I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

domenica 30 settembre 2012

Magic Mike ( 2012 )

Ci sono dei film per i quali non butteresti neanche un centesimo bucato e che invece non si rivelano stupidi come sembrano. E' il caso parziale  di Magic Mike , ultima fatica registica del poliedrico ( ma forse è solo confuso stilisticamente ) Soderbergh, uno dei misteri più gaudiosi del glamourama hollywoodiano, regista che ha mostrato sprazzi di talento abbacinante alternati a cadute di tono veramente imbarazzanti.
Dicevamo che l'ultimo suo film è meno stupido di quello che sembra: non stiamo parlando di un film con un quoziente intellettivo così alto ma sicuramente non è quello che si vede nel trailer.
C'è l'ambizione  di dire qualcosa di diverso e non di fare uno stucchevole apologo dello spogliarellista , di chi vuol esser lieto sia e del domani che non dà certezze.
L'intenzione è quella di creare una certa inquietudine riguardo a un futuro nebuloso  : il problema è che la seconda parte del film , quella in cui si approfondisce questo aspetto è la meno convincente, soprattutto a causa di  una certa , forse voluta , leggerezza di una sceneggiatura che cerca comunque di non essere così pessimista, più che altro possibilista.
E la tendenza è quella verso l'ottimismo.
E' evidente che il Mike è la faccia pulita dello spogliarellismo, uno che tratta questo lavoro esattamente come un altro perchè ha in mente già il suo avvenire ( ennesima versione dell'American Dream). Ed è lampante che The Kid è il Mike di dieci anni prima ma con la differenza che si è lasciato attrarre dal lato oscuro della sua professione rimanendone imprigionato ( vedi la storia delle pillole di ecstasy).
Quindi il confine tra pulito e sporco è veramente molto labile.
Devo dire che la prima parte è discretamente divertente: i numeri sono talmente kitsch da risultare simpatici con questi ragazzoni dai muscoli di polistirolo espanso che ballano, si dimenano e ammiccano a orde di femmine inferocite , perchè non sono semplicemente donne, sono solo schiave del loro flusso ormonale, viene fuori tutto l'animale che è dentro di loro.
Tra spogliarelli improvvisati, ammenicoli finti da far intuire in trasparenza, breakdance e strofinamenti vari la prima ora di film passa che è un piacere nel ricordo di quei Full Monty inglesi che però erano brutti sporchi e disorganizzati rispetto a questi Florida dream men, un concentrato di bicipiti a mappamondo e addomi tartarugati.
A dire la verità sembrano una versione XL ( in senso muscolare ) dei Village people ma senza essere gay.
Tatum si ricorda di essere un ballerino più che un attore, ma si carica il film sulle spalle ( o meglio sulle chiappe perennemente all'aria ), Pettyfer è abbastanza legnoso mentre McConaughey alla sua età non più verdissima sorprende sia per fisico che per livello di recitazione.
Magic Mike non è un film per sole donne  anche se non mi sorprenderei che durante la prima parte del film le appartenenti al gentil sesso comincino a manifestare rumorosamente la loro approvazione a tutta quella tagliata di  manzo esposta lì sul palco.
E' un qualcosa di medio che vuole essere commerciale ma non veicolare solo stupidità.
Forse è l'esatto specchio di quella che è stata fino ad ora la carriera registica di Soderbergh, un regista con velleità autoriali ( e la stoffa per esserlo ) ma che è irrimediabilmente prigioniero degli stritolanti meccanismi hollywoodiani.
Sicuramente non il suo film migliore ma siamo alla stessa maniera lontani dalle schifezze che è riuscito a regalarci in passato.

( VOTO 6,5 / 10 ) Magic Mike (2012) on IMDb

sabato 29 settembre 2012

Resident Evil : Retribution ( 2012 )

Sono affezionatissimo al brand Resident Evil, ricordo imperituro di una vita fa quando mi dilettavo con videogames ad alto tasso emoglobinico ( e le teste saltavano che era un piacere) o che mettessero addosso quella strana sensazione d'angoscia, un po' appiccicaticcia che ti accompagnava durante la routine quoidiana ( vedi Silent Hill, ragione di molte mie notti insonni).
Mi precipitai a vedere il primo film della serie al cinema, rimanendone moderatamente deluso ( questione di aspettative ) ma Milla con quel vestitino rosso aveva sfondato a colpi di Uzi il mio cuoricino palpitante.
Inutile negarlo: è lei la raison d'etre del brand Resident Evil.
Altrimenti sarebbe già morto e sepolto, anche perchè a livello qualitativo questa saga non ha mai brillato  anche se ha raccolto sempre un consistente successo di pubblico.
Nella corsa al ribasso non sfugge neanche questo quinto capitolo ( dei sei previsti) : Paul W. S. Anderson per rivitalizzare la saga come l'assassino torna sul luogo del delitto. Ripercorre cioè i film del passato e li usa come punto di partenza per una nuova (esile) storia da raccontare.
La moltiplicazione dei nemici spesso non giova e qui la Jovovich ,pur ritrovando vecchi amici visti qua e là nei film precedenti, si trova a combattere contro la Umbrella Corporation e anche con una numerosa schiera di non-morti. E accanto a nuovi nemici ne ricompaiono di vecchi.
La prima mezz'ora di film si trasforma inopinatamente in un riassuntone stereoscopico delle puntate precedenti e tutto sommato non è la cosa peggiore del film  perchè inanella diverse soprese : è chiaro fin dall'inizio l'intento di girare un film video gioco con i suoi vari livelli tra loro concatenati e con le sue diverse gradazioni di mostri fino ad arrivare ai boss di fine livello.
Il problema è che di nuovo c'è poco e niente: è evidente la volontà di frastornare il povero spettatore con un diluvio di sparatorie, inseguimenti e duelli all'ultimo sangue aiutati dalla computer grafica e dilatati da un uso ossessivo compulsivo del ralenti da parte di Anderson. Un utilizzo talmente eccessivo che appesantisce molte sequenze rendendole pachidermiche e interminabili.
Il cinema quindi non abita più qui: perlomeno quello buono.
Paul W.S. Anderson vuole rivitalizzare la sua saga che ormai ha compiuto dieci anni.
Ma è come mettere una flebo a un cadavere: in realtà a parte l'effetto revival, Resident Evil : Retribution ( dove retribution sta per castigo ) ha ben poco da offrire a parte qualche risposta lasciata in sospeso nei film passati e qualche domanda a cui dovrebbe rispondere il film successivo a questo.
E anche gli zombies sono ormai un pallido ricordo: non ci sono più i cari vecchi zombie che perlomeno un po' di paura la mettevano. In questo film sono utilizzati come tappezzerie,  ora sono carne putrida da macello senza alcuna valenza orrorifica, destinati unicamente al sacrificio sull'altare di Milla che assomiglia sempre più all'eroina di un film action tra pugni e calci rotanti e fughe in Rolls Royce che hanno molto di bondesco.
Milla è comunque sempre un bel vedere:nonostante  i segni del tempo si stiano depositando anche su di lei , nonostante il suo fisico non sia più quello di una volta , vederla vestita solo con una specie di francobollo di carta che sembra crollare da un momento all'altro è sempre piacevole.
Parlatene male ma parlatene: Resident Evil : Retribution ha il successo  assicurato, i numeri stanno dando ragione a questo quinto capitolo della saga che sta raccogliendo incassi forse insperati nonostante il budget consistente ( si parla di 65 milioni di dollari).
Ma se è così, allora fermate il mondo.
Voglio scendere.

