Il capitano Robinson ha un matrimonio fallito alle spalle, un figlio che praticamente non ha mai conosciuto e ora è stato licenziato dal suo lavoro di comandante di sommergibili.
Disperato, accetta una missione impossibile prospettatagli da un suo conoscente: recuperare nelle profondità del Mar Nero il relitto di un sommergibile tedesco naufragato nella Seconda Guerra Mondiale e che trasportava oro dalla Russia alla Germania di Hitler.
Missione potenzialmente suicida, da condurre in un Mar Nero stracolmo di navi da guerra russe e da tentare con un equipaggio ( per metà inglese e per metà russo, il sottomarino è russo e pare che ci sia un solo marinaio in grado di parlare inglese e russo) che sia disperato almeno quanto il capitano.
E naturalmente la vita negli anfratti angusti del sottomarino e tutto fuorché facile.
Le tensioni verranno presto in superficie mentre il sottomarino , un residuato bellico, va sempre più a fondo...
E' assai rischioso ambientare un film quasi interamente tra le quattro pareti metalliche e arrugginite di un sottomarino che sembra attrezzato solo per una missione suicida.
Rischioso per uno come Kevin McDonald, documentarista di grido abituato agli spazi aperti e che ha deciso da un po' di film a questa parte di passare dalle parti della fiction sempre più spesso.
E lo ha fatto in maniera robusta, magari non ha sfornato capolavori ma ha sempre fornito prove di un certo spessore.
La stessa cosa è successa con questa sua ultima opera: forte di uno script intenso ad opera di Dennis Kelly ( la mente brillante e distorta che sta dietro a una delle migliori serie tv inglesi degli ultimi anni, Utopia) sviluppa un'idea di cinema molto classico , in un certo senso anche sorprendente visto il suo pedigree artistico e quello del suo sceneggiatore.
Black Sea è un ibrido avvincente di cinema di guerra e di avventura a cui McDonald si approccia con piglio guerriero un po' come un Aldrich degli abissi che dirige la sua sporca dozzina a spasso per le profondità del Mar Nero contro un nemico che non esiste e con fantasmi incombenti che rendono ancora più difficoltoso discernere il cammino giusto.
In realtà l'ambiente chiuso del vecchio sottomarino sovietico più che un Nautilus verniano alla ricerca di meraviglie è un campo di battaglia umidiccio in cui consumare un duello all'ultimo sangue perché la missione vera non è andare a recuperare quel maledetto oro anche a costo della vita ( e quell' U Boot adagiato è il simbolo ultimo e supremo di una caccia al tesoro), la missione è sopravvivere alla convivenza da subito difficile tra inglesi e russi che non hanno il piacere di condividere nulla, ma proprio nulla, neanche una lingua in comune per esprimersi e potersi capire con più facilità.
O meglio c'è una specie di ponte levatoio tra i due gruppi, ma è un personaggio che muore subito accoltellato per futili motivi, per la stupidità conclamata di uno di quei marinai disperati facente parte di quella ciurma raccogliticcia assemblata dal capitano Robinson.
L'ulteriore testimonianza che il libero arbitrio è stato gentilmente concesso all'uomo solo per distruggerlo più facilmente.
L'unico che sembra conservare sale in zucca, l'unico che riesca a trovare sempre una via d'uscita è proprio lui, il comandante.
Al capitano Robinson dona volto, voce e corpo un Jude Law gonfio e disilluso, lontano dall'essere quel sex symbol con gli occhi di ghiaccio che era qualche decina di kili fa.
Ma il suo è un personaggio terribilmente cazzuto e la sua prova è matura, forse per la prima volta guardandolo in un film ho l'impressione di trovarmi di fronte a un attore fatto e finito, uno che ha trovato finalmente il suo completamento artistico.
Black Sea è un film di lupi di mare a cui hanno levato il mare,il mezzo acquatico in cui si muovono meglio ( come dice anche uno dei personaggi: sulla terraferma sono goffi come pinguini), uomini senza un perché alla ricerca dell'occasione della vita, da una certa prospettiva può essere inquadrato anche come cinema figlio della crisi economica e morale di un'umanità sempre più assoggettata al dio denaro, è un film che ha il mare nel titolo ma praticamente non lo mostra mai , visto che è una massa nera amorfa invisibile che soffoca e distrugge, è la storia di un capitano il cui peggior nemico non è un mostro marino, ma è qualcosa che ha lasciato a terra, la sua vita ormai svuotata di ogni significato per come è lontana dai suoi affetti.
Cinema bellico, di avventura, di uomini veri ma in fondo anche una storia d'amore infelice che strazia e quasi fa scendere una lacrimuccia.
Un po' come quella fotografia che torna a galla.....
PERCHE' SI : approccio al genere molto classico, Jude Law al suo meglio, regia eccellente, orgogliosamente vintage.
PERCHE' NO : per qualcuno sarà dura digerire quasi due ore di film dentro un sottomarino
LA SEQUENZA : il sottomarino va a picco ma impiega un lunghissimo tempo per toccare il fondo su cui adagiarsi sorprendendo i sopravvissuti.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Non sarei mai capace di muovermi dentro un sottomarino, troppo angusto.
Mi è venuta fuori quella sottile vena claustrofobica che penso di avere sempre avuto.
Non so se è così facile non farsi trovare dalla flotta navale russa.
Jude Law mi ha finalmente dimostrato di essere un attore vero e non un semplice bel manichino.
( VOTO : 7,5 / 10 )
I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.
giovedì 30 aprile 2015
mercoledì 29 aprile 2015
La foresta di ghiaccio ( 2014 )
Prologo : al confine tra Italia e Slovenia nel 1994 un bambino fugge da un gruppetto di profughi assoggettati a un feroce capobanda.
Al tempo d'oggi Pietro è chiamato in un ameno paesino del profondo Nord italiano a risolvere i frequenti guasti alla centrale elettrica che lasciano spesso la vallata al buio.
Appena arriva c'è la misteriosa sparizione del cadavere di una donna africana.
E non è il solo fatto misterioso che si trova a fronteggiare.
Anzi sembra che i guasti alla centrale elettrica non siano così casuali e in paese tutti hanno qualcosa da nascondere a partire da due truci fratellastri che sembrano avere il controllo di un po' troppe cose nel paese , per arrivare alla zoologa esperta di orsi Lana.
Pietro deve stare molto attento a come muoversi.
Fa sempre piacere imbattermi in film italiani che si addentrano nel territorio impervio del cinema di genere invece che appisolarsi su quello della commedia facile foriera di incassi.
E La foresta di ghiaccio era un film che si presentava in maniera molto appetitosa ai miei occhi.
Ambientazione nordica, genere di riferimento il thriller, una comunità montana di poche anime ma tutte con il loro bellissimo scheletro da nascondere dentro l'armadio, la curiosità di vedere all'opera come attore Emir Kusturica che raramente mi aveva convinto nelle sue escursioni precedenti davanti alla macchina da presa.
L'unico fatto che mi lasciava abbastanza perplesso era l'accostamento , fatto dalla produzione stessa, a Fargo, amatissimo film coeniano.
Però ero disposto anche a fare finta di non avere letto.
Insomma avevo aspettative di un certo livello per l'opera seconda di Claudio Noce, quarantenne regista romano che si ripresentava dopo Good Morning, Aman, storia dell'amicizia di un pugile con un immigrato somalo.
L'Italia è uno strano Paese cinematograficamente parlando e Noce riesce a ritornare al cinema solo cinque anni dopo il suo debutto, pur facendosi forza di un talento visivo da non sottovalutare.
Anche ne La foresta di ghiaccio si parla di immigrazione come nel suo film d'esordio, ma si procede per altre strade, si va per gli intrighi di paese che si nascondono dietro facciate rassicuranti ( si fa per dire perché in questo paesino nulla è rassicurante, neanche la teleferica che si ferma sempre a metà corsa lasciandoti sospeso nel vuoto), si presentano allo spettatore specchi deformanti e false piste, doppi e tripli giochi, insomma un pentolone carico di tutto che però ha un brutto difetto: la storia del film non decolla mai, tutto procede a rilento tra chiacchiere estenuanti, riprese in esterni di ampio respiro ma che servono solo per rendere giustizia al talento di Noce e a un'ambientazione alpina innevata che toglie letteralmente il fiato e snodi narrativi che meccanicamente devono portare a una verità chiara e un finale cristallino.
Mi sono seduto in poltrona sperando di vedere qualcosa che mi ricordasse Insomnia ( non solo quello di Nolan , anche l'originale nordico andava benissimo) e mi ritrovo un film in cui la noia regna sovrana , ma veramente incontrastata e che , nonostante un cast composto di nomi di un certo richiamo e una confezione veramente degna di nota per essere una produzione italiana, scivola presto nell'anonimato dando l'impressione di una bellissima scatola ricca di intarsi ma con il nulla dentro.
Mi spiace parlare così di un film italiano di genere thriller , uno dei miei preferiti, e che ambisce a essere un noir postmoderno ( e il noir è un altro dei generi favoriti qui a bottega).
La visione è veramente ardua e il finale arriva veramente come una liberazione.
Peccato.
PERCHE' SI : nomi di una certa risonanza nel cast, ottima ambientazione, eccellente confezione
PERCHE' NO : la noia regna incontrastata, la storia non decolla mai come il film del resto, Kusturica si dimostra ancora una volta molto più bravo dietro la macchina da presa
LA SEQUENZA : Lana resta bloccata con la teleferica a mezza strada e deve scendere con mezzi di fortuna rischiando la vita.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Anche se un film ha tutti gli ingredienti giusti, può succedere che non mi piaccia.
L'ambientazione innevata ha sempre il suo fascino
Preferisco Kusturica dietro la macchina da presa e non davanti
Spero che uno col talento visivo di Claudio Noce lavori più spesso.
( VOTO : 4,5 / 10 )
Al tempo d'oggi Pietro è chiamato in un ameno paesino del profondo Nord italiano a risolvere i frequenti guasti alla centrale elettrica che lasciano spesso la vallata al buio.
Appena arriva c'è la misteriosa sparizione del cadavere di una donna africana.
E non è il solo fatto misterioso che si trova a fronteggiare.
Anzi sembra che i guasti alla centrale elettrica non siano così casuali e in paese tutti hanno qualcosa da nascondere a partire da due truci fratellastri che sembrano avere il controllo di un po' troppe cose nel paese , per arrivare alla zoologa esperta di orsi Lana.
Pietro deve stare molto attento a come muoversi.
Fa sempre piacere imbattermi in film italiani che si addentrano nel territorio impervio del cinema di genere invece che appisolarsi su quello della commedia facile foriera di incassi.
E La foresta di ghiaccio era un film che si presentava in maniera molto appetitosa ai miei occhi.
Ambientazione nordica, genere di riferimento il thriller, una comunità montana di poche anime ma tutte con il loro bellissimo scheletro da nascondere dentro l'armadio, la curiosità di vedere all'opera come attore Emir Kusturica che raramente mi aveva convinto nelle sue escursioni precedenti davanti alla macchina da presa.
L'unico fatto che mi lasciava abbastanza perplesso era l'accostamento , fatto dalla produzione stessa, a Fargo, amatissimo film coeniano.
Però ero disposto anche a fare finta di non avere letto.
Insomma avevo aspettative di un certo livello per l'opera seconda di Claudio Noce, quarantenne regista romano che si ripresentava dopo Good Morning, Aman, storia dell'amicizia di un pugile con un immigrato somalo.
L'Italia è uno strano Paese cinematograficamente parlando e Noce riesce a ritornare al cinema solo cinque anni dopo il suo debutto, pur facendosi forza di un talento visivo da non sottovalutare.
Anche ne La foresta di ghiaccio si parla di immigrazione come nel suo film d'esordio, ma si procede per altre strade, si va per gli intrighi di paese che si nascondono dietro facciate rassicuranti ( si fa per dire perché in questo paesino nulla è rassicurante, neanche la teleferica che si ferma sempre a metà corsa lasciandoti sospeso nel vuoto), si presentano allo spettatore specchi deformanti e false piste, doppi e tripli giochi, insomma un pentolone carico di tutto che però ha un brutto difetto: la storia del film non decolla mai, tutto procede a rilento tra chiacchiere estenuanti, riprese in esterni di ampio respiro ma che servono solo per rendere giustizia al talento di Noce e a un'ambientazione alpina innevata che toglie letteralmente il fiato e snodi narrativi che meccanicamente devono portare a una verità chiara e un finale cristallino.
Mi sono seduto in poltrona sperando di vedere qualcosa che mi ricordasse Insomnia ( non solo quello di Nolan , anche l'originale nordico andava benissimo) e mi ritrovo un film in cui la noia regna sovrana , ma veramente incontrastata e che , nonostante un cast composto di nomi di un certo richiamo e una confezione veramente degna di nota per essere una produzione italiana, scivola presto nell'anonimato dando l'impressione di una bellissima scatola ricca di intarsi ma con il nulla dentro.
Mi spiace parlare così di un film italiano di genere thriller , uno dei miei preferiti, e che ambisce a essere un noir postmoderno ( e il noir è un altro dei generi favoriti qui a bottega).
La visione è veramente ardua e il finale arriva veramente come una liberazione.
Peccato.
PERCHE' SI : nomi di una certa risonanza nel cast, ottima ambientazione, eccellente confezione
PERCHE' NO : la noia regna incontrastata, la storia non decolla mai come il film del resto, Kusturica si dimostra ancora una volta molto più bravo dietro la macchina da presa
LA SEQUENZA : Lana resta bloccata con la teleferica a mezza strada e deve scendere con mezzi di fortuna rischiando la vita.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Anche se un film ha tutti gli ingredienti giusti, può succedere che non mi piaccia.
L'ambientazione innevata ha sempre il suo fascino
Preferisco Kusturica dietro la macchina da presa e non davanti
Spero che uno col talento visivo di Claudio Noce lavori più spesso.
( VOTO : 4,5 / 10 )
martedì 28 aprile 2015
Vizio di forma ( 2014 )
1970 , Gordita Beach, contea di Los Angeles : la bella Shasta va a trovare a casa sua il suo ex fidanzato Larry "Doc" Sportello e lo informa di un piano criminoso che prevede il rapimento del suo nuovo , ricco boyfreind ad opera di sua moglie e del suo amante e lui deve impedire che venga rapito e poi internato in una specie di manicomio.
