La storia di Ernesto Fioretti attraverso l'Italia che dagli anni '60 arriva ad oggi attraverso tutte le tappe intermedie. Tifoso della Roma, trascorsi scolastici mediocri tanto che il padre lo prende subito a lavorare con sè, la sua vita scorre nel lavoro , nel rispetto della sua grande storia d'amore per Angela e il passaggio marginale attraverso tutti i piccoli e grandi avvenimenti della storia italiana da fine anni '70 ad oggi. Il rapimento di Moro con il ritrovamento del suo corpo in via Fani, una breve carriera come funzionario nel Partito Socialista, l'ascesa berlusconiana fino al mancato ricongiungimento col nuovo miracolo italiano con un biglietto vincente della lotteria finito in discarica. Un po' come l'Italia.
Basato sulla storia e sulle memoria di Ernesto Fioretti, autista suo e di altri attori e registi nel jet set romano, Veronesi sforna la sua personale versione di amarcord all'amatriciana.
La vita di Fioretti non è assolutamente straordinaria ma riflette in modo esemplare gli alti e i bassi di un Paese la cui storia è filtrata attraverso vicissitudini di ogni tipo che di rimbalzo fanno sentire la loro influenza sulla vita del protagonista.
Il problema del film è che se funziona abbastanza come bozzetto di una vita normale, anche buffa se vogliamo e quindi a tratti divertente, non funziona assolutamente come specchio della storia italiana dalla fine degli anni 60 a oggi.
I raccordi con la storia ufficiale sono grossolani e artificiosi, il personaggio di Giacinto impersonato da Ricky Memphis , pur abbastanza riuscito come simbolo di arrivismo selvaggio e senza scrupoli, il classico italiano, archetipo e prototipo del furbetto del quartierino, appare e scompare troppe volte nel film, acquistando quasi la valenza di un diavolo tentatore che ogni volta porta Ernesto sulla cattiva strada e lui ogni volta ci casca. Un po' troppo scioccamente.
L'ultima ruota del carro soffre del male endemico della commedia italiana odierna che cerca di raggiungere i fasti del passato pur non avendone la statura: è cinema ombelicale, prigioniero del suo provincialismo ( e infatti abbondano le macchiette regionali, si veda il personaggio di Rubini che nei momenti più concitati tira fuori il suo dialetto pugliese), ci sono alcune scene che fanno ridere e altre che sono mestamente patetiche anche oltre le intenzioni registiche ( vedi il racconto della malattia di Ernesto che da melodramma si trasforma presto in barzelletta) e soprattutto è veramente troppo grossolano nel restituire allo spettatore quello sfondo storico necessario ad inquadrare al meglio la vita di Ernesto Fioretti, vittima delle visioni "illuminate" di un amico un po' troppo sensibile ai miracoli economici italiani ma capace di sfruttarli fino in fondo, anche a costo di pagarne le conseguenze.
In fondo la storia di Ernesto è un'incompiuta per mancanza di coraggio, lui è destinato a essere quell'ultima ruota del carro come sempre gli ha detto un padre pragmatico e manesco, che lo strappò troppo presto alla sua vita da ragazzino.
Se Veronesi riesce nel bozzetto , quello in cui fallisce è nella visione generale di un film ambizioso ma irrisolto, con una chiusura faticosa e un andamento rapsodico non sempre convincente.
Pur avendo un Elio Germano nel motore, il Dustin Hoffman di Cinecittà che , pur esagerando dimostra la sua bravura nonostante le orride parrucche sotto le quali viene nascosto.
Veronesi ha questa specie di Ferrari nel motore eppure lo tratta come un'utilitaria al servizio della solita commedia all'italiana, provinciale e un po' ottusa.
Forse anche lui è un po' un' ultima ruota del carro....
( VOTO : 5 / 10 )
I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.
lunedì 31 marzo 2014
domenica 30 marzo 2014
Liebster Awards
Bene bene bene, col cambio di orario, dormiamo tutti un 'ora di meno e siamo tutti più felici...
Si , lo so, è una cazzata ma non sapevo come diavolo iniziare questo cacchio di post sui Liebster Awards, premi primaverili che ogni anni arrivano puntualmente quasi come le cartelle esattoriali.
Devo dire che fa sempre piacerissimo ricevere dei premi però l'anno scorso era diventato un incubo: col fatto che si dovevano scrivere undici cose riguardo a noi stessi, fare undici domande e premiare undici blog la cosa era diventata un vero e proprio lavoro, tanto da soprannominarlo "Lo schiaffo del soldato Award" .
E l'anno scorso certe volte mi sono sentito veramente in mezzo.
Allora, di premi Liebster quest'anno ne ho ricevuti da Silvia di Enchanted Forest, Lisa di In Central Perk, myers di 1428 Elm Street, Beatrix di Cinquecentofilminsieme
Li ringrazio e spero vivamente di non aver dimenticato nessuno.
Se lo avessi fatto, perdonate questo bradipo un po' rinco.
Allora quali sono le regole di quest'anno?
Più o meno quelle dell'anno scorso ma in una versione decisamente più mignon:
1) Ringraziare chi ti ha premiato nominandolo esplicitamente nel post( e questo lo abbiamo fatto)
2)Rispondere alle domande di chi ti ha premiato ( e pure questo credo di averlo fatto ma appena finito di scrivere il post vado a controllare)
3)Premiare altri tre blog che abbiano meno di 200 followers meritevoli del premio Liebster
4) Comunicare ai diretti interessati la vittoria di questo prestigiosissimo premio
5) Fare altre dieci domande a cui i premiati dovranno rispondere.
I premiati di quest'anno sono: ( tatatatatata...squillino le trombe e rullino i tamburi:
1) Mari's red room: perchè è sempre un piacere leggerla e devo dire che il suo blog sta crescendo veramente bene...
2)Nocturnia : perchè il suo blog è una scoperta recente e bellissima che sto leggendo avidamente
3)Il CineManu: anche lei una scoperta mica da poco....blog giovane eppure promettentissimo.
Ecco , ora la parte più difficile, cioè fare le 10 domande.
1) Si parte con un evergreen: perchè un blog? Non potevi ubriacarti o drogarti come tutti gli altri?
2) Che cosa saresti disposto a fare per diventare il blog in assoluto più seguito in Italia, insomma una specie di Beppe Grillo della blogosfera?
3) In una scala da 0 a Emilio Fede, quanto ti scoccia essere tirato dentro in queste catene di santantonio internautiche?
4) In che momento della giornata ti dedichi al tuo blog?
5) Se la tua ragazza/ Il tuo ragazzo ti facesse l'aut aut: o me o il blog tu che faresti?
6) Se potessi resettare la tua vita ?
7) Vieni in possesso di una bambolina voodoo con tanto di fornitura di spilloni: chi infilzeresti volentieri con quegli spilloni per provocargli tanto ma tanto dolore?
8) Il posto in cui andresti in vacanza?
9) Che cosa vedi dalla finestra di casa tua?
10) A che cosa non potresti mai rinunciare?
Spero che tutto sia di vostro gradimento...
Per oggi è tutto!!!
Si , lo so, è una cazzata ma non sapevo come diavolo iniziare questo cacchio di post sui Liebster Awards, premi primaverili che ogni anni arrivano puntualmente quasi come le cartelle esattoriali.
Devo dire che fa sempre piacerissimo ricevere dei premi però l'anno scorso era diventato un incubo: col fatto che si dovevano scrivere undici cose riguardo a noi stessi, fare undici domande e premiare undici blog la cosa era diventata un vero e proprio lavoro, tanto da soprannominarlo "Lo schiaffo del soldato Award" .
E l'anno scorso certe volte mi sono sentito veramente in mezzo.
Allora, di premi Liebster quest'anno ne ho ricevuti da Silvia di Enchanted Forest, Lisa di In Central Perk, myers di 1428 Elm Street, Beatrix di Cinquecentofilminsieme
Li ringrazio e spero vivamente di non aver dimenticato nessuno.
Se lo avessi fatto, perdonate questo bradipo un po' rinco.
Allora quali sono le regole di quest'anno?
Più o meno quelle dell'anno scorso ma in una versione decisamente più mignon:
1) Ringraziare chi ti ha premiato nominandolo esplicitamente nel post( e questo lo abbiamo fatto)
2)Rispondere alle domande di chi ti ha premiato ( e pure questo credo di averlo fatto ma appena finito di scrivere il post vado a controllare)
3)Premiare altri tre blog che abbiano meno di 200 followers meritevoli del premio Liebster
4) Comunicare ai diretti interessati la vittoria di questo prestigiosissimo premio
5) Fare altre dieci domande a cui i premiati dovranno rispondere.
I premiati di quest'anno sono: ( tatatatatata...squillino le trombe e rullino i tamburi:
1) Mari's red room: perchè è sempre un piacere leggerla e devo dire che il suo blog sta crescendo veramente bene...
2)Nocturnia : perchè il suo blog è una scoperta recente e bellissima che sto leggendo avidamente
3)Il CineManu: anche lei una scoperta mica da poco....blog giovane eppure promettentissimo.
Ecco , ora la parte più difficile, cioè fare le 10 domande.
1) Si parte con un evergreen: perchè un blog? Non potevi ubriacarti o drogarti come tutti gli altri?
2) Che cosa saresti disposto a fare per diventare il blog in assoluto più seguito in Italia, insomma una specie di Beppe Grillo della blogosfera?
3) In una scala da 0 a Emilio Fede, quanto ti scoccia essere tirato dentro in queste catene di santantonio internautiche?
4) In che momento della giornata ti dedichi al tuo blog?
5) Se la tua ragazza/ Il tuo ragazzo ti facesse l'aut aut: o me o il blog tu che faresti?
6) Se potessi resettare la tua vita ?
7) Vieni in possesso di una bambolina voodoo con tanto di fornitura di spilloni: chi infilzeresti volentieri con quegli spilloni per provocargli tanto ma tanto dolore?
8) Il posto in cui andresti in vacanza?
9) Che cosa vedi dalla finestra di casa tua?
10) A che cosa non potresti mai rinunciare?
Spero che tutto sia di vostro gradimento...
Per oggi è tutto!!!
sabato 29 marzo 2014
Bad Milo ! ( 2013 )
Duncan, mite contabile di una ditta sull'orlo del fallimento ( ma lui non lo sa ancora ) ha un grosso problema clinico: affllitto da terribili coliche addominali , trascorre molta parte del suo tempo seduto sul trono di sp...ehm...ci siamo capiti, ad espletare le sue funzioni fisiologiche. Fa sedute di psicoterapia e si fa visitare da un medico e costui diagnostica un forte stress accoppiato a un polipo che sta nel colon, almeno a quanto si vede dall'ecografia a cui lo ha sottoposto. Alla colonscopia però non si vede nulla.
Intanto Duncan da contabile è stato messo a licenziare gente e lo stress aumenta parallelamente alla rabbia repressa e ai sensi di colpa, finchè un brutto giorno in una delle sue interminabili sedute di gabinetto partorisce dall'ano un mostro bello pasciuto: lo chiama Milo, ha gli occhi teneri del Mogwai ma i denti affilatissimo del Gremlin e mangia carne umana. E guardacaso va a cercare tutti coloro che hanno fatto qualcosa a Duncan. Il suo terapista dice che è semplicemente l'incarnazione di tutto il suo inconscio....
Ci sono delle volte in cui sento il bisogno letterale di nutrire le mie pupille di spazzatura cinematografica, di farle scivolare in una specie di immaginaria discarica visiva e concettuale in cui non aver paura di divertirsi come dei beoti a subire tutte le assurdità che vengono dallo schermo.
Ecco cercavo questo in Bad Milo! , come cercavo questo nei film dell Troma che ora ho perso un po' di vista , e vedere un film con protagonista uno che partorisce un mostro dal culo mi sembrava potesse essere proprio quello che cercavo.
E infatti le interminabili sedute di gabinetto di Duncan, con fetori annessi, le sue sofferenze addominali, l'aria malsana che esce dal suo didietro mi avevano anche ben predisposto.
Così come il mostriciattolo Milo, capace di impaurire e intenerire allo stesso tempo, una specie di Mogwai glabro e zannuto che riesce ad ingannarti con quegli occhioni enormi e quello sguardo languido che in men che non si dica lascia il posto a un'interminabile fila di denti da squalo accoppiata ad occhi dalla luce diabolica.
Allora quale è il problema di Bad Milo! ? ( e scusate la punteggiatura estrosa)
Ecco , per quanto mi riguarda il problema di questo film di Jacob Vaughan è che non è abbastanza trash: è un po' troppo pulito nella realizzazione ( del resto se tra i produttori ci sono i Duplass Brothers, esponenti di un certi tipo di commedia indie americana, un motivo ci deve pur essere), si interessa un po' troppo ai personaggi di contorno che non al mostro che sporadicamente soddisfa le sue zanne sulle pudenda o sulle giugulari dei malcapitati che hanno incrociato le loro strade con Duncan.
Milo è lasciato un po' in disparte in favore di un compagno di lavoro oltre i limiti del grottesco, di un capo oltre i limiti della caricatura, di uno psicoterapeuta oltre i limiti dell'equilibrio mentale, di una madre oltre i limiti della decenza e di un fidanzato della madre oltre i limiti della perversione.
Insomma qualcosa che rientra nell'alveo della solita commedia indie americana e neanche tanto riuscita devo dire.
E Milo?
Ogni tanto viene sguinzagliato e ci dà con lo splatter ma è tutto abbastanza ovattato.
il debito consistente che si paga è quello con Basket Case ( di cui abbiamo parlato in un lontano passato qui) supercult targato Frank Henenlotter girato tra pochi amici e con un pugnetto di dollari.
Stesso uso della soggettiva , due mostri abbastanza simili ( ma Belial era molto più rivoltante), stessa rusticità nell'animazione del mostro in lattice ma due risultati molto diversi.
Basket case era uno Z movie che col tempo è diventato un cult del cinema di serie B, mentre Bad Milo! è un po' troppo pulito per aspirare a tanto.
