La mattina del 10 maggio del 1996 , due spedizioni turistiche si accingono ad arrivare sulla vetta dell'Everest.Una tempesta di neve li colpisce nella strada per il ritorno e per i due gruppi di scalatori sarà una lotta per la sopravvivenza contro la furia primigenia degli elementi naturali.
Non tutti ce la faranno.
Non ho mai scalato neanche una collinetta ma devo dire che questi film d'avventura girati ad altezze proibitive a prova di vertigini mi hanno sempre attirato, così come i film ambientati in scenari montuosi aspri ed inospitali.
E poi vuoi mettere l'epica della lotta del piccolo uomo contro il gigantismo della furia della natura?
Il raggiungere ed oltrepassare i propri limiti?
L'interesse che scaturisce dall'apprendere che comunque quella che ci apprestiamo a vedere è una storia sostanzialmente vera che , finito il film, andremo a rileggere avidamente su Wikipedia o cose del genere?
Ecco, nelle mie aspettative, alte devo ammettere, Everest doveva contenere tutto questo e anche di più.
E invece , come mi succede di sovente negli ultimi tempi, tutte queste aspettative vanno in gran parte deluse.
Intendiamoci Everest è il perfetto blockbuster hollywoodiano fabbricato in serie , confezionato con grande professionalità e con una storia " giusta" per un'audience in vena di emozioni forti.
Oddio, blockbuster perfetto forse no visto che non ha incassato moltissimo e quindi evidentemente c'era qualcosa nel film che non gli ha permesso di sfondare come avrebbe dovuto.
Il mio modesto parere è che al film manca proprio l'ingrediente principale; l'epica del racconto, gli manca quella grinta che gli avrebbe permesso di essere molto più intenso e vibrante, difetta di personalità risultando piatto nella descrizione dei protagonisti e nel procedere di un racconto che avrebbe dovuto suscitare veri e propri fiotti di emozioni.
Per dirla in una parola sola, vocabolo che a Napoli conoscono piuttosto bene, gli manca la cazzimma, quello scatto in avanti che gli permetta di primeggiare e non di essere un film tra tanti , come tanti, anzi anche peggio di tanti.
E poi vedere la tanto favoleggiata, mitica cima dell'Everest che si riduce ad essere una specie di pianerottolo con tante belle bandierine, beh, viene smontata in due secondi tutta quella aura tra sogno e mito che la succitata cima si era creata in tanti anni di incontri, non reciproci, sui libri di scuola.
Si arriva anche a sfiorare il paradosso quando in un film come questo si vede poca montagna e troppo impianto strappalacrime ( il professorino che deve piantare la bandierina a tutti i costi per la sua scuola, un paio di mogli lasciate a casa in trepidante attesa, qualche scontro sparso tra maschi alfa ad alta quota che si mettono a fare a cornate come gli stambecchi e fanno a gara a chi ce l'ha più lungo il curriculum di alpinista , o si dovrebbe dire everestista , solo per avere un diritto di precedenza nella scalata).
E se l'emozione non è assicurata dalla scalata ( inquadrata o troppo da vicino o con campi lunghissimi finti come una banconota da tre euro) ma solo dall'interazione e dalle dinamiche di personaggi come minimo stereotipati, beh, allora siamo messi male, malissimo.
Baltasar Kormakur si rivela essere l'ennesimo talento registico europeo cooptato in quel di Hollywood e appiattito in nome del dio dollaro.
Jason Clarke come protagonista non ha statura sufficiente, almeno per quanto mi riguarda.
PERCHE' SI : i 55 milioni di budget si vedono, bene o male.Buon cast di supporto, quel poco di montagna che si vede riempie l'occhio.
PERCHE' NO : blockbuster fabbricato in serie che difetta di personalità, Jason Clarke non ha la statura da protagonista, si vede troppa soap opera e poca montagna.
LA SEQUENZA : l'arrivo della tempesta con brevissimo preavviso.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Mai avere aspettative troppo alte per un blockbuster.
Non mi sarebbe dispiaciuto vedere molta più montagna.
Mi sono appassionato molto più alla storia vera letta su internet che al film.
Jason Clarke non mi dice assolutamente nulla.
(VOTO : 4,5 / 10 )
I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.
domenica 6 dicembre 2015
lunedì 30 novembre 2015
The Visit ( 2015 )
Rebecca, quindicenne, sta girando un documentario inerente la sua famiglia e raccoglie in video le confidenze della madre che proprio prima della sua nascita, , per amore, aveva troncato i rapporti con i suoi genitori e futuri nonni di Rebecca e Tyler, di due anni più piccolo.