( VOTO : 4 / 10 )


Resident Evil: Retribution (2012) on IMDb

venerdì 28 settembre 2012

Once ( 2006 )

Musica , parole e immagini per un suonatore ambulante e un immigrata.
Ci sono dei film che arrivano direttamente al cuore senza passare attraverso il cervello.
Once è uno di questi , un qualcosa che fulmina  al primo sguardo, un prodotto piccolo con un budget misero (si parla di 100000 dollari) però capace di toccare con gentilezza le emozioni più recondite con la sua musica e le sue immagini sgranate.
Due personaggi senza nome alle prese col loro breve incontro.
Passione comune la musica, un passato di sottintesi lui, una figlia e una madre a carico lei. 
Il cinema è pieno di brevi incontri a partire dq quello di Lean, ma questo ha una grazia particolare, una spontaneità difficile da reperire nel cinema odierno.
In più l'altra cosa che risalta subito è il centro di Dublino, città multicolore a cui è quasi impossibile resistere.
E qui entra in campo anche l'effetto nostalgia per chi quelle strade le ha percorse  qualche anno fa o in una vita precedente, la memoria di un viaggio ormai lontano nel tempo che come d'incanto si è riavvicinato in tutta la sua bellezza.
Once racconta la classica storia di  due solitudini che si incontrano: un suonatore ambulante che di giorno suona cover di gruppi famosi mentre di notte,nell'intimità della strada frequentata da pochi affezionati propone musica sua e  una giovane immigrata ceca ( ma che dimostra di essere già molto vissuta)  che nei rari momenti liberi suona il pianoforte e canta cercando di dimenticare le brutture della routine quotidiana.
La musica è vista come l' unico mezzo per evadere: lui oltre a riparare aspirapolvere nel negozio del padre,scrive canzoni per esorcizzare il ricordo di quella che doveva essere la donna della sua vita e che lo ha piantato in asso, lei che vende rose per strada e fa le pulizie in una casa di lusso, riesce a scacciare la malinconia solo in quell'oretta al giorno a cavallo dell'ora del lunch in cui suona il pianoforte messole gentilmente a disposizione in un negozio di strumenti musicali.
La loro è una vita che guarda ai rimpianti del passato senza coltivare nessun sogno per il futuro. 
Da soli.
Insieme invece ricominciano a focalizzare i loro sogni e insieme ad altri musicisti registreranno un demo che lui porterà a Londra,il paese di Bengodi di ogni musicista che si rispetti.
Once è un film minimalista che, seppur girato in economia non  è sciatto e con due protagonisti che colpiscono per la loro ingenua , toccante naturalezza. 
Come è toccante la musica che contiene: da Falling Slowly cantata per la prima volta insieme dai due nel negozio di strumenti musicali alle prove nella sala di registrazione con il gruppo ,impegnati giorno e notte a suonare e a rifinire le canzoni da registrare.
Pur se contiene molta bella musica non è un film musicale, i vari brani si incastonano perfettamente nella narrazione.
Once non è un film musicale così come non lo era The commitments, è una pellicola dove musica e immagini si fondono quasi magicamente, un film di sentimenti inespressi e di voglia di ricominciare.
Se non di rinascere per vivere un'altra vita . 
Favolosi i due protagonisti: Glen Hansard e Marketa Irglova. Il loro è stato un breve incontro anche nella vita reale, durato lo spazio di una stagione.
E la Dublino quasi rubata che fa capolino  dietro ai due e ai pochi altri personaggi fa scappare quasi una lacrimuccia....

( VOTO : 9 / 10 ) 

Once (2006) on IMDb

giovedì 27 settembre 2012

Non violentate Jennifer ( 1978) / I spit on your grave ( 2010)

Oggi un post un po' diverso dal solito a metà tra l'offertona di fustoni di detersivo  in cui due are better che one ( o erano i coni gelato? ) e l'esercizio vagamente masturbatorio di confronto tra un film e il suo remake.
Ho visto a stretto giro sia Non violentate Jennifer ( aka  Day of the Woman aka I spit on your grave ) datato 1978 e subito dopo ho visto anche quello che tecnicamente dovrebbe essere il suo remake, I spit on your grave, del 2010.
Dico dovrebbe perchè a visione ultimata ci si accorge che il film di Meir Zarchi è poco più di uno spunto di partenza. Se infatti le vicende appaiono parallele ( la storia della scrittrice in erba e pure belloccia che cerca isolamento totale in una casa in mezzo ai boschi per scrivere il suo libro e che invece trova la violenza carnale ad opera di omuncoli del posto, violenza a cui reagirà nel modo più brutale immaginabile) ci sono talmente tante differenze che è impossibile parlare di remake in senso stretto.
Diciamo allora che I spit on your grave del 2010 appare come una libera reinterpretazione di Non violentate Jennifer: sono introdotti altri personaggi, la vendetta della protagonista si espleta con marchingegni che possono ricordare alla lontana qualcosa dei film della serie Saw, nella seconda parte siamo più dalle parti di un torture porn che di un vendetta movie o di un rape and revenge  come invece era l'originale.
Interessante notare che sono entrambi figli tipici del loro tempo: se il film di Meir Zarchi era decisamente craveniano nella sua progressione drammaturgica e orrorifica con una messa in scena molto scarna per dare risalto alla violenza insostenibile perpetrata su una giovane colpevole solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, il film di Steven R. Munroe ha un'estetica decisamente al passo dei tempi.
La messa in scena è molto curata, quasi patinata e ciò crea uno scarto notevole con i mezzi di tortura inventati dalla giovane scrittrice, c'è un uso competente delle ambientazioni con interni soffocanti per squallore ed esterni angoscianti in mezzo a boschi uniformi da cui sembra impossibile fuggire, c'è un abbassamento dell'età media dei protagonisti maschili ( o forse negli anni '70 si invecchiava decisamente prima) , c'è una maggiore attenzione nel disegno dei personaggi che in Non violentate Jennifer erano decisamente tagliati con l'accetta.
E' evidente che i due film sono diretti a due target di pubblico diversi : se il primo film era stato fatto a costo zero per fare qualche dollaro nei cinemini di terzo o quarto ordine e il suo pubblico doveva essere per forza over 18 per le brutalità assortite mostrate da una telecamera che non si sottrae di fronte a nulla, il film di Munroe probabilmente per non incorrere nelle noie della censura che tanti problemi ( e tanta pubblicità postuma) diede all'originale, ma molto più plausibilmente per non incorrere in divieti che gli tagliassero una cospicua fetta di pubblico ( quello adolescenziale) è più "frenato" rispetto all'originale.
Quindi niente nudi frontali che abbondavano in Non violentate Jennifer, in compenso se la ragazza si vendicava senza troppi arzigogoli ( ma c'è una sequenza di perversione assoluta , quando lei castra il suo stupratore nella vasca da bagno, lo chiude nel bagno e lo ascolta mentre sta morendo, seduta in poltrona   e con un disco di musica classica a tutto volume, l'unica traccia di colonna sonora di tutto il film ), la vendetta nel film del 2010 è decisamente elaborata, forse pure troppo. E ci sono alcune cose che sono difficili da spiegare ( tipo come fa una ragazza gracilina come la protagonista a spostare e sollevare omaccioni che pesano anche il doppio di lei? ).
Altro particolare in controtendenza ma forse rientriamo sempre nel tentativo di evitare divieti: la scena dello stupro è molto più lunga e brutale nel primo film.
E , considerando che oggi su schermo passa praticamente di tutto , questo fa capire che tipo di shock possa essere stata quella sequenza lunga e raccapricciante per il pubblico di trenta anni fa.
Una cosa che invece mi fa pensare di come siano cambiati i tempi è la diversa importanza che viene data alle due parti distinte del film: se nel film originale le torture alla ragazza erano mostrate per filo e per segno e occupavano una parte consistente del film mentre i violentatori erano abbattuti a uno a uno anche con una certa rapidità, nel remake del 2010 il nucleo pulsante della narrazione è proprio la sezione riguardante la vendetta che acquisisce un peso specifico molto maggiore rispetto alla pellicola originale.
Un segno della parità tra i sessi , forse . Oppure un maschilismo meno accentuato rispetto agli anni '70.
Un ultima nota :  esteticamente tra Camille Keaton, la protagonista del film originale e Sarah Butler mi sento di preferire la prima che però è attrice molto più mediocre della seconda ( che nella versione italiana è doppiata in modo pedestre).
Nonostante la buona qualità complessiva I spit on your grave ( VOTO 6, 5 / 10 ) del 2010 è solo uno dei tanti torture porns che hanno affollato gli schermi in questi ultimi anni.
Non violentate Jennifer ( VOTO 8 / 10 ) invece è un cult la cui fama sta resistendo anche all'usura del tempo.