E poi vedere un protagonista che sembra il gemello di Solfrizzi non aiuta di certo....
Peccato , troppo poco per la mia fame di spazzatura cinematografica!
( VOTO : 4,5 / 10 )
Intanto Duncan da contabile è stato messo a licenziare gente e lo stress aumenta parallelamente alla rabbia repressa e ai sensi di colpa, finchè un brutto giorno in una delle sue interminabili sedute di gabinetto partorisce dall'ano un mostro bello pasciuto: lo chiama Milo, ha gli occhi teneri del Mogwai ma i denti affilatissimo del Gremlin e mangia carne umana. E guardacaso va a cercare tutti coloro che hanno fatto qualcosa a Duncan. Il suo terapista dice che è semplicemente l'incarnazione di tutto il suo inconscio....
Ci sono delle volte in cui sento il bisogno letterale di nutrire le mie pupille di spazzatura cinematografica, di farle scivolare in una specie di immaginaria discarica visiva e concettuale in cui non aver paura di divertirsi come dei beoti a subire tutte le assurdità che vengono dallo schermo.
Ecco cercavo questo in Bad Milo! , come cercavo questo nei film dell Troma che ora ho perso un po' di vista , e vedere un film con protagonista uno che partorisce un mostro dal culo mi sembrava potesse essere proprio quello che cercavo.
E infatti le interminabili sedute di gabinetto di Duncan, con fetori annessi, le sue sofferenze addominali, l'aria malsana che esce dal suo didietro mi avevano anche ben predisposto.
Così come il mostriciattolo Milo, capace di impaurire e intenerire allo stesso tempo, una specie di Mogwai glabro e zannuto che riesce ad ingannarti con quegli occhioni enormi e quello sguardo languido che in men che non si dica lascia il posto a un'interminabile fila di denti da squalo accoppiata ad occhi dalla luce diabolica.
Allora quale è il problema di Bad Milo! ? ( e scusate la punteggiatura estrosa)
Ecco , per quanto mi riguarda il problema di questo film di Jacob Vaughan è che non è abbastanza trash: è un po' troppo pulito nella realizzazione ( del resto se tra i produttori ci sono i Duplass Brothers, esponenti di un certi tipo di commedia indie americana, un motivo ci deve pur essere), si interessa un po' troppo ai personaggi di contorno che non al mostro che sporadicamente soddisfa le sue zanne sulle pudenda o sulle giugulari dei malcapitati che hanno incrociato le loro strade con Duncan.
Milo è lasciato un po' in disparte in favore di un compagno di lavoro oltre i limiti del grottesco, di un capo oltre i limiti della caricatura, di uno psicoterapeuta oltre i limiti dell'equilibrio mentale, di una madre oltre i limiti della decenza e di un fidanzato della madre oltre i limiti della perversione.
Insomma qualcosa che rientra nell'alveo della solita commedia indie americana e neanche tanto riuscita devo dire.
E Milo?
Ogni tanto viene sguinzagliato e ci dà con lo splatter ma è tutto abbastanza ovattato.
il debito consistente che si paga è quello con Basket Case ( di cui abbiamo parlato in un lontano passato qui) supercult targato Frank Henenlotter girato tra pochi amici e con un pugnetto di dollari.
Stesso uso della soggettiva , due mostri abbastanza simili ( ma Belial era molto più rivoltante), stessa rusticità nell'animazione del mostro in lattice ma due risultati molto diversi.
Basket case era uno Z movie che col tempo è diventato un cult del cinema di serie B, mentre Bad Milo! è un po' troppo pulito per aspirare a tanto.
E poi vedere un protagonista che sembra il gemello di Solfrizzi non aiuta di certo....
Peccato , troppo poco per la mia fame di spazzatura cinematografica!
( VOTO : 4,5 / 10 )
venerdì 28 marzo 2014
Snowpiercer ( 2013 )
2031: la Terra è ridotta a una landa perennemente innevata in seguito a una glaciazione provocata dall'uomo stesso, 18 anni prima per un esperimento mal riuscito che andasse a combattere gli effetti del surriscaldamento globale. I pochi superstiti sono ammassati su un treno, lo Snowpiercer, che corre sulle rotaie in moto perpetuo autogenerando l'energia necessaria per muoversi. All'interno del lungo treno i meno abbienti sono stipati nei vagoni posteriori, veri e propri carri bestiame in cui la disciplina è mantenuta con minacce e armi da una vigilanza militare, in quelli anteriori si respira tutta un'altra aria, lusso e confort di ogni tipo.Finchè , quelli dei vagoni posteriori cercano di ribellarsi e risalire il treno fino a quelli anteriori guidati da Curtis , Edgar e dal vecchio Gilliam.
La lotta sarà durissima, all'ultimo sangue.
Fremevo nell'attesa del primo film internazionale diretto da Bong Joon Ho, uno dei più grandi registi sudcoreani in circolazione, se non il più grande.
Tutto questo perchè come al solito temevo l'appiattimento creativo che Hollywood produce sui talenti provenienti da oltreoceano in nome dei consueti compromessi per arrivare al fine ultimo di ogni blockbuster che viene rilasciato sul mercato: l'incasso.
E devo dire che questa volta devo tirare un sospiro di sollievo perchè Bong Joon Ho non è stato incarcerato dal budget milionario di questo film ( si parla di 40 milioni di dollari), dal fatto che sia una coproduzione transcontinentale e dal suo cast internazionale.
E' rimasto lui con il suo stile e il suo essere diverso sempre e comunque.
Non fatevi fuorviare da locandine furfantesche che parlano di Blade Runner e V per Vendetta, sarebbe ingeneroso sia per il film del regista coreano sia per almeno uno dei due film citati come fonte di ispirazione ( indovinate voi quale...).
Snowpiercer vive di luce propria , è uno scifi che usa la distopia di un futuro fortemente ancorato al presente ( non ci sono troppe diavolerie tecnologiche , anzi tutto ha un'aria così vissuta retrò , anche nei vagoni di testa) per caricarsi di metafora, un qualcosa di oscuro e opprimente, un po' come vivere nei vagoni di coda del convoglio.
Il treno diventa uno specchio fedele della divisione in classi sociali, diventa una sorta di Titanic del futuro a prima vista inaffondabile ma che naufraga proprio in virtù dell'unico elemento fallace che lo guida, l'uomo ( e chi vedrà il film scoprirà che anche lo Snowpiercer ha il suo punto di debolezza).
E a me , noto cazzaro che quando vede un film associa mentalmente cose che non c'entrano una cippa , mentre guardavo assorto e mi nutrivo di Snowpiercer mi veniva in mente Titanic ma non quello di James Cameron, ma la canzone di De Gregori, dei primi anni '80 ( " la prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento") che credo sia perfetta per descrivere l'interno del treno.
Pur rinchiuso tra le pareti anguste di un treno la visionarietà di Bong Joon ho vien fuori prepotente e anche la sua trasversalità che rende il film imprevedibile: pur recitato da attori occidentali , Snowpiercer appare come figlio tipico di un cinema diverso da quello occidentale , si vedano le scene di lotta girate solo come un maestro coreano sa fare e il suo apparire diverso lo rende accattivante pur non essendo immediatamente digeribile.
Snowpiercer cresce impetuosamente col passare dei minuti e si concede un prefinale con tanto di spiegone mistico filosofico che a qualcuno andrà sicuramente di traverso.
Mentre disturba il finale, quello vero: immerso nel candore abbacinante della neve di montagne perennemente ghiacciate , si vede finalmente una luce naturale che squarcia la tenebra e che getta istantaneamente nel dimenticatoio quelle impersonali luci al neon che rendevano più confortevole l'ambiente delle carrozze di testa.
Eppure il futuro appare come una chimera irraggiungibile, nera , nerissima.
Lasciate ogni speranza voi che siete arrivati fin qui....
( VOTO : 8 / 10 )
La lotta sarà durissima, all'ultimo sangue.
Fremevo nell'attesa del primo film internazionale diretto da Bong Joon Ho, uno dei più grandi registi sudcoreani in circolazione, se non il più grande.
Tutto questo perchè come al solito temevo l'appiattimento creativo che Hollywood produce sui talenti provenienti da oltreoceano in nome dei consueti compromessi per arrivare al fine ultimo di ogni blockbuster che viene rilasciato sul mercato: l'incasso.
E devo dire che questa volta devo tirare un sospiro di sollievo perchè Bong Joon Ho non è stato incarcerato dal budget milionario di questo film ( si parla di 40 milioni di dollari), dal fatto che sia una coproduzione transcontinentale e dal suo cast internazionale.
E' rimasto lui con il suo stile e il suo essere diverso sempre e comunque.
Non fatevi fuorviare da locandine furfantesche che parlano di Blade Runner e V per Vendetta, sarebbe ingeneroso sia per il film del regista coreano sia per almeno uno dei due film citati come fonte di ispirazione ( indovinate voi quale...).
Snowpiercer vive di luce propria , è uno scifi che usa la distopia di un futuro fortemente ancorato al presente ( non ci sono troppe diavolerie tecnologiche , anzi tutto ha un'aria così vissuta retrò , anche nei vagoni di testa) per caricarsi di metafora, un qualcosa di oscuro e opprimente, un po' come vivere nei vagoni di coda del convoglio.
Il treno diventa uno specchio fedele della divisione in classi sociali, diventa una sorta di Titanic del futuro a prima vista inaffondabile ma che naufraga proprio in virtù dell'unico elemento fallace che lo guida, l'uomo ( e chi vedrà il film scoprirà che anche lo Snowpiercer ha il suo punto di debolezza).
E a me , noto cazzaro che quando vede un film associa mentalmente cose che non c'entrano una cippa , mentre guardavo assorto e mi nutrivo di Snowpiercer mi veniva in mente Titanic ma non quello di James Cameron, ma la canzone di De Gregori, dei primi anni '80 ( " la prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento") che credo sia perfetta per descrivere l'interno del treno.
Pur rinchiuso tra le pareti anguste di un treno la visionarietà di Bong Joon ho vien fuori prepotente e anche la sua trasversalità che rende il film imprevedibile: pur recitato da attori occidentali , Snowpiercer appare come figlio tipico di un cinema diverso da quello occidentale , si vedano le scene di lotta girate solo come un maestro coreano sa fare e il suo apparire diverso lo rende accattivante pur non essendo immediatamente digeribile.
Snowpiercer cresce impetuosamente col passare dei minuti e si concede un prefinale con tanto di spiegone mistico filosofico che a qualcuno andrà sicuramente di traverso.
Mentre disturba il finale, quello vero: immerso nel candore abbacinante della neve di montagne perennemente ghiacciate , si vede finalmente una luce naturale che squarcia la tenebra e che getta istantaneamente nel dimenticatoio quelle impersonali luci al neon che rendevano più confortevole l'ambiente delle carrozze di testa.
Eppure il futuro appare come una chimera irraggiungibile, nera , nerissima.
Lasciate ogni speranza voi che siete arrivati fin qui....
( VOTO : 8 / 10 )
giovedì 27 marzo 2014
The Iceman ( 2012 )
La storia vera di Richard Kuklinski, uno dei più feroci serial killers della storia americana: negli anni '60 fa soldi piratando cassette di contrabbando poi viene reclutato da un boss mafioso per lavori sempre più rischiosi in cui mette in campo tutta la sua perizia nell'uso di qualsiasi arma. Conosce un altro "collega" Robert Pronge detto Mr Freezy perchè congelava le sue vittime dopo averle uccise e da lui apprende altri metodi per sfuggire ai controlli, tipo nebulizzare una soluzione di cianuro in faccia alla vittima che in pochi secondi stramazza a terra come se fosse colpita da arresto cardiaco e senza che tutto questo possa essere rivelato all'esame autoptico. Nella sua vita colleziona da 100 a 250 omicidi , la cifra esatta non è conosciuta perchè non ha mai lasciato testimoni oculari ed è sempre riuscito a tenere la sua famiglia ( moglie e tre figlie , che nel film sono diventate due) lontano dal suo lavoro. Quando venne arrestato nel 1987 la moglie credeva che il marito fosse una specie di consulente finanziario.....
The Iceman è un biopic basato sul libro The Ice Man : The True Story of a Cold Blooded Killer scritto da Anthony Bruno e sulla biografia che lo stesso Kuklinski scrisse assieme al giornalista Steve De Carlo che lo intervistò lungamente negli anni di detenzione.
Ci fornisce un quadro piuttosto esauriente della vita " lavorativa " di Kuklinski ma evita , con ogni probabilità appositamente, il lato privato di questo omone di quasi due metri e di oltre 130 kili di peso.
Dico lato privato perchè non è esplorato il lato maniacale del protagonista mostrato come un uomo dalla doppia vita , da una parte spietato killer di professione con un preciso codice morale ( non ha mai ucciso donne e bambini, anzi aveva piacere nel torturare chi aveva perpetrato violenze contro di loro, memore di un infanzia difficile con un padre violento che aveva addirittura ammazzato di botte uno dei suoi fratelli ), dall'altro amorevole marito e padre di famiglia, la cui indole era appena intorbidata da saltuari accessi di ira distruttiva.
A Vroman , regista di questo film, probabilmente interessava questo sdoppiamento della vita di Kuklinski e descrivere un ambiente mafioso abbastanza standard, con piccoli e grandi boss che si spartiscono la torta del traffico di droga a suon di omicidi e sgarri continui alle gangs rivali.
Pur se questa parte ha quell'aria alla Goodfellas esteriormente , c'è di mezzo sempre lui , Kuklinski che fa scivolare il film dalle parti di Zodiac, a causa della sua dedizione al lavoro che ha del maniacale.
E chi poteva essere chiamato a recitare nella parte di The Iceman ( cosiddetto sia per la su freddezza nell'espletare il lavoro, sia perchè congelava le vittime per confondere le tracce) ?
Chi è l'attore hollywoodiano maggiormente abbonato a ruoli da psicopatico?