Ora i nonni hanno espresso il desiderio di vedere i nipoti, la madre ha bisogno di riposo per concedersi una crociera con il suo nuovo compagno, così Rebecca e Tyler vengono messi su un autobus e vanno a stare qualche giorno da quei nonni che non hanno mai conosciuto.
Rebecca è sempre con la telecamera accesa e si trova a documentare le stranezze di una coppia di anziani appena appena sopra le righe.
E ne succederanno delle brutte...
Oggi avrei dovuto parlarvi di Everest, che c'ho la recensione proprio qui sulla punta della lingua ma ieri morivo dalla voglia di vedere il nuovo di M. Night Shyamalan e così stamattina mi scappa urgentemente di parlarne.
C'è stato un periodo in cui ho nutrito una forte ammirazione per M.Night Shyamalan alla luce dei suoi primi film. Poi qualcosa si è rotto , sarò stato io che ho cambiato gusti o lui che si è semplicemente bevuto il cervello ( e a giudicare da quello che si dice e si pensa in giro, la seconda che ho detto) e il suo nome è diventato garanzia di disastro annunciato.
Almeno fino a questo The Visit, salutato come un graditissimo ritorno alle radici da parte del nostro.
All'horror.
Appunto.
Il secondo indiano più famoso di Hollywood (anni luce dopo Hrundi V. Bakshi di Hollywood Party) si mette nelle mani di Jason Blums, vero guru del cinema a basso costo ed alto incasso in ambito horror e ci consegna un found footage in piena regola , costato cinque milioni di dollari ( il massimo budget che viene concesso da Blums ai film della sua factory ) e che nei soli USA ne ha portati a casa più di 65 rivelandosi un vero affare per i produttori e un'incoraggiante pacca sulle spalle per il regista e sceneggiatore che , diciamola tutta, erano anni che non azzeccava un progetto degno di questo nome.
Ecco, la vox populi ci parla di un grande ritorno alle origini e di un film che ci consegna di nuovo il talento di un regista che si era perso durante gli anni.
Io non faccio parte della vox populi, la mia voce conta meno di zero, ma mi permetto di non essere così soddisfatto di questo suo ritorno al genere natìo.
Come dicevamo prima The Visit è un found footage in piena regola, girato con tutti i crismi del genere, tecnicamente non fastidioso perché , a parte qualche momento piuttosto concitato, evita l'effetto mal di mare con la telecamera sempre ben salda, forse anche troppo .Anzi qualche volta c'è l'impressione che come found footage sia un po' troppo scritto e rifinito per evocare veramente quell'orrore di cui vuole fregiarsi.
E qui mi viene da pensare che M. Night Shyamalan si sia approcciato al genere come un ragioniere, lavorando su pesi e contrappesi, equilibrando il tutto usando una sorta di bilancino di precisione.
Insomma mi gira un found footage come un professorino che debba rimarcare la sua bravura,la sua superiorità e la sua tecnica al cospetto di tanti mestieranti che hanno già detto la loro in questo campo.
Non si sporca il nostro con la logica di genere e perde nettamente il confronto ad esempio con un Barry Levinson che , con il vibrante The Bay, un paio di anni fa si era messo ventre a terra sbucciandosi gomiti e ginocchia per dire la sua nello stesso genere in cui ora si è cimentato il regista di origine indiana.
E parliamo di un settantenne che in bacheca ha anche un Oscar vinto, mica pizza e fichi.
Per essere un found footage la recitazione è di buon livello ma si ha l'impressione che il meccanismo orrorifico non sia oliato a sufficienza, scricchioli vistosamente facendo arrivare il colpo di scena un pochino troppo presto nell'economia del racconto ( siamo lontani dai finali shyamalaneschi in cui la rivelazione nell'ultimo minuto di film ribaltava tutto) e non riuscendo a evocare tutta quella paura e quell'inquietudine che per esempio riusciva a garantire un piccolo cult come The taking of Deborah Logan ( sottogenere vecchia che sbrocca durante la notte).
E poi non riesco a passare sopra un'incongruenza narrativa che a me sembra gigantesca: ma chi metterebbe su un autobus i propri figli per mandarli da nonni con cui non ci si parla da quindici anni senza neanche contattarli?
