorso e Sumida che prende in mano una pistola per spararsi alla tempia, il film di Sono avanza gradualmente verso la speranza di farcela e di uscire dalle sabbie mobili imposte dal destino.
Himizu è anche la storia struggente di una nazione che si ritrova ad un nuovo punto di partenza.
E stavolta Sion Sono apre alla speranza come forse non aveva mai fatto nella sua cinematografia.
Presentato a Venezia 2011 , i due ragazzi protagonisti , Fumi Nikaido ( Chazawa) e Shota Sometani ( Sumida ) hanno ricevuto il premio Marcello Mastroianni per le loro interpretazioni.
Stavolta Megumi Kagurazaka, sogno eroticissimo inconfessato e inconfessabile scoperto in Cold Fish e ancora meglio in Guilty of Romance , è purtroppo relegata abbastanza sullo sfondo
Sion Sono e i suoi film  continuano a essere ignorati dalla distribuzione italiana.
Bravi! Continuate così!

( VOTO : 7,5 / 10 )

Himizu (2011) on IMDb

venerdì 20 luglio 2012

The Amazing Spider-Man ( 2012 )

Se una bella sera d'estate, un po' troppo calda perchè i vestiti ti si appiccicano addosso e neanche un aliito di brezza marina riesce a dare un minimo sollievo alla cappa afosa incombente, uno decide di andare al cinema , anche solo per godersi per un paio d'ore un ambiente climatizzato, può scegliere tra ben poche cose.
E ,dato che le altre sono state già viste per mancanza di alternative bisogna mettersi l'animo in pace , farsi il segno della croce ed entrare a vedere questo The Amazing Spiderman('mmazza se la cantano e se la suonano, già nel titolo dicono che è divertente).
Una visione inevitabile, quindi.
L'unica cosa che spero in cuor mio mentre sto entrando in sala è che questo reboot ( si chiamano così , no? )  non sia re-boot-ante come mi aspetto.
Le aspettative sono una brutta cosa soprattutto per chi ha molto gradito( se non amato) i film di Raimi sull' aracnide fatto eroe.
I primi due film soprattutto sono dei tasselli importanti nella storia del cinema supereroistico e se si pensa  che al grande Sam   hanno levato il progetto per divergenze monetarie e che quindi questo è un film dichiaratamente fatto al risparmio, beh , la prevenzione verso questo film aumenta a dismisura fino a diventare aperta ostilità.
Ma qui stiamo girando attorno alla questione senza affrontarla: è bello questo film?
La risposta è un bel no. Non può essere definito un bel film.  Forse per molti non sarà neanche così brutto ma io più ci penso e più mi sento preso in giro. Posso dire che è piaciuto ai miei figli, che può essere catalogato come intrattenimento ma cavolo, l'intrattenimento deve essere un minimo intelligente e qui invece  sovente si scavalla nella stupidità bella e buona.
Certo, conserva l'aria familiare di casa Spidey, ma  di un film che tende a livellare verso il basso tutto quello che era stato fatto in precedenza su Spiderman non se ne sentiva il bisogno. Quindi la visione per chi ha visto i film di Raimi è pleonastica anche perchè si rischia di entrare nel circolo vizioso del confronto.
E , spiace per questo nuovo Arrampicamuri di questa estate del 2012, non c'è confronto.
E' semplicemente un riassunto delle puntate precedenti a cui Marc Webb cerca di conferire un taglio spiccatamente umanista cercando di mettere al centro di tutto la storia di Peter con Gwen( forse perchè la commedia sentimentale è il suo campo, non è un caso che stavolta Gwen scopre subito la vera identità di Peter ) e non la lotta con lo scialbo Lizard interpretato da un Rhys Ifans veramente sprecato.
Se la grandezza di un supereroe si misura attraverso la statura dei suoi nemici , beh qui siamo messi male.Abbiamo solo un lucertolone gommoso che non mette neanche tanta paura. E non racchiude in sè neanche quel travaglio doloroso che ha reso grandi gli antagonisti dell'eroe dei film di Raimi.
A ripensarci bene anche la tuta dell'Uomo Ragno è fastidiosamente gommosa e nei duelli col lucertolone gli effetti speciali sembrano ben lontani dall'eccellenza ( e sto usando un eufemismo) a cui eravamo abituati da altre produzioni.
A meno che non sia stata fatta una scelta stilistica nel senso degli effetti vintage.
Ma probabilmente è stato fatto tutto un po' al risparmio , tanto al pubblico bastano una tutina rossa e blu e qualche ragnatela fatta di uno strano polimero.
Altra cosa spazzata via da questo The Amazing Spider-Man , forse proprio per quell'aggettivo contenuto nel titolo che gli impone di essere divertente a tutti i costi, è il senso di colpa che attanaglia Peter per la morte di zio Ben. Uno scherzo fatto dalle sliding doors del destino, niente altro e non ha nessuna implicazione o quasi sul proseguio del film.
Per non parlare poi dell'assassino dello zio che se andate a New York circola ancora libero per le strade, se ho capito bene.
Eppure... eppure il pubblico ha gradito pur con tutti  gli snodi risibili della sceneggiatura ( ad esempio il modo in cui lui riesce a imbucarsi alla blindatissima conferenza del dr Connors oppure  il fatto pur non sapendo un cacchio di scienza  risolve il problema di una proteina in cinque secondi dopo che il megaprofessore ci aveva studiato venti anni facendogli fare anche la figura del minchione) e la carenza di effetti speciali .
Che ormai senza supereroi al cinema si vada in crisi d'astinenza?
Però guardiamo i lati positivi: se lo avete guardato in una sala climatizzata avrete lo stesso trascorso due ore piacevoli non fosse altro per esservi sottratti alla calura estiva. E avrete mosso l'economia stagnante comprando il biglietto, magari la bibita e anche il popcorn.
Il problema è che a fine bibita e popcorn avanza troppo film.
E, visto che stiamo parlando di un inizio di una nuova saga , il finale se l'è mangiato il gatto.
Ah un'ultima cosa: Emma Stone bionda e tutta ordinatina   nun se po' proprio vede'.