Risposta esatta : Michael Shannon.
Vengono esaltate le sue misure antropometriche ( è pur alto sempre più di 1 e 90 e anche piuttosto ben messo fisicamente), viene quasi costretto a recitare con la sordina perchè deve dare un senso a quel soprannome che indica glacialità, ma cavolo, quella faccia, quello strabismo leggermente divergente fanno letteralmente accapponare la pelle.
E' lui l'epitome della riuscita di un film che comunque brilla per ricchezza del cast ( James Franco, Chris Evans, Ray Liotta,Winona Ryder, un irriconoscibile David Schwimmer, Robert Davi che con quella faccia butterata fa gara con Shannon a far scendere brividi lungo la schiena dello spettatore , Stephen Dorff ).
Michael Shannon è il valore aggiunto, perchè senza di lui il film avrebbe poco valore nonostante tutto quel popò di cast che schiera.
La regia di Vroman lo segue rispettosamente concentrandosi come detto sul suo lavoro per le famiglie mafiose.
A leggere di Kuklinski in realtà si viene a sapere altro: quando viene reclutato dalla mafia aveva sul groppone qualcosa come una sessantina di omicidi a suo dire e aveva iniziato sin da piccolo uccidendo animali randagi e un compagno di scuola ( a bastonate) che aveva fatto il bullo con lui.
Quindi lavorando come sicario prezzolato per la mafia trova una valvola di sfogo, anche ben pagata, per liberare tutta la pazzia racchiusa dentro di lui.
Personalmente è questo il lato che trovo più fascinoso della vicenda di Kuklinski, mentre nel film si sottolineano soprattutto le sue gesta lavorative .
La cosa che manca a questo film per fare il definitivo salto di qualità per entrare nei cult cinematografici è un po' di coraggio nella messa in scena, estetizzante ma un po' fine a se stessa, quasi a smussare i lati più sgradevoli del vero Kuklinski.
Ariel Vroman si rifugia in scenografie anni '70 di indubbio effetto ma non ha lo spessore per orchestrare qualcosa di veramente memorabile preferendo concentrarsi sulle dinamiche mafiose che non su quelle personali.
Detto questo, The Iceman è uno spettacolo comunque avvincente che ha in Shannon un grandissimo asso nella manica.
Ne stavamo parlando un paio di giorni fa: ma possibile che una cacchetta da parabrezza come Il ricatto trovi la strada della sala cinematografica qui in Italia ( e neanche in poche copie ) e invece questo film con il cast che si ritrova non trovi neanche mezzo cinema in cui essere proiettato?
( VOTO : 7 +/10 )
The Iceman è un biopic basato sul libro The Ice Man : The True Story of a Cold Blooded Killer scritto da Anthony Bruno e sulla biografia che lo stesso Kuklinski scrisse assieme al giornalista Steve De Carlo che lo intervistò lungamente negli anni di detenzione.
Ci fornisce un quadro piuttosto esauriente della vita " lavorativa " di Kuklinski ma evita , con ogni probabilità appositamente, il lato privato di questo omone di quasi due metri e di oltre 130 kili di peso.
Dico lato privato perchè non è esplorato il lato maniacale del protagonista mostrato come un uomo dalla doppia vita , da una parte spietato killer di professione con un preciso codice morale ( non ha mai ucciso donne e bambini, anzi aveva piacere nel torturare chi aveva perpetrato violenze contro di loro, memore di un infanzia difficile con un padre violento che aveva addirittura ammazzato di botte uno dei suoi fratelli ), dall'altro amorevole marito e padre di famiglia, la cui indole era appena intorbidata da saltuari accessi di ira distruttiva.
A Vroman , regista di questo film, probabilmente interessava questo sdoppiamento della vita di Kuklinski e descrivere un ambiente mafioso abbastanza standard, con piccoli e grandi boss che si spartiscono la torta del traffico di droga a suon di omicidi e sgarri continui alle gangs rivali.
Pur se questa parte ha quell'aria alla Goodfellas esteriormente , c'è di mezzo sempre lui , Kuklinski che fa scivolare il film dalle parti di Zodiac, a causa della sua dedizione al lavoro che ha del maniacale.
E chi poteva essere chiamato a recitare nella parte di The Iceman ( cosiddetto sia per la su freddezza nell'espletare il lavoro, sia perchè congelava le vittime per confondere le tracce) ?
Chi è l'attore hollywoodiano maggiormente abbonato a ruoli da psicopatico?
Risposta esatta : Michael Shannon.
Vengono esaltate le sue misure antropometriche ( è pur alto sempre più di 1 e 90 e anche piuttosto ben messo fisicamente), viene quasi costretto a recitare con la sordina perchè deve dare un senso a quel soprannome che indica glacialità, ma cavolo, quella faccia, quello strabismo leggermente divergente fanno letteralmente accapponare la pelle.
E' lui l'epitome della riuscita di un film che comunque brilla per ricchezza del cast ( James Franco, Chris Evans, Ray Liotta,Winona Ryder, un irriconoscibile David Schwimmer, Robert Davi che con quella faccia butterata fa gara con Shannon a far scendere brividi lungo la schiena dello spettatore , Stephen Dorff ).
Michael Shannon è il valore aggiunto, perchè senza di lui il film avrebbe poco valore nonostante tutto quel popò di cast che schiera.
La regia di Vroman lo segue rispettosamente concentrandosi come detto sul suo lavoro per le famiglie mafiose.
A leggere di Kuklinski in realtà si viene a sapere altro: quando viene reclutato dalla mafia aveva sul groppone qualcosa come una sessantina di omicidi a suo dire e aveva iniziato sin da piccolo uccidendo animali randagi e un compagno di scuola ( a bastonate) che aveva fatto il bullo con lui.
Quindi lavorando come sicario prezzolato per la mafia trova una valvola di sfogo, anche ben pagata, per liberare tutta la pazzia racchiusa dentro di lui.
Personalmente è questo il lato che trovo più fascinoso della vicenda di Kuklinski, mentre nel film si sottolineano soprattutto le sue gesta lavorative .
La cosa che manca a questo film per fare il definitivo salto di qualità per entrare nei cult cinematografici è un po' di coraggio nella messa in scena, estetizzante ma un po' fine a se stessa, quasi a smussare i lati più sgradevoli del vero Kuklinski.
Ariel Vroman si rifugia in scenografie anni '70 di indubbio effetto ma non ha lo spessore per orchestrare qualcosa di veramente memorabile preferendo concentrarsi sulle dinamiche mafiose che non su quelle personali.
Detto questo, The Iceman è uno spettacolo comunque avvincente che ha in Shannon un grandissimo asso nella manica.
Ne stavamo parlando un paio di giorni fa: ma possibile che una cacchetta da parabrezza come Il ricatto trovi la strada della sala cinematografica qui in Italia ( e neanche in poche copie ) e invece questo film con il cast che si ritrova non trovi neanche mezzo cinema in cui essere proiettato?
( VOTO : 7 +/10 )
mercoledì 26 marzo 2014
Il mio quattrozampe e io - Bianca
Oggi giornata importante qui sul blog perchè , come preannunciato la settimana scorsa ho deciso di inaugurare una nuova rubrichetta che ho voluto chiamare " Il mio quattrozampe e io" che si comporrà essenzialmente di una piccola serie di domande che io farò a chi avrà il piacere di parlare con me del suo rapporto con il ( o i ) quattrozampe di casa, quelli che ci riempiono la vita , perchè mi ci metto anche io in mezzo , sia per il lavoro che faccio, sia perchè anche io ne ho tre a cui sono molto affezionato.
La settimana scorsa ho raccolto le adesioni in questo post e la sequenza di interviste è stato stabilita dall'ordine di prenotazione.
La prima a sottoporsi al fuoco di fila delle mie domande ( esagerato ! ) è stata Nella Crosiglia, del blog Rock Music Space un sito che vi invito subito a visitare , sia che siate appassionati di musica sia perchè vogliate leggere qualcosa di intelligente.
Nella è un vulcano ricco di idee e di amore per i suoi animali . Ma iniziamo:
1)Ciao Nella, è con grande piacere che ti ospito in questo nuovo salottino, qui da me. Perchè non ti presenti e non presenti il tuo bellissimo blog per quei pochi che non lo conoscessero?
Eccomi dal mio caro Bradipo, io animalista convinta che cura gli animali fino all'ultimo ma come gli struzzi fugge quando sente odore di morte!
Sono una corrispondente musicale da molto tempo, ho girato il mondo, conosciuto cose e persone che etc etc.
Sono maestra di danza classica , moderna e neoclassica, ma dopo il centesimo incidente e tristissime vicende familiari mi sono messa in mutua. Ho ereditato il blog da un'amica, prima come aiuto e poi il giornale mi ha permesso di tenerlo da sola, pur con scarsa dimestichezza della tecnologia.
2)Ti sei mai chiesta da dove scaturisca tutto il tuo amore per gli animali ?
Non ho avuto grandi affetti familiari,ho conosciuto il collegio da piccola, avevo il tremendo bisogno di dare e ricevere amore. Ho sempre vissuto con animali per tutto il mio percorso di vita.
3)Mi racconti di come hai conosciuto Bianca?
L'ho vista dalla finestra di una dispensa in un canile Enpa, segregata perchè operata al muscolo della gamba, avvilita in una grande cuccia con il collare di Elisabetta.
Un giorno mi trovai al canile per vedere di portare a casa una cagnetta e i miei giri erano già stati numerosi per trovare quella giusta , anche perchè veniva a sostituire una grande presenza!
La vidi per caso con il collare di Elisabetta perchè ferita, in uno stanzino, lontana dagli altri e mi colpì soprattutto per quegli occhi puntati e fieri, quasi truccati, quel muso lungo che sembrava dirmi " Non mi dispiaci "
Era fatta, mi aveva scelto, aveva rifiutato il mio bocconcino ma ero sua.
Bianca è un bellissimo pastore svizzero con il pelo bianchissimo, oggi ha 16 anni, è più malconcia che mai con i suoi passettini incerti ma è sempre vicino a me sempre e dovunque, perchè io sono il suo cane guida e sono sempre stata la sua preferita...e devo confessarlo sono stata quella che ha capito subito il suo carattere altezzoso e distante, mai una leccata festosa, mai nulla di tutto questo.
4)Non ti è mancato un po' il fatto che non l'hai vista crescere?
Assolutamente no, noi siamo cresciute assieme?
5 )Bellissima questa risposta, mi dici che cosa è per te Bianca?
Ora è la mia nonna, la mia amica, la mia alleata, la testardaggine e la superbia che spesso avrei voluto imitare.
6) Mi parli di questa bellissima foto in bianco e nero che mi hai mandato?
Intendi la foto di Spingsteen ? ( Gasp! era Springsteen? non lo avevo riconosciuto ma devo dire che ho guardato soprattutto il cane immortalato).
Adoro i cani bassi e cicciotti, quindi lontano dai parametri di Bianca ma mi attirò subito, come cosa già vista. Infatti avevo fatto un'intervista a Springsteen per l'album "Human Touch"con Pinky Rose, la stessa razza di Bianca . E allora ricordai....
7) Ci presenti gli altri quattrozampe che vivono con te?
Ce ne sono diversi: Budazmann, uno spinone trovato da un tedesco in un bosco che voleva morire perchè non tollerava la gabbia del canile.
Capecon, il gatto che viene dalla Cina. Betta ( diminutivo di Orbetta) salvata piccolina dalla completa cecità. C'è Grey altezza, infida e profondamente ruffiana, Trudy una presenza invisibile, i fratellini Greg e Carlitos, con Greg che vive alle spalle del povero Carlitos, Oscar l'amatore folle, fino a poco tempo fa c'era anche l'amatissimo Bobo, ma poi , come dico io, ha deciso di attraversare il ponte....
Ora siamo rimasti solo noi: prima c'erano anche cavalli, coniglia, tortore, volpi, cavie e persino una gazza!
8) Un amore a 360 gradi il tuo: lo so che cosa mi risponderai , ma secondo te sono meglio gli animali o le persone?
Ma gli animali, senza ombra di dubbio!!!
9) Ok, titoli di coda a questa breve intervista: visto che sei appassionata di musica: e se Bianca fosse una cantante? O una band? O se fosse una canzone?
Se fosse una cantante sarebbe senza dubbio Kate Bush per la sua aria di mistero, se fosse una band sarebbe i Roxy Music per quell'aria sexy, se fosse una canzone sarebbe "Pretty Woman "perchè è bellissima!!!!
10 ) Due parole dirette a chi leggerà questo post?
Miei cari è stato un onore e un piacere essere la prima ad iniziare questo percorso nel regno animale assieme al Bradipo, dove le nostre esperienze si intrecciano con la nostra vita, le nostre gioie e i nostri dolori.
Alla prossima miei cari...
Ringrazio veramente di cuore Nella per aver iniziato con me nel migliore dei modi questa nuova rubrica del blog che spero tutti gradiate molto.
Se volete le iscrizioni per questa rubrica sono sempre aperte : potete iscrivervi direttamente qui, commentando questo post, oppure inserendo un commento qui.
La prossima in lista è Valentina Orsini, del blog CriticissimaMente.
A mercoledì prossimo!!!
...
La settimana scorsa ho raccolto le adesioni in questo post e la sequenza di interviste è stato stabilita dall'ordine di prenotazione.
La prima a sottoporsi al fuoco di fila delle mie domande ( esagerato ! ) è stata Nella Crosiglia, del blog Rock Music Space un sito che vi invito subito a visitare , sia che siate appassionati di musica sia perchè vogliate leggere qualcosa di intelligente.
Nella è un vulcano ricco di idee e di amore per i suoi animali . Ma iniziamo:
Eccomi dal mio caro Bradipo, io animalista convinta che cura gli animali fino all'ultimo ma come gli struzzi fugge quando sente odore di morte!
Sono una corrispondente musicale da molto tempo, ho girato il mondo, conosciuto cose e persone che etc etc.