Altra cosa che mi ha lasciato piuttosto perplesso è la ricerca continua, direi al limite dell'ossessione del bilanciamento tra orrore primigenio, dramma familiare, romanzo di formazione, commedia e fiaba ( la nonna che vuol mettere nel forno la nipote) a cui assistiamo durante tutto il film.
Vogliamo poi parlare di quel ridicolo rap finale, quasi a voler fare i simpatici a tutti i costi?
Sicuramente meglio rispetto alle sue ultime uscite, The Visit spero che rappresenti un nuovo punto di partenza per un regista che prometteva molto e che per ora non ha mantenuto.
Per quanto mi riguarda è cinema ombelicale, M.Night Shyamalan riguarda se stesso e cerca di rimettersi in gioco, ma non voglio essere scettico per partito preso.
Lo aspetto fiducioso alle prossime prove.
PERCHE' SI : buon livello degli attori, la telecamera non balla più di tnato, la cosa migliore di M.Night Shyamalan degli ultimi anni.
PERCHE' NO : confezione troppo luccicante e inadatta al genere, meccanismo orrorifico non oliato a sufficienza, il colpo di scena arriva un po' troppo presto.
LA SEQUENZA: il momento in cui i ragazzi vengono a conoscenza della verità...
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Ennesimo found footage che presta il fianco a numerose critiche.
Eppure ha avuto rimarchevole successo.
M.Night Shyamalan si doveva mettere nelle mani di Jason Blums per tornare al successo.
Ora lo aspetto fiducioso.
( VOTO : 5,5 / 10 )
Ora i nonni hanno espresso il desiderio di vedere i nipoti, la madre ha bisogno di riposo per concedersi una crociera con il suo nuovo compagno, così Rebecca e Tyler vengono messi su un autobus e vanno a stare qualche giorno da quei nonni che non hanno mai conosciuto.
Rebecca è sempre con la telecamera accesa e si trova a documentare le stranezze di una coppia di anziani appena appena sopra le righe.
E ne succederanno delle brutte...
Oggi avrei dovuto parlarvi di Everest, che c'ho la recensione proprio qui sulla punta della lingua ma ieri morivo dalla voglia di vedere il nuovo di M. Night Shyamalan e così stamattina mi scappa urgentemente di parlarne.
C'è stato un periodo in cui ho nutrito una forte ammirazione per M.Night Shyamalan alla luce dei suoi primi film. Poi qualcosa si è rotto , sarò stato io che ho cambiato gusti o lui che si è semplicemente bevuto il cervello ( e a giudicare da quello che si dice e si pensa in giro, la seconda che ho detto) e il suo nome è diventato garanzia di disastro annunciato.
Almeno fino a questo The Visit, salutato come un graditissimo ritorno alle radici da parte del nostro.
All'horror.
Appunto.
Il secondo indiano più famoso di Hollywood (anni luce dopo Hrundi V. Bakshi di Hollywood Party) si mette nelle mani di Jason Blums, vero guru del cinema a basso costo ed alto incasso in ambito horror e ci consegna un found footage in piena regola , costato cinque milioni di dollari ( il massimo budget che viene concesso da Blums ai film della sua factory ) e che nei soli USA ne ha portati a casa più di 65 rivelandosi un vero affare per i produttori e un'incoraggiante pacca sulle spalle per il regista e sceneggiatore che , diciamola tutta, erano anni che non azzeccava un progetto degno di questo nome.
Ecco, la vox populi ci parla di un grande ritorno alle origini e di un film che ci consegna di nuovo il talento di un regista che si era perso durante gli anni.
Io non faccio parte della vox populi, la mia voce conta meno di zero, ma mi permetto di non essere così soddisfatto di questo suo ritorno al genere natìo.
Come dicevamo prima The Visit è un found footage in piena regola, girato con tutti i crismi del genere, tecnicamente non fastidioso perché , a parte qualche momento piuttosto concitato, evita l'effetto mal di mare con la telecamera sempre ben salda, forse anche troppo .Anzi qualche volta c'è l'impressione che come found footage sia un po' troppo scritto e rifinito per evocare veramente quell'orrore di cui vuole fregiarsi.
E qui mi viene da pensare che M. Night Shyamalan si sia approcciato al genere come un ragioniere, lavorando su pesi e contrappesi, equilibrando il tutto usando una sorta di bilancino di precisione.
Insomma mi gira un found footage come un professorino che debba rimarcare la sua bravura,la sua superiorità e la sua tecnica al cospetto di tanti mestieranti che hanno già detto la loro in questo campo.