mercoledì 26 settembre 2012

Le mele di Adamo ( 2005 )

Adam , skinhead neonazista che ostenta una bella croce uncinata tatuata sull'avambraccio, appena uscito di prigione è costretto a passare un periodo di "riabilitazione" presso la chiesa del pastore Ivan.
Assieme a lui c'è un arabo dal grilletto facilissimo, un ex tennista cleptomane e alcolista ora sformato fisicamente e in un secondo momento si aggiunge anche una squinternata incinta.
Adam che dovrebbe essere la parte bacata di questa piccola comunità si accorge ben presto di essere quello più vicino al concetto di normalità o conformismo che dir si voglia.
Il suo sguardo si fa sempre più attonito quando si accorge che lui è forse l'unico che ha le rotelle a posto.
Uno che mette il crocifisso nel cassetto per far posto a un ritratto di Hitler.Quindi stiamo messi bene.
Ivan è un pastore che ha perso la moglie per suicidio, ha un figlio in sedia a rotelle per paralisi spastica ma si rifiuta di riconoscere quanto accadutogli. Tutte le cose negative che sono accadute nella sua vita vengono negate come per esorcizzarle.E tutto questo crea un effetto grottesco.
Forse ha perso la fede ma non riesce ad ammetterlo e quando Adam lo mette alle strette riguardo questo argomento molto delicato gli comincia a sanguinare un orecchio. Un simbolo di resa.
Ben presto il film rivela il dilemma alla sua base sotto la patina di ferocissima black comedy : fede o ragione?
Ivan ha dato un compito ad Adam ( qualcosa che c'entra col titolo, coltivare un albero di mele per poi farci una bella torta) ma tutto sembra accanirsi contro quell'albero: qualcosa che sembra sconfinare nel soprannaturale.
Tutto è filtrato dallo sguardo sempre più perplesso di Adam, uno che è abituato a usare più le mani che il cervello.
Le mele di Adamo racconta del paradosso in cui si confrontano un uomo di fede  sommerso di dubbi  riguardo il suo senso religioso e un ateo che invece nonostante tutto continua a non avere alcun dubbio o esitazione.
In questo sembra quasi che ci troviamo di fronte a una parodia de Il Settimo Sigillo di Bergman: tutti i dubbi religiosi sono esposti in modo  così ferocemente grottesco  che il travaglio naturale dell'uomo alle prese con qualcosa molto più grande di lui assume quasi connotati comici.
Si ride , però a denti stretti, strettissimi.
Il regista Anders Thomas Jensen , sceneggiatore di ottima qualità e assai prolifico ( alcuni film di Susanne Bier  o anche Mifune per fare un paio di esmepi) è apparentemente un figlioccio ideale del Dogma 95 ma il suo film sembra negarne il rigore stilistico a ogni inquadratura scardinandone i principi estetici con una fotografia brillantissima , dai colori squillanti che cattura ogni tonalità primaverile/ estiva oltre che ogni raggio di sole che sembra illuminare la pellicola.
In Le mele di Adamo Anders Thomas Jensen , sembra portare in dote dal suo padre putativo Von Trier la capacità diabolica di parlare di temi larger than life con toni surreali per non dire grotteschi.
Addirittura una sequenza verso la fine del film mi ha ricordato lo stile del misconosciuto Orphans , una delle poche prove registiche del grande attore Peter Mullan.
Rimarchevoli le prove dei due protagonisti: Ulrich Thomsen dà vita a un neonazista da operetta e il suo sguardo sempre più attonito è il leit motiv di tutto il film , mentre Mads Mikkelsen recita un personaggio  complesso senza scivolare nella caricatura.
L'impressione è che Le mele di Adamo nasconda molti più livelli interpretativi di quello che sembra a partire da tutti i riferimenti alla Bibbia ( e a Giobbe in particolare) fino ad arrivare ad elevatissime questioni teologiche ( Dio c'è? Ci vuole bene ? Ci vuole male ? Perchè ci deve mettere sempre alla prova? E che ruolo ha nella vita di tutti i giorni? )
Ma è apprezzabile anche "leggendolo" solo in superficie.
In Danimarca non esiste solo Von Trier!

( VOTO : 8 / 10 ) 

Adam's Apples (2005) on IMDb

martedì 25 settembre 2012

Lacrimosa - Revolution ( Hall of Sermon, 2012 )

Ricordo ancora come se fosse ieri quando dal mio spacciatore preferito di  dischi mi rigiravo per le mani il CD di un gruppo a me sconosciuto, i Lacrimosa. Il titolo era Stille e quando misi le cuffie ci mise ben poco a conquistarmi.
Eh sì , una volta prima di acquistare i CD si andava al negozio ( esistevano ancora!) si prendeva il dischetto in questione e si metteva nel lettore per un fugace ascolto.
Oggi si compra solo su internet e per ascoltare un sample di quello che vuoi acquistare basta collegarsi  a youtube, così giusto per non acquistare al buio.
Allora erano decisamente altri tempi.
Negli anni ho continuato a seguire fedelmente i Lacrimosa comprandoli sempre a scatola chiusa: diciamo che non c'è stata in questo tempo un'evoluzione molto marcata della loro proposta: un gothic sinfonico in cui la musica classica la fa da padrona, il piano di Tilo Wolff pure e con un accompagnamento robusto di chitarre.
La ricetta con poche variazioni in questi quindici anni è stata più o meno la stessa.
Sinceramente da un album intitolato Revolution mi aspettavo chissà quale novità e invece siamo sempre nel classico Lacrimosa style: la voce graffiante di Tilo accompagna partiture forse leggermente più aggressive del solito, chitarra , basso e batteria sembrano rivestire un ruolo più importante rispetto ai lavori passati.
Tutto bene quindi? Ehm direi benino ma non benissimo.
Anche se il duo si sta spostando più verso lidi heavy, direi che in Revolution manca la killer track, quella che ti si pianta come un chiodo nel cervello.
E' tutto abbastanza uniforme, anche più del solito e se le orchestrazioni sono sempre di ottimo gusto, così come il riffing della chitarra, i brani si susseguono gli uni agli altri senza particolari scossoni.
E così Revolution diventa un monolite di quasi 55 minuti che è veramente difficile  da metabolizzare tutto d'un fiato.
Altra cosa che a me dispiace moltissimo da fan fedele di lunga data è la scarsa presenza della voce di Anne Nurmi che qui viene messa inopinatamente in un angolino. Un vero peccato.
Tra i brani proposti credo che una menzione vada spesa per l'opener Irgendein Arsch Ist Immer Unterwegs con il pianoforte di Tilo Wolff in bella evidenza, un riffing di chitarra roccioso e un refrain abbastanza riuscito, per If the world stood still a day l'unico brano forse in cui svetta la voce della signora Wolff alias  Anne Nurmi, per l'orchestrale Feuerzeug che spazia tra il teatrale e il cabarettistico e  per la title track, dal piglio veramente aggressivo.
Purtroppo però i tempi di Copycat e del suo giro di basso assassino sono lontani.
Revolution ha quindi  poco di rivoluzionario ma si lascia ascoltare, senza infamia ( perchè i dischi dei Lacrimosa suonano sempre come meglio non si potrebbe ) ma purtroppo anche senza lode.