( VOTO : 4 / 10 ) The Amazing Spider-Man (2012) on IMDb

giovedì 19 luglio 2012

L'amore dura tre anni ( 2012 )

L'amore durerà tre anni ma è veramente incessante e perpetua la pioggia di gnocche che si abbatte sul protagonista di questa commedia francese che va giù come un'orzata fresca quando fuori sono 38 gradi e non hai voglia neanche di muovere il muscolo elevatore della palpebra
Se la fortuna è cieca e la sfiga ci vede benissimo, se nell'ultima Biancaneve da grande schermo una superstrega come Charlize Theron ha a che fare con uno specchio truccato che continua a ripeterle che l'ex vampiressa Kristen Stewart è la più bella del reame rischiando la polverizzazione sul posto, allora si può credere anche a questo sfigatello un po' nasone che si ritrova superstrafighe che cadono ai suoi piedi senza che lui faccia nulla.
Donne come minimo da togliere il fiato, roba da popolare un'antologia dei migliori sogni erotici bagnati di una notte di mezza estate.
Potenza del casting!
La verità? Il cinema è oramai stracolmo di teste diciottenni racchiuse in corpi ultratrentenni che flirtano con il nonsense e che fanno le classiche castronerie da adolescente in fregola. Comincia a essere un genere a sè stante, quello del percorso formativo, del viaggio che porta al termine quell'età frastagliata che si pone tra l'infanzia e l'età adulta.
Il problema è in realtà i tizi in questione non hanno la minima intenzione di portare a termine 'sta benedetta  crescita.
Non Forever Young come cantavano gli Alphaville ( chi se li ricorda? ) ma forever minkions !
E se in film come questo che ha la pretesa di raccontare le piccole e le grandi cose che rendono una vita degna di essere vissuta, tutto è cool, si risolve con un drink al bar, un brunch nel ristorante alla moda e nella rincorsa affannosa per ricercare le labbra della propria dolce metà, beh allora c'è qualcosa di sbagliato.
Fermate il mondo che voglio scendere.
L'amore dura tre anni? Può essere o può essere anche di no. E se all'inizio dare un'orizzonte temporale così limitato a un amore può sembrare una nuova via  postmoderna e caustica di esaminare il sentimento amoroso, in realtà il film di Beigbeder è un qualcosa di già visto, incline al conformismo ( e al moralismo ) più stretto.
Lo stile molto gggiovane con la fotografia dai colori sparatissimi, le invenzioni grafiche e gli ammiccamenti continui allo spettatore e alla sua cultura cinematografica ( anche questi sembrano diventati una moda dopo che per una vita cinefila e anche più si è sempre pensato che fosse proibito per un attore rivolgere lo sguardo verso la macchina da presa) all'inizio intriga poi col passare dei minuti fa sorgere sempre più il sospetto che nasconda ad arte il vuoto pneumatico sottostante.
Trasposizione di un libro di successo di fine anni '90 ricco di aforismi pungenti  il film in realtà si rivela molto meno aguzzo nelle sue puntualizzazioni sul sentimento amoroso scoprendo ben presto la sua facciata conformista.
L'affermazione perentoria del titolo è destinata quindi ad essere sconfessata , così' come l'idea di un sentimento con data di scadenza incorporata come se fosse latte a lunga conservazione.
L'amore dura tre anni non è sgradevole , anzi, ma è film assolutamente dimenticabile, proprio come l'orzata con ghiaccio di cui sopra che va giù nel gargarozzo mitigando almeno per un attimo quel senso di arsura che attanaglia alla gola, date le condizioni climatiche.
Dmenticabile perchè pochi minuti dopo averla tracannata la sete riapparirà ancora più furiosa di prima.
Ecco il film di Beigbeder lascia questa sensazione: subito dopo c'è bisogno di qualcosa d'altro per appagare la sete di cinema in un'afosa serata estiva.

( VOTO : 6 / 10 ) Love Lasts Three Years (2011) on IMDb