Non si sporca il nostro con la logica di genere e perde nettamente il confronto ad esempio con un Barry Levinson che , con il vibrante The Bay, un paio di anni fa si era messo ventre a terra sbucciandosi gomiti e ginocchia per dire la sua nello stesso genere in cui ora si è cimentato il regista di origine indiana.
E parliamo di un settantenne che in bacheca ha anche un Oscar vinto, mica pizza e fichi.
Per essere un found footage la recitazione è di buon livello ma si ha l'impressione che il meccanismo orrorifico non sia oliato a sufficienza, scricchioli vistosamente facendo arrivare il colpo di scena un pochino troppo presto nell'economia del racconto ( siamo lontani dai finali shyamalaneschi in cui la rivelazione nell'ultimo minuto di film ribaltava tutto) e non riuscendo a evocare tutta quella paura e quell'inquietudine che per esempio riusciva a garantire un piccolo cult come The taking of Deborah Logan ( sottogenere vecchia che sbrocca durante la notte).
E poi non riesco a passare sopra un'incongruenza narrativa che a me sembra gigantesca: ma chi metterebbe su un autobus i propri figli per mandarli da nonni con cui non ci si parla da quindici anni senza neanche contattarli?
Altra cosa che mi ha lasciato piuttosto perplesso è la ricerca continua, direi al limite dell'ossessione del bilanciamento tra orrore primigenio, dramma familiare, romanzo di formazione, commedia e fiaba ( la nonna che vuol mettere nel forno la nipote) a cui assistiamo durante tutto il film.
Vogliamo poi parlare di quel ridicolo rap finale, quasi a voler fare i simpatici a tutti i costi?
Sicuramente meglio rispetto alle sue ultime uscite, The Visit spero che rappresenti un nuovo punto di partenza per un regista che prometteva molto e che per ora non ha mantenuto.
Per quanto mi riguarda è cinema ombelicale, M.Night Shyamalan riguarda se stesso e cerca di rimettersi in gioco, ma non voglio essere scettico per partito preso.
Lo aspetto fiducioso alle prossime prove.
PERCHE' SI : buon livello degli attori, la telecamera non balla più di tnato, la cosa migliore di M.Night Shyamalan degli ultimi anni.
PERCHE' NO : confezione troppo luccicante e inadatta al genere, meccanismo orrorifico non oliato a sufficienza, il colpo di scena arriva un po' troppo presto.
LA SEQUENZA: il momento in cui i ragazzi vengono a conoscenza della verità...
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Ennesimo found footage che presta il fianco a numerose critiche.
Eppure ha avuto rimarchevole successo.
M.Night Shyamalan si doveva mettere nelle mani di Jason Blums per tornare al successo.
Ora lo aspetto fiducioso.
( VOTO : 5,5 / 10 )
mercoledì 25 novembre 2015
Possession ( 1981 )
Marc è un uomo d'affari nella Berlino della guerra fredda che vive assieme alla moglie Anna e al figlioletto di cinque anni in una città poco meno che spettrale e spaventosamente vuota.
Scopre che Anna lo tradisce con l'astruso Heinrich, dedito all'uso di droghe pesanti e le mette un investigatore alle calcagna per scoprire la verità.
Che è molto più spaventosa di quello che immagina. Anna in realtà si accoppia con un mostro viscido e tentacolare.
Marc esce fuori di senno.
Perché parlare di Possession ora a circa 35 anni dalla sua uscita?
Non lo so, forse puro masochismo ma più probabilmente è stata la possibilità di vedere finalmente una versione non brutalmente amputata dalla censura e dalla produzione ( perché tagliare circa 40 minuti su poco di 120 non è un rifinire il film ma significa solo amputarlo brutalmente impedendone di fatto la comprensione anche a uno spettatore smaliziato) di una pellicola che fa parte del gruppo elitario delle pellicole maledette.
Molti , anzi quasi tutti, hanno parlato di Possession e quindi queste mie parole sono discretamente pleonastiche ed è per questo che stavolta , come non mai, tutto quello che vedete scritto, proviene dalla pancia e non dalla testa.
Non avrebbe senso aggiungere la mia voce di approvazione a tante ben più autorevoli della mia, diciamo che stavolta sarò soggettivo al massimo, parlerò di che cosa rappresenta questo film per me.
Una cosa è certa : Possession è il classico film di cui molti hanno parlato ma quasi nessuno ha visto , una produzione di un cineasta che ha un'idea di cinema molto , molto personale che qui raggiunge forse l'apice della sua arte.