Sono maestra di danza classica , moderna e neoclassica, ma dopo il centesimo incidente e tristissime vicende familiari mi sono messa in mutua. Ho ereditato il blog da un'amica, prima come aiuto e poi il giornale mi ha permesso di tenerlo da sola, pur con scarsa dimestichezza della tecnologia.
2)Ti sei mai chiesta da dove scaturisca tutto il tuo amore per gli animali ?
Non ho avuto grandi affetti familiari,ho conosciuto il collegio da piccola, avevo il tremendo bisogno di dare e ricevere amore. Ho sempre vissuto con animali per tutto il mio percorso di vita.
3)Mi racconti di come hai conosciuto Bianca?
L'ho vista dalla finestra di una dispensa in un canile Enpa, segregata perchè operata al muscolo della gamba, avvilita in una grande cuccia con il collare di Elisabetta.
Un giorno mi trovai al canile per vedere di portare a casa una cagnetta e i miei giri erano già stati numerosi per trovare quella giusta , anche perchè veniva a sostituire una grande presenza!
La vidi per caso con il collare di Elisabetta perchè ferita, in uno stanzino, lontana dagli altri e mi colpì soprattutto per quegli occhi puntati e fieri, quasi truccati, quel muso lungo che sembrava dirmi " Non mi dispiaci "
Era fatta, mi aveva scelto, aveva rifiutato il mio bocconcino ma ero sua.
Bianca è un bellissimo pastore svizzero con il pelo bianchissimo, oggi ha 16 anni, è più malconcia che mai con i suoi passettini incerti ma è sempre vicino a me sempre e dovunque, perchè io sono il suo cane guida e sono sempre stata la sua preferita...e devo confessarlo sono stata quella che ha capito subito il suo carattere altezzoso e distante, mai una leccata festosa, mai nulla di tutto questo.
4)Non ti è mancato un po' il fatto che non l'hai vista crescere?
Assolutamente no, noi siamo cresciute assieme?
5 )Bellissima questa risposta, mi dici che cosa è per te Bianca?
Ora è la mia nonna, la mia amica, la mia alleata, la testardaggine e la superbia che spesso avrei voluto imitare.
6) Mi parli di questa bellissima foto in bianco e nero che mi hai mandato?
Intendi la foto di Spingsteen ? ( Gasp! era Springsteen? non lo avevo riconosciuto ma devo dire che ho guardato soprattutto il cane immortalato).
Adoro i cani bassi e cicciotti, quindi lontano dai parametri di Bianca ma mi attirò subito, come cosa già vista. Infatti avevo fatto un'intervista a Springsteen per l'album "Human Touch"con Pinky Rose, la stessa razza di Bianca . E allora ricordai....
7) Ci presenti gli altri quattrozampe che vivono con te?
Ce ne sono diversi: Budazmann, uno spinone trovato da un tedesco in un bosco che voleva morire perchè non tollerava la gabbia del canile.
Capecon, il gatto che viene dalla Cina. Betta ( diminutivo di Orbetta) salvata piccolina dalla completa cecità. C'è Grey altezza, infida e profondamente ruffiana, Trudy una presenza invisibile, i fratellini Greg e Carlitos, con Greg che vive alle spalle del povero Carlitos, Oscar l'amatore folle, fino a poco tempo fa c'era anche l'amatissimo Bobo, ma poi , come dico io, ha deciso di attraversare il ponte....
Ora siamo rimasti solo noi: prima c'erano anche cavalli, coniglia, tortore, volpi, cavie e persino una gazza!
8) Un amore a 360 gradi il tuo: lo so che cosa mi risponderai , ma secondo te sono meglio gli animali o le persone?
Ma gli animali, senza ombra di dubbio!!!
9) Ok, titoli di coda a questa breve intervista: visto che sei appassionata di musica: e se Bianca fosse una cantante? O una band? O se fosse una canzone?
Se fosse una cantante sarebbe senza dubbio Kate Bush per la sua aria di mistero, se fosse una band sarebbe i Roxy Music per quell'aria sexy, se fosse una canzone sarebbe "Pretty Woman "perchè è bellissima!!!!
10 ) Due parole dirette a chi leggerà questo post?
Miei cari è stato un onore e un piacere essere la prima ad iniziare questo percorso nel regno animale assieme al Bradipo, dove le nostre esperienze si intrecciano con la nostra vita, le nostre gioie e i nostri dolori.
Alla prossima miei cari...
Ringrazio veramente di cuore Nella per aver iniziato con me nel migliore dei modi questa nuova rubrica del blog che spero tutti gradiate molto.
Se volete le iscrizioni per questa rubrica sono sempre aperte : potete iscrivervi direttamente qui, commentando questo post, oppure inserendo un commento qui.
La prossima in lista è Valentina Orsini, del blog CriticissimaMente.
A mercoledì prossimo!!!
...
martedì 25 marzo 2014
Il ricatto ( 2013 )
Tom Selznick , grandissima promessa pianistica della musica classica , ritorna sulle scene dopo ben 5 anni di assenza volontaria dovuta alla figura barbina rimediata durante un esibizione mentre suonava un brano difficilissimo, La cinquette, composta dal suo maestro e mentore deceduto da poco.
In una serata organizzata dalla moglie, famosa attrice e cantante e da altri suoi amici Tom si esibisce al pianoforte davanti a una platea gremita.
C'è però qualcosa che non va: sul suo spartito ci sono strani messaggi scritti a piè di pagina e scopre di essere sotto tiro da parte di un cecchino che lo vuole obbligare a suonare La cinquette senza il minimo errore.
Altrimenti sarà un uomo morto e anche la moglie sarà morta.
Il concerto diventa una lotta disperata per la sopravvivenza.
Come prendere questo trascurabilissimo thrilleruccio spagnolo, girato in inglese e con attori americani?
Ci si può apprestare alla visione senza nulla pretendere, convinti di passare un'oretta e mezza a neuroni spenti, oppure ci si può arrabbiare per la pochezza dello spettacolo offerto.
Il film di Eugenio Mira cerca di rielaborare spunti venuti dal cinema del passato, soprattutto Hitchcock che viene citato addirittura scena per scena ( l'ultima parte de L'uomo che sapeva troppo, quella del concerto, scena dei piatti compresa), ma non si prende nemmeno la briga di rielaborare la lezione, inarrivabile del maestro.
Le sue sono citazioni grossolane, talmente ingenue che verrebbe voglia di urlargli un PERCHE? grosso come un grattacielo ( perchè chiami il protagonista Selznick come il produttore / mentore di zio Alfred?), l'omaggio rispettoso sfocia nella riproposizione fine a se stessa di stilemi di un passato glorioso.
Se la lettura superficiale di questo filmetto è veramente sconfortante, non va meglio se si cerca di studiarlo meglio tra le righe. Si parla di paura in palcoscenico, cioè di ansia da prestazione, del rapporto tra il performer e il suo pubblico ma anche dell'ignoranza di quest'ultimo ( che non si accorgerà mai dell'errore sull'ultima nota de La Cinquette).
L'errore che metaforicamente uccide l'artista , qui diventa rischio concreto di finire impallinato da parte di un killer misterioso.
E a questo proposito , quando vedo questi film, vien fuori il mio temperamento da ragioniere contabile: ora io non pretendo che dal punto di vista logico funzioni tutto e fili tutto liscio ma perchè questo misterioso killer che ha organizzato tutto da tre anni , come dice lui in una battuta, ce l'ha tanto con Tom?
Mi son perso qualcosa?
E perchè nel finale ad alta quota , altra cosa vista , rivista e stravista, Tom cade sul pavimento e non si fa praticamente nulla ( dice che si è rotto una gamba ma cammina troppo bene per essersela fratturata) mentre l'altro che cade sul pianoforte, quindi un supporto maggiormente deformabile, si fa malissimo ?
Perchè quando Tom è nell'ambulanza col suo lenzuolo di carta argentata addosso, gli passano davanti solo tre barelle con defunti e non quattro come dovrebbero essere ( e se il quarto è ferito dove l'hanno lasciato?) ma soprattutto mi spiegate il senso dell'ultima scena?
Potrei essere stato poco attento ma qualcosa sicuramente mi è sfuggito.
Se così non fosse allora quell'ultima scena si può spiegare come un goffo tentativo di tenere aperta la porta a un possibile seguito.
Il ricatto vorrebbe essere un thriller mozzafiato che si carica di evidenti intenti metaforici, ma i suoi tentativi di teorizzare la suspense falliscono miseramente.
Eugenio Mira, prima compositore che regista coniuga in questo filmetto le sue due passioni, la musica e il cinema ma gli va male.
Se la sua regia spazia da uno stile all'altro portando lo spettatore sulle montagne russe è la sceneggiatura che con tutte le sue voragini è la zavorra di un film che vuole essere una sfida: si può girare un thriller che per la maggior parte si svolge davanti a un pianoforte? Un po' come In linea con l'assassino di Schumacher si svolgeva quasi tutto dentro una cabina telefonica o anche Buried il thriller di Rodrigo Cortes che aggiornava il tema della claustrofobia ambientando un intero film in una bara.
E non è un caso che il suddetto Cortes sia tra i produttori de Il ricatto.
Elijah Wood si impegna tanto , ma dopo la trilogia de Il Signore degli Anelli, ha azzeccato poco o nulla della sua carriera, eccetto per il brillante Maniac di un paio di anni fa, mentre Cusack oramai ha fatto l'abbonamento a parti da villain psicotico e umidiccio.
Ma qui compare veramente poco ed è pertanto ingiudicabile a meno che non si veda in versione originale.
Vedere questo film proiettato nelle nostre sale ( poche in verità ) fa montare ancora di più la rabbia.
Con tanto bel cinema in giro perchè andiamo a pescare robetta trascurabile come questa?
( VOTO : 4 / 10 )
In una serata organizzata dalla moglie, famosa attrice e cantante e da altri suoi amici Tom si esibisce al pianoforte davanti a una platea gremita.
C'è però qualcosa che non va: sul suo spartito ci sono strani messaggi scritti a piè di pagina e scopre di essere sotto tiro da parte di un cecchino che lo vuole obbligare a suonare La cinquette senza il minimo errore.
Altrimenti sarà un uomo morto e anche la moglie sarà morta.
Il concerto diventa una lotta disperata per la sopravvivenza.
Come prendere questo trascurabilissimo thrilleruccio spagnolo, girato in inglese e con attori americani?
Ci si può apprestare alla visione senza nulla pretendere, convinti di passare un'oretta e mezza a neuroni spenti, oppure ci si può arrabbiare per la pochezza dello spettacolo offerto.
Il film di Eugenio Mira cerca di rielaborare spunti venuti dal cinema del passato, soprattutto Hitchcock che viene citato addirittura scena per scena ( l'ultima parte de L'uomo che sapeva troppo, quella del concerto, scena dei piatti compresa), ma non si prende nemmeno la briga di rielaborare la lezione, inarrivabile del maestro.
Le sue sono citazioni grossolane, talmente ingenue che verrebbe voglia di urlargli un PERCHE? grosso come un grattacielo ( perchè chiami il protagonista Selznick come il produttore / mentore di zio Alfred?), l'omaggio rispettoso sfocia nella riproposizione fine a se stessa di stilemi di un passato glorioso.
Se la lettura superficiale di questo filmetto è veramente sconfortante, non va meglio se si cerca di studiarlo meglio tra le righe. Si parla di paura in palcoscenico, cioè di ansia da prestazione, del rapporto tra il performer e il suo pubblico ma anche dell'ignoranza di quest'ultimo ( che non si accorgerà mai dell'errore sull'ultima nota de La Cinquette).
L'errore che metaforicamente uccide l'artista , qui diventa rischio concreto di finire impallinato da parte di un killer misterioso.
E a questo proposito , quando vedo questi film, vien fuori il mio temperamento da ragioniere contabile: ora io non pretendo che dal punto di vista logico funzioni tutto e fili tutto liscio ma perchè questo misterioso killer che ha organizzato tutto da tre anni , come dice lui in una battuta, ce l'ha tanto con Tom?
Mi son perso qualcosa?
E perchè nel finale ad alta quota , altra cosa vista , rivista e stravista, Tom cade sul pavimento e non si fa praticamente nulla ( dice che si è rotto una gamba ma cammina troppo bene per essersela fratturata) mentre l'altro che cade sul pianoforte, quindi un supporto maggiormente deformabile, si fa malissimo ?
Perchè quando Tom è nell'ambulanza col suo lenzuolo di carta argentata addosso, gli passano davanti solo tre barelle con defunti e non quattro come dovrebbero essere ( e se il quarto è ferito dove l'hanno lasciato?) ma soprattutto mi spiegate il senso dell'ultima scena?
Potrei essere stato poco attento ma qualcosa sicuramente mi è sfuggito.
Se così non fosse allora quell'ultima scena si può spiegare come un goffo tentativo di tenere aperta la porta a un possibile seguito.
Il ricatto vorrebbe essere un thriller mozzafiato che si carica di evidenti intenti metaforici, ma i suoi tentativi di teorizzare la suspense falliscono miseramente.
Eugenio Mira, prima compositore che regista coniuga in questo filmetto le sue due passioni, la musica e il cinema ma gli va male.
Se la sua regia spazia da uno stile all'altro portando lo spettatore sulle montagne russe è la sceneggiatura che con tutte le sue voragini è la zavorra di un film che vuole essere una sfida: si può girare un thriller che per la maggior parte si svolge davanti a un pianoforte? Un po' come In linea con l'assassino di Schumacher si svolgeva quasi tutto dentro una cabina telefonica o anche Buried il thriller di Rodrigo Cortes che aggiornava il tema della claustrofobia ambientando un intero film in una bara.
E non è un caso che il suddetto Cortes sia tra i produttori de Il ricatto.
Elijah Wood si impegna tanto , ma dopo la trilogia de Il Signore degli Anelli, ha azzeccato poco o nulla della sua carriera, eccetto per il brillante Maniac di un paio di anni fa, mentre Cusack oramai ha fatto l'abbonamento a parti da villain psicotico e umidiccio.