( VOTO : 6 / 10 )

Lasciami entrare ( 2008 )

Un film sui vampiri? Può darsi.
Un horror ? Sicuramente no. O meglio non solo.
Lasciami entrare narra sommessamente la storia d'amore tra Oskar ed Eli.
Hanno entrambi 12 anni.Ma Eli li ha da molto tempo....
Un film densissimo come la neve onnipresente, immerso nel silenzio e nella solitudine di un quartiere domitorio alla periferia di Stoccolma agli inizi degli anni '80, fatto di caseggiati tutti uguali e giardini sepolti sotto un soffice manto bianco appena sfiorato da impronte di passi.
Qui si incontrano due adolescenti dodicenni Oskar ed Eli. Lui è un tipo un po'strano che non ha il fisico nè il coraggio per diventare un capogruppo, un maschio dominante, vive la propria solitudine accanto ad una madre che quasi mai vediamo e a un padre complice ma tremendamente assente.
E'un bersaglio dei bulli della scuola e viene vessato continuamente.
Eli è accompagnata a un remissivo signore di mezza età, è vestita male, è fredda come il ghiaccio e vive solo di notte. Eli è un vampiro ma vive la sua condizione di diversità in maniera dolorosa, preferisce che sia l'uomo che l'accompagna che si industri a trovarle il sangue per nutrirsi, per lei assolutamente necessario.
Lei deve uccidere per vivere altrimenti sarà lei a soccombere.Ma lo fa con grande dolore.
I due empatizzano,si affezionano e si insegnano reciprocamente che cosa è l'amore, almeno quello platonico perchè è chiaro fin dall'inizio che tra di loro non ci potrà essere nulla altro.
Oskar prende consapevolezza gradatamente della diversità di Eli ma i suoi occhi sono da bambino e la vede dal basso della sua ingenuità.Lei stessa gli dice che per vivere deve andare via, se resta morirà, perchè è costretta suo malgrado, morto l'uomo che collaborava con lei, ad attaccare vittime più o meno volute o innocenti.
Ma ritornerà al momento giusto e si intuisce un lungo futuro insieme in una sorta di nemesi circolare.
Più che dell' horror questo film ha una sottile ma lancinante anima melò...il loro è un amore impossibile , non potrà mai essere consumato , non saranno mai appartenenti alla stessa razza ma per amore si supera questo ed altro.
Il vampirismo visto come malattia contagiosa trasmissibile che per zelo si cerca di non far espandere eliminando direttamente le vittime del morso,diventa una metafora di solitudine e diversità che insieme possono far male e anche tanto.
La messa in scena è minimalista, il ritmo compassato, la fotografia spegne tutti i colori uniformandoli a tonalità plumbee, gli effetti speciali sono veramente pochi e mai mostrati compiutamente.
E'evidente la scelta di andare controcorrente: di suggerire l'orrore, non di mostrarlo, un po' come si faceva una volta.
E il film ne guadagna di atmosfera ,diviene disturbante, entra sottopelle con la sua carica eversiva nello scardinare le coordinate del genere destrutturando di fatto tutta l'iconografia dei film sui vampiri.
Perchè Eli prima di essere un vampiro, è una bambina di dodici anni circa che non si ricorda da quanto li ha, prova sulla sua pelle che cosa vuol dire mangiare qualcosa d'altro oltre al sangue,una bambina che arriva per amore a minacciare quasi Oskar di suicidarsi perchè lui per ripicca infantile non la invita ad entrare e lei entra senza il suo consenso.
Ma Eli è anche la stessa che ritorna al momento giusto quando per Oskar le cose si stavano mettendo male in piscina e con furia nichilista in una splendida sequenza ovattata perchè vista in prospettiva subacquea mostra tutto il suo lato animalesco di predatore notturno uccidendo con bestiale ferocia chi minaccia il suo Oskar.
E parte con lui in treno....
Lasciami entrare è un film dal budget ridotto che ha quasi l'aspetto scarnificato di un film del Dogma 95 ma che in realtà svela molte finezze...
Oggetto di un instant remake americano che per una volta non ne stravolge lo spirito.

( VOTO : 9 / 10 )  Let the Right One In (2008) on IMDb

lunedì 24 settembre 2012

The possession ( 2012 )

Emily, figlia di un allenatore di basket appena divorziato dalla moglie,  in un mercatino da cortile , quelli in cui si svuotano le soffitte con articoli da rigattiere, tra le altre cose compra una strana scatola ( una scatola dybbuk), uno scrigno di legno antico con strane iscrizioni sopra.
Comincia a comportarsi in maniera strana e iniziano ad avvenire fatti misteriosi attorno a lei fino a che è chiaro che tutto proviene da quella maledetta scatola .
Parlare della scatola che contiene il demone non è affatto uno spoiler perchè proprio la sequenza iniziale del film ( tra l'altro una delle più efficaci) fa vedere la precedente proprietaria che vuole distruggere questo scrigno maledetto e forze invisibili le danno una bella trituratina d'ossa sballottandola da una parte all'altra della stanza.
The possession si iscrive di diritto nel genere di film  "bambini ( o al massimo adolescenti) posseduti" che fu inaugurato da film come L'esorcista o anche come Il presagio.
Nessuna pretesa quindi di essere originali però a vedere il film c'è qualcosa che non avevo mai visto in altri horror: un esorcismo fatto secondo la religione ebraica.
Infatti per risolvere la questione il padre di Emily si deve rivolgere a una comunità di ebrei ortodossi e uno di loro accetta esorcizzare la ragazza per cacciare il demone.
Naturalmente tutto è lasciato in superficie perchè probabilmente il film è diretto a una target di pubblico che non sa che farsene di discussioni sui demoni nella religione ebraica, ma è un qualcosa di abbastanza inedito.
The possession per il resto non brilla certo per originalità, tutto appare ampiamente già visto , però bisogna dare atto a Ole Bornedal ( al ritorno dopo tanti anni al cinema in lingua inglese ) di aver dato una convincente impronta visiva al film anche grazie alla fotografia gelida di Dan Laustsen che dona agli interni un aspetto anche più inquietante del dovuto.
Una casa nuova appena affittata diventa un concentrato di spaventi , le sue porte e i suoi corridoi assumono un aspetto che più spettrale non si può e poi c'è quella stanza con le falene, centinaia, migliaia di falene ( sicuramente in computer grafica ) che mettono più angoscia di qualsiasi mostro viscido e deforme.
Quindi se a livello di sostanza il film si dipana su coordinate ampiamente battute da altri, dal punto di vista della forma siamo nettamente sopra la media, tutto è perfettamente levigato, la regia distribuisce spaventi un po' per tutta la durata ( al contrario di molti altri horror in cui per una buona mezz'ora non succede nulla, qui si parte subito con una delle sequenze più brutali  di tutta la pellicola) e anche il livello di recitazione è più che adeguato.
Diverse scene clou rendono molto vivace il film: a parte la succitata scena iniziale del film e la stanza delle falene, c'è tutta la sequenza dell'esorcismo che è molto ben montata e realizzata ( con incorporata la citazione inevitabile a L'esorcista) e il confronto tra Emily e il compagno della madre, un dentista a cui con un solo sguardo fa marcire istantaneamente tutti i denti che ha in bocca.
Una sequenza che provocherà vero male fisico soprattutto per tutti quelli ( e sono tanti) che hanno un brutto rapporto col dentista.
 L'unica caduta di tono è la sequenza involontariamente grottesca della risonanza magnetica a cui è sottoposta Emily in cui  la faccia del demone appare ghignante a fianco del cuore .
Un plauso particolare va alla ragazzina , Natasha Calis che riesce benissimo a trasformarsi da adolescente innocua in devastante messaggera del male solo con uno sguardo.
The possession non è un caposaldo del nuovo horror , anzi ha un aspetto piuttosto vintage che lo rende ancora più apprezzabile.
Per una visione disimpegnata di genere, ci sta benissimo. Basta non pretendere troppo.