Intanto a Doc viene commissionato anche un altro caso: la scomparsa di un membro della Fratellanza Ariana che guarda caso fa parte dell'entourage del boyfriend di Shasta.
Già che ci si trova Doc comincia a lavorare anche sul suo terzo caso: la scomparsa di Coy commissionato dall'ex eroinomane Hope.
E questo è solo l'inizio dei suoi guai.
Vizio di forma è la nuova escursione di Paul Thomas Anderson, probabilmente uno degli ultimi autori americani rimasti che si può fare beffe dei meccanismi "artistici " hollywoodiani, nel dorato mondo degli anni '70 e lo fa accompagnando uno dei personaggi meglio riusciti della sua filmografia.
Larry " Doc " Sportiello: capello lungo, moderatamente unto che gli ricade pigramente sulle spalle, basettone d'ordinanza, abbigliamento sgualcito almeno quanto lui e sotto tutta quella bardatura due occhi verdi , enormi, con le tonalità del ghiaccio che si guardano intorno vivaci e impauriti allo stesso tempo, spesso annebbiati dalle sostanze chimiche che affollano il cervello di Doc, ma sempre alla ricerca di un appiglio..
Doc si aggira stralunato in un mondo i cui contorni si perdono tra trip lisergici e psichedelie assortite eppure non perde mai il suo sguardo "innocente", stralunato, quasi sorpreso ad ogni nuova scoperta.
Come un bambino che si trovasse al Luna Park e non ci fosse mai stato prima, meravigliato di tutti i giochi che può provare e su cui può divertirsi.
Ecco questa cosa del Luna Park lo accomuna allo spettatore di questo film, anche lui portato e tenuto per mano proprio da Doc, accompagnato a vedere tutte le attrazioni del nuovo film di Anderson.
Perché Vizio di forma è una sorta di Luna Park, un parco divertimenti fornito di tutte le giostre possibili e immaginabili e lo spettatore è introdotto in un mondo altro, colorato con tonalità vivacissime, in un tour caleidoscopico in cui segue il pellegrinaggio del protagonista, detective privato che capisce sempre tutto col classico attimo di ritardo, tra una disavventura e l'altra, tra un incontro e l'altro.
Il nuovo film di Anderson è un'opera corale cinica come poteva essere Magnolia, è disilluso ma anche ironico come poteva essere Boogie Nights, è una sorta di road movie da fermo in cui non importa l'itinerario (che in fondo non esiste) ma tutte le tappe che lo compongono, gli incontri che Doc compie nel suo cammino randomizzato tra una divagazione e l'altra.
Anderson prende un personaggio letterario e lo trasfigura , lo trasforma e lo rende proprio catturandolo in quel periodo di passaggio tra gli anni '60 e i '70, tra il Vietnam e i fermenti di ribellione studentesca, tra le vagonate di erba da fumare e le distese di polvere bianca da sniffare, rendendolo un'icona del proprio cinema esattamente come lo erano i protagonisti dei precedenti suoi film.
E se Paul Thomas Anderson è la mente che ha ideato tutto questo, Joaquin Phoenix è un braccio perfetto, assolutamente a suo agio nei mezzi toni della recitazione creando un personaggio che rimane impresso nella memoria del cinefilo.
Vizio di forma è profuma di noir anni '40 ( vogliamo essere sacrileghi? allora citiamo Il mistero del falco o Il grande sonno) che però ha messo l'abito della festa squisitamente anni '70 ( tanto per rimanere in tema di sacrilegio diciamo Chinatown , Il lungo addio ma anche Bersaglio di notte), ha come protagonista un'inconsapevole Marlowe che sembra riuscire ad incassare tutto quello che gli accade solo grazie a robuste dosi di droga.
Si gode a vedere Vizio di forma, si gode e si pensa al cinema del passato che non è più, frullato come è ora da logiche commerciali che castrano le ambizioni artistiche.
Paul Thomas Anderson mette ancora una volta in mostra tutta la sua libertà espressiva ed artistica ma non vorrei che questo suo stile diventasse il canto del cigno del bel cinema d'autore americano, non vorrei che diventasse sempre più di nicchia come sta accadendo da un po' di tempo a questa parte.
Ho come l'impressione che uno come Anderson sia un ospite poco gradito in quel di Hollywood, sopportato a malapena e solo per motivi di facciata.
E questo solo perché la logica industriale della fabbrica dei sogni non fa per lui.
PERCHE' SI : confezione accuratissima, dalla fotografia ai costumi e alle musiche, cast stellare con un Joaquin Phoenix eccezionale, film da godersi sequenza per sequenza
PERCHE' NO . cerebrale e con uno stile rapsodico che taglia fuori gran parte del pubblico, la trama è poco più che un pretesto per mostrare un mondo coloratissimo e irreale.Chiaramente per me questi non sono difetti....
LA SEQUENZA : Doc si risveglia a fianco di un cadavere ed è circondato da un battaglione di poliziotti.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
la droga ti fa perdere di prospettiva.
Fare il detective privato nella Los Angeles degli anni '70 non era professione raccomandabile.
Anderson continua a fregarsene bellamente delle strategie commerciali ( e fa bene )
Le donne ti portano spesso sulla cattiva strada
( VOTO : 8 / 10 )
Intanto a Doc viene commissionato anche un altro caso: la scomparsa di un membro della Fratellanza Ariana che guarda caso fa parte dell'entourage del boyfriend di Shasta.
Già che ci si trova Doc comincia a lavorare anche sul suo terzo caso: la scomparsa di Coy commissionato dall'ex eroinomane Hope.
E questo è solo l'inizio dei suoi guai.
Vizio di forma è la nuova escursione di Paul Thomas Anderson, probabilmente uno degli ultimi autori americani rimasti che si può fare beffe dei meccanismi "artistici " hollywoodiani, nel dorato mondo degli anni '70 e lo fa accompagnando uno dei personaggi meglio riusciti della sua filmografia.
Larry " Doc " Sportiello: capello lungo, moderatamente unto che gli ricade pigramente sulle spalle, basettone d'ordinanza, abbigliamento sgualcito almeno quanto lui e sotto tutta quella bardatura due occhi verdi , enormi, con le tonalità del ghiaccio che si guardano intorno vivaci e impauriti allo stesso tempo, spesso annebbiati dalle sostanze chimiche che affollano il cervello di Doc, ma sempre alla ricerca di un appiglio..
Doc si aggira stralunato in un mondo i cui contorni si perdono tra trip lisergici e psichedelie assortite eppure non perde mai il suo sguardo "innocente", stralunato, quasi sorpreso ad ogni nuova scoperta.
Come un bambino che si trovasse al Luna Park e non ci fosse mai stato prima, meravigliato di tutti i giochi che può provare e su cui può divertirsi.
Ecco questa cosa del Luna Park lo accomuna allo spettatore di questo film, anche lui portato e tenuto per mano proprio da Doc, accompagnato a vedere tutte le attrazioni del nuovo film di Anderson.
Perché Vizio di forma è una sorta di Luna Park, un parco divertimenti fornito di tutte le giostre possibili e immaginabili e lo spettatore è introdotto in un mondo altro, colorato con tonalità vivacissime, in un tour caleidoscopico in cui segue il pellegrinaggio del protagonista, detective privato che capisce sempre tutto col classico attimo di ritardo, tra una disavventura e l'altra, tra un incontro e l'altro.
Il nuovo film di Anderson è un'opera corale cinica come poteva essere Magnolia, è disilluso ma anche ironico come poteva essere Boogie Nights, è una sorta di road movie da fermo in cui non importa l'itinerario (che in fondo non esiste) ma tutte le tappe che lo compongono, gli incontri che Doc compie nel suo cammino randomizzato tra una divagazione e l'altra.
Anderson prende un personaggio letterario e lo trasfigura , lo trasforma e lo rende proprio catturandolo in quel periodo di passaggio tra gli anni '60 e i '70, tra il Vietnam e i fermenti di ribellione studentesca, tra le vagonate di erba da fumare e le distese di polvere bianca da sniffare, rendendolo un'icona del proprio cinema esattamente come lo erano i protagonisti dei precedenti suoi film.
E se Paul Thomas Anderson è la mente che ha ideato tutto questo, Joaquin Phoenix è un braccio perfetto, assolutamente a suo agio nei mezzi toni della recitazione creando un personaggio che rimane impresso nella memoria del cinefilo.
Vizio di forma è profuma di noir anni '40 ( vogliamo essere sacrileghi? allora citiamo Il mistero del falco o Il grande sonno) che però ha messo l'abito della festa squisitamente anni '70 ( tanto per rimanere in tema di sacrilegio diciamo Chinatown , Il lungo addio ma anche Bersaglio di notte), ha come protagonista un'inconsapevole Marlowe che sembra riuscire ad incassare tutto quello che gli accade solo grazie a robuste dosi di droga.
Si gode a vedere Vizio di forma, si gode e si pensa al cinema del passato che non è più, frullato come è ora da logiche commerciali che castrano le ambizioni artistiche.
Paul Thomas Anderson mette ancora una volta in mostra tutta la sua libertà espressiva ed artistica ma non vorrei che questo suo stile diventasse il canto del cigno del bel cinema d'autore americano, non vorrei che diventasse sempre più di nicchia come sta accadendo da un po' di tempo a questa parte.
Ho come l'impressione che uno come Anderson sia un ospite poco gradito in quel di Hollywood, sopportato a malapena e solo per motivi di facciata.
E questo solo perché la logica industriale della fabbrica dei sogni non fa per lui.
PERCHE' SI : confezione accuratissima, dalla fotografia ai costumi e alle musiche, cast stellare con un Joaquin Phoenix eccezionale, film da godersi sequenza per sequenza
PERCHE' NO . cerebrale e con uno stile rapsodico che taglia fuori gran parte del pubblico, la trama è poco più che un pretesto per mostrare un mondo coloratissimo e irreale.Chiaramente per me questi non sono difetti....
LA SEQUENZA : Doc si risveglia a fianco di un cadavere ed è circondato da un battaglione di poliziotti.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
la droga ti fa perdere di prospettiva.
Fare il detective privato nella Los Angeles degli anni '70 non era professione raccomandabile.
Anderson continua a fregarsene bellamente delle strategie commerciali ( e fa bene )
Le donne ti portano spesso sulla cattiva strada
( VOTO : 8 / 10 )
lunedì 27 aprile 2015
Il quarto tipo ( 2009 )
Il film vuole raccontare gli strani fatti avvenuti all'alba del terzo millennio nella cittadina di Nome, Alaska.
Il regista (Olatunde Osunsanmi) intervista una psichiatra , la dottoressa Abigail Tyler che gli racconta di come , grazie a un suo collega, abbia provato su di sé la tecnica della regressione ipnotica per scoprire chi avesse ucciso il marito, ritrovato accanto a lei morto senza che lei potesse fare nulla.
E racconta di come lei utilizzasse questa tecnica sui suoi pazienti che erano accomunati dall'avere disturbi del sonno: avevano tutti la visione di un gufo bianco ma quando ne vuole sapere di più da un suo paziente, Tommy Fisher, costui stermina la sua famiglia e si uccide.
E anche a lei sparisce la figlia.
Saranno gli incontri ravvicinati del quarto tipo ( secondo la classificazione degli ufologi sono i rapimenti da parte di alieni) ?
CONTIENE SPOILER CONTIENE SPOILER CONTIENE SPOILER
Ho svelato per sommi capi di che cosa tratta il film cercando di rivelarne il meno possibile ma non è affatto facile .
Il quarto tipo è un mockumentary nel vero senso della parola : un falso documentario basato su fatti veri e ricostruito apparentemente come una fiction cinematografica.
La parola chiave di tutta questa frase è apparentemente: perché il film di Olatunde Osunsanmi non ricostruisce un fatto vero ma confeziona un falso documentario partendo da un qualcosa che non è mai accaduto.
Fatta questa rivelazione il film oggettivamente perde metà della sua forza perché il motore di tutto è proprio la storia vera, o meglio quella che dovrebbe essere la storia vera e che invece è una bufala ma di quelle architettate veramente in modo brillante e ingegnoso.
E in fondo questa pellicola vince la sfida di rendere verosimile qualcosa che non lo è e confeziona ad arte il tutto riuscendo a regalare diversi brividi lungo la schiena allo spettatore che non si è informato preventivamente su che cosa si sta apprestando a vedere.
Fa venire i brividi la sequenza in cui vengono messe in split screen l'una a fianco dell'altra Milla Jovovich e la "vera " dottoressa Abigail Tyler che raccontano entrambe della sparizione della figlia Ashley ma anche quella in cui Tommy Fisher stermina la sua famiglia e poi si uccide.
Senza sapere nulla riguardo alla storia di Fisher e alla dottoressa oltre che alla veridicità di quello che lei racconta , la due sequenze sono veramente da brividi.
Sapere che tutto questo è falso, che la "vera " dottoressa Tyler è in realtà un'attrice e tutti stanno raccontando qualcosa che non è mai accaduto, beh , converrete con me che l'effetto shock risulta attenuato e di molto anche.
Insomma Il quarto tipo cerca di giocare a carte coperte ( ma al tempo di internet non è affatto facile) con il concetto di vero e falso cercando di infiocchettare una vicenda del tutto inventata facendola passare per vera e soprattutto facendola sembrare più vera del vero.
Un alto livello di sofisticazione che diventa meccanismo cinematografico concentrico e che , pur scricchiolando in continuazione, riesce ad attirare l'attenzione.
Ma fatalmente questa attenzione ricade più sul contenitore che sul contenuto che in fondo ci dice veramente poco, partiamo dalle possessioni demoniache e si finisce a parlare di rapimenti alieni.
In modo del tutto superficiale.
Peccato che in tutto questo sforzo sfugga la scarsa credibilità di Milla Jovovich come psichiatra e pazienza anche se il gufo bianco che si vede nei sogni dei pazienti della dottoressa Tyler sia in realtà un barbagianni.
Assumere uno zoologo per una consulenza o comprarsi un disco dei Rush pareva così brutto?
PERCHE' SI : confezione originale per un mockumentary, visto senza sapere nulla mantiene una certa tensione fino alla fine, argomento interessante.
PERCHE' NO : l'argomento è interessante ma è trattato in modo superficiale, Milla Jovovich non è molto credibile nella parte, se si è a conoscenza dei particolari della produzione il film perde quasi tutta la sua forza espressiva.