Ma qui compare veramente poco ed è pertanto ingiudicabile a meno che non si veda in versione originale.
Vedere questo film proiettato nelle nostre sale ( poche in verità ) fa montare ancora di più la rabbia.
Con tanto bel cinema in giro perchè andiamo a pescare robetta trascurabile come questa?
( VOTO : 4 / 10 )
lunedì 24 marzo 2014
La mafia uccide solo d'estate ( 2013 )
Arturo è innamorato di Flora da quando l'ha vista , quando lei arrivò nella sua scuola a Palermo, figlia di un direttore di banca piuttosto ammanicato con le alte sfere. Ma c' è sempre qualcosa che si frappone tra lui e lei. E questo qualcosa quando non è un suo compagno di banco invaghito come lui di Flora si chiama mafia: concepito la notte in cui i più noti boss mafiosi , Riina, Provenzano e Bagarella, uccisero , travestiti da poliziotti, Rocco Cavataio, prendendo definitivamente il controllo della Sicilia, battezzato da un prete anche lui con qualche problema di quelli da nascondere alla comunità, Arturo incrocia continuamente protagonisti della lotta alla mafia e avvenimenti luttuosi in una città che sembra di non curarsi dei tentacoli della criminalità organizzata. Il suo idolo è Giulio Andreotti e anche lui non è che badi molto a quello che gli succede intorno . Arturo vuole solo Flora e invece conosce Boris Giuliano, Rocco Chinnici che condivide con lui il segreto dell'amore innocente per Flora e tanti altri.
Cresce e ha sempre Flora in testa nonostante lei si sia trasferita da anni in Svizzera: lei torna come assistente di Salvo Lima e lui ce l'ha lì a portata di mano come mai gli era successo.
Eppure la mafia si intromette anche questa volta uccidendo Salvo Lima.
Avrà un futuro l'amore di Arturo e Flora , fino ad ora sentimento tristemente unilaterale?
La mafia uccide solo d'estate è l'esordio alla regia di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, autore e personaggio televisivo, già assistente alla regia di Marco Tullio Giordana ne I cento passi.
Non il solito raccomandato di lusso fornito dai palinsesti televisivi, ma finalmente qualcuno che ha qualcosa da dire e che non esordisce con la solita commedia buonista preconfezionata per i palati alla buona di molto pubblico nostrano.
Travestito da romanzo di formazione ( o di deformazione a seconda dei punti di vista) il film di Pif è in realtà un racconto storico, personale di una stagione della vita palermitana, quella degli anni di piombo, della contrapposizione tragica tra Stato e mafia, in cui l'innocenza dello sguardo di un bambino è messa continuamente a dura prova dai crimini efferati che accadono, condizionando la vita sua e quella degli altri palermitani molto più di quello che lascino vedere.
Palermo è una città senza occhi e senza orecchie, che si disinteressa quasi ai morti ammazzati, da una parte e dall'altra e del terrore che la condiziona da molti anni a questa parte.
Arturo in una virata al grottesco si sceglie l'idolo sbagliato: avrebbe a disposizione gente come Boris Giuliano, Rocco Chinnici o il generale Dalla Chiesa, tutta gente che ha conosciuto in prima persona eppure lui è soggiogato da Andreotti e dai suoi aforismi minimalisti che lo rendono non esattamente un personaggio di primo piano nella lotta alla criminalità mafiosa.
Anzi.
Eppure Arturo prosegue con pervicacia il suo percorso pur con il destino che gli si pone continuamente di traverso e si accorge sulla sua pelle che la mafia non uccide solo d'estate.
Quello di Pif è un esordio registico di buonissimo livello, usa il doloroso materiale di repertorio come un maglio per arrivare al cuore dello spettatore, riesce a sfumare il comico nel tragico e viceversa, il tutto attraverso gli occhi di un bambino che vuole vedere e capire quello che accade attorno a lui.
La sua storia d'amore con Flora è un fil rouge che attraversa tutto il film, pur in primo piano appare come un pretesto creativo per parlare di tuttaltro.
Perchè in fondo , anche se si volesse ignorare tutto il resto, non sarebbe possibile.
La storia è lì , in bella evidenza, gli omicidi importanti che hanno segnato la vita siciliana di questi ultimi trenta anni e più ci sono tutti, raccontati trasversalmente secondo la prospettiva del piccolo Arturo.
E anche quando è ormai uomo fatto sembra essere l'unico che voglia in qualche modo ribellarsi a uno stato di cose inaccettabile.
La mafia uccide solo d'estate è anche la storia di una presa di coscienza da parte di una città che ha sempre preferito guardare altrove, un apologo tenero e toccante su un figlio che diventerà a sua volta padre e vorrà che il suo bambino abbia subito la consapevolezza di quello che è accaduto in Sicilia negli ultimi anni e quel tour delle lapidi, cicatrici dimenticate di una lotta selvaggia è una chiusura emozionante senza essere troppo retorica che fa salire le lacrime agli occhi un po' come succedeva con il finale de I cento passi quando si vedeva il corteo funebre delle esequie di Peppino Impastato.
Arturo non è Peppino ma non vuole crescere suo figlio nell'omertà, la sua è una ribellione civile in una città cloroformizzata.
E' questo il cinema italiano che vogliamo!
( VOTO : 7,5 / 10 )
Cresce e ha sempre Flora in testa nonostante lei si sia trasferita da anni in Svizzera: lei torna come assistente di Salvo Lima e lui ce l'ha lì a portata di mano come mai gli era successo.
Eppure la mafia si intromette anche questa volta uccidendo Salvo Lima.
Avrà un futuro l'amore di Arturo e Flora , fino ad ora sentimento tristemente unilaterale?
La mafia uccide solo d'estate è l'esordio alla regia di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, autore e personaggio televisivo, già assistente alla regia di Marco Tullio Giordana ne I cento passi.
Non il solito raccomandato di lusso fornito dai palinsesti televisivi, ma finalmente qualcuno che ha qualcosa da dire e che non esordisce con la solita commedia buonista preconfezionata per i palati alla buona di molto pubblico nostrano.
Travestito da romanzo di formazione ( o di deformazione a seconda dei punti di vista) il film di Pif è in realtà un racconto storico, personale di una stagione della vita palermitana, quella degli anni di piombo, della contrapposizione tragica tra Stato e mafia, in cui l'innocenza dello sguardo di un bambino è messa continuamente a dura prova dai crimini efferati che accadono, condizionando la vita sua e quella degli altri palermitani molto più di quello che lascino vedere.
Palermo è una città senza occhi e senza orecchie, che si disinteressa quasi ai morti ammazzati, da una parte e dall'altra e del terrore che la condiziona da molti anni a questa parte.
Arturo in una virata al grottesco si sceglie l'idolo sbagliato: avrebbe a disposizione gente come Boris Giuliano, Rocco Chinnici o il generale Dalla Chiesa, tutta gente che ha conosciuto in prima persona eppure lui è soggiogato da Andreotti e dai suoi aforismi minimalisti che lo rendono non esattamente un personaggio di primo piano nella lotta alla criminalità mafiosa.
Anzi.
Eppure Arturo prosegue con pervicacia il suo percorso pur con il destino che gli si pone continuamente di traverso e si accorge sulla sua pelle che la mafia non uccide solo d'estate.
Quello di Pif è un esordio registico di buonissimo livello, usa il doloroso materiale di repertorio come un maglio per arrivare al cuore dello spettatore, riesce a sfumare il comico nel tragico e viceversa, il tutto attraverso gli occhi di un bambino che vuole vedere e capire quello che accade attorno a lui.
La sua storia d'amore con Flora è un fil rouge che attraversa tutto il film, pur in primo piano appare come un pretesto creativo per parlare di tuttaltro.
Perchè in fondo , anche se si volesse ignorare tutto il resto, non sarebbe possibile.
La storia è lì , in bella evidenza, gli omicidi importanti che hanno segnato la vita siciliana di questi ultimi trenta anni e più ci sono tutti, raccontati trasversalmente secondo la prospettiva del piccolo Arturo.
E anche quando è ormai uomo fatto sembra essere l'unico che voglia in qualche modo ribellarsi a uno stato di cose inaccettabile.
La mafia uccide solo d'estate è anche la storia di una presa di coscienza da parte di una città che ha sempre preferito guardare altrove, un apologo tenero e toccante su un figlio che diventerà a sua volta padre e vorrà che il suo bambino abbia subito la consapevolezza di quello che è accaduto in Sicilia negli ultimi anni e quel tour delle lapidi, cicatrici dimenticate di una lotta selvaggia è una chiusura emozionante senza essere troppo retorica che fa salire le lacrime agli occhi un po' come succedeva con il finale de I cento passi quando si vedeva il corteo funebre delle esequie di Peppino Impastato.
Arturo non è Peppino ma non vuole crescere suo figlio nell'omertà, la sua è una ribellione civile in una città cloroformizzata.
E' questo il cinema italiano che vogliamo!
( VOTO : 7,5 / 10 )
domenica 23 marzo 2014
Italia anni '70 - Roma a mano armata ( 1976 )
Il commissario Tanzi è un poliziotto che usa metodi piuttosto rudi quando ha a che fare con i malviventi mosso da un'animosità fuori dal comune. Questo lo mette in cattiva luce presso i superiori e lo rende bersaglio della criminalità. Quando dopo una rapina va a cercare al mattatoio un criminale di mezza tacca, il Gobbo , lo picchia selvaggiamente e lui architetta un finto suicidio durante l'interrogatorio. Ma non è innocente , architetta il rapimento della compagna di Tanzi per minacciare lui e uccide un altro criminale mentre sta dando al commissario informazioni preziose.
Il duello finale si avvicina...
Roma a mano armata nacque per sfruttare al massimo dal punto di vista economico l'enorme successo commerciale riportato dal precedente Roma Violenta.
Al produttore Luciano Martino, ma anche ad altri, sembrò di avere trovato la gallina dalle uova d'oro e riempirono le sale cinematografiche di città violente ( Roma, Napoli, Milano,Genova, Torino), a mano armata o che si incazzavano.
Film osannati dal pubblico e osteggiati apertamente dalla critica che li definiva senza mezzi termini ricchi di rigurgiti fascistoidi e inutilmente violenti.
Ma era proprio quella l'intenzione: colpire alle viscere con personaggi che incarnavano la sete di giustizia fai da te di un pubblico che rifuggiva ogni catalogazione politica.
La squadra vincente non si cambia , al massimo si arricchisce di nuovi, valenti elementi: è questo il caso di Roma a mano armata la cui regia viene affidata alle mani esperte del toscanaccio Lenzi, uno specialista del genere action, ideale per una pellicola veloce e spettacolare come doveva essere questa, reduce da uno dei film considerati precursori del genere poliziottesco, quel Milano odia : la polizia non può sparare che arrivava ad avere la statura del noir.
Come protagonista è confermato Merli in un personaggio sostanzialmente identico a quello del film precedente solo che qui si chiama Tanzi e lì si chiamava Betti.
A dirla tutta Tanzi è ancora più fascista , incazzato e reazionario di Betti che perlomeno qualche dubbio etico nell'amministrazione della "sua " giustizia se lo poneva.
Tanzi invece picchia come un fabbro ferraio, si fa beffe delle regole e dei diritti dei detenuti, è un giustiziere fatto e finito che non esita neanche a picchiare un disabile, cattivissimo ma sempre disabile, come il Gobbo.
Ecco Roma a mano armata è importante anche per l'introduzione del personaggio del Gobbo che poi sarà ripreso da altri film e che darà il via alla creazione di un personaggio che poi avrà successo incredibile, quello del Monnezza , che nella finzione è il fratello del Gobbo, il suo alter ego e la sua nemesi allo stesso tempo.
Anche il cast di contorno è di primissima qualità con vari volti noti del cinema di genere che qui si prestano in parti secondarie ed è da ricordare anche la partecipazione del bravo Giampiero Albertini, che aveva prestato e all'epoca stava prestando la voce al Peter Falk di Colombo.
La sceneggiatura fu scritta in pochissimo tempo da Dardano Sacchetti, altra superstar del genere, dopo che Lenzi ne aveva rifiutata un'altra a suo modo di dire farraginosa e di poco impatto.
Il film naturalmente fu un successo e nella gente a dispetto di qualsiasi correttezza politica rimase molto più simpatico il personaggio del Gobbo, un proletario a suo modo di successo, anche se ottenuto illegalmente, piuttosto che il paladino della giustizia Tanzi, bello, con una bella fidanzata e appartenente a un mondo in cui il cittadino normale si riconosceva poco.
La struttura del film è rapsodica, non viene raccontata una sola vicenda ma ne vengono raccolte insieme tante, a mosaico, anche se è ben chiaro sin da subito che il Gobbo e Tanzi avranno un sanguinoso rendez vous finale.
Il film può essere tacciato di schematismo, di essere rozzo nei personaggi e nelle ideologie e sarà tutto vero ma è anche indubitabile che è tutto voluto, pianificato dall'alto.
Lenzi, Sacchetti e tutta la produzione volevano questo: un film che colpisse le viscere, qualcosa che suscitasse reazioni di pancia, qualcosa ben lontano dal cinema intellettuale di sinistra.
E tutto questo senza politicizzazioni di sorta: pur accostato a idee destrorse, questo tipo di cinema era fatto da uomini che se ne infischiavano bellamente della politica.
Gli importava solo di fare più soldi possibili...
(VOTO : 7 / 10 )
Il duello finale si avvicina...
Roma a mano armata nacque per sfruttare al massimo dal punto di vista economico l'enorme successo commerciale riportato dal precedente Roma Violenta.
Al produttore Luciano Martino, ma anche ad altri, sembrò di avere trovato la gallina dalle uova d'oro e riempirono le sale cinematografiche di città violente ( Roma, Napoli, Milano,Genova, Torino), a mano armata o che si incazzavano.