( VOTO : 6 + / 10 ) 


The Possession (2012) on IMDb

domenica 23 settembre 2012

Red lights ( 2012 )

Le Red Lights del titolo non si riferiscono a nessun quartiere particolare, generalmente molto frequentato nelle grandi città e neanche ad  alcun pensiero porcellonesco.
Le red lights sono quei particolari che stonano con lo sfondo, quei piccoli tratti distintivi che anche non volendo risaltano, sono la sabbia che fa inceppare un meccanismo perfetto.
La storia è quella di una psicologa, il dr Matheson ( S. Weaver) che da scettica per principio ha dedicato gran parte della sua vita a smascherare i  paragnosti o presunti operatori del paranormale che fanno soldi sfruttando la credulità della gente. L'unico che non è mai riuscita a smascherare è Simon Silver ( De Niro ) , una specie di divo del paranormale che dal nulla è ricomparso dopo trenta anni per un tour sold out nei teatri in cui dimostrare le proprie capacità divinatorie.
 Vere o fasulle?
Red Lights verte su questo dilemma partendo dal fatto che il dr Matheson  ha una sorta di timore reverenziale (spiegato poi durante il film) nei confronti di Silver e col passare dei minuti si trasforma in una lotta senza quartiere tra lei e il suo team di cui fa parte il dr Buckley, un fisico, e lo staff del potente Silver.
Il film di Cortès è quindi la descrizione di due blocchi contrapposti ben rintanati nelle trincee: da una parte chi crede e si rifugia nel paranormale, dall'altra una schiera di agnostici San Tommaso che invece di credere cercano di capire e comprendono solo quello che riescono a dimostrare scientificamente e a toccare con mano.
Ma allora esiste o meno il paranormale?
Ecco, Red Lights ha tra i suoi pregi quello di far restare questa domanda inevasa fino al gran duello finale in cui ognuno userà le armi a propria disposizione.
E ci sarà una sorpresa dal sapore shyamalanesco.
Pur catalogato tra gli horror, Red Lights è al massimo un thriller dalle venature soprannaturali in cui il regista tiene coperte le sue carte fino alla fine. La suspense regge abbastanza ma non è che ci si appassioni poi così tanto a questa storia soprattutto nelle seconda parte del film, quella in cui appare chiaro quali siano i contendenti.
Se Robert De Niro sfoggia il suo carisma teatraleggiante in una performance più furba che ispirata, Cillian Murphy appare decisamente a disagio in una parte poco sfumata alle prese con un personaggio abbastanza tagliato con l'accetta che nella sua performance tocca facilmente gli eccessi opposti, dalla quasi catalessi all'essere caricato a pallettoni.
Il problema fondamentale di Red Lights è che viene costruito con molto savoir faire, Cortès crea suspense praticamente dal nulla su un tema che tangenzialmente tocca o ha toccato la vita di parecchi ( chi non ha avuto a che fare , anche per sentito dire, con esperienze paranormali), confeziona un film che si lascia vedere ampiamente ma poi come un soufflè maledetto si sgonfia sul più bello, lasciando parecchio amaro in bocca.
Insomma promette ma non mantiene.
E il colpo di scena del finale che fa riconsiderare tutta la questione sul paranormale ( se esiste o non esiste) appare appiccicato come un post-it sul frigorifero.
Coproduzione ispano/americana ( molto del personale tecnico è spagnolo) ha avuto un discreto successo di pubblico in Spagna mentre negli USA è uscito solo in due sale raggranellando poco più di 50 mila dollari.
Ed è strano non puntare su un film con questo cast.

( VOTO : 5,5 / 10 ) Red Lights (2012) on IMDb

sabato 22 settembre 2012

Peste Noire - L'Ordure à l'état Pur ( La Mesnie Harlequin , 2011 )