LA SEQUENZA : lo split screen in cui la "vera " dottoressa Tyler e l'attrice che la impersona, Milla Jovovich, parlano della scomparsa della figlia Ashley
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
le vie della fiction cinematografica sono infinite
Vivere in Alaska non deve essere affatto facile
Spostarsi su quei piccoli aerei è la parte più horror di tutto il film
Non è facile confondere un gufo con un barbagianni, assumere uno zoologo o comprarsi un disco dei Rush, no?
( VOTO : 5,5 / 10 )
Il regista (Olatunde Osunsanmi) intervista una psichiatra , la dottoressa Abigail Tyler che gli racconta di come , grazie a un suo collega, abbia provato su di sé la tecnica della regressione ipnotica per scoprire chi avesse ucciso il marito, ritrovato accanto a lei morto senza che lei potesse fare nulla.
E racconta di come lei utilizzasse questa tecnica sui suoi pazienti che erano accomunati dall'avere disturbi del sonno: avevano tutti la visione di un gufo bianco ma quando ne vuole sapere di più da un suo paziente, Tommy Fisher, costui stermina la sua famiglia e si uccide.
E anche a lei sparisce la figlia.
Saranno gli incontri ravvicinati del quarto tipo ( secondo la classificazione degli ufologi sono i rapimenti da parte di alieni) ?
CONTIENE SPOILER CONTIENE SPOILER CONTIENE SPOILER
Ho svelato per sommi capi di che cosa tratta il film cercando di rivelarne il meno possibile ma non è affatto facile .
Il quarto tipo è un mockumentary nel vero senso della parola : un falso documentario basato su fatti veri e ricostruito apparentemente come una fiction cinematografica.
La parola chiave di tutta questa frase è apparentemente: perché il film di Olatunde Osunsanmi non ricostruisce un fatto vero ma confeziona un falso documentario partendo da un qualcosa che non è mai accaduto.
Fatta questa rivelazione il film oggettivamente perde metà della sua forza perché il motore di tutto è proprio la storia vera, o meglio quella che dovrebbe essere la storia vera e che invece è una bufala ma di quelle architettate veramente in modo brillante e ingegnoso.
E in fondo questa pellicola vince la sfida di rendere verosimile qualcosa che non lo è e confeziona ad arte il tutto riuscendo a regalare diversi brividi lungo la schiena allo spettatore che non si è informato preventivamente su che cosa si sta apprestando a vedere.
Fa venire i brividi la sequenza in cui vengono messe in split screen l'una a fianco dell'altra Milla Jovovich e la "vera " dottoressa Abigail Tyler che raccontano entrambe della sparizione della figlia Ashley ma anche quella in cui Tommy Fisher stermina la sua famiglia e poi si uccide.
Senza sapere nulla riguardo alla storia di Fisher e alla dottoressa oltre che alla veridicità di quello che lei racconta , la due sequenze sono veramente da brividi.
Sapere che tutto questo è falso, che la "vera " dottoressa Tyler è in realtà un'attrice e tutti stanno raccontando qualcosa che non è mai accaduto, beh , converrete con me che l'effetto shock risulta attenuato e di molto anche.
Insomma Il quarto tipo cerca di giocare a carte coperte ( ma al tempo di internet non è affatto facile) con il concetto di vero e falso cercando di infiocchettare una vicenda del tutto inventata facendola passare per vera e soprattutto facendola sembrare più vera del vero.
Un alto livello di sofisticazione che diventa meccanismo cinematografico concentrico e che , pur scricchiolando in continuazione, riesce ad attirare l'attenzione.
Ma fatalmente questa attenzione ricade più sul contenitore che sul contenuto che in fondo ci dice veramente poco, partiamo dalle possessioni demoniache e si finisce a parlare di rapimenti alieni.
In modo del tutto superficiale.
Peccato che in tutto questo sforzo sfugga la scarsa credibilità di Milla Jovovich come psichiatra e pazienza anche se il gufo bianco che si vede nei sogni dei pazienti della dottoressa Tyler sia in realtà un barbagianni.
Assumere uno zoologo per una consulenza o comprarsi un disco dei Rush pareva così brutto?
PERCHE' SI : confezione originale per un mockumentary, visto senza sapere nulla mantiene una certa tensione fino alla fine, argomento interessante.
PERCHE' NO : l'argomento è interessante ma è trattato in modo superficiale, Milla Jovovich non è molto credibile nella parte, se si è a conoscenza dei particolari della produzione il film perde quasi tutta la sua forza espressiva.
LA SEQUENZA : lo split screen in cui la "vera " dottoressa Tyler e l'attrice che la impersona, Milla Jovovich, parlano della scomparsa della figlia Ashley
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
le vie della fiction cinematografica sono infinite
Vivere in Alaska non deve essere affatto facile
Spostarsi su quei piccoli aerei è la parte più horror di tutto il film
Non è facile confondere un gufo con un barbagianni, assumere uno zoologo o comprarsi un disco dei Rush, no?
( VOTO : 5,5 / 10 )
domenica 26 aprile 2015
Wild ( 2014 )
America anni '90 : la giovane Cheryl Strayed ha perso da poco la madre per un tumore che l'ha portata via in pochissimo tempo, ha distrutto consapevolmente il suo matrimonio a furia di droga e sesso occasionale e cerca un'occasione per guardarsi dentro e rinascere.
Decide di affrontare con pochissimo allenamento uno dei percorsi di trekking più famosi al mondo , il Pacific Crest Trail, circa 4000 km, che parte dal confine tra Stati Uniti e Messico e arriva al confine tra Canada e Stati Uniti.
Avrà occasione di riscoprire se stessa e di incontrare un'umanità variegata che le darà la forza di ripartire.
Ho affrontato la visione di questo film con sentimenti abbastanza contrastanti: da una parte mi sembrava di avere a che fare con una versione al femminile di Into the Wild, film di Sean Penn che qui a bottega è stato molto molto gradito, anche se non riuscivo a visualizzare Reese Witherspoon come un Emile Hirsch in gonnella, dall'altra la lettura di diverse recensioni positive e del tutto inaspettate mi aveva fomentato una certa curiosità.
Altro pregiudizio che avevo e ben radicato è quello sulla protagonista di Wild quella Witherspoon che si è guadagnata urbi et orbi una fama da stracciamarroni da competizione e che anche io non sono mai riuscito a digerire.
E poi l'ho sempre vista come la classica arpìa da salotto, una che pontifica solo col culetto ben piantato sulla poltrona in pelle umana che fa bella mostra di sé nel suo soggiorno.
O meglio la vedevo così prima di apprestarmi alla visione di questo film..
Perché Wild me l'ha fatta in un certo senso scoprire pur se ha l'aspetto di un abitino sartoriale cucitole addosso su misura.
Del resto la nostra amica sta apparendo sempre di meno su grande schermo nonostante l'età ancora piuttosto verde (il tassametro dice 39 ) e sta diversificando la sua attività interessandosi alla produzione ( oltre a Wild ultimamente ha prodotto Gone Girl di Fincher) con discreto fiuto.
Quindi ha letto il romanzo della vera Cheryl Strayed , ha scelto il regista,Jean Marc Vallée, lo stesso di Dallas Buyers Club ( e in un certo senso la continuità stilistica dei due film mi è parsa piuttosto evidente, hanno lo stesso stile frammentato di raccontare le cose esaminando le vite dei protagonisti attraverso una miriade di flashback e narrano entrambi di un percorso di rinascita) e ha scelto anche lo sceneggiatore, il gettonatissimo Nick Hornby, uno che ormai scrive romanzi e sceneggiature col pilota automatico.
Inevitabile poi confrontare Wild con Into the Wild : diciamo che sono caratterizzati da avere due prospettive radicalmente diverse.
Il film di Penn è una scoperta continua della natura che circonda e coinvolge il protagonista sempre più, spingendolo all'isolamento , al raccoglimento per godersi fino in fondo questa comunione tra lui e il selvaggio mondo che lo circonda.
Il film di Jean Marc Vallée ha invece i riflettori puntati esclusivamente su Cheryl, artefice e protagonista di una viaggio alla riscoperta di se stessa, i luoghi che attraversa sono un corollario, uno sfondo bellissimo ma si ha la sensazione che non siano mai i veri protagonisti del film , al contrario di quanto succedeva in Into the Wild.
La variegata umanità che incrocia la strada con Cheryl la accompagna in questo percorso di rinascita e di crescita dimostrandosi indispensabile.
Le ceneri della vecchia Cheryl sono volate via sulla tomba della madre.
Ora da quelle stesse ceneri è rinata una nuova Cheryl, più forte di prima e più pronta ad affrontare il mondo.
Reese Witherspoon in questo ruolo mi è sembrata brava, non avrei puntato un centesimo bucato sulla bontà della sua performance avendola sempre ritenuta una principessa sul pisello arrivata fuori tempo massimo.
Mi sbagliavo.
Addirittura a tratti mi è sembrata anche bella.
Oddio , bella forse no.
Caruccia.
E per una che ho sempre pensato fosse la figlia segreta di Willem Dafoe è già un bel traguardo.
PERCHE' SI : un road movie intenso e ben condotto da una regia sicura nell'utilizzo dei flashback, la Witherspoon è brava oltre ogni mio pregiudizio, ottima fotografia ed eccellente anche la colonna sonora.
PERCHE' NO : il personaggio di Laura Dern ( la madre) è trattato un po' male,in un viaggio così avventuroso mi sarei aspettato molti brutti incontri sia animali che umani, finale all'insegna della retorica.
LA SEQUENZA : quella iniziale, Cheryl si strappa un unghia dal suo alluce dolorante e facendo un movimento sbagliato fa cadere i suoi scarponcini nel precipizio.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
i pregiudizi sono sempre una brutta cosa.
Ci vuole fegato e incoscienza per affrontare 4mila kilometri a piedi così giusto per poter dire di averlo fatto.
Continuo a preferire l'albergo al campeggio.
Rimettersi in gioco è cosa buona e giusta.
( VOTO : 7 / 10 )
Decide di affrontare con pochissimo allenamento uno dei percorsi di trekking più famosi al mondo , il Pacific Crest Trail, circa 4000 km, che parte dal confine tra Stati Uniti e Messico e arriva al confine tra Canada e Stati Uniti.
Avrà occasione di riscoprire se stessa e di incontrare un'umanità variegata che le darà la forza di ripartire.
Ho affrontato la visione di questo film con sentimenti abbastanza contrastanti: da una parte mi sembrava di avere a che fare con una versione al femminile di Into the Wild, film di Sean Penn che qui a bottega è stato molto molto gradito, anche se non riuscivo a visualizzare Reese Witherspoon come un Emile Hirsch in gonnella, dall'altra la lettura di diverse recensioni positive e del tutto inaspettate mi aveva fomentato una certa curiosità.
Altro pregiudizio che avevo e ben radicato è quello sulla protagonista di Wild quella Witherspoon che si è guadagnata urbi et orbi una fama da stracciamarroni da competizione e che anche io non sono mai riuscito a digerire.
E poi l'ho sempre vista come la classica arpìa da salotto, una che pontifica solo col culetto ben piantato sulla poltrona in pelle umana che fa bella mostra di sé nel suo soggiorno.
O meglio la vedevo così prima di apprestarmi alla visione di questo film..
Perché Wild me l'ha fatta in un certo senso scoprire pur se ha l'aspetto di un abitino sartoriale cucitole addosso su misura.
Del resto la nostra amica sta apparendo sempre di meno su grande schermo nonostante l'età ancora piuttosto verde (il tassametro dice 39 ) e sta diversificando la sua attività interessandosi alla produzione ( oltre a Wild ultimamente ha prodotto Gone Girl di Fincher) con discreto fiuto.
Quindi ha letto il romanzo della vera Cheryl Strayed , ha scelto il regista,Jean Marc Vallée, lo stesso di Dallas Buyers Club ( e in un certo senso la continuità stilistica dei due film mi è parsa piuttosto evidente, hanno lo stesso stile frammentato di raccontare le cose esaminando le vite dei protagonisti attraverso una miriade di flashback e narrano entrambi di un percorso di rinascita) e ha scelto anche lo sceneggiatore, il gettonatissimo Nick Hornby, uno che ormai scrive romanzi e sceneggiature col pilota automatico.
Inevitabile poi confrontare Wild con Into the Wild : diciamo che sono caratterizzati da avere due prospettive radicalmente diverse.
Il film di Penn è una scoperta continua della natura che circonda e coinvolge il protagonista sempre più, spingendolo all'isolamento , al raccoglimento per godersi fino in fondo questa comunione tra lui e il selvaggio mondo che lo circonda.
Il film di Jean Marc Vallée ha invece i riflettori puntati esclusivamente su Cheryl, artefice e protagonista di una viaggio alla riscoperta di se stessa, i luoghi che attraversa sono un corollario, uno sfondo bellissimo ma si ha la sensazione che non siano mai i veri protagonisti del film , al contrario di quanto succedeva in Into the Wild.
La variegata umanità che incrocia la strada con Cheryl la accompagna in questo percorso di rinascita e di crescita dimostrandosi indispensabile.
Le ceneri della vecchia Cheryl sono volate via sulla tomba della madre.
Ora da quelle stesse ceneri è rinata una nuova Cheryl, più forte di prima e più pronta ad affrontare il mondo.
Reese Witherspoon in questo ruolo mi è sembrata brava, non avrei puntato un centesimo bucato sulla bontà della sua performance avendola sempre ritenuta una principessa sul pisello arrivata fuori tempo massimo.
Mi sbagliavo.
Addirittura a tratti mi è sembrata anche bella.
Oddio , bella forse no.
Caruccia.
E per una che ho sempre pensato fosse la figlia segreta di Willem Dafoe è già un bel traguardo.
PERCHE' SI : un road movie intenso e ben condotto da una regia sicura nell'utilizzo dei flashback, la Witherspoon è brava oltre ogni mio pregiudizio, ottima fotografia ed eccellente anche la colonna sonora.
PERCHE' NO : il personaggio di Laura Dern ( la madre) è trattato un po' male,in un viaggio così avventuroso mi sarei aspettato molti brutti incontri sia animali che umani, finale all'insegna della retorica.
LA SEQUENZA : quella iniziale, Cheryl si strappa un unghia dal suo alluce dolorante e facendo un movimento sbagliato fa cadere i suoi scarponcini nel precipizio.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
i pregiudizi sono sempre una brutta cosa.
Ci vuole fegato e incoscienza per affrontare 4mila kilometri a piedi così giusto per poter dire di averlo fatto.
Continuo a preferire l'albergo al campeggio.