La prima volta lo vidi una trentina d'anni fa : molti di voi che leggete probabilmente non erano nati o ancora non erano nell'età della ragione, io e tutti i miei brufoli eravamo innamorati letteralmente di Isabelle Adjani, una donna che all'epoca trovavo perfetta, con uno sguardo che aveva il potere di passarmi da parte a parte.
Eppure io sono sempre stato per il modello nordico, a me hanno fatto sempre impazzire valchirie con i capelli del color del grano, di altezza fuori dal comune, occhi chiari e caviglie sottilissime.
La Adjani era ben lontana da questa mia immagine della perfezione fatta donna, uno stereotipo creato da un adolescente che si faceva tanti film in testa.
Era uno scricciolo.
Eppure all'epoca smuoveva i miei ormoni come poche altre.
E qui nella versione maestrina con quegli occhi verdissimi creati da lenti a contatto ad hoc , occhi in cui sarei annegato molto volentieri, è stata un'icona erotica che mi ha accompagnato per tanto tempo.
Oggi l'effetto è sicuramente minore, i miei ormoni sono invecchiati con me, ma è sempre un bellissimo vedere.
Possession da molti viene messo nel calderone horror in modo piuttosto superficiale ma non è un horror alla stessa maniera in cui non lo era Repulsion di Polanski, non lo è Shining e allo stesso identico modo in cui Ultimo tango a Parigi non è un film dove si tromba selvaggiamente e basta.
Forse è un accostamente adito il mio , ma per me il film di Kubrick, quello di Bertolucci e quello di Zukavski sono molto vicini. Anzi mi viene da accostarne un altro: L'ultima donna di Ferreri che forse è il più vicino per come racconta da dentro la crisi che attraversa una coppia apparentemente perfetta in un'ambientazione parigina talmente rarefatta da essere irreale.
Perché in fondo Possession è una storia d'amore con un percorso travagliato e complesso allo stesso modo di Shining , di Ultimo tango a Parigi e L'ultima donna.
Un uomo, una donna e poco altro.
Qui a fare da cornice è una Berlino spettrale, immediatamente riconoscibile ma squadrata e impersonale, inquadrata dalla parte sbagliata del muro, una città vuota che sembra quasi estratta da uno scenario post apocalittico.
Possession è un film che deve essere assaporato lentamente e voluttuosamente, non ci si deve affannare a trovare un perché a tutto quello che si vede, ci si deve lasciar trasportare in uno dei trip più completi e appaganti della storia del cinema.
Non è semplicemente un film su una donna che si scopa un polpo, come scrisse qualcuno in America, ma del resto a vedere la versione amputata brutalmente di cui dicevamo sopra, si capiva quello e poco altro, ma è uno sguardo nel nero dell'abisso che da parte sua guarda dentro chi riesce a entrare in connessione col film.
Anna partorisce il bene e il male e il male vince sempre .
Isabelle Adjani rende memorabile la sua Anna, si resta ammirati ma anche profondamente scossi a vedere i suoi contorsionismi nella celeberrima scena della metropolitana.
Decisamente una delle più scioccanti che abbia visto al cinema.
E di horror inquietanti è piena la mia videoteca,
PERCHE' SI : fa parte della storia del cinema, Adjani memorabile, regia di incredibile impatto, una Berlino fuori dal tempo.
PERCHE' NO : non un film per tutti...decisamente.
LA SEQUENZA : quella della metropolitana. Sconvolge e inquieta ancora a distanza di tanti anni.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Uno dei miei film dell'adolescenza, forse anche più di Shining.
All'epoca la Adjani smuoveva i miei ormoni come poche altre.
Ancora di incredibile impatto la sequenza della metropolitana.
Film come questo dovrebbero essere visti e studiati dai fan del nuovo horror...
( VOTO : 10 / 10 )
Scopre che Anna lo tradisce con l'astruso Heinrich, dedito all'uso di droghe pesanti e le mette un investigatore alle calcagna per scoprire la verità.
Che è molto più spaventosa di quello che immagina. Anna in realtà si accoppia con un mostro viscido e tentacolare.
Marc esce fuori di senno.
Perché parlare di Possession ora a circa 35 anni dalla sua uscita?
Non lo so, forse puro masochismo ma più probabilmente è stata la possibilità di vedere finalmente una versione non brutalmente amputata dalla censura e dalla produzione ( perché tagliare circa 40 minuti su poco di 120 non è un rifinire il film ma significa solo amputarlo brutalmente impedendone di fatto la comprensione anche a uno spettatore smaliziato) di una pellicola che fa parte del gruppo elitario delle pellicole maledette.