Film osannati dal pubblico e osteggiati apertamente dalla critica che li definiva senza mezzi termini ricchi di rigurgiti fascistoidi e inutilmente violenti.
Ma era proprio quella l'intenzione: colpire alle viscere con personaggi che incarnavano la sete di giustizia fai da te di un pubblico che rifuggiva ogni catalogazione politica.
La squadra vincente non si cambia , al massimo si arricchisce di nuovi, valenti elementi: è questo il caso di Roma a mano armata la cui regia viene affidata alle mani esperte del toscanaccio Lenzi, uno specialista del genere action, ideale per una pellicola veloce e spettacolare come doveva essere questa, reduce da uno dei film considerati precursori del genere poliziottesco, quel Milano odia : la polizia non può sparare che arrivava ad avere la statura del noir.
Come protagonista è confermato Merli in un personaggio sostanzialmente identico a quello del film precedente solo che qui si chiama Tanzi e lì si chiamava Betti.
A dirla tutta Tanzi è ancora più fascista , incazzato e reazionario di Betti che perlomeno qualche dubbio etico nell'amministrazione della "sua " giustizia se lo poneva.
Tanzi invece picchia come un fabbro ferraio, si fa beffe delle regole e dei diritti dei detenuti, è un giustiziere fatto e finito che non esita neanche a picchiare un disabile, cattivissimo ma sempre disabile, come il Gobbo.
Ecco Roma a mano armata è importante anche per l'introduzione del personaggio del Gobbo che poi sarà ripreso da altri film e che darà il via alla creazione di un personaggio che poi avrà successo incredibile, quello del Monnezza , che nella finzione è il fratello del Gobbo, il suo alter ego e la sua nemesi allo stesso tempo.
Anche il cast di contorno è di primissima qualità con vari volti noti del cinema di genere che qui si prestano in parti secondarie ed è da ricordare anche la partecipazione del bravo Giampiero Albertini, che aveva prestato e all'epoca stava prestando la voce al Peter Falk di Colombo.
La sceneggiatura fu scritta in pochissimo tempo da Dardano Sacchetti, altra superstar del genere, dopo che Lenzi ne aveva rifiutata un'altra a suo modo di dire farraginosa e di poco impatto.
Il film naturalmente fu un successo e nella gente a dispetto di qualsiasi correttezza politica rimase molto più simpatico il personaggio del Gobbo, un proletario a suo modo di successo, anche se ottenuto illegalmente, piuttosto che il paladino della giustizia Tanzi, bello, con una bella fidanzata e appartenente a un mondo in cui il cittadino normale si riconosceva poco.
La struttura del film è rapsodica, non viene raccontata una sola vicenda ma ne vengono raccolte insieme tante, a mosaico, anche se è ben chiaro sin da subito che il Gobbo e Tanzi avranno un sanguinoso rendez vous finale.
Il film può essere tacciato di schematismo, di essere rozzo nei personaggi e nelle ideologie e sarà tutto vero ma è anche indubitabile che è tutto voluto, pianificato dall'alto.
Lenzi, Sacchetti e tutta la produzione volevano questo: un film che colpisse le viscere, qualcosa che suscitasse reazioni di pancia, qualcosa ben lontano dal cinema intellettuale di sinistra.
E tutto questo senza politicizzazioni di sorta: pur accostato a idee destrorse, questo tipo di cinema era fatto da uomini che se ne infischiavano bellamente della politica.
Gli importava solo di fare più soldi possibili...
(VOTO : 7 / 10 )
sabato 22 marzo 2014
In solitario ( 2013 )
Yann Kermadec a 57 anni ha finalmente l'occasione di dimostrare a tutti quanto vale come velista: a causa dell'infortunio dell'amico Frank ha la chance di gareggiare al posto suo nella Vendée Globe, una massacrante regata in solitario che è una specie di giro per il mondo. Lascia a casa la sua nuova fidanzata e soprattutto la figlia Lea , ultimo ricordo della sua defunta moglie. La regata diventa presto una rincorsa entusiasmante verso i primi posti ma durante una sosta notturna alle Canarie , un giovane clandestino del Mali si intrufola nella barca di Yann e il regolamento è chiaro: è passibile di squalifica se non lo sbarca subito, prima che se ne accorgano i giudici. E invece Yann se lo tiene a bordo, pur continuando a fare tutto da solo, fino alla fine della regata...
Comunque vada sarà un successo...
Dopo il tritamente di zebedei di cui ero stato vittima vedendo All is lost - Tutto è perduto, film tecnicamente inappuntabile ma che nel mio gusto era colato a picco dopo pochi minuti, mi sono avvicinato a questo film con estrema diffidenza.
Un po' di masochismo anche perchè mi aspettavo un altro film che facesse acqua da tutte le parti, scusate i modi di dire ma oggi mi vengono così, però d'altra parte ero combattutto perchè sulla locandina c'era il faccione di Cluzet, attore che mi piace molto e c'era anche scritto che questo film era stato prodotto dagli stessi produttori di Quasi Amici , forse la miglior commedia francese di questi ultimi, sicuramente quella che ha incassato di più.
Ora io non mi faccio mai abbindolare dalle locandine, non più almeno perchè nel tempo ho imparato a diffidare , ma vedere quella di In solitario ti fa rendere conto di quanto sia truffaldina.
Osservatela: in alto a destra si legge " Dai produttori di Quasi Amici il film che sta battendo ogni record di incasso in Francia".
E anche Wikipedia è caduta nell'equivoco.
La lingua italiana certe volte è una brutta bestia in quanto ad ambiguità ma qui credo che ci sia poco da interpretare: quel " il film che sta battendo ogni record di incasso in Francia " non può essere riferito a Quasi Amici perchè è uscito ormai due anni fa e i record li ha già battuti dal primo all'ultimo e non da quest'anno e non avrebbe senso riferirsi a quello usando il gerundio, un tempo verbale che indica contemporaneità.
Allora quella cosa degli incassi si riferisce per forza a In solitario .
Ed è assolutamente falsa: uscito in Francia il 6 novembre non ha mai raggiunto la vetta del box office e si è fermato a un incasso modesto, circa 4,5 milioni di euro che lo ha portato intorno al quindicesimo posto nel box office francese contando solo film transalpini ( quindi nelle retrovie anche tra le pellicole della madre patria) e al settantesimo posto nella classifica generale.
Se quella locandina non sa di truffa allora che cosa è?
Ma non ho ancora parlato del film: in realtà c'è poco da dire.
Per essere l'esordio alla regia di un valente direttore della fotografia, Christophe Offenstein, il film è insolitamente misurato sotto il profilo della confezione e della bellezza dell'immagine.
Non è la fotografia il suo punto di forza, ci sono belle sequenze in mare aperto ma il film si sofferma soprattutto sul desiderio di rivalsa di Yann e sul rapporto che si crea con il clandestino del Mali.
Il tutto scegliendo una scansione del tempo quasi asettica in cui viene certificato il recupero della barca di Yann sulle altre in gara e il suo progressivo avvicinarsi al trionfo.
Trionfo che....eh eh non dico nulla perchè non mi piace spoilerare.
Devo dire che Cluzet è bravo in una parte che è esattamente l'opposto di quella recitata in Quasi Amici: se la era un tetraplegico che recitava solo con le espressioni del viso, qui il suo faccione è sempre corrucciato, incorniciato da una barba incolta e brizzolata, molte battute invece di recitarle le ringhia rabbiosamente e chiede molto in termini atletici al suo fisico con sequenze piuttosto impegnative, come lui stesso ha ammesso nelle interviste riguardo al film.
Non sarà una noia infinita come All is lost- Tutto è perduto perchè Offenstein ha la furbizia di alternare l'azione tra l'interno claustrofobico della barca e parti ambientare sulla terraferma, ma In solitario non si eleva sopra un'aurea mediocrità.
Girato bene si, ma non entusiasma mai neanche quando gronda letteralmente di retorica nel finale che mi sto guardando bene dal raccontare...
Un mezzo passo falso...o meglio un buco nell'acqua.
La battutaccia mi è sorta spontanea....
( VOTO : 5 / 10 )
Comunque vada sarà un successo...
Dopo il tritamente di zebedei di cui ero stato vittima vedendo All is lost - Tutto è perduto, film tecnicamente inappuntabile ma che nel mio gusto era colato a picco dopo pochi minuti, mi sono avvicinato a questo film con estrema diffidenza.
Un po' di masochismo anche perchè mi aspettavo un altro film che facesse acqua da tutte le parti, scusate i modi di dire ma oggi mi vengono così, però d'altra parte ero combattutto perchè sulla locandina c'era il faccione di Cluzet, attore che mi piace molto e c'era anche scritto che questo film era stato prodotto dagli stessi produttori di Quasi Amici , forse la miglior commedia francese di questi ultimi, sicuramente quella che ha incassato di più.
Ora io non mi faccio mai abbindolare dalle locandine, non più almeno perchè nel tempo ho imparato a diffidare , ma vedere quella di In solitario ti fa rendere conto di quanto sia truffaldina.
Osservatela: in alto a destra si legge " Dai produttori di Quasi Amici il film che sta battendo ogni record di incasso in Francia".
E anche Wikipedia è caduta nell'equivoco.
La lingua italiana certe volte è una brutta bestia in quanto ad ambiguità ma qui credo che ci sia poco da interpretare: quel " il film che sta battendo ogni record di incasso in Francia " non può essere riferito a Quasi Amici perchè è uscito ormai due anni fa e i record li ha già battuti dal primo all'ultimo e non da quest'anno e non avrebbe senso riferirsi a quello usando il gerundio, un tempo verbale che indica contemporaneità.
Allora quella cosa degli incassi si riferisce per forza a In solitario .
Ed è assolutamente falsa: uscito in Francia il 6 novembre non ha mai raggiunto la vetta del box office e si è fermato a un incasso modesto, circa 4,5 milioni di euro che lo ha portato intorno al quindicesimo posto nel box office francese contando solo film transalpini ( quindi nelle retrovie anche tra le pellicole della madre patria) e al settantesimo posto nella classifica generale.
Se quella locandina non sa di truffa allora che cosa è?
Ma non ho ancora parlato del film: in realtà c'è poco da dire.
Per essere l'esordio alla regia di un valente direttore della fotografia, Christophe Offenstein, il film è insolitamente misurato sotto il profilo della confezione e della bellezza dell'immagine.
Non è la fotografia il suo punto di forza, ci sono belle sequenze in mare aperto ma il film si sofferma soprattutto sul desiderio di rivalsa di Yann e sul rapporto che si crea con il clandestino del Mali.
Il tutto scegliendo una scansione del tempo quasi asettica in cui viene certificato il recupero della barca di Yann sulle altre in gara e il suo progressivo avvicinarsi al trionfo.
Trionfo che....eh eh non dico nulla perchè non mi piace spoilerare.
Devo dire che Cluzet è bravo in una parte che è esattamente l'opposto di quella recitata in Quasi Amici: se la era un tetraplegico che recitava solo con le espressioni del viso, qui il suo faccione è sempre corrucciato, incorniciato da una barba incolta e brizzolata, molte battute invece di recitarle le ringhia rabbiosamente e chiede molto in termini atletici al suo fisico con sequenze piuttosto impegnative, come lui stesso ha ammesso nelle interviste riguardo al film.
Non sarà una noia infinita come All is lost- Tutto è perduto perchè Offenstein ha la furbizia di alternare l'azione tra l'interno claustrofobico della barca e parti ambientare sulla terraferma, ma In solitario non si eleva sopra un'aurea mediocrità.
Girato bene si, ma non entusiasma mai neanche quando gronda letteralmente di retorica nel finale che mi sto guardando bene dal raccontare...
Un mezzo passo falso...o meglio un buco nell'acqua.
La battutaccia mi è sorta spontanea....
( VOTO : 5 / 10 )
venerdì 21 marzo 2014
Seria(l)mente : The escape artist ( 2013 )
Origine : UK
Produzione : BBC Drama production, Endor Production
Episodi : 3 da 60 minuti cadauno
Will Burton è il principe del foro di Londra, mai battuto in un aula di tribunale, marito felice e genitore perfetto di un bimbo con cui trascorre il suo tempo libero, da perfetto padre di famiglia.
E' l'avvocato migliore non perchè difende i disperati ma perchè riesce a vincere cause impossibili intentate da veri e propri criminali non fermandosi neanche un po' a riflettere se faccia la cosa giusta o meno.
Come nel caso dello psicopatico Liam Foyle sotto processo per aver seviziato e ucciso una donna.
Will riesce a farlo assolvere per un cavillo ma quando costui gli porge la mano per stringergliela, l'avvocato rifiuta e tutto questo si trasforma in un errore gravissimo.
Foyle lo segnala all'Ordine degli Avvocati ( e per uno premiato più volte come avvocato dell'anno e a un passo dalla massima onoreficienza del settore, cioè il "Silk", è una cosa abbastanza grave che può mettere a repentaglio una carriera brillante e senza macchie come la sua ) e non contento comincia un costante stalkeraggio che esita nell'omicidio della moglie di Burton di cui l'unico testimone è il figlio.
Il processo non va a buon fine perchè Foyle, difeso da una rivale di Will , Maggie Gardner, da lui sconfitta più volte in un aula di tribunale, si fabbrica un alibi di ferro e viene assolto.
Ma per Will Burton non finisce qui: Machiavelli a confronto era un dilettante.
Forse.
Vedere all'opera un attore di talento come David Tennant fa riflettere parecchio: perchè uno come lui che è una vera e propria leggenda delle serie televisive, partendo dal mitico Dr Who per arrivare alla più recente , bellissima Broadchurch, non riesce a sfondare al cinema , dove riescono attori ben più mediocri?
Perchè prima un attore recitava praticamente di tutto, dalla televisione al cinema e oggi invece ci sono attori che fanno solo televisione per non parlare di ex divetti cinematografici che trattano la televisione come il refugium peccatorum e si riciclano brillantemente sul piccolo schermo?