Rimettersi in gioco è cosa buona e giusta.
( VOTO : 7 / 10 )
sabato 25 aprile 2015
The Tower ( 2012 )
Il miliardario Jo, proprietario di due grattacieli altissimi collegati da un ponte al 70esimo piano, decide di organizzare una festa per Natale per i residenti e per i VIP di Seul.
Il manager dell'edificio Dae -Ho, vedovo, con una figlia piccola è costretto a lavorare invece che passare il Natale con la sua piccola.
Ispezionando l'edificio scopre delle gravi mancanze nel sistema antincendio e prontamente le denuncia al signor Jo.
Che però non se ne cura , la festa deve andare avanti comunque.
Un elicottero si schianta contro l'edificio e scoppia un incendio che mieterà molte vittime.
Dae Ho e una eroica squadra di pompieri si adopereranno per salvare più vite possibili...
Vi suona familiare questa trama?
Infatti, suona mooolto familiare, è praticamente ricalcata con la carta carbone su L'inferno di cristallo, un all star movie hollywoodiano che da molti viene considerato il capostipite del genere catastrofico.
Chi segue questo blog sa che io vado letteralmente fuori di melone per il cinema coreano, ripeto sempre fino allo sfinimento che i thriller coreani al momento sono molto meglio degli omologhi hollywoodiani, l'industria cinematografica coreana è molto forte anche perché dal punto di vista legislativo è molto tutelata ( non vorrei sbagliare ma credo che ci sia addirittura una legge che prevede che almeno il 50% dei film proiettati nelle sale debba essere prodotto autoctono) , è un Paese che come numero di abitanti è paragonabile al nostro con i suoi 50 milioni di abitanti contro i 56 e rotti della nostra Italietta, ma che stacca molti più biglietti al cinema di quanto succeda da noi.
E si staccano molti biglietti per il cinema coreano.
Però talvolta i nostri amici orientali giocano a fare gli americani e così facendo tendono a perdere la forte identità del loro cinema.
Non che sfornino brutti prodotti, per carità, anzi la confezione è sempre inappuntabile e anche gli effetti speciali ( fatta la tara al budget molto più basso rispetto ai film hollywoodiani) non sono poi così lontani dall'eccellenza perché i nostri sanno usare la computer grafica in modo veramente sopraffino.
E' il caso di questo The Tower, blockbuster natalizio uscito in Corea il 25 dicembre del 2012 ( mentre da noi per Natale si tirano fuori commedie superbuoniste o trashate da risata grassa, loro se ne escono con un film catastrofico che non lesina in morti e feriti) che , a parte le caratteristiche fisiche degli attori, sembra più americano dei film americani.
E' costruito esattamente come il manualetto del cinema catastrofico comanda: una prima parte in cui si introducono i vari personaggi, varie storie che si incrociano sullo sfondo di questo edificio ipertecnologico a prima vista indistruttibile, un po' come era inaffondabile il Titanic, qualche esondazione nel melodramma familiare e nella critica sociale ( si veda la storia della madre che fa le pulizie nell'edificio , umiliata dalla riccastra di turno, che lavora per far studiare il figlio, oppure la famiglia di umile estrazione sociale che ha vinto un appartamento alla lotteria e che si sente a suo agio in quell'ambiente come un pesce fuor d'acqua), un'esilissima storiella d'amore da far crescere con i minuti, la solita bambina strappalacrime, una squadra di vigili del fuoco comandata da un capitano che sembra avere degli scheletri nell'armadio grossi così e a cui non sembra importare molto della propria vita.
Tutto mediamente scorrevole , alleggerito da qualche situazione comica e senza alcun lampo di genio.
Anche perché , non occorre sottolinearlo, il piatto forte è la catastrofe, l'incendio con tutto il suo bastimento carico di morti, feriti ed effetti speciali.
Sotto questo profilo il film non delude: certo c'è ancora distanza con gli omologhi prodotti americani, anzi emmerichiani, ma lo spettacolo è più che decoroso.
Peccato che tutto sia stato già ampiamente visto , rivisto e stravisto al di là dell'Oceano.
Non bastano quelle spruzzate di melodramma tipicamente coreane o la ricerca del lirismo in alcuni personaggi ( quello del capitano dei vigili del fuoco).
The Tower è una perfetta simulazione di blockbuster americano che è diventato un perfetto blockbuster coreano facendo staccare diversi milioni di biglietti.
Del resto , esattamente come succede in quel di Hollywood, anche qui il cast è formato di nomi extralusso in apparizione breve ma intensa, ognuno con la propria microstoria.
Personalmente preferisco il cinema coreano quando fa il coreano e non vuole fare l'americano.
Ma come guilty pleasure ci sta ampiamente.
PERCHE' SI : la confezione è accurata e l'uso della computer grafica è assai intelligente, non male le scene di distruzione e il ritmo impartito al film
PERCHE' NO : tutto ampiamente visto, rivisto e stravisto, remake apocrifo de L'inferno di cristallo ( The Towering Inferno), imitazione di blockbuster americano più vera del vero.
LA SEQUENZA : il crollo del ponte tra le due torri.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
meglio diffidare dei mega party di Natale, qualcosa di brutto succede sempre.
Seul, a vedere le generose panoramiche che ci regala il regista, è una città immensa.
Non credo che salirò mai su un elicottero.
I coreani quando vogliono fanno gli americani meglio degli americani.
( VOTO : 5,5 / 10 )
Il manager dell'edificio Dae -Ho, vedovo, con una figlia piccola è costretto a lavorare invece che passare il Natale con la sua piccola.
Ispezionando l'edificio scopre delle gravi mancanze nel sistema antincendio e prontamente le denuncia al signor Jo.
Che però non se ne cura , la festa deve andare avanti comunque.
Un elicottero si schianta contro l'edificio e scoppia un incendio che mieterà molte vittime.
Dae Ho e una eroica squadra di pompieri si adopereranno per salvare più vite possibili...
Vi suona familiare questa trama?
Infatti, suona mooolto familiare, è praticamente ricalcata con la carta carbone su L'inferno di cristallo, un all star movie hollywoodiano che da molti viene considerato il capostipite del genere catastrofico.
Chi segue questo blog sa che io vado letteralmente fuori di melone per il cinema coreano, ripeto sempre fino allo sfinimento che i thriller coreani al momento sono molto meglio degli omologhi hollywoodiani, l'industria cinematografica coreana è molto forte anche perché dal punto di vista legislativo è molto tutelata ( non vorrei sbagliare ma credo che ci sia addirittura una legge che prevede che almeno il 50% dei film proiettati nelle sale debba essere prodotto autoctono) , è un Paese che come numero di abitanti è paragonabile al nostro con i suoi 50 milioni di abitanti contro i 56 e rotti della nostra Italietta, ma che stacca molti più biglietti al cinema di quanto succeda da noi.
E si staccano molti biglietti per il cinema coreano.
Però talvolta i nostri amici orientali giocano a fare gli americani e così facendo tendono a perdere la forte identità del loro cinema.
Non che sfornino brutti prodotti, per carità, anzi la confezione è sempre inappuntabile e anche gli effetti speciali ( fatta la tara al budget molto più basso rispetto ai film hollywoodiani) non sono poi così lontani dall'eccellenza perché i nostri sanno usare la computer grafica in modo veramente sopraffino.
E' il caso di questo The Tower, blockbuster natalizio uscito in Corea il 25 dicembre del 2012 ( mentre da noi per Natale si tirano fuori commedie superbuoniste o trashate da risata grassa, loro se ne escono con un film catastrofico che non lesina in morti e feriti) che , a parte le caratteristiche fisiche degli attori, sembra più americano dei film americani.
E' costruito esattamente come il manualetto del cinema catastrofico comanda: una prima parte in cui si introducono i vari personaggi, varie storie che si incrociano sullo sfondo di questo edificio ipertecnologico a prima vista indistruttibile, un po' come era inaffondabile il Titanic, qualche esondazione nel melodramma familiare e nella critica sociale ( si veda la storia della madre che fa le pulizie nell'edificio , umiliata dalla riccastra di turno, che lavora per far studiare il figlio, oppure la famiglia di umile estrazione sociale che ha vinto un appartamento alla lotteria e che si sente a suo agio in quell'ambiente come un pesce fuor d'acqua), un'esilissima storiella d'amore da far crescere con i minuti, la solita bambina strappalacrime, una squadra di vigili del fuoco comandata da un capitano che sembra avere degli scheletri nell'armadio grossi così e a cui non sembra importare molto della propria vita.
Tutto mediamente scorrevole , alleggerito da qualche situazione comica e senza alcun lampo di genio.
Anche perché , non occorre sottolinearlo, il piatto forte è la catastrofe, l'incendio con tutto il suo bastimento carico di morti, feriti ed effetti speciali.
Sotto questo profilo il film non delude: certo c'è ancora distanza con gli omologhi prodotti americani, anzi emmerichiani, ma lo spettacolo è più che decoroso.
Peccato che tutto sia stato già ampiamente visto , rivisto e stravisto al di là dell'Oceano.
Non bastano quelle spruzzate di melodramma tipicamente coreane o la ricerca del lirismo in alcuni personaggi ( quello del capitano dei vigili del fuoco).
The Tower è una perfetta simulazione di blockbuster americano che è diventato un perfetto blockbuster coreano facendo staccare diversi milioni di biglietti.
Del resto , esattamente come succede in quel di Hollywood, anche qui il cast è formato di nomi extralusso in apparizione breve ma intensa, ognuno con la propria microstoria.
Personalmente preferisco il cinema coreano quando fa il coreano e non vuole fare l'americano.
Ma come guilty pleasure ci sta ampiamente.
PERCHE' SI : la confezione è accurata e l'uso della computer grafica è assai intelligente, non male le scene di distruzione e il ritmo impartito al film
PERCHE' NO : tutto ampiamente visto, rivisto e stravisto, remake apocrifo de L'inferno di cristallo ( The Towering Inferno), imitazione di blockbuster americano più vera del vero.
LA SEQUENZA : il crollo del ponte tra le due torri.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
meglio diffidare dei mega party di Natale, qualcosa di brutto succede sempre.
Seul, a vedere le generose panoramiche che ci regala il regista, è una città immensa.
Non credo che salirò mai su un elicottero.
I coreani quando vogliono fanno gli americani meglio degli americani.
( VOTO : 5,5 / 10 )
venerdì 24 aprile 2015
Humandroid ( 2015 )
Johannesburg: un futuro così prossimo che è parente strettissimo del presente. Ormai la criminalità ha raggiunto vette inimmaginabili e la polizia ha armi spuntate per controbattere.
La Tetravaal fornisce al governo dei robot umanoidi atti al controllo della legge e dell'ordine ideati da Deon, ingegnere indiano che lavora da tempo al suo sogno di sempre, un robot dotato di un'intelligenza artificiale il più possibile umana.
A contrapporsi a lui c'è la presidentessa della ditta e l'ingegnere Moore che invece ha ideato dei robot comunque guidati dall'uomo.
Chappie il robot umano a cui sta lavorando Deon e che lui sta cercando di proteggere dalla scorrettezza di Moore, viene rubato da una gang di spiantati.
Chappie è come un bambino che deve imparare a vivere e Deon cerca di insegnargli tutto.
Ma si ritrova ben presto all'interno di una lotta molto più grande di lui e del suo robot.
Occorre fare scelte drastiche e esplorare nuove forme di vita.
Eccoci qua dopo una settimana e più a parlare nuovamente di cinema, era giovedì scorso che soccombevo miseramente alle armate delle tenebre virali del mio computer che mi impedivano di fatto di scrivere e di collegarmi al blog.
Allora , vediamo, devo riprendere un attimo gli automatismi e naturalmente non avevo appuntato nulla di quello che volevo scrivere la settimana scorsa.
Quindi per una volta questo è uno dei pochi film che ho lasciato sedimentare per un po' di tempo, cosa che in genere tendo a fare poco perché prediligo scrivere le mie opinioni di pancia , senza starci troppo a pensare.
A questo Humandroid invece sono stato a pensare per una settimana abbondante.
La prima cosa che mi vien da dire è che per una volta i titolisti italiani, pur nella loro totale insipienza sono riusciti a migliorare un titolo originale che francamente non si può sentire.
Perchè diciamolo: Chappie più che il titolo di un film sembra una marca di cibo per cani, anzi esisteva una marca di cibo per cani che si pronunciava alla stessa maniera anche se si scriveva in modo diverso, italianizzato.
E tu Blomkamp non puoi intitolare il tuo film come la marca di un cibo per cani.
La seconda cosa che si nota in questo film è che Blomkamp ritorna alla sua amata/odiata Johannesburg per consegnarci l'ennesimo quadro di un futuro distopico che somiglia tanto al presente deteriore che stiamo vivendo e a quello scenario semi apocalittico paventato dai vari Robocop ( sia i tre film della saga originale , sia il reboot di poco tempo fa).
E questo non depone a favore di un regista che si era fatto notare con uno spot favoloso ( quello della Citroen) e che aveva esordito col botto con un film, District 9, che mostrava tutto il suo talento.
Talento che al momento sembra che gli si stia ritorcendo contro: è indubbio che le animazioni dei robot siano favolose, i loro movimenti sono di una fluidità e di una naturalezza impressionanti ma è altrettanto indubbio che a livello di scrittura siamo dalle parti della retorica hollywoodiana di grana grossa, infarcita di citazioni più o meno manifeste che faranno la gioia dei palati cinefili.
Altra cosa che a mio parere non funziona come dovrebbe è la caratterizzazione dei personaggi: sarà sicuramente tutto intenzionale ma i personaggi umani sono figurine di cartone monodimensionali che devono lasciare obbligatoriamente il passo ai sentimenti e all'"umanità" dell'unico personaggio che umano non è, quell'assemblaggio di titanio e circuiti prestampati che risponde al nome di Chappie.
Meglio stendere un velo pietoso sul personaggio affidato alla Weaver, di inutilità megagalattica e su quello di Hugh Jackman , un cattivo da barzelletta con un acconciatura da barzelletta.
Dicevamo di Chappie :un personaggio puccioso a cui non ci si può non affezionare, il motore e l'unica nota di estro nonché di colore di un film che narra la sua storia in maniera lineare, forse troppo lineare e semplice come se dovesse arrivare a tutti i costi al grosso del pubblico.