Quanto è sottile la linea che divide genio e follia?
Sottilissima, a volte così sottile che è impossibile  distinguerla.
E quando mi trovo di fronte a un personaggio come Famine, mastermind dei blacksters ( definizione da prendere nella più larga delle accezioni, a parer mio ad esempio di black non hanno poi moltissimo) francesi Peste Noire, la domanda , come diceva qualcuno, sorge spontanea.
E' un genio o un folle? O è solo un imbecille patologico che si maschera dietro un'iconografia di dubbio gusto?
Ecco, nonostante tutto, io mi sento di dire di amare un artista come Famine che scompagina tutte le regole di ogni genere musicale per infondere la propria rabbia mista a disperazione in quello che suona e che canta.
Il suo è uno screaming sgraziato ma decisamente espressivo, le chitarre sono grezze, il suono della batteria spartano. Eppure questo disco nonostante la sua semplicità ( perchè la tecnica di Famine è assolutamente al di sotto di ogni sospetto ) è un vero giacimento di idee.
Ci si perde in un disco così, 5 brani per 60 minuti totali in cui ci sono continue variazioni di tema, follie assortite e una volontà precisa di sorprendere sempre l'ascoltatore.
Quando ascolto un disco dei Rush o un disco dei Dream Theater mi viene da pensare che le note a loro disposizione non siano solo 7, ma minimo una settantina.
Con i Peste Noire mi succede il contrario: per la loro musica sembra che ci vogliano molto meno di 7 note  eppure la loro proposta ti si installa permanentemente nel cervello, proprio in mezzo alle orecchie.
Il disco si apre con i dieci minuti e  rotti di Casse, Péches. Fractures et Traditions: dopo un paio di minuti circa di intro atmosferico e rumoristico che dà proprio l'idea di introdurre nel pianeta di Famine ( abitanti : uno, solo lui) il pezzo diventa una sorta di black 'n' roll dalla ritmica trascinante. Bastano circa tre minuti e gli strumenti elettrici vengono sostituiti da organetti, fisarmoniche e tromboni decisamente folk, da festa paesana per intenderci, su cui si staglia la voce impastata di un menestrello piuttosto alticcio che arringa la folla.
Un intermezzo veramente spiazzante da cui si riparte con accelerazioni virulente e uno stop, apparentemente definitivo verso il nono minuto.
Ma non è così: Famine sfodera tutta la sua attitudine punk per chiamare il tempo con un classico un, deux, trois , quatre e   condurre in porto l'ultima parte in cui il nostro si mette a fare il verso a un gallo il cui canto era apparso poco prima.
Dopo il black industrial del secondo pezzo ( Cochon Carotte et les sœurs Crotte ) tutto sommato più canonico del solito ci troviamo di fronte agli oltre 20 minuti di J'avais Rêvé du Nord, un brano che comincia con dei colpi di arma automatica e rumori di fondo a ricreare quasi l'atmosfera di una banlieue in rivolta ( banlieue metal?), continua con atmosfere tra doom e industrial e poi viene ammorbidito da inserti acustici con violoncelli e chitarra acustica su cui si staglia la voce celestiale di Audrey Sylvain che nel finale si esibisce anche in duetti ( o duelli) vocali con Famine. La bella e la bestia insomma, l'effetto è quello. 
Il disco termina con un brano autocelebrativo ( Sale Famine Von Valfoutre ) vagamente orrorifico e una sorta di trip acido e psichedelico ( almeno all'inizio) del sorprendente La condi hu, in cui viene fuori la vena malinconica del nostro eroe.
L'Ordure à l'ètat Pur, quarto full lenght dei Peste Noire  è un disco ipnotico che rivela tutta la teatralità di un personaggio come Famine.
Di gente fuori di testa nelle mie escursioni musicali ne ho incontrata tanta ( del resto il genere predispone non segnalandosi assolutamente per morigeratezza ) ma un personaggio come questo ancora lo dovevo incontrare.
Se è un genio o un imbecille lo deciderete dopo aver ascoltato questo loro ultimo disco.

( VOTO : 9 / 10 ) 

Paul ( 2011 )

Simon Pegg e Nick Frost dopo aver sezionato in casa ( la loro amata terra d'Albione) il cinema horror omaggiandolo con deferenza e quello poliziesco parodiandolo selvaggiamente ad alta velocità, stavolta ripropongono la destrutturazione dei generi cinematografici a loro tanto cara spostandosi direttamente sul luogo del delitto, l'amatodiata Hollywood terra di mille sogni cinematografici e cimitero di altrettante delusioni.
Per fare questo la loro sceneggiatura propone un alieno sui generis ( comunque non nell'aspetto, a suo modo vintage) ma nella caratterizzazione: sbruffone, non si sa fino a che punto millantatore, qualche problema intestinale di troppo, ama fumare e ballare al ritmo di Marvin Gaye.
Il Paul del titolo ,è un alieno adorabile o anche insopportabile a seconda dei punti di vista.
Pegg e Frost accettano volentieri di fargli da spalla non spingendo più di tanto la contrapposizione tra il loro essere fieramente british e il lato deteriore dell'America che frequentano: quella delle conventions tra fans di serie tv, libri di fantascienza  e fumetti e quella che è riuscita a tirare su dal nulla il turismo dell'alieno, da Roswell all'Area 51 e a tutti gli altri misteri connessi con misteriose apparizioni di UFO o forme viventi non convenzionali.
 Paul deve essere eliminato proprio perchè sa troppe cose ma gli inseguitori sono una masnada grottesca di incapaci.
Il problema del film è proprio in questo: i due protagonisti sono schiacciati dall'onnipresenza scenica dell'alieno che comunque porta in dote alcune scene francamente irresistibili, dalla telefonata a Spielberg per suggerirgli il soggetto di un film di successo, alla scena in cui fa resuscitare un uccellino appena morto per poi divorarlo in un boccone appena un secondo dopo.
Del resto , trattandosi di Hollywwod appare inevitabile l'evoluzione del personaggio di un alieno così scorretto politicamente in qualcosa di più malleabile e anche le sue capacità di guarigione vengono messe efficacemente a frutto. 
I due nerd inglesi, anche loro personaggi che avrebbero potuto far faville,  praticamente rimangono sullo sfondo oscurati anche da un accecante cameo di Sigourney Weaver nei panni di una cattivissima che però fa subito una brutta fine come vogliono le regole non scritte della cinematografia hollywoodiana, propugnatrice indefessa della teoria che il lieto fine fa moltiplicare gli incassi.
Paul da parodia degli alieni spielberghiani,da nipotino degenere di E.T. si trasforma in figura positiva , troppo corretta politicamente, lasciando decisamente una sensazione di amarognolo perchè fa pensare a un'occasione sprecata, a un film di compromesso per stare nell'alveo della produzione hollywoodiana.
Non ha insomma la carica dissacrante delle produzioni precedenti del duo, sicuramente più a basso budget ma decisamente più libere e scorrette.
Sarà che abbiamo tutti sottovalutato l'apporto della regia del bravo Edgar Wright qui sostituito dal più standardizzato Greg Mottola? 
Sta di fatto che Paul fa comunque divertire ma meno di quanto fosse lecito aspettarsi dalla genialità di Pegg e Frost.
Sarà l'influenza negativa di Hollywood?

( VOTO : 6,5 / 10 )  Paul (2011) on IMDb

venerdì 21 settembre 2012

La casa muda ( The silent house, 2010 )

La casa muda ( titolo internazionale The silent house ) è un piccolo caso cinematografico nato in quel di Cannes, sezione Quinzaine des realisateurs, e poi dilatatosi a macchia d'olio con il passaparola fino a diventare il rappresentante del cinema uruguayano alla corsa degli Oscar nell'anno successivo.
Un horror girato in quattro giorni, con quattro attori in tutto e in pochissimi ambienti che riprende fatti reali avvenuti negli anni '40.
Tutto si svolge nella casa del titolo in cui trascorrono la notte padre e figlia che si stanno accingendo a comprarla. Ma alcune presenze inquietanti renderanno interminabile questa notte.
L'altra particolarità che ha fatto aumentare la notorietà del film prima che fosse visto è stilistica.
A prima vista La casa muda è girato in un unico pianosequenza che dura circa 79 minuti. Tutto girato apparentemente in tempo reale.
Insomma un esercizio di alto stile e di equilibrismo acrobatico.
Qualcosa comunque mi dice che non è così.
Che diamine se il pianosequenza più famoso della storia del cinema, i 7 minuti finali di Professione reporter di Antonioni dopo anni e anni si è scoperto che era da dividere in due scene grossomodo della stessa durata, perchè non pensare , o meglio sospettare che il prode nonchè sconosciuto Gustavo Hernandez possa aver un attimo usato qualche trucchetto per dividere il film?
Anche perchè le occasioni le avrebbe, ci sono dei momenti che sembrano adattissimi per degli stacchi che possono sfuggire a occhio nudo. L'impressione che si ha guardando il film è che al nostro Gustavo ( a uno che gira film con due-soldi-due e ci mette un sacco di idee comunque gli voglio bene )  piaccia tanto muovere la telecamera e che allorchè questa telecamera si muove ponendo il suo occhio meccanico su certi particolari e non su altri, gli garbi parecchio di cambiare le carte in tavola creando accelerazioni di battito cardiaco e suspense in modo abbastanza premeditato e anche un po' disonesto, lasciatemelo dire.
Estrae tutti i trucchi , ma proprio tutti dalla valigia del perfetto film de paura, riuscendo perfettamente nel suo scopo e azzecca tra le altre una sequenza particolarmente ansiogena in cui il buio totale è rotto a intermittenza dai lampi di luce dati dal flash di una polaroid.
 Una sequenza di brutale suspense in cui il  cuore ti si piazza direttamente in gola  facendo cucù appena dietro le tonsille.
Altra sofisticazione che però stavolta trova il mio plauso è quella di forzare una sorta di identificazione dello spettatore nel punto di vista della ragazza di fatto fuorviandolo perchè scopriamo che questo al massimo è un punto di vista parallelo a quello della  protagonista. E tutto viene preannunciato da movimenti circolari della macchina da presa che nascondono sempre cambiamenti di scenario o di piccoli particolari sempre estratti dall'armamentario dei trucchi per mettere paura.
Con un'estetica in parte mutuata al genere del found footage ( fotografie, molta macchina da presa a mano, illuminazione praticamente quasi del tutto abolita) La casa muda cerca di intraprendere nuove strade nell'horror a bassissimo costo cercando di non essere solo mero esercizio stilistico che si pone tra The Blair witch project e uno delle tante ghost stories ambientate in case maledette.
Soppesando tutto  si può affermare che La casa muda  non dice nulla di nuovo ma lo dice in bello stile perchè probabilmente sarà ricordato soprattutto perchè apparentemente girato in unico pianosequenza ( ma io continuo a dubitare).
Dotato di pochissimi dialoghi e di alcune vistose lacune logiche ( ma perchè Laura dopo quello che è successo continua a girare per la casa?), nonchè dell'assoluta mancanza o quasi di spiegazione a quello che è successo, La casa muda è stato oggetto di un instant remake americano sceneggiato dallo stesso Hernandez e diretto da Chris Kentis e Laura Lau,  che giusto per non creare confusione si intitola The Silent House.