Non voglio pensare solo al movente economico: fare serie televisive è un po' come lavorare alla catena di montaggio, a cottimo, perchè più episodi fai e più vieni pagato. E sentire stipendi da mezzo milione di dollari a episodio per più di 20 episodi l'anno, beh fa un sacco di soldi, dollaroni che non si riuscirebbe mai a guadagnare facendo cinema a meno che non ti chiami Brad Pitt o Tom Cruise.
Ma come al solito sto partendo per la tangente con discorsi che non c'entrano nulla.
The Escape artist tecnicamente sarebbe un procedural drama con una sceneggiatura che acquista complessità minuto dopo minuto e che va a parare dove meno te lo aspetti.
Dico sarebbe, usando il condizionale perchè non è proprio così.
La scrittura di David Wolstencroft noto per aver creato la serie Spooks pur avendo degli oggettivi coni d'ombra (in certi passaggi la verosimiglianza va un po' a farsi benedire e poi chi è Foyle? possibile che nessuno si accorga della sua pericolosità e che ha scritto in faccia che è uno psicopatico? e davvero gli può scattare l'embolo perchè un avvocato che a malapena conosce non gli stringe la mano in una sorta di pudico pentimento?) acquista sempre più profondità evitando il più possibile l'aula di tribunale e concentrandosi sul rapporto tra vittima e carnefice che si insatura tra Burton e il suo persecutore.
La cosa che solletica parecchio è che l'avvocato senza scrupoli , siccome sta accadendo a lui, si comincia a fare tutte quelle domande che non si era mai fatto nella sua carriera di tutte vittorie e di zero scrupoli nell'ottenerle.
Da leguleio senza coscienza diventa vittima della sua arroganza e dei meccanismi che lo hanno portato a far assolvere criminali di tutte le risme.
Maggie Gardner, la sua nemesi nell'aula di tribunale, diventa una sorta di proiezione di se stesso, quando cerca di far condannare Foyle e lei sdegnosamente gli ricorda il ruolo dell'avvocato.
Tutti hanno diritto a una difesa legale: anche i criminali.
E tutto questo si trasforma nel fallimento di Burton , come uomo e come avvocato.
Ma se un'altra serie sarebbe terminata qui, The escape artist invece va oltre.
Dopo aver stimolato a dovere il cervello con dilemmi eticolegali di impossibile risoluzione, vecchi come il diritto, nella terza puntata viene stimolata a dovere anche la pancia.
Più che stimolata direi colpita selvaggiamente. Un po' come essere preso a schiaffi da un badile pesantissimo che ti ridisegna i connotati.
Trasferendo l'azione da Londra alle campagne scozzesi assistiamo a un nuovo incontro tra Foyle e Burton.
E qui mi devo fermare altrimenti spoilero di brutto e non voglio levare il piacere della visione.
Perchè come al solito English do it better, la BBC è una garanzia di qualità che non viene mai meno al suo nome, le sue serie visivamente hanno quella specie di marchio di fabbrica che le rende riconoscibili all'istante e perchè David Tennant è fottutamente bravo a regalare sfumature inaspettate al suo personaggio , un bel personaggio devo dire, assolutamente non ingabbiato in logiche di genere.
The escape artist dà sempre l'impressione di giocare al gatto col topo con lo spettatore , un giochino in cui lo sceneggiatore divertito vuol vedere le reazioni del pubblico, stimolato a dovere nel cervello e nelle viscere.
Fosse solo per questo, sarebbe da vedere all'istante, tre puntate passano in fretta, troppo in fretta.
E non c'è solo questo....
( VOTO : 7,5 / 10 )
Produzione : BBC Drama production, Endor Production
Episodi : 3 da 60 minuti cadauno
Will Burton è il principe del foro di Londra, mai battuto in un aula di tribunale, marito felice e genitore perfetto di un bimbo con cui trascorre il suo tempo libero, da perfetto padre di famiglia.
E' l'avvocato migliore non perchè difende i disperati ma perchè riesce a vincere cause impossibili intentate da veri e propri criminali non fermandosi neanche un po' a riflettere se faccia la cosa giusta o meno.
Come nel caso dello psicopatico Liam Foyle sotto processo per aver seviziato e ucciso una donna.
Will riesce a farlo assolvere per un cavillo ma quando costui gli porge la mano per stringergliela, l'avvocato rifiuta e tutto questo si trasforma in un errore gravissimo.
Foyle lo segnala all'Ordine degli Avvocati ( e per uno premiato più volte come avvocato dell'anno e a un passo dalla massima onoreficienza del settore, cioè il "Silk", è una cosa abbastanza grave che può mettere a repentaglio una carriera brillante e senza macchie come la sua ) e non contento comincia un costante stalkeraggio che esita nell'omicidio della moglie di Burton di cui l'unico testimone è il figlio.
Il processo non va a buon fine perchè Foyle, difeso da una rivale di Will , Maggie Gardner, da lui sconfitta più volte in un aula di tribunale, si fabbrica un alibi di ferro e viene assolto.
Ma per Will Burton non finisce qui: Machiavelli a confronto era un dilettante.
Forse.
Vedere all'opera un attore di talento come David Tennant fa riflettere parecchio: perchè uno come lui che è una vera e propria leggenda delle serie televisive, partendo dal mitico Dr Who per arrivare alla più recente , bellissima Broadchurch, non riesce a sfondare al cinema , dove riescono attori ben più mediocri?
Perchè prima un attore recitava praticamente di tutto, dalla televisione al cinema e oggi invece ci sono attori che fanno solo televisione per non parlare di ex divetti cinematografici che trattano la televisione come il refugium peccatorum e si riciclano brillantemente sul piccolo schermo?
Non voglio pensare solo al movente economico: fare serie televisive è un po' come lavorare alla catena di montaggio, a cottimo, perchè più episodi fai e più vieni pagato. E sentire stipendi da mezzo milione di dollari a episodio per più di 20 episodi l'anno, beh fa un sacco di soldi, dollaroni che non si riuscirebbe mai a guadagnare facendo cinema a meno che non ti chiami Brad Pitt o Tom Cruise.
Ma come al solito sto partendo per la tangente con discorsi che non c'entrano nulla.
The Escape artist tecnicamente sarebbe un procedural drama con una sceneggiatura che acquista complessità minuto dopo minuto e che va a parare dove meno te lo aspetti.
Dico sarebbe, usando il condizionale perchè non è proprio così.
La scrittura di David Wolstencroft noto per aver creato la serie Spooks pur avendo degli oggettivi coni d'ombra (in certi passaggi la verosimiglianza va un po' a farsi benedire e poi chi è Foyle? possibile che nessuno si accorga della sua pericolosità e che ha scritto in faccia che è uno psicopatico? e davvero gli può scattare l'embolo perchè un avvocato che a malapena conosce non gli stringe la mano in una sorta di pudico pentimento?) acquista sempre più profondità evitando il più possibile l'aula di tribunale e concentrandosi sul rapporto tra vittima e carnefice che si insatura tra Burton e il suo persecutore.
La cosa che solletica parecchio è che l'avvocato senza scrupoli , siccome sta accadendo a lui, si comincia a fare tutte quelle domande che non si era mai fatto nella sua carriera di tutte vittorie e di zero scrupoli nell'ottenerle.
Da leguleio senza coscienza diventa vittima della sua arroganza e dei meccanismi che lo hanno portato a far assolvere criminali di tutte le risme.
Maggie Gardner, la sua nemesi nell'aula di tribunale, diventa una sorta di proiezione di se stesso, quando cerca di far condannare Foyle e lei sdegnosamente gli ricorda il ruolo dell'avvocato.
Tutti hanno diritto a una difesa legale: anche i criminali.
E tutto questo si trasforma nel fallimento di Burton , come uomo e come avvocato.
Ma se un'altra serie sarebbe terminata qui, The escape artist invece va oltre.
Dopo aver stimolato a dovere il cervello con dilemmi eticolegali di impossibile risoluzione, vecchi come il diritto, nella terza puntata viene stimolata a dovere anche la pancia.
Più che stimolata direi colpita selvaggiamente. Un po' come essere preso a schiaffi da un badile pesantissimo che ti ridisegna i connotati.
Trasferendo l'azione da Londra alle campagne scozzesi assistiamo a un nuovo incontro tra Foyle e Burton.
E qui mi devo fermare altrimenti spoilero di brutto e non voglio levare il piacere della visione.
Perchè come al solito English do it better, la BBC è una garanzia di qualità che non viene mai meno al suo nome, le sue serie visivamente hanno quella specie di marchio di fabbrica che le rende riconoscibili all'istante e perchè David Tennant è fottutamente bravo a regalare sfumature inaspettate al suo personaggio , un bel personaggio devo dire, assolutamente non ingabbiato in logiche di genere.
The escape artist dà sempre l'impressione di giocare al gatto col topo con lo spettatore , un giochino in cui lo sceneggiatore divertito vuol vedere le reazioni del pubblico, stimolato a dovere nel cervello e nelle viscere.
Fosse solo per questo, sarebbe da vedere all'istante, tre puntate passano in fretta, troppo in fretta.
E non c'è solo questo....
( VOTO : 7,5 / 10 )
giovedì 20 marzo 2014
Las brujas de Zugarramurdi ( 2013 )
Un gruppo di rapinatori che definire raccogliticcio è un complimento, uomini anche diversamente abili travestiti nei modi più disparati ( c'è un Gesù Cristo, uno Spongebob, un Topolino , una Minnie e un soldatino verde) e con l'aggravante di portarsi dietro un bambino, tenta il colpaccio a un ComproOro di una grossa città spagnola. Fanno centro e fortunosamente si portano via un borsone carico di manufatti d'oro. Hanno un ostaggio e prendono prigioniero anche un tassista che con la sua macchina li dovrebbe portare oltre il confine, in Francia.
Dopo un lungo pellegrinare arrivano in un piccolo paese popolato da gente strana, in una specie di osteria piuttosto malmessa.
Si tratta di Zugarramurdi, paesino disperso nei Pirenei dove si riuniscono le streghe. E il bambino che i rapinatori si portano dietro è ottimo per un sabba propiziatorio.
Per il gruppetto la notte sarà un incubo...
Non riesco a capire che cosa abbia fatto di male Alex de la Iglesia ai distributori di cinema nostrani, visto che fanno uscire in sala i suoi lavori a film alterni, se va bene, o con dei ritardi clamorosi ( si vedano i 3 anni di ritardo con cui è uscito, o meglio è stato mandato al massacro , uno dei suoi migliori film , la Ballata dell'odio e dell'amore).
Purtroppo Las brujas de Zugarramurdi è il film destinato a non uscire sui nostri schermi ed è veramente un peccato: scritto dal prode Alex de la Iglesia assieme al fido Jorge Guerricaechevarria, più che un cognome uno scioglilingua, sceneggiatore di alcuni dei suoi film migliori ( La communidad o anche Crimen Perfecto, per non menzionare altri suoi lavori notevolissimi come Cella 211 ) fa trovare lo spettatore in mezzo a un luna park formato di tutte le attrazioni che piacciono tanto al regista.
Stile sbilenco, continuamente in bilico tra horror e commedia rileggendo le dinamiche di genere, squarci di visionarietà opulenta e sfrenata, un'ironia amara e contagiosa che lascia trapelare un antifemminismo militante ma sempre con il sorriso a increspare le labbra, Las brujas de Zugarramurdi è un andirivieni costante sulle montagne russe tipico dello stile registico di de la Iglesia.
L'aria che si respira è la stessa che si respirava in La communidad, con l'aggiunta di generose dosi di zolfo, una discreta dose di effetti speciali e trucchi dall'aria piuttosto rustica ma che non mostrano tutta questa differenza con analoghe megaproduzioni hollywoodiane.
Si ride a denti stretti, strettissimi a vedere questo gruppetto di uomini masticati e risputati dalla vita che sono solo vittime di una intera legione di streghe.
A ben vedere tutti i personaggi femminili del film sono streghe , mentre quelli maschili brillano per inettitudine e se non è una rilettura del femminismo al contrario questa...
Insomma la guerra tra i sessi aggiornata al tempo d'oggi ma ambientata in un paesino per cui il tempo sembra essersi inesorabilmente fermato.
Oltre a quella tra i sessi è raccontata anche una guerra tra poveri e la rapina iniziale al ComproOro ( girata con movimenti di macchina vorticosi, nella miglior tradizione dell'action hollywoodiano), un'attività che è una specie di riaggiornamento del banco dei pegni di una volta, talmente di successo in questi ultimi tempi che è diventata una specie di simbolo della crisi economica dell'Occidente industrializzato, ne è una rappresentazione ironica ma sempre amara.
Andando oltre le ideologie apertamente schierate che fanno da sfondo al film, Las brujas de Zugarramurdi è una corsa a folle velocità che praticamente non conosce soste fino a un prefinale visivamente suggestivo in cui compare addirittura una madre di tutte le streghe, un'orrida creatura di lattice , con delle enormi mammelle pendule, laida e con un tubo digerente a presa diretta che digerisce all'istante i malcapitati che digerisce.
Presentato fuori concorso all'ultima Festival Internazionale del cinema di Roma , ha fatto incetta di premi tecnici ai recenti Goya spagnoli ( ben 8 con in più il premio come miglior attrice non protagonista alla bravissima Terele Pavez).
Vogliamo poi parlare di Carolina Bang, partner di de La Iglesia da un po' di tempo a questa parte, una giovane valchiria bionda di quasi 1 e 80 che recita nella parte della giovane strega innamoratas, strada facendo, di uno dei rapinatori?
Ecco vedere una sua foto e una di Alex de la Iglesia fa sorgere spontanee tante domande...
Per la cronaca Zugarramurdi esiste veramente , è un paesino basco di 233 anime in cui sembra che si sia tenuto una delle più crudeli caccia alle streghe mai conosciute e il sabba è girato nella vera grotta meta turistica conosciuta in mezzo mondo.
E poi già solo il nome...Zugarramurdi suona decisamente bene....