Cosa che personalmente gradisco molto poco, perché quando un autore si fa condizionare dalla pancia del pubblico allora ha imboccato una via che sarà avara di soddisfazioni , una via che condurrà all'oblio se non baciata dal successo al botteghino.
Eppure Blomkamp è giovane e ha talento ma al terzo film non ha ancora manifestato quella progressione che molti, e mi ci metto pure io tra questi, attendevano.
Humandroid è un compitino eseguito in bello stile, con quelle riprese sporche e aggressive che fanno tanto cinema di guerra, ma manifesta poca anima e quella poca che ha è inserita dentro il software di Chappie, robottino con l'anima che esplora quella linea grigia tra intelligenza artificiale e umana..
Che ha una voce insopportabile nel doppiaggio italiano.
Ma che si muove da Dio.
Per chi si accontenta.
PERCHE' SI : eccellenti le animazioni di Chappie e la crescita del suo personaggio, lo stile di ripresa è accattivante, i personaggi dei due gangsta rappers sono simpatici., i 50 milioni di budget si vedono tutti.
PERCHE' NO . personaggi umani piatti come figurine di cartone, storia troppo lineare , la voce di Chappie nel doppiaggio italiano è irritante, film che non lesina furbizia per arrivare al grosso del pubblico con la sua retorica hollywoodiana di grana grossa.
LA SEQUENZA : le prime parole pronunciate da Chappie.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Blomkamp ha talento da vendere ma sapere che sta girando il nuovo Alien mi ha fatto venire un brivido lungo la schiena.
Chappie è un robottino talmente puccioso che lo avrei voluto nella mia collezione di giocattoli.
Il parrucchiere di Jackman in questo film si faceva sicuramente di anfetamine.
Anche i robot hanno un'anima e Chappie è l'ultimo di una lunga serie.
( VOTO : 5 / 10 )
La Tetravaal fornisce al governo dei robot umanoidi atti al controllo della legge e dell'ordine ideati da Deon, ingegnere indiano che lavora da tempo al suo sogno di sempre, un robot dotato di un'intelligenza artificiale il più possibile umana.
A contrapporsi a lui c'è la presidentessa della ditta e l'ingegnere Moore che invece ha ideato dei robot comunque guidati dall'uomo.
Chappie il robot umano a cui sta lavorando Deon e che lui sta cercando di proteggere dalla scorrettezza di Moore, viene rubato da una gang di spiantati.
Chappie è come un bambino che deve imparare a vivere e Deon cerca di insegnargli tutto.
Ma si ritrova ben presto all'interno di una lotta molto più grande di lui e del suo robot.
Occorre fare scelte drastiche e esplorare nuove forme di vita.
Eccoci qua dopo una settimana e più a parlare nuovamente di cinema, era giovedì scorso che soccombevo miseramente alle armate delle tenebre virali del mio computer che mi impedivano di fatto di scrivere e di collegarmi al blog.
Allora , vediamo, devo riprendere un attimo gli automatismi e naturalmente non avevo appuntato nulla di quello che volevo scrivere la settimana scorsa.
Quindi per una volta questo è uno dei pochi film che ho lasciato sedimentare per un po' di tempo, cosa che in genere tendo a fare poco perché prediligo scrivere le mie opinioni di pancia , senza starci troppo a pensare.
A questo Humandroid invece sono stato a pensare per una settimana abbondante.
La prima cosa che mi vien da dire è che per una volta i titolisti italiani, pur nella loro totale insipienza sono riusciti a migliorare un titolo originale che francamente non si può sentire.
Perchè diciamolo: Chappie più che il titolo di un film sembra una marca di cibo per cani, anzi esisteva una marca di cibo per cani che si pronunciava alla stessa maniera anche se si scriveva in modo diverso, italianizzato.
E tu Blomkamp non puoi intitolare il tuo film come la marca di un cibo per cani.
La seconda cosa che si nota in questo film è che Blomkamp ritorna alla sua amata/odiata Johannesburg per consegnarci l'ennesimo quadro di un futuro distopico che somiglia tanto al presente deteriore che stiamo vivendo e a quello scenario semi apocalittico paventato dai vari Robocop ( sia i tre film della saga originale , sia il reboot di poco tempo fa).
E questo non depone a favore di un regista che si era fatto notare con uno spot favoloso ( quello della Citroen) e che aveva esordito col botto con un film, District 9, che mostrava tutto il suo talento.
Talento che al momento sembra che gli si stia ritorcendo contro: è indubbio che le animazioni dei robot siano favolose, i loro movimenti sono di una fluidità e di una naturalezza impressionanti ma è altrettanto indubbio che a livello di scrittura siamo dalle parti della retorica hollywoodiana di grana grossa, infarcita di citazioni più o meno manifeste che faranno la gioia dei palati cinefili.
Altra cosa che a mio parere non funziona come dovrebbe è la caratterizzazione dei personaggi: sarà sicuramente tutto intenzionale ma i personaggi umani sono figurine di cartone monodimensionali che devono lasciare obbligatoriamente il passo ai sentimenti e all'"umanità" dell'unico personaggio che umano non è, quell'assemblaggio di titanio e circuiti prestampati che risponde al nome di Chappie.
Meglio stendere un velo pietoso sul personaggio affidato alla Weaver, di inutilità megagalattica e su quello di Hugh Jackman , un cattivo da barzelletta con un acconciatura da barzelletta.
Dicevamo di Chappie :un personaggio puccioso a cui non ci si può non affezionare, il motore e l'unica nota di estro nonché di colore di un film che narra la sua storia in maniera lineare, forse troppo lineare e semplice come se dovesse arrivare a tutti i costi al grosso del pubblico.
Cosa che personalmente gradisco molto poco, perché quando un autore si fa condizionare dalla pancia del pubblico allora ha imboccato una via che sarà avara di soddisfazioni , una via che condurrà all'oblio se non baciata dal successo al botteghino.
Eppure Blomkamp è giovane e ha talento ma al terzo film non ha ancora manifestato quella progressione che molti, e mi ci metto pure io tra questi, attendevano.
Humandroid è un compitino eseguito in bello stile, con quelle riprese sporche e aggressive che fanno tanto cinema di guerra, ma manifesta poca anima e quella poca che ha è inserita dentro il software di Chappie, robottino con l'anima che esplora quella linea grigia tra intelligenza artificiale e umana..
Che ha una voce insopportabile nel doppiaggio italiano.
Ma che si muove da Dio.
Per chi si accontenta.
PERCHE' SI : eccellenti le animazioni di Chappie e la crescita del suo personaggio, lo stile di ripresa è accattivante, i personaggi dei due gangsta rappers sono simpatici., i 50 milioni di budget si vedono tutti.
PERCHE' NO . personaggi umani piatti come figurine di cartone, storia troppo lineare , la voce di Chappie nel doppiaggio italiano è irritante, film che non lesina furbizia per arrivare al grosso del pubblico con la sua retorica hollywoodiana di grana grossa.
LA SEQUENZA : le prime parole pronunciate da Chappie.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Blomkamp ha talento da vendere ma sapere che sta girando il nuovo Alien mi ha fatto venire un brivido lungo la schiena.
Chappie è un robottino talmente puccioso che lo avrei voluto nella mia collezione di giocattoli.
Il parrucchiere di Jackman in questo film si faceva sicuramente di anfetamine.
Anche i robot hanno un'anima e Chappie è l'ultimo di una lunga serie.
( VOTO : 5 / 10 )
giovedì 23 aprile 2015
Stupidario veterinario : un tranquillo venerdì 17 da paura nell'ambulatorio del bradipo
Ogni un racconto di un ordinario delirio in una mattinata piuttosto affollata nel mio ambulatorietto.
La ferita era fresca: il computer a riparare e senza scrivere nulla la mattina prima di andare al lavoro.
Non sono scaramantico ma ci credo: ho i miei rituali la mattina.
La sveglia quando da poco si è fatto giorno, un sorso di yogurt da bere gusto cocco e ananas , intanto che ho già acceso il computer, quindi un giro per internet per vedere le ultime novità.
Poi la lettura della trama del film di cui ho intenzione di parlare e infine comincio a confezionare il post mentre la casa si sta svegliando, i figli si cominciano a vestire e danno fastidio alla nostra cagnetta Bea che abbaia , ringhia e sbatte i denti per mordere che in confronto un piranha è un pucciosissimo pesce rosso.
Questa mattina ho chirurgia, tutto di routine, devo sterilizzare un gattino maschio e poi si è aggiunta una gattina femmina all'ultimo momento .
Di solito non prendo mai un doppio appuntamento di chirurgia nella mattinata: mi stresso troppo perché sento sempre terribilmente la responsabilità di avere una vita tra le mani che è legata alla mia pratica chirurgica.
Perché per gli altri saranno anche animali ma per me sono esseri viventi e per chi me li affida sono qualcosa di molto di più che semplici amici.
La responsabilità si sente, eccome se si sente.
Quando ho chirurgia la mattina, se la posso programmare prendo appuntamenti solo di mattina, tutto il mio rituale viene stravolto: devo andare leggermente prima in ambulatorio per preparare la sala operatoria, per avere già tutto pronto e in ordine, per non lasciare alcuno spazio all'imprevisto che di solito è sempre in agguato.
Anche il viaggio in macchina è fatto nel silenzio assoluto: spazio vietato alla musica e alla radio, solo concentrazione per quello che mi attende appena arriverò in ambulatorio.
In tutto questo ha parte fondamentale la mia dolce metà, anzi il mio quartino, viste le mie dimensioni antropometriche.
Lei è mia moglie, la madre dei miei figli ( anzi dei nostri figli), la mia migliore amica, la mia confidente ed è anche la mia collaboratrice principale.
Senza di lei non sarei in grado di fare nulla: è lei che si occupa di tutto quello che gravita attorno alla mia attività, è lei che si occupa di preparare tutto, di mettere tutto in ordine in modo che quando entro in sala operatoria sia tutto pronto , dal ferro chirurgico , alla garza , al filo di sutura.
E lei è anche il mio calmante mentre opero oltre ad essere il mio antidepressivo naturale.
Dicevo calmante mentre opero: beh non c'è operazione chirurgica in cui non si moccola almeno un pochino, almeno nella mia sala operatoria succede così, lei è sempre lì a calmarmi e a cercare di mettermi di buon umore.
A proposito di scaramanzia oggi è venerdì 17 e come ho detto prima non è vero ma ci credo.
E quella mattina mi ha attraversato la strada anche uno dei millemila gatti neri dell'architetto che abita all'inizio della mia via.
I gatti neri portano fortuna in tutti i Paesi tranne che nel nostro : siccome portano fortuna e non voglio che qualsiasi cosa poi succeda in sala operatoria sia connesso all'attraversamento o meno di quel gatto , decido di fare inversione a U e cambiare strada con tanti saluti al gatto nero e all'architetto.
Nel tragitto che va da casa all'ambulatorio, quindici minuti di macchina, dico a mia moglie che non so se ho preso l'appuntamento per fare le analisi del sangue a un pastore tedesco.
E non mi ricordo se la signora mi aveva parlato anche di una possibile visita al suo coniglio.
Se così fosse mi slitta tutta la scaletta delle attività della mattina.
Arrivo in ambulatorio e proprio mentre sto quasi gioendo perché non vedo la signora con il pastore tedesco....Caz ..è lì...e c'è anche il coniglio.
Faccio velocemente il prelievo dopo aver aiutato la signora a sollevare la piccola Sissi ( 50 kg di cane a momenti per alzarla dovevamo chiamare un carro attrezzi) che trema come una foglia , un po' come le mie vertebre lombari al solo pensiero che la devo riprendere in braccio per rimetterla giù.
E poi passiamo al coniglio: ecco quel coniglio in particolare è un concentrato di pucciosità senza limiti, è della razza ariete nano , ha delle lunghissime orecchie che gli ricadono ai lati della testa ed è lì buonissimo che aspetta la visita con pazienza e riesce a stare fermo anche quando su richiesta della signora devo fargli un po' di manicure e di pedicure, le unghie sono lunghissime e bisogna accorciarle.
Intanto è arrivata la signora del gatto maschio da operare ma prima di lei sono arrivate anche altre persone che hanno riempito la mia sala d'attesa con un brusio di sottofondo che diventa sempre più forte e che innervosisce me e i piccoli pazienti che stanno aspettando.
La signora del gatto è anche senza trasportino ma tiene il micio dentro una borsa da ginnastica da cui esce solo la sua testa.
Ma quella dei trasportini strani è un'altra storia.
Dopo aver visitato e vaccinato un lagotto di due mesi, anche questo di un puccioso ai limiti della commozione, arriva Argo, un cucciolone di American Staffordshire che ha problemi con le zampe posteriori.
Ecco, dire arriva è piuttosto improprio perché la ragazza che lo porta pesa meno di lui e sta ficcato talmente dentro la macchina che quasi non riesco a disincastrarlo.
Per evitare di stressarlo ulteriormente e di fargli male seppure involontariamente opto per una visita in situ: nel bagagliaio della macchina. E alla signora dico che non faccio pagare nemmeno la domiciliare.
Argo ha un dolore alla zona lombare molto forte ma fortunatamente tutti i riflessi spinali sono presenti e quindi non dovrebbero esserci problemi nel rivederlo in piedi sulle quattro zampe a breve.
La signora del gatto da sterilizzare intanto comincia a dire che ha fretta e lo fa ogni volta che passo nella sala d'attesa quando entro ed esco dall'ambulatorio per vedere Argo.
Il nervosismo mio sale perché detesto fare aspettare la gente e perché detesto affrettare le cose: del resto se mi chiamo bradipo e se il mio ambulatorio si chiama così una ragione ci deve essere.
Riesco a guadagnare un po' di tempo segnando la terapia domiciliare ad Argo e appena dopo faccio entrare finalmente la signora.
Lei è in vena di battute e io normalmente non sono da meno: sono carico come una molla ma anche il suo gatto non scherza, non si vuole far toccare neanche per una veloce preanestesia.
La signora comincia a dirmi:" Dottore , non è che si sbaglia e che la puntura la fa a me?"
E io prontamente " Signora non si preoccupi, se sente la puntura dell'ago basta che alza la mano e mi avverte e io mi fermo subito"
Il terrore cala come una mannaia sul suo sguardo: " Dottore ma le è mai successa una cosa simile?"
E qui mi vendico mentendo spudoratamente : " Solo un paio di volte in quasi venti anni di attività...."
La signora ormai me la sono giocata, deve subentrare il marito e a nulla valgono le mie rassicurazioni, capisce che stavo scherzando ma non si sa mai...