( VOTO : 6 + / 10 )  The Silent House (2010) on IMDb

giovedì 20 settembre 2012

Prometheus ( 2012 )

Ragioni per andare a vedere Prometheus:
- è il prequel di Alien o almeno viene considerato come tale dal  suo autore ( anche se lui nega ) e da quelli che lo hanno visto.
- la sci-fi mi piace anche sbattuta in faccia , da quella no budget a quella miliardaria quindi non vedo il motivo per rinunciarci.
- sono mesi che sento parlare di questo film da gente o che l'ha visto all'estero o che se l'è visto in modi non precisamente legali e tutti mi hanno fatto brutalmente salire l'hype con comparsa di segni clinicamente preoccupanti quali tic nervosi, movimenti inconsulti, salivazione azzerata con la spiacevole sensazione di avere un sorcio di velluto in bocca, umore variabile dal cattivo al pessimo.
Insomma se non lo vedo rischio di fare una strage.
-parecchi di quelli che lo hanno visto mi hanno detto anche che gli è piaciuto molto per cui si ritorna al punto di prima.
- mi sono precipitato a vederlo al cinema quanto prima possibile per evitare le mitragliate di spoilers che rischiavo di leggere per ogni dove.
- c'è la Champions League, quindi si presume che il cinema sia  vuoto.

Ragioni per non andare a vedere Prometheus:
-Cosa? Un prequel di Alien? Non se ne parla proprio. Alien ha cambiato la mia vita cinematografica, da piccolo avevo la passione per le porte automatiche e avrei voluto vivere sulla Stazione Lunare Alpha ma la Nostromo con i suoi incredibili corridoi mi andava benissimo per i piccoli spostamenti e questo rischia di sporcarne la memoria?
- Sigourney Weaver che si spoglia e rimane in slippini e canottierina è una della visioni bagnate che ha accompagnato gran parte della mia adolescenza. A vederla Noomi Rapace col suo aspetto da tronchetto dell'IKEA di quelli che usano alle inaugurazioni non mi pare avere il physique du role.Charlize Theron invece la seguirei anche sul pianeta più lontano della galassia ma temo che non sia lei la protagonista ( che destino ingiusto, cinico e baro! ). Cercherò comunque di non rumoreggiare quando la vedrò in scena, evitando di urlarle tutto il mio amore.
- Ridley Scott da un po' di film a questa parte dimostra di essersi abbastanza bevuto il cervello, ma deve averne bevuto di quello buono, di Un'ottima annata ( marchettona provenzale vomitevole).
- Quando un regista di successo di una certa età ritorna agli albori della sua carriera per cercare nuovo slancio allora vuol dire che è arrivata l'ora della pensione.
-Ne ho sentito talmente parlare e in cuor mio ho tante di quelle aspettative che temo di provare una delusione    cocente da Prometheus, indipendentemente da che tipo di film sia.