( VOTO : 7 + / 10 )
Dopo un lungo pellegrinare arrivano in un piccolo paese popolato da gente strana, in una specie di osteria piuttosto malmessa.
Si tratta di Zugarramurdi, paesino disperso nei Pirenei dove si riuniscono le streghe. E il bambino che i rapinatori si portano dietro è ottimo per un sabba propiziatorio.
Per il gruppetto la notte sarà un incubo...
Non riesco a capire che cosa abbia fatto di male Alex de la Iglesia ai distributori di cinema nostrani, visto che fanno uscire in sala i suoi lavori a film alterni, se va bene, o con dei ritardi clamorosi ( si vedano i 3 anni di ritardo con cui è uscito, o meglio è stato mandato al massacro , uno dei suoi migliori film , la Ballata dell'odio e dell'amore).
Purtroppo Las brujas de Zugarramurdi è il film destinato a non uscire sui nostri schermi ed è veramente un peccato: scritto dal prode Alex de la Iglesia assieme al fido Jorge Guerricaechevarria, più che un cognome uno scioglilingua, sceneggiatore di alcuni dei suoi film migliori ( La communidad o anche Crimen Perfecto, per non menzionare altri suoi lavori notevolissimi come Cella 211 ) fa trovare lo spettatore in mezzo a un luna park formato di tutte le attrazioni che piacciono tanto al regista.
Stile sbilenco, continuamente in bilico tra horror e commedia rileggendo le dinamiche di genere, squarci di visionarietà opulenta e sfrenata, un'ironia amara e contagiosa che lascia trapelare un antifemminismo militante ma sempre con il sorriso a increspare le labbra, Las brujas de Zugarramurdi è un andirivieni costante sulle montagne russe tipico dello stile registico di de la Iglesia.
L'aria che si respira è la stessa che si respirava in La communidad, con l'aggiunta di generose dosi di zolfo, una discreta dose di effetti speciali e trucchi dall'aria piuttosto rustica ma che non mostrano tutta questa differenza con analoghe megaproduzioni hollywoodiane.
Si ride a denti stretti, strettissimi a vedere questo gruppetto di uomini masticati e risputati dalla vita che sono solo vittime di una intera legione di streghe.
A ben vedere tutti i personaggi femminili del film sono streghe , mentre quelli maschili brillano per inettitudine e se non è una rilettura del femminismo al contrario questa...
Insomma la guerra tra i sessi aggiornata al tempo d'oggi ma ambientata in un paesino per cui il tempo sembra essersi inesorabilmente fermato.
Oltre a quella tra i sessi è raccontata anche una guerra tra poveri e la rapina iniziale al ComproOro ( girata con movimenti di macchina vorticosi, nella miglior tradizione dell'action hollywoodiano), un'attività che è una specie di riaggiornamento del banco dei pegni di una volta, talmente di successo in questi ultimi tempi che è diventata una specie di simbolo della crisi economica dell'Occidente industrializzato, ne è una rappresentazione ironica ma sempre amara.
Andando oltre le ideologie apertamente schierate che fanno da sfondo al film, Las brujas de Zugarramurdi è una corsa a folle velocità che praticamente non conosce soste fino a un prefinale visivamente suggestivo in cui compare addirittura una madre di tutte le streghe, un'orrida creatura di lattice , con delle enormi mammelle pendule, laida e con un tubo digerente a presa diretta che digerisce all'istante i malcapitati che digerisce.
Presentato fuori concorso all'ultima Festival Internazionale del cinema di Roma , ha fatto incetta di premi tecnici ai recenti Goya spagnoli ( ben 8 con in più il premio come miglior attrice non protagonista alla bravissima Terele Pavez).
Vogliamo poi parlare di Carolina Bang, partner di de La Iglesia da un po' di tempo a questa parte, una giovane valchiria bionda di quasi 1 e 80 che recita nella parte della giovane strega innamoratas, strada facendo, di uno dei rapinatori?
Ecco vedere una sua foto e una di Alex de la Iglesia fa sorgere spontanee tante domande...
Per la cronaca Zugarramurdi esiste veramente , è un paesino basco di 233 anime in cui sembra che si sia tenuto una delle più crudeli caccia alle streghe mai conosciute e il sabba è girato nella vera grotta meta turistica conosciuta in mezzo mondo.
E poi già solo il nome...Zugarramurdi suona decisamente bene....
( VOTO : 7 + / 10 )
Etichette:
Cinema francese,
Cinema spagnolo,
commedia,
horror
mercoledì 19 marzo 2014
Aria di novità per il blog...
Avevo in programma di parlarvi di un film come faccio solitamente ( e il film era una succosissima anteprima , il nuovo film di Alex de la Iglesia, Las brujas de Zugarramurdi, anzi già che ci siamo spiegatemi una cosa, ma perchè in Italia il lavoro del buon Alex viene fatto conoscere a film alterni? eppure questa sua ultima pellicola è targata Universal, se non erro) ma poi ieri sera girellando per Facebook mi è venuta un'idea per arricchire il blog , cosa che credo che sia vitale , e per esplorare ancor di più quel lato animaletti che è enunciato nella home page , proprio sotto il nome del blog.
L'ispirazione mi è venuta guardando i profili di diverse persone che conosco iscritte a Facebook e anche quelli di colleghi o semplici incontri occasionali presso post di amici o di amici degli amici.
Ho notato che per molte foto del profilo il protagonista assoluto è un quattrozampe.
Questo non mi stupisce quando accedo ai profili di colleghi incontrati sui vari forum a cui sono iscritto: sapete, noi veterinari quando ci incontriamo abbiamo il brutto vizio di parlare sempre di lavoro e la cosa alla lunga può venire a noia. Forse è questa la ragione per cui non ho mai avuto relazioni sentimentali con studentesse di veterinaria e/o colleghe. Essere immersi nel lavoro 24 ore al giorno sarebbe diventato troppo stressante.E' vero che mi ritengo una persona troppo fortunata perchè faccio un lavoro che mi piace moltissimo, l'amore per gli animali ce l'ho fin da quando ero proprio piccolino e ho avuto la possibilità di intraprendere studi che mi hanno permesso di coltivare questa mia grandissima passione.
Però ogni tanto bisogna pur staccare, parlare d'altro e quando ci si incontra tra veterinari questo altro fa fatica a uscire fuori.
Vado Off Topic ma già che ci sono vi segnalo anche un programma televisivo che proprio ieri sera è cominciato su SKY Uno: si chiama Emergenza Veterinaria , va in onda in striscia preserale dal lunedì al venerdì e si occupa del lavoro che viene effettuato nella clinica di Roma Sud, una struttura mastodontica dove lavorano molti veterinari.
Una bellissima struttura , con macchinari all'avanguardia, con competenze specialistiche che la rendono unica.
A vedere il programma mi sembra quasi che facciamo due lavori diversi perchè c'è una cosa che nello show televisivo non viene mai affrontata: parliamo di lato economico, di volgare denaro.
Portare il proprio animale alla clinica di Roma Sud , vuol dire spendere moltissimi soldi, a ragione perchè l'animale si trova veramente nel posto giusto , l'eccellenza tra la strutture veterinarie, ma essendo un'attività imprenditoriale privata , ci sono delle spese da coprire.
Questo lato, che nella vita del veterinario di tutti i giorni è assolutamente primario, nel programma viene bypassato. Noi spesso siamo trattati alla stregua degli sciamani e dobbiamo fare diagnosi con pochissimi elementi proprio perchè dobbiamo tenere conto delle esigenze economiche del proprietario.
Però vi consiglio di vederlo: non è la solita produzione televisiva strappalacrime ma qualcosa di molto americano, confezionato bene e che sposa ottimamente le esigenze spettacolari con quelle più squisitamente tecniche.
Insomma lo può vedere sia il veterinario che il profano.
Ma ho deviato clamorosamente da quello di cui volevo parlare nel post di oggi: dicevamo rubrica nuova, profili di Facebook in cui più che il proprietario viene immortalato fotograficamente il suo quattrozampe, addirittura profili intestati direttamente ad animali.
Allora l'idea è questa: vorrei introdurre nel blog una rubrichetta, la cui cadenza sarà stabilita dal numero di richieste arrivate, in cui voi parlaste del vostro quattrozampe e del rapporto che avete con lui, di vostri animali che avete avuto nel passato e a cui siete stati molto legati, magari rispondendo a qualche mia domanda e soprattutto inondando la mia mail di fotografie del vostro animale che io metterò nel post in cui parleremo di lui.
Che ne dite? vi piace l'idea?
E visto che siamo in tema : mi date anche l'ispirazione per il nome di questa nuova rubrica?
L'invito è naturalmente rivolto a tutti, blogger e non: anzi se volete, previa citazione del sottoscritto e del mio modestissimo blog, potrete anche riprodurre sul vostro blog o sul vostro profilo facebook il post/intervista di cui sarete protagonisti .
E' sempre in ballo l'opzione della rubrica Il bradipo risponde a dubbi di natura veterinaria: ho ricevuto qualche mail in proposito ma ancora poco per farne una rubrica.
E non ho dimenticato lo Stupidario Veterinario.
Qualche giorno fa ho visitato il gattino di una signora che mi ha raccontato per filo e per segno la sua esperienza televisiva a Uomini e donne. E io me la sono persa.
Ma questa è un'altra storia.
Per iscriversi all'iniziativa ( sempre se avrà un seguito, dipende dalle vostre richieste) basta lasciare un commento qui oppure contattarmi alla mia mail : landru @ live.it
Vi attendo in massa!!!!!
L'ispirazione mi è venuta guardando i profili di diverse persone che conosco iscritte a Facebook e anche quelli di colleghi o semplici incontri occasionali presso post di amici o di amici degli amici.
Ho notato che per molte foto del profilo il protagonista assoluto è un quattrozampe.
Questo non mi stupisce quando accedo ai profili di colleghi incontrati sui vari forum a cui sono iscritto: sapete, noi veterinari quando ci incontriamo abbiamo il brutto vizio di parlare sempre di lavoro e la cosa alla lunga può venire a noia. Forse è questa la ragione per cui non ho mai avuto relazioni sentimentali con studentesse di veterinaria e/o colleghe. Essere immersi nel lavoro 24 ore al giorno sarebbe diventato troppo stressante.E' vero che mi ritengo una persona troppo fortunata perchè faccio un lavoro che mi piace moltissimo, l'amore per gli animali ce l'ho fin da quando ero proprio piccolino e ho avuto la possibilità di intraprendere studi che mi hanno permesso di coltivare questa mia grandissima passione.
Però ogni tanto bisogna pur staccare, parlare d'altro e quando ci si incontra tra veterinari questo altro fa fatica a uscire fuori.
Vado Off Topic ma già che ci sono vi segnalo anche un programma televisivo che proprio ieri sera è cominciato su SKY Uno: si chiama Emergenza Veterinaria , va in onda in striscia preserale dal lunedì al venerdì e si occupa del lavoro che viene effettuato nella clinica di Roma Sud, una struttura mastodontica dove lavorano molti veterinari.
Una bellissima struttura , con macchinari all'avanguardia, con competenze specialistiche che la rendono unica.
A vedere il programma mi sembra quasi che facciamo due lavori diversi perchè c'è una cosa che nello show televisivo non viene mai affrontata: parliamo di lato economico, di volgare denaro.
Portare il proprio animale alla clinica di Roma Sud , vuol dire spendere moltissimi soldi, a ragione perchè l'animale si trova veramente nel posto giusto , l'eccellenza tra la strutture veterinarie, ma essendo un'attività imprenditoriale privata , ci sono delle spese da coprire.
Questo lato, che nella vita del veterinario di tutti i giorni è assolutamente primario, nel programma viene bypassato. Noi spesso siamo trattati alla stregua degli sciamani e dobbiamo fare diagnosi con pochissimi elementi proprio perchè dobbiamo tenere conto delle esigenze economiche del proprietario.
Però vi consiglio di vederlo: non è la solita produzione televisiva strappalacrime ma qualcosa di molto americano, confezionato bene e che sposa ottimamente le esigenze spettacolari con quelle più squisitamente tecniche.
Insomma lo può vedere sia il veterinario che il profano.
Ma ho deviato clamorosamente da quello di cui volevo parlare nel post di oggi: dicevamo rubrica nuova, profili di Facebook in cui più che il proprietario viene immortalato fotograficamente il suo quattrozampe, addirittura profili intestati direttamente ad animali.
Allora l'idea è questa: vorrei introdurre nel blog una rubrichetta, la cui cadenza sarà stabilita dal numero di richieste arrivate, in cui voi parlaste del vostro quattrozampe e del rapporto che avete con lui, di vostri animali che avete avuto nel passato e a cui siete stati molto legati, magari rispondendo a qualche mia domanda e soprattutto inondando la mia mail di fotografie del vostro animale che io metterò nel post in cui parleremo di lui.
Che ne dite? vi piace l'idea?
E visto che siamo in tema : mi date anche l'ispirazione per il nome di questa nuova rubrica?
L'invito è naturalmente rivolto a tutti, blogger e non: anzi se volete, previa citazione del sottoscritto e del mio modestissimo blog, potrete anche riprodurre sul vostro blog o sul vostro profilo facebook il post/intervista di cui sarete protagonisti .
E' sempre in ballo l'opzione della rubrica Il bradipo risponde a dubbi di natura veterinaria: ho ricevuto qualche mail in proposito ma ancora poco per farne una rubrica.
E non ho dimenticato lo Stupidario Veterinario.
Qualche giorno fa ho visitato il gattino di una signora che mi ha raccontato per filo e per segno la sua esperienza televisiva a Uomini e donne. E io me la sono persa.
Ma questa è un'altra storia.
Per iscriversi all'iniziativa ( sempre se avrà un seguito, dipende dalle vostre richieste) basta lasciare un commento qui oppure contattarmi alla mia mail : landru @ live.it
Vi attendo in massa!!!!!
Iscriviti a:
Post (Atom)