Riesco a sedare il gatto e a portarmelo in sala operatoria e mentre sto ultimando l'intervento mia moglie se ne esce : " Che ne dici oggi se mangiamo la pasta in bianco con asparagi e speck?"
Ecco non so perché ma ogni volta che faccio un intervento si finisce a parlare di cibo.
Aspetto il risveglio del gatto e lo metto nella gabbietta e ho la brutta idea di avventurarmi nella sala d'attesa che trovo molto più piena di quanto l'avessi lasciata prima.
Ci sono due cani da vedere , ma fanno talmente tanto casino che sembrano venti, e la gattina da sterilizzare che da dentro il suo trasportino guarda tutti con occhio terrorizzato.
Il primo cane è una bracchetta tedesca che devo solo vaccinare ma siccome abita nel mio stesso paese e le votazioni si stanno avvicinando ci scappa la chiacchiera sul sindaco e sulla situazione politica nella città.
Abitando in un paese di poco più di diecimila anime ci si conosce praticamente tutti per nome e quindi la chiacchiera procede spedita fino a che mia moglie, il vero direttore sanitario dell'ambulatorio, mi richiama all'ordine.
Devo far entrare l'altro cane, Achille che è quello che sta facendo più casino di tutti: poco tempo fa gli ho suturato una brutta ferita sulla zampa anteriore , l'ho costretto a portare uno scomodissimo collare elisabettiano ( dal padrone ribattezzato collare tibetano) e quindi il nostro rapporto è andato un attimo a sud.
E gli devo mettere il microchip, pratica semplicissima ma in un cane che si impunta come un cavallo allo stato brado e che scalcia come un mulo , diventa un filino più difficile.
Il microchip si applica mediante iniezione sulla parte sinistra del collo e Achille non sembra molto d'accordo nel farselo mettere.
Mi ringhia , ma ormai ci ho fatto il callo, mentre non esita a mordere le mani della padrona, così tanto per spiegarle che non ha nessunissima voglia di farsi toccare.
A questo punto la lotta diventa una questione d'onore: Achille scenderà dal tavolo dell'ambulatorio solo con il suo bel microchip.
I suoi padroni sono due placidi vecchietti, pensionati che lo trattano come un nipotino e lui un po' se ne approfitta. Di me invece , che sono più brutto, più grosso e più cattivo di loro ha un po' paura e per questo gli rifilo un paio di urlacci per mettergli non dico paura ma almeno per renderlo un po' dubbioso sulle mie reali intenzioni.
Messa la museruola e immobilizzato per un attimo finalmente riesco a mettere il microchip e lui mentre la padrona gli toglie la museruola che fa? la morde di nuovo e la signora , stoica, sopporta tutto.
E' il suo nipotino.
Intanto in sala d'attesa si sta consumando un dramma: la proprietaria della gatta da sterilizzare è ormai nel panico totale. E' una mia amica con cui c'è una certa confidenza per cui mi dispiace parecchio che la prenda così.
Un po' è anche colpa mia e del suo fidanzato: qualche anno fa abbiamo sterilizzato un suo gatto maschio e le facemmo uno scherzo veramente crudele ideato dal ragazzo.
Mentre il gatto riposava nella gabbietta placido e tranquillo, mi misi un fonendoscopio a tracolla come il George Clooney di E.R., presi un panno verde e lo avvolsi in modo da far sembrare che ci fosse qualcosa dentro e poi facendoci vedere da lei passammo da una stanza all'altra al grido di "Lo stiamo perdendo! Lo stiamo perdendo!" esattamente come succedeva nella serie americana.
Devo ammettere uno scherzo veramente stronzo, di pessimo gusto.Lei quasi svenne e al ragazzo non perdonò mai uno scherzo così crudele.
Mi perdonò solo perché la burla non l'avevo ideata io.
Addormentiamo la gattina e procediamo con l'intervento.
Va tutto bene, mi siedo su uno sgabello, stanco, con i piedi che fanno un po' male e leggermente sudato.
Si è fatta l'una ormai, la mattinata è finalmente finita e tutto è andato nel migliore dei modi.
E mia moglie : " Ma allora ti va bene la pasta con asparagi e speck?"
" Va bene, amore, va benissimo. Tutto quello che vuoi tu."
La ferita era fresca: il computer a riparare e senza scrivere nulla la mattina prima di andare al lavoro.
Non sono scaramantico ma ci credo: ho i miei rituali la mattina.
La sveglia quando da poco si è fatto giorno, un sorso di yogurt da bere gusto cocco e ananas , intanto che ho già acceso il computer, quindi un giro per internet per vedere le ultime novità.
Poi la lettura della trama del film di cui ho intenzione di parlare e infine comincio a confezionare il post mentre la casa si sta svegliando, i figli si cominciano a vestire e danno fastidio alla nostra cagnetta Bea che abbaia , ringhia e sbatte i denti per mordere che in confronto un piranha è un pucciosissimo pesce rosso.
Questa mattina ho chirurgia, tutto di routine, devo sterilizzare un gattino maschio e poi si è aggiunta una gattina femmina all'ultimo momento .
Di solito non prendo mai un doppio appuntamento di chirurgia nella mattinata: mi stresso troppo perché sento sempre terribilmente la responsabilità di avere una vita tra le mani che è legata alla mia pratica chirurgica.
Perché per gli altri saranno anche animali ma per me sono esseri viventi e per chi me li affida sono qualcosa di molto di più che semplici amici.
La responsabilità si sente, eccome se si sente.
Quando ho chirurgia la mattina, se la posso programmare prendo appuntamenti solo di mattina, tutto il mio rituale viene stravolto: devo andare leggermente prima in ambulatorio per preparare la sala operatoria, per avere già tutto pronto e in ordine, per non lasciare alcuno spazio all'imprevisto che di solito è sempre in agguato.
Anche il viaggio in macchina è fatto nel silenzio assoluto: spazio vietato alla musica e alla radio, solo concentrazione per quello che mi attende appena arriverò in ambulatorio.
In tutto questo ha parte fondamentale la mia dolce metà, anzi il mio quartino, viste le mie dimensioni antropometriche.
Lei è mia moglie, la madre dei miei figli ( anzi dei nostri figli), la mia migliore amica, la mia confidente ed è anche la mia collaboratrice principale.
Senza di lei non sarei in grado di fare nulla: è lei che si occupa di tutto quello che gravita attorno alla mia attività, è lei che si occupa di preparare tutto, di mettere tutto in ordine in modo che quando entro in sala operatoria sia tutto pronto , dal ferro chirurgico , alla garza , al filo di sutura.
E lei è anche il mio calmante mentre opero oltre ad essere il mio antidepressivo naturale.
Dicevo calmante mentre opero: beh non c'è operazione chirurgica in cui non si moccola almeno un pochino, almeno nella mia sala operatoria succede così, lei è sempre lì a calmarmi e a cercare di mettermi di buon umore.
A proposito di scaramanzia oggi è venerdì 17 e come ho detto prima non è vero ma ci credo.
E quella mattina mi ha attraversato la strada anche uno dei millemila gatti neri dell'architetto che abita all'inizio della mia via.
I gatti neri portano fortuna in tutti i Paesi tranne che nel nostro : siccome portano fortuna e non voglio che qualsiasi cosa poi succeda in sala operatoria sia connesso all'attraversamento o meno di quel gatto , decido di fare inversione a U e cambiare strada con tanti saluti al gatto nero e all'architetto.
Nel tragitto che va da casa all'ambulatorio, quindici minuti di macchina, dico a mia moglie che non so se ho preso l'appuntamento per fare le analisi del sangue a un pastore tedesco.
E non mi ricordo se la signora mi aveva parlato anche di una possibile visita al suo coniglio.
Se così fosse mi slitta tutta la scaletta delle attività della mattina.
Arrivo in ambulatorio e proprio mentre sto quasi gioendo perché non vedo la signora con il pastore tedesco....Caz ..è lì...e c'è anche il coniglio.
Faccio velocemente il prelievo dopo aver aiutato la signora a sollevare la piccola Sissi ( 50 kg di cane a momenti per alzarla dovevamo chiamare un carro attrezzi) che trema come una foglia , un po' come le mie vertebre lombari al solo pensiero che la devo riprendere in braccio per rimetterla giù.
E poi passiamo al coniglio: ecco quel coniglio in particolare è un concentrato di pucciosità senza limiti, è della razza ariete nano , ha delle lunghissime orecchie che gli ricadono ai lati della testa ed è lì buonissimo che aspetta la visita con pazienza e riesce a stare fermo anche quando su richiesta della signora devo fargli un po' di manicure e di pedicure, le unghie sono lunghissime e bisogna accorciarle.
Intanto è arrivata la signora del gatto maschio da operare ma prima di lei sono arrivate anche altre persone che hanno riempito la mia sala d'attesa con un brusio di sottofondo che diventa sempre più forte e che innervosisce me e i piccoli pazienti che stanno aspettando.
La signora del gatto è anche senza trasportino ma tiene il micio dentro una borsa da ginnastica da cui esce solo la sua testa.
Ma quella dei trasportini strani è un'altra storia.
Dopo aver visitato e vaccinato un lagotto di due mesi, anche questo di un puccioso ai limiti della commozione, arriva Argo, un cucciolone di American Staffordshire che ha problemi con le zampe posteriori.
Ecco, dire arriva è piuttosto improprio perché la ragazza che lo porta pesa meno di lui e sta ficcato talmente dentro la macchina che quasi non riesco a disincastrarlo.
Per evitare di stressarlo ulteriormente e di fargli male seppure involontariamente opto per una visita in situ: nel bagagliaio della macchina. E alla signora dico che non faccio pagare nemmeno la domiciliare.
Argo ha un dolore alla zona lombare molto forte ma fortunatamente tutti i riflessi spinali sono presenti e quindi non dovrebbero esserci problemi nel rivederlo in piedi sulle quattro zampe a breve.
La signora del gatto da sterilizzare intanto comincia a dire che ha fretta e lo fa ogni volta che passo nella sala d'attesa quando entro ed esco dall'ambulatorio per vedere Argo.
Il nervosismo mio sale perché detesto fare aspettare la gente e perché detesto affrettare le cose: del resto se mi chiamo bradipo e se il mio ambulatorio si chiama così una ragione ci deve essere.
Riesco a guadagnare un po' di tempo segnando la terapia domiciliare ad Argo e appena dopo faccio entrare finalmente la signora.
Lei è in vena di battute e io normalmente non sono da meno: sono carico come una molla ma anche il suo gatto non scherza, non si vuole far toccare neanche per una veloce preanestesia.
La signora comincia a dirmi:" Dottore , non è che si sbaglia e che la puntura la fa a me?"
E io prontamente " Signora non si preoccupi, se sente la puntura dell'ago basta che alza la mano e mi avverte e io mi fermo subito"
Il terrore cala come una mannaia sul suo sguardo: " Dottore ma le è mai successa una cosa simile?"
E qui mi vendico mentendo spudoratamente : " Solo un paio di volte in quasi venti anni di attività...."
La signora ormai me la sono giocata, deve subentrare il marito e a nulla valgono le mie rassicurazioni, capisce che stavo scherzando ma non si sa mai...
Riesco a sedare il gatto e a portarmelo in sala operatoria e mentre sto ultimando l'intervento mia moglie se ne esce : " Che ne dici oggi se mangiamo la pasta in bianco con asparagi e speck?"
Ecco non so perché ma ogni volta che faccio un intervento si finisce a parlare di cibo.
Aspetto il risveglio del gatto e lo metto nella gabbietta e ho la brutta idea di avventurarmi nella sala d'attesa che trovo molto più piena di quanto l'avessi lasciata prima.
Ci sono due cani da vedere , ma fanno talmente tanto casino che sembrano venti, e la gattina da sterilizzare che da dentro il suo trasportino guarda tutti con occhio terrorizzato.
Il primo cane è una bracchetta tedesca che devo solo vaccinare ma siccome abita nel mio stesso paese e le votazioni si stanno avvicinando ci scappa la chiacchiera sul sindaco e sulla situazione politica nella città.
Abitando in un paese di poco più di diecimila anime ci si conosce praticamente tutti per nome e quindi la chiacchiera procede spedita fino a che mia moglie, il vero direttore sanitario dell'ambulatorio, mi richiama all'ordine.
Devo far entrare l'altro cane, Achille che è quello che sta facendo più casino di tutti: poco tempo fa gli ho suturato una brutta ferita sulla zampa anteriore , l'ho costretto a portare uno scomodissimo collare elisabettiano ( dal padrone ribattezzato collare tibetano) e quindi il nostro rapporto è andato un attimo a sud.
E gli devo mettere il microchip, pratica semplicissima ma in un cane che si impunta come un cavallo allo stato brado e che scalcia come un mulo , diventa un filino più difficile.
Il microchip si applica mediante iniezione sulla parte sinistra del collo e Achille non sembra molto d'accordo nel farselo mettere.
Mi ringhia , ma ormai ci ho fatto il callo, mentre non esita a mordere le mani della padrona, così tanto per spiegarle che non ha nessunissima voglia di farsi toccare.
A questo punto la lotta diventa una questione d'onore: Achille scenderà dal tavolo dell'ambulatorio solo con il suo bel microchip.
I suoi padroni sono due placidi vecchietti, pensionati che lo trattano come un nipotino e lui un po' se ne approfitta. Di me invece , che sono più brutto, più grosso e più cattivo di loro ha un po' paura e per questo gli rifilo un paio di urlacci per mettergli non dico paura ma almeno per renderlo un po' dubbioso sulle mie reali intenzioni.
Messa la museruola e immobilizzato per un attimo finalmente riesco a mettere il microchip e lui mentre la padrona gli toglie la museruola che fa? la morde di nuovo e la signora , stoica, sopporta tutto.
E' il suo nipotino.
Intanto in sala d'attesa si sta consumando un dramma: la proprietaria della gatta da sterilizzare è ormai nel panico totale. E' una mia amica con cui c'è una certa confidenza per cui mi dispiace parecchio che la prenda così.
Un po' è anche colpa mia e del suo fidanzato: qualche anno fa abbiamo sterilizzato un suo gatto maschio e le facemmo uno scherzo veramente crudele ideato dal ragazzo.