Passando davanti al chioschetto dei popcorn gli lancio una gufata che gli si blocchi la macchina per evitare di sentire rumori di sgranocchiamenti ma evidentemente non è cosa.
Prometheus mi accoglie bene : scenari naturali maestosi, inospitali che visivamente impressionano. E si entra subito nel vivo dell'azione con un culturista pelato che beve una strana cosa, si disntegra e cade nelle acque.
Boh!
Diciamo che i 40 minuti introduttivi sono funzionali, riescono a far entrare nell'atmosfera e anche l'intelaiatura visiva del film è notevole: nonostante anche all'interno dell'astronave si respiri aria di dolce stil novo , è tutto così familiare ma ci sono quei blu profondi e qui gialli squillanti che su grande schermo sono decisamente appaganti.
E quel caschetto con la visiera gialla è proprio una figata. Lo voglio!
Questa è una costante di tutto il film: Prometheus è veramente bello da vedere ma non come un acquario che stai lì a guardare i pesci tropicali supercolorati e dopo cinque minuti ti rompi i marroni.
In Prometheus c'è tanto , forse anche troppo da vedere,succedono cose , vedi gente e siccome ne accadono di cotte e di crude in continuazione cominci a farti l'idea che è un film che procede sull'accumulazione. Una specie di arma di distrazione di massa per evitare che uno stia a pensare a tutte le magagne che si nascondono nello script.
Il nuovo film di Scott è in un limbo sospeso tra passato e futuro.
I mostri disegnati da  Giger lo legano al passato  con quell'aspetto sempre inequivocabilmente legato alla sfera sessuale, tipo quella specie di cobra falliforme che incontrano i due astronauti sfigati che invece di scappare a gambe levate ( cazzo! ma non l'avete mai visto Alien nemmeno all tv ?) si mettono a fare pucci pucci bao bao micio micio a questa orrida creatura che naturalmente se li magna seduta stante in una sequenza molto succosa in cui si tifa per il mostro perchè due così sono degni dei Darwin Awards quindi è meglio che muoiano subito senza perpetuare il loro codice genetico.
Ma è un film proiettato nel futuro con alcune trovate gadgettistiche veramente notevoli come la sala operatoria automatica che è al centro di una delle scene più horror del film.
Ecco pensavo che rispetto al primo Alien considerato da molti più horror che sci fi , Scott si fosse addomesticato e invece picchia duro, durissimo per uno che non ha mai nemmanco sfiorato l'estetica horror.
Qui lo schifometro per quanto riguarda i vari mostri di carne viscida e baviccio incorporato è veramente ad alti livelli.
E naturalmente ...CE PIACE!
Ma stiamo parlando solo dell'aspetto visivo che effettivamente ti stende come può fare solo un montante al fegato, ti fa cadere a faccia in avanti.
Prometheus visivamente rischia di diventare la pietra di paragone di molto cinema sci-fi a venire e poi voglio urlarlo al mondo intero:  E' MEGLIO DI AVATAR E DEI SUOI PUFFI NEW AGE ! ( non che ci volesse molto e comunque anche qui c'è un intermezzo new age con Fassbender che gioca con le palle e con le lucine. A proposito di Fassbender : peterotooleggia alla grande candidandosi fin da ora per il ruolo da protagonista nel remake di Lawrence d'Arabia ).
La sceneggiatura invece ti fa nascere moltissimi dubbi e questo vuol dire o che a un certo punto gli sceneggiatori hanno perso il controllo cercando scorciatoie oppure che ci sono talmente tante cose da spiegare che gli spettatori verranno informati nei film successivi ( si parla di una trilogia).
Anche così però ti resta un po' d'amaro in bocca : le domande rimangono inevase : perchè per esempio deve nascere un mostro tentacolato, una specie di polpo, da una donna sterile che si è accoppiata con un uomo contaminato da liquidi organico di culturista pitturato di bianco? è una cosa non interracial ( scusate il gergo da YouPorn) ma interspecies?
Per non parlare poi di tutte quelle menate cosmico filosofiche tirate fuori durante il film che hanno il compito di spezzare il ritmo ( che è veramente notevole, succedono cose in continuazione) senza infrangere troppo l'epitelio testicolare. A naso direi che non tutto funziona per il verso giusto dal punto di vista logico ma per accertarmene dovrei rivederlo.
Per godersi al meglio Prometheus bisognerebbe dimenticare del tutto Alien ma come si fa?
Anche perchè bastardamente Scott e i suoi fidi sceneggiatori ( tra cui Damon "Lost" Linderof) infilano per ogni pertugio tutti i riferimenti possibili all'ilustre progenitore.
E quindi la visione rimane fortemente condizionata perchè tu guardi Prometheus , pensi ad Alien e piangi perchè finalmente hai capito che un film così è un capolavoro unico e irripetibile ( e l'aveva capito anche Cameron cambiando totalmente atmosfere nel suo Aliens- Scontro finale ).
Come ho detto prima  Prometheus è un film che appaga le cornee e meno cuore e cervello.
Per essere un punto di partenza di una nuova saga sci-fi può anche andare bene ma sicuramente non è esente da difetti.
Una domanda fondamentale: ma che hanno fatto a Noomi Rapace per farla sembrare la sorella tracagnotta di Sandra Bullock?
Ah quasi dimenticavo: ma perchè usare Guy Pearce truccato da vecchio bacucco che sembra appena uscito da una session di trucco de I soliti idioti?

( VOTO : 6, 5 / 10 )

Prometheus (2012) on IMDb

mercoledì 19 settembre 2012

Salvador 26 anni contro ( 2006 )

Decisamente una bella sorpresa questo film spagnolo tratto da una dolorosissima vicenda realmente accaduta.
Un' opera  come questa rappresenta il classico incrocio tra la Storia con la S maiuscola, quella scritta sui libri che si studiano a scuola e la vicenda personale lontanissima dai riflettori.
In Salvador 26 anni contro si  racconta la storia dell'ultima esecuzione fatta in Spagna col metodo della garrota, tremendo strumento di morte che ti spezza le vertebre cervicali tra atroci sofferenze.
La vicenda di Salvador Puig Antich ( il suo nome è il titolo originale) risalta negli ultimi anni della dittatura franchista infarcita di repressioni, di sospensione dei diritti civili, di violenze e di prevaricazioni di ogni tipo.
Lo stile cinematografico con cui è raccontata è assolutamente coinvolgente, chi non è toccato nel profondo da un film come questo sicuramente ha una pietra al posto del cuore. La ricostruzione dell'epoca, gli anni 70, è assolutamente puntigliosa: raccontando la vita di Salvador si poteva incorrere facilmente nell'agiografia ingiustificata ma per fortuna non è questo il caso.
La prima parte è un resoconto dettagliato di tutte le attivita'politiche, di protesta e criminose (rapinava banche insieme ad altri complici per finanziare la lotta politica) di Salvador e dei suoi amici.
Con le dovute proporzioni l'impostazione di taglio realistico e l'atmosfera ricordano molto Munich di Spielberg, anche questo spaccato assai fedele al reale di un pezzo di storia degli anni 70 ambientato in altre parti d'Europa, o anche il nostrano Romanzo Criminale .
Questa prima parte è la meno intensa dal punto di vista emotivo , i personaggi sono ben delineati, lo spirito di quegli anni in un paese dove la democrazia era sospesa è ben ricostruito, la vita di Salvador appesa ad un sogno per un mondo migliore precipita nel baratro dell'utopia quando viene catturato e ferito gravemente in una sequenza concitata, violentissima, adrenalinica ma che alla fine quasi scompare nel contesto.
Quello che conta è che Salvador viene accusato di omicidio (durante la cattura muore un poliziotto in maniera abbastanza casuale) e in un processo farsa militare viene condannato a morte in risposta all'ondata di attentati che in quel periodo sconvolgeva la Spagna.
Salvador Puig Antich ( 1948-1974 )
E se in questa prima parte il film era un notevole esempio di cinema di genere, quando si entra nella spoglia cella d'isolamento in cui è rinchiuso Salvador il cinema  vola altissimo,non solo grazie alla notevolissima interpretazione dell' ispano-tedesco Bruehl (eccellente anche in Goodbye Lenin,commedia tedesca di gran successo), di Ulloa, di Sbaraglia o dello strepitoso cast femminile ma soprattutto per la carica emotiva che si riesce ad innescare nello spettatore.
La vicenda umana, personale di Salvador assume carattere universale, diviene un duro, accorato pamphlet contro la pena di morte come e piu'del bellissimo Dead Man Walking di cui ripercorre il sentiero.
Quando arriva la notizia che tutte le istanze sono state respinte, che l'interessamento del Papa e di tutte le piu'alte personalita'del mondo civile è risultato vano, quella prigione in cui non c'è neanche un impianto elettrico decente, quell'oscuro antro si trasforma in trappola mortale senza alcuna via d'uscita.
Ed è un crescendo di emozione e di commozione fino alla brutalita' che avviene sotto i nostri occhi con un boia che è come se timbrasse un cartellino, che ha fretta di tornare a casa dopo aver svolto il lavoro.
I vari metodi di omicidio di Stato come iniezione letale, impiccagione, fucilazione o sedia elettrica non hanno neanche un minimo della brutale ferocia della garrota, strumento di morte che sconvolge, che sconvolge per davvero.
E non si possono non condividere le battaglie per fermare la pena di morte, omicidio di Stato legalizzato.
Lo stile registico complessivo è asciutto ma creativo, l'empatizzazione tra Salvador e Jesus, la guardia carceraria, i loro discorsi, le loro partite a basket nell'ora d'aria forse hanno un sapore di gia'visto ma cio'non toglie nulla alla carica emotiva del film, alla commozione che avanza alla passione con cui è raccontata la storia.
Alla fine Salvador come l'Antoine de I 400 colpi mettera'i piedi nell'acqua,come gli racconta una sorella poco prima dell'ultimo abbraccio...
Una rosa rossa è ancora li',sull'asfalto,sotto la pioggia.....

( VOTO : 8,5 / 10 )  Salvador (Puig Antich) (2006) on IMDb