Mentre il gatto riposava nella gabbietta placido e tranquillo, mi misi un fonendoscopio a tracolla come il George Clooney di E.R., presi un panno verde e lo avvolsi in modo da far sembrare che ci fosse qualcosa dentro e poi facendoci vedere da lei passammo da una stanza all'altra al grido di "Lo stiamo perdendo! Lo stiamo perdendo!" esattamente come succedeva nella serie americana.
Devo ammettere uno scherzo veramente stronzo, di pessimo gusto.Lei quasi svenne e al ragazzo non perdonò mai uno scherzo così crudele.
Mi perdonò solo perché la burla non l'avevo ideata io.
Addormentiamo la gattina e procediamo con l'intervento.
Va tutto bene, mi siedo su uno sgabello, stanco, con i piedi che fanno un po' male e leggermente sudato.
Si è fatta l'una ormai, la mattinata è finalmente finita e tutto è andato nel migliore dei modi.
E mia moglie : " Ma allora ti va bene la pasta con asparagi e speck?"
" Va bene, amore, va benissimo. Tutto quello che vuoi tu."
mercoledì 22 aprile 2015
La mia vita senza cinema
Son tornato!
Prima che partano le salve a suon di " e sti caz.." ehm ci siamo capiti, volevo dirvi quanto ho apprezzato i vostri messaggi a cui cercherò di rispondere, lentamente , come mio costume.
In questi tre anni di attività quotidiana è la terza volta che sono costretto a fermarmi per cause di forza maggiore e devo dire che ogni volta la sensazione di vuoto che ho la mattina è sempre peggiore.
E questo depone a favore della durata del blog, perché è evidente che ancora sono supportato da sufficiente passione per fare il piccolo sacrificio mattutino di alzarsi un po' prima, mettersi davanti alla tastiera e organizzare le mie quattro parole in croce per parlare di film appena visti.
Questa settimana ho avuto modo di riflettere sia sul mio modo di essere un blogger, assolutamente sui generis, a cui sfugge probabilmente anche la grammatica di base per potersi definire tale.
Mancare la routine della mattina presto fatta di scrittura e giro per i vari blog che conosco, oltre che l'immancabile pellegrinaggio per i vari social, mi ha fatto vivere una brutta sensazione di inutilità, il vuoto di cui parlavo prima, il mio blog sempre pimpante e aggiornato tutti i giorni che vagava per la blogosfera come un'astronave abbandonata alla deriva spaziale, cristallizzato nel suo ultimo momento di vita virtuale.
La domenica è stato il giorno peggiore.
Di solito uso la domenica per riposare letteralmente le stanche membra dopo la settimana lavorativa ( e chi dice che fare il veterinario è un lavoro leggero gli farei provare un po' del delirio , bellissimo e che mi auguro accada tutti i giorni, da cui vengo assalito normalmente) e per recuperare visioni oltre che per scrivere dei posts che normalmente mi prendono più tempo del solito tipo le famose playlist con cui vi ho flagellato per numerose domeniche.
Questa domenica qui l'ho vissuta sulle ali del nervosismo come se avessi intrapreso una nuova dieta superipocalorica che mi ha dosato anche l'aria che respiro.
Brutta giornata meteorologicamente parlando, di quelle in cui stare a casa, con scarsa voglia di combinare alcunché e la noia che ha regnato sovranamente.
Un giorno in cui la mancanza del blog ha fatto sentire, amplificata a un milione di decibel, il suo vocione.
In questa settimana non ce l'ho fatta neanche a vedere film, come se vedere film e scriverne per me fosse una cosa sola.
Mi ha fatto ritornare a una decina di anni fa quando non so bene per quale motivo decisi di prendermi un anno sabbatico dal cinema ( che poi durò un anno e mezzo) e da buon maniaco compulsivo cominciai a vedere solo serie televisive, dalle classiche a quelle più moderne.
Un rifiuto totale della narrazione stringata di un film in favore di serialità verticale e orizzontale come se avessi bisogno di storie dal respiro più ampio.
Il respiro che mi verrebbe a mancare ora se decidessi di non vedere più film.
Sono stato una settimana senza, anche per cause concomitanti, e ora sono come un tossico in crisi di astinenza, non riesco a immaginare la mia vita senza cinema.
Devo ricominciare il solito ritmo di visioni.
Ma una domanda mi frulla per la testa: che cosa sarebbe la mia vita senza cinema?
Perché non provare anche voi a rispondere a questa domanda?
Ci sentiamo domani: visto che molti si sono lamentati della mancanza di racconti inerenti la mia professione domani vi racconterò un tranquillo venerdì 17 da paura nell'ambulatorio del bradipo.
Prima che partano le salve a suon di " e sti caz.." ehm ci siamo capiti, volevo dirvi quanto ho apprezzato i vostri messaggi a cui cercherò di rispondere, lentamente , come mio costume.
In questi tre anni di attività quotidiana è la terza volta che sono costretto a fermarmi per cause di forza maggiore e devo dire che ogni volta la sensazione di vuoto che ho la mattina è sempre peggiore.
E questo depone a favore della durata del blog, perché è evidente che ancora sono supportato da sufficiente passione per fare il piccolo sacrificio mattutino di alzarsi un po' prima, mettersi davanti alla tastiera e organizzare le mie quattro parole in croce per parlare di film appena visti.
Questa settimana ho avuto modo di riflettere sia sul mio modo di essere un blogger, assolutamente sui generis, a cui sfugge probabilmente anche la grammatica di base per potersi definire tale.
Mancare la routine della mattina presto fatta di scrittura e giro per i vari blog che conosco, oltre che l'immancabile pellegrinaggio per i vari social, mi ha fatto vivere una brutta sensazione di inutilità, il vuoto di cui parlavo prima, il mio blog sempre pimpante e aggiornato tutti i giorni che vagava per la blogosfera come un'astronave abbandonata alla deriva spaziale, cristallizzato nel suo ultimo momento di vita virtuale.
La domenica è stato il giorno peggiore.
Di solito uso la domenica per riposare letteralmente le stanche membra dopo la settimana lavorativa ( e chi dice che fare il veterinario è un lavoro leggero gli farei provare un po' del delirio , bellissimo e che mi auguro accada tutti i giorni, da cui vengo assalito normalmente) e per recuperare visioni oltre che per scrivere dei posts che normalmente mi prendono più tempo del solito tipo le famose playlist con cui vi ho flagellato per numerose domeniche.
Questa domenica qui l'ho vissuta sulle ali del nervosismo come se avessi intrapreso una nuova dieta superipocalorica che mi ha dosato anche l'aria che respiro.
Brutta giornata meteorologicamente parlando, di quelle in cui stare a casa, con scarsa voglia di combinare alcunché e la noia che ha regnato sovranamente.
Un giorno in cui la mancanza del blog ha fatto sentire, amplificata a un milione di decibel, il suo vocione.
In questa settimana non ce l'ho fatta neanche a vedere film, come se vedere film e scriverne per me fosse una cosa sola.
Mi ha fatto ritornare a una decina di anni fa quando non so bene per quale motivo decisi di prendermi un anno sabbatico dal cinema ( che poi durò un anno e mezzo) e da buon maniaco compulsivo cominciai a vedere solo serie televisive, dalle classiche a quelle più moderne.
Un rifiuto totale della narrazione stringata di un film in favore di serialità verticale e orizzontale come se avessi bisogno di storie dal respiro più ampio.
Il respiro che mi verrebbe a mancare ora se decidessi di non vedere più film.
Sono stato una settimana senza, anche per cause concomitanti, e ora sono come un tossico in crisi di astinenza, non riesco a immaginare la mia vita senza cinema.
Devo ricominciare il solito ritmo di visioni.
Ma una domanda mi frulla per la testa: che cosa sarebbe la mia vita senza cinema?
Perché non provare anche voi a rispondere a questa domanda?
Ci sentiamo domani: visto che molti si sono lamentati della mancanza di racconti inerenti la mia professione domani vi racconterò un tranquillo venerdì 17 da paura nell'ambulatorio del bradipo.
giovedì 16 aprile 2015
Pit stop : una sosta forzata.
Purtroppo per il persistere di noie informatiche sono costretto a fermarmi di nuovo: questo computer non ne vuole sapere di prendere in carico le mie quattro parole in croce e si è riammalato di nuovo.
O è stanco di sentirmi vaneggiare ogni mattina di cinema e di altre amenità annesse e connesse oppure questi dannati virus ne hanno davvero minato la salute e l'integrità.
Non vorrei dover operare un cambio drastico.
Ma l'età c'è.
Chiedo scusa a quei due o tre che mi leggono abitualmente.
Ritrasmetteremo su questi schermi il prima possibile.
Vediamo il dottore che ci dice.
Intanto continuo a studiare e ad aggiornarmi.
O è stanco di sentirmi vaneggiare ogni mattina di cinema e di altre amenità annesse e connesse oppure questi dannati virus ne hanno davvero minato la salute e l'integrità.
Non vorrei dover operare un cambio drastico.
Ma l'età c'è.
Chiedo scusa a quei due o tre che mi leggono abitualmente.
Ritrasmetteremo su questi schermi il prima possibile.
Vediamo il dottore che ci dice.
Intanto continuo a studiare e ad aggiornarmi.
mercoledì 15 aprile 2015
Haunted 3 D ( 2011 )
Rehan viene mandato da suo padre a controllare una proprietà , una casa in stile vittoriano con un enorme parco in una posizione incantevole, per prepararne la vendita.
Chi precedentemente se ne occupava è morto in circostanze misteriose, pare un attacco di cuore e Rehan scopre presto che la casa è infestata da due fantasmi che ogni notte sono impegnati nel recitare la stessa scena.
Sono un maestro di musica e la sua procace allieva, lui tenta di usarle violenza e lei per difendersi lo uccide.
E il maestro infesta la casa da oltre settanta anni.
Rehan cerca di fermare la maledizione ma ogni tentativo risulta vano fino a quando non viene trasportato magicamente nel 1936 , appena prima che avvenisse il fatto incriminato.
Ha quindi una chance di fermare tutto.
Ci riuscirà?
Devo dire di non avere grosso feeling con Bollywood e il suo modo di fare cinema ma ogni tanto mi piace avventurarmi in questo mondo cinematografico alternativo, dove tutto è veramente esagerato, sia formalmente che sostanzialmente , dove i lustrini e le pailettes ti entrano veramente dentro i vestiti con musiche e balletti ogni tre per due che ti stordiscono mentre sei intento ad arrivare alla meta dopo un minutaggio che definire generoso è poco più di un gentile eufemismo.
Però per numero di produzioni è nettamente la prima industria cinematografica al mondo quindi , fatalmente, ogni tanto bisogna farci i conti.
E oggi ci occupiamo di un film bollywoodiano molto particolare, un horror, genere poco frequentato in quella parte di mondo, il primo horror stereoscopico mai fatto in India, come suggerisce la locandina.
Il film di Vikram Bhatt, uno che ha 45 anni ha già un curriculum lungo un paio di kilometri, in realtà si dimostra come una commistione, a volte riuscita , a volte un po' meno, di cinema bollywoodiano, soprattutto la seconda parte e di cinema di gusto più occidentale.
Il racconto della casa infestata è l'occasione per mettere in mostra degli effetti speciali piuttosto artigianali ma che non sfigurano affatto e ha un'andatura spedita pur nella reiterazione delle stesse scene che il povero Rehan si deve gustare suo malgrado ogni sera.
La cosa che un po' stupisce è che il nostro Rehan non manifesta mai neanche un briciolo di paura di fronte a cotante manifestazioni del Male Assoluto
.
Non è il classico bimbominkia che reagisce a fava di segugio a ogni apparizione fantasmatica: ragione, vuole lottare e risolvere la cosa grazie all'intelligenza.
Insomma questa casa infestata non gli incute nessun sentimento di terrore.
Il film fa molto leva sulla stereoscopia, cosa che di fatto ci viene negata a una visione su piccolo schermo ma si nota una certa cura nel design anche se quel persistente uso di fondali prerenderizzati gli dà un look più da videogame che da film.
Ma è un qualcosa a cui si fa l'abitudine col passare dei minuti.
Nella seconda ora (il film dura due ore e venti) c'è la svolta in senso bollywoodiano: melodramma di grana grossa, grossissima, la classica storia d'amore impossibile anche se i due amanti per un sortilegio riescono a vivere nella stessa epoca( ma il loro unico scopo è annientare il fantasma cattivo), fanno capolino anche un paio di numeri musicali, ovvero scene dilatate all'inverosimile giusto per far ascoltare la canzone strappalacrime di turno.
Tutto molto bollywoodiano e lontano dal mio gusto.
Per fortuna che c'è un finale rutilante in cui la lotta selvaggia col fantasma risolleva il livello della pellicola in un diluvio di effetti speciali.
Pur con tutti i suoi difetti comunque Haunted 3 D mi ha divertito parecchio,si è dimostrata una visione molto disimpegnata che in certe sequenze arriva a essere anche paurosa, mentre in altre ti strappa il sorriso per tanta beata ingenuità che viene mostrata con sommo sprezzo del rischio di cadere nel ridicolo involontario
Il protagonista maschile Mimoh Chaskraborty è attore meno che mediocre mentre la protagonista femminile almeno ha da mostrare una bellezza fuori del comune.
Haunted 3 D è un prodotto ad alto budget per gli standard indiani ( un milione e mezzo di dollari di budget) e anche l'incasso è stato un record ( circa 8 milioni e mezzo di dollari).
Se vi volete avvicinare a un horror bollywoodiano....a vostro rischio e pericolo.
PERCHE' SI : l'ambientazione è notevole, effetti speciali che fanno la loro figura, ridotto al minimo l'apporto di numeri musicali e balletti vari.
PERCHE' NO : dopo un'ora viene fuori l'anima bollywoodiana tramite il melodramma di grana grossa, l'uso della stereoscopia su piccolo schermo gli dà un look da videogame, i protagonisti sono attori mediocri.
LA SEQUENZA : la lotta selvaggia col fantasma nel finale.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Bollywood non sarà mai la mia cup of tea ma posso gustarne i prodotti a piccole dosi
L'India deve essere un posto bellissimo da visitare
A livello di recitazione stanno ancora tanto indietro mentre la confezione è all'altezza
Vorrei avere io una casa e una tenuta come quella del film. E pazienza se è infestata da un fantasma.
( VOTO : 6 + / 10 )
Chi precedentemente se ne occupava è morto in circostanze misteriose, pare un attacco di cuore e Rehan scopre presto che la casa è infestata da due fantasmi che ogni notte sono impegnati nel recitare la stessa scena.
Sono un maestro di musica e la sua procace allieva, lui tenta di usarle violenza e lei per difendersi lo uccide.
E il maestro infesta la casa da oltre settanta anni.
Rehan cerca di fermare la maledizione ma ogni tentativo risulta vano fino a quando non viene trasportato magicamente nel 1936 , appena prima che avvenisse il fatto incriminato.
Ha quindi una chance di fermare tutto.
Ci riuscirà?
Devo dire di non avere grosso feeling con Bollywood e il suo modo di fare cinema ma ogni tanto mi piace avventurarmi in questo mondo cinematografico alternativo, dove tutto è veramente esagerato, sia formalmente che sostanzialmente , dove i lustrini e le pailettes ti entrano veramente dentro i vestiti con musiche e balletti ogni tre per due che ti stordiscono mentre sei intento ad arrivare alla meta dopo un minutaggio che definire generoso è poco più di un gentile eufemismo.
Però per numero di produzioni è nettamente la prima industria cinematografica al mondo quindi , fatalmente, ogni tanto bisogna farci i conti.
E oggi ci occupiamo di un film bollywoodiano molto particolare, un horror, genere poco frequentato in quella parte di mondo, il primo horror stereoscopico mai fatto in India, come suggerisce la locandina.
Il film di Vikram Bhatt, uno che ha 45 anni ha già un curriculum lungo un paio di kilometri, in realtà si dimostra come una commistione, a volte riuscita , a volte un po' meno, di cinema bollywoodiano, soprattutto la seconda parte e di cinema di gusto più occidentale.
Il racconto della casa infestata è l'occasione per mettere in mostra degli effetti speciali piuttosto artigianali ma che non sfigurano affatto e ha un'andatura spedita pur nella reiterazione delle stesse scene che il povero Rehan si deve gustare suo malgrado ogni sera.
La cosa che un po' stupisce è che il nostro Rehan non manifesta mai neanche un briciolo di paura di fronte a cotante manifestazioni del Male Assoluto
.
Non è il classico bimbominkia che reagisce a fava di segugio a ogni apparizione fantasmatica: ragione, vuole lottare e risolvere la cosa grazie all'intelligenza.
Insomma questa casa infestata non gli incute nessun sentimento di terrore.
Il film fa molto leva sulla stereoscopia, cosa che di fatto ci viene negata a una visione su piccolo schermo ma si nota una certa cura nel design anche se quel persistente uso di fondali prerenderizzati gli dà un look più da videogame che da film.
Ma è un qualcosa a cui si fa l'abitudine col passare dei minuti.
Nella seconda ora (il film dura due ore e venti) c'è la svolta in senso bollywoodiano: melodramma di grana grossa, grossissima, la classica storia d'amore impossibile anche se i due amanti per un sortilegio riescono a vivere nella stessa epoca( ma il loro unico scopo è annientare il fantasma cattivo), fanno capolino anche un paio di numeri musicali, ovvero scene dilatate all'inverosimile giusto per far ascoltare la canzone strappalacrime di turno.
Tutto molto bollywoodiano e lontano dal mio gusto.
Per fortuna che c'è un finale rutilante in cui la lotta selvaggia col fantasma risolleva il livello della pellicola in un diluvio di effetti speciali.
Pur con tutti i suoi difetti comunque Haunted 3 D mi ha divertito parecchio,si è dimostrata una visione molto disimpegnata che in certe sequenze arriva a essere anche paurosa, mentre in altre ti strappa il sorriso per tanta beata ingenuità che viene mostrata con sommo sprezzo del rischio di cadere nel ridicolo involontario
Il protagonista maschile Mimoh Chaskraborty è attore meno che mediocre mentre la protagonista femminile almeno ha da mostrare una bellezza fuori del comune.
Haunted 3 D è un prodotto ad alto budget per gli standard indiani ( un milione e mezzo di dollari di budget) e anche l'incasso è stato un record ( circa 8 milioni e mezzo di dollari).
Se vi volete avvicinare a un horror bollywoodiano....a vostro rischio e pericolo.
PERCHE' SI : l'ambientazione è notevole, effetti speciali che fanno la loro figura, ridotto al minimo l'apporto di numeri musicali e balletti vari.
PERCHE' NO : dopo un'ora viene fuori l'anima bollywoodiana tramite il melodramma di grana grossa, l'uso della stereoscopia su piccolo schermo gli dà un look da videogame, i protagonisti sono attori mediocri.
LA SEQUENZA : la lotta selvaggia col fantasma nel finale.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Bollywood non sarà mai la mia cup of tea ma posso gustarne i prodotti a piccole dosi
L'India deve essere un posto bellissimo da visitare
A livello di recitazione stanno ancora tanto indietro mentre la confezione è all'altezza
Vorrei avere io una casa e una tenuta come quella del film. E pazienza se è infestata da un fantasma.
( VOTO : 6 + / 10 )
martedì 14 aprile 2015
Stuck in love ( 2012 )
Bill Borgens è un acclamato romanziere che è separato da tre anni dalla moglie Erica, da quando lei si è messa insieme a un altro, più giovane e muscoloso. Ad ogni giorno del Ringraziamento però pretende che venga apparecchiato un posto anche per la moglie nonostante le riserve del figlio, Rusty, sedicenne romantico che sta aspettando il grande amore, il primo della sua vita,
Samantha , invece, diciannovenne, non ne vuole sapere della madre e dell'amore passando con grande disinvoltura da un partner all'altro.
Bill invece di lavorare al suo nuovo romanzo passa le giornare a seguire di nascosto la vita della moglie e intanto ha una relazione di stampo esclusivamente sessuale con una bella vicina di casa.
Quando Samantha dà il party per la presentazione del suo primo romanzo, Erica si va a congratulare con lei scontrandosi con il rifiuto netto da parte della figlia.
Ma da qui in avanti qualcosa cambierà....
Finalmente il disclaimer di una locandina che in una riga sola riassume brillantemente il senso di un film: una storia su primi amori e seconde possibilità.
Lo ammetto, a giudicare dalla sinossi mi sembrava tanto una cannibalata, ovvero un polpettoncino indie che parlava d'amore e di tristezza in proporzioni variabili a seconda del retrogusto che si voglia dare al cocktail in oggetto.
Il classico film che mi attira meno di un discorso di Mattarella alle Camere in riunione plenaria ma vuoi perché alla fin fine Colpa delle stelle ( il secondo film di Boone dopo questo esordio da lui scritto oltre che diretto) non mi è così dispiaciuto pur avendo le premesse per farmi venire un attacco di orticaria, vuoi perché ho letto qualche recensione positiva, vuoi perché comunque la valutazione media su imdb.com è nettamente sopra la media di questo genere di pellicola, mi sono messo di buzzo buono per vederlo, senza tanti pregiudizi.
E devo dire di essere rimasto abbastanza spiazzato, in senso positivo.
Stuck in love non è la classica mielosa storia d'amore in cui a parte qualche fisiologico crampo tutto fila alla perfezione, non è il più trito dei polpettoni generazionali in cui prevale un dolciastro volemose bene collettivo, non c'è neanche la classica famiglia da pubblicità del Mulino Bianco, periodo pre Banderas e non ha la pretesa di dire che l'amore funziona esattamente così come viene descritto.
E' un film che racconta con stile genuino di primi amori e seconde possibilità, esattamente come c'è scritto sulla locandina.
Bill è una specie di stalker gentile che cerca la sua seconda possibilità ( e chi vedrà il film saprà alla fine perché), i suoi due figli sono i paradigmi di come l'amore possa essere concepito in modi antitetici.
Romantico e appassionato lui, alla ricerca di un primo amore che possa essere memorabile , cinica e disillusa lei, dall'alto dei suoi diciannove anni e di uno status di di indipendenza a cui è arrivata pubblicando il suo primo romanzo.
Mentre Rusty è in cerca del sentimento che lo travolga, Samantha invece ha paura e per questo passa con disinvoltura da un ragazzo all'altro.
In fondo anche lei come suo padre è alla ricerca di una seconda chance.
Stuck in love, nonostante un titolo che flirta apertamente con la banalità, riesce a non essere banale e allo stesso tempo raccontare una normalità destruente, fatta di momenti vuoti e di ripartenze da zero, esattamente come la vita di ciascuno di noi.
La normalità senza la pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno o di pontificare su nuove strade per arrivare alla felicità.
In fondo la felicità può essere anche tutta racchiusa in un attimo, in uno sguardo, in un battito di ciglia.
Stuck in love è un film che ti conquista fin da subito con dei personaggi credibili, vivi che sembrano fatti di carne ed ossa , con pregi e difetti e non le solite figurine cartonate che spesso vediamo raccontate al cinema.
E c'è un alto rischio di identificazione.
Eccellente il comparto attoriale , ottimi i dialoghi mai pretenziosi e che profumano di verità, bello anche il finale , ruffiano quanto si vuole ma gestito in maniera ottimale, senza troppa retorica e senza abusare dei canali lacrimali degli spettatori.
Insomma nonostante non sia proprio la mia cup of tea, un film che mi sento di consigliare.
Col cuore.
PERCHE' SI : ottimi attori, bei dialoghi, personaggi a tutto tondo per raccontare una storia credibile di primi amori e seconde possibilità.
PERCHE' NO : qualche svolta narrativa un po' troppo semplice per amore della bella storia, il personaggio di Kate viene perso di vista prima del finale.
LA SEQUENZA : Erica si presenta davanti alla figlia per complimentarsi per li libro e farsi autografare una copia e Samantha le chiede il nome e a chi vuole che sia indirizzata la dedica.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
L'amore spesso è fatto di seconde e terze possibilità
Il primo amore non si scorda mai, neanche gli ormoni riescono a fartelo dimenticare
Anche io vorrei una vicina di casa così "espansiva"
Jennifer Connelly è bella da togliere il fiato. Nonostante passino gli anni.
( VOTO : 7 / 10 )
Samantha , invece, diciannovenne, non ne vuole sapere della madre e dell'amore passando con grande disinvoltura da un partner all'altro.
Bill invece di lavorare al suo nuovo romanzo passa le giornare a seguire di nascosto la vita della moglie e intanto ha una relazione di stampo esclusivamente sessuale con una bella vicina di casa.
Quando Samantha dà il party per la presentazione del suo primo romanzo, Erica si va a congratulare con lei scontrandosi con il rifiuto netto da parte della figlia.
Ma da qui in avanti qualcosa cambierà....
Finalmente il disclaimer di una locandina che in una riga sola riassume brillantemente il senso di un film: una storia su primi amori e seconde possibilità.
Lo ammetto, a giudicare dalla sinossi mi sembrava tanto una cannibalata, ovvero un polpettoncino indie che parlava d'amore e di tristezza in proporzioni variabili a seconda del retrogusto che si voglia dare al cocktail in oggetto.
Il classico film che mi attira meno di un discorso di Mattarella alle Camere in riunione plenaria ma vuoi perché alla fin fine Colpa delle stelle ( il secondo film di Boone dopo questo esordio da lui scritto oltre che diretto) non mi è così dispiaciuto pur avendo le premesse per farmi venire un attacco di orticaria, vuoi perché ho letto qualche recensione positiva, vuoi perché comunque la valutazione media su imdb.com è nettamente sopra la media di questo genere di pellicola, mi sono messo di buzzo buono per vederlo, senza tanti pregiudizi.
E devo dire di essere rimasto abbastanza spiazzato, in senso positivo.
Stuck in love non è la classica mielosa storia d'amore in cui a parte qualche fisiologico crampo tutto fila alla perfezione, non è il più trito dei polpettoni generazionali in cui prevale un dolciastro volemose bene collettivo, non c'è neanche la classica famiglia da pubblicità del Mulino Bianco, periodo pre Banderas e non ha la pretesa di dire che l'amore funziona esattamente così come viene descritto.
E' un film che racconta con stile genuino di primi amori e seconde possibilità, esattamente come c'è scritto sulla locandina.
Bill è una specie di stalker gentile che cerca la sua seconda possibilità ( e chi vedrà il film saprà alla fine perché), i suoi due figli sono i paradigmi di come l'amore possa essere concepito in modi antitetici.
Romantico e appassionato lui, alla ricerca di un primo amore che possa essere memorabile , cinica e disillusa lei, dall'alto dei suoi diciannove anni e di uno status di di indipendenza a cui è arrivata pubblicando il suo primo romanzo.
Mentre Rusty è in cerca del sentimento che lo travolga, Samantha invece ha paura e per questo passa con disinvoltura da un ragazzo all'altro.
In fondo anche lei come suo padre è alla ricerca di una seconda chance.
Stuck in love, nonostante un titolo che flirta apertamente con la banalità, riesce a non essere banale e allo stesso tempo raccontare una normalità destruente, fatta di momenti vuoti e di ripartenze da zero, esattamente come la vita di ciascuno di noi.
La normalità senza la pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno o di pontificare su nuove strade per arrivare alla felicità.
In fondo la felicità può essere anche tutta racchiusa in un attimo, in uno sguardo, in un battito di ciglia.
Stuck in love è un film che ti conquista fin da subito con dei personaggi credibili, vivi che sembrano fatti di carne ed ossa , con pregi e difetti e non le solite figurine cartonate che spesso vediamo raccontate al cinema.
E c'è un alto rischio di identificazione.
Eccellente il comparto attoriale , ottimi i dialoghi mai pretenziosi e che profumano di verità, bello anche il finale , ruffiano quanto si vuole ma gestito in maniera ottimale, senza troppa retorica e senza abusare dei canali lacrimali degli spettatori.
Insomma nonostante non sia proprio la mia cup of tea, un film che mi sento di consigliare.
Col cuore.
PERCHE' SI : ottimi attori, bei dialoghi, personaggi a tutto tondo per raccontare una storia credibile di primi amori e seconde possibilità.
PERCHE' NO : qualche svolta narrativa un po' troppo semplice per amore della bella storia, il personaggio di Kate viene perso di vista prima del finale.
LA SEQUENZA : Erica si presenta davanti alla figlia per complimentarsi per li libro e farsi autografare una copia e Samantha le chiede il nome e a chi vuole che sia indirizzata la dedica.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
L'amore spesso è fatto di seconde e terze possibilità
Il primo amore non si scorda mai, neanche gli ormoni riescono a fartelo dimenticare
Anche io vorrei una vicina di casa così "espansiva"
Jennifer Connelly è bella da togliere il fiato. Nonostante passino gli anni.
( VOTO : 7 / 10 )
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