Molti , anzi quasi tutti, hanno parlato di Possession e quindi queste mie parole sono discretamente pleonastiche ed è per questo che stavolta , come non mai, tutto quello che vedete scritto, proviene dalla pancia e non dalla testa.
Non avrebbe senso aggiungere la mia voce di approvazione a tante ben più autorevoli della mia, diciamo che stavolta sarò soggettivo al massimo, parlerò di che cosa rappresenta questo film per me.
Una cosa è certa : Possession è il classico film di cui molti hanno parlato ma quasi nessuno ha visto , una produzione di un cineasta che ha un'idea di cinema molto , molto personale che qui raggiunge forse l'apice della sua arte.
La prima volta lo vidi una trentina d'anni fa : molti di voi che leggete probabilmente non erano nati o ancora non erano nell'età della ragione, io e tutti i miei brufoli eravamo innamorati letteralmente di Isabelle Adjani, una donna che all'epoca trovavo perfetta, con uno sguardo che aveva il potere di passarmi da parte a parte.
Eppure io sono sempre stato per il modello nordico, a me hanno fatto sempre impazzire valchirie con i capelli del color del grano, di altezza fuori dal comune, occhi chiari e caviglie sottilissime.
La Adjani era ben lontana da questa mia immagine della perfezione fatta donna, uno stereotipo creato da un adolescente che si faceva tanti film in testa.
Era uno scricciolo.
Eppure all'epoca smuoveva i miei ormoni come poche altre.
E qui nella versione maestrina con quegli occhi verdissimi creati da lenti a contatto ad hoc , occhi in cui sarei annegato molto volentieri, è stata un'icona erotica che mi ha accompagnato per tanto tempo.
Oggi l'effetto è sicuramente minore, i miei ormoni sono invecchiati con me, ma è sempre un bellissimo vedere.
Possession da molti viene messo nel calderone horror in modo piuttosto superficiale ma non è un horror alla stessa maniera in cui non lo era Repulsion di Polanski, non lo è Shining e allo stesso identico modo in cui Ultimo tango a Parigi non è un film dove si tromba selvaggiamente e basta.
Forse è un accostamente adito il mio , ma per me il film di Kubrick, quello di Bertolucci e quello di Zukavski sono molto vicini. Anzi mi viene da accostarne un altro: L'ultima donna di Ferreri che forse è il più vicino per come racconta da dentro la crisi che attraversa una coppia apparentemente perfetta in un'ambientazione parigina talmente rarefatta da essere irreale.
Perché in fondo Possession è una storia d'amore con un percorso travagliato e complesso allo stesso modo di Shining , di Ultimo tango a Parigi e L'ultima donna.
Un uomo, una donna e poco altro.
Qui a fare da cornice è una Berlino spettrale, immediatamente riconoscibile ma squadrata e impersonale, inquadrata dalla parte sbagliata del muro, una città vuota che sembra quasi estratta da uno scenario post apocalittico.
Possession è un film che deve essere assaporato lentamente e voluttuosamente, non ci si deve affannare a trovare un perché a tutto quello che si vede, ci si deve lasciar trasportare in uno dei trip più completi e appaganti della storia del cinema.
Non è semplicemente un film su una donna che si scopa un polpo, come scrisse qualcuno in America, ma del resto a vedere la versione amputata brutalmente di cui dicevamo sopra, si capiva quello e poco altro, ma è uno sguardo nel nero dell'abisso che da parte sua guarda dentro chi riesce a entrare in connessione col film.
Anna partorisce il bene e il male e il male vince sempre .
Isabelle Adjani rende memorabile la sua Anna, si resta ammirati ma anche profondamente scossi a vedere i suoi contorsionismi nella celeberrima scena della metropolitana.
Decisamente una delle più scioccanti che abbia visto al cinema.
E di horror inquietanti è piena la mia videoteca,
PERCHE' SI : fa parte della storia del cinema, Adjani memorabile, regia di incredibile impatto, una Berlino fuori dal tempo.
PERCHE' NO : non un film per tutti...decisamente.
LA SEQUENZA : quella della metropolitana. Sconvolge e inquieta ancora a distanza di tanti anni.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Uno dei miei film dell'adolescenza, forse anche più di Shining.
All'epoca la Adjani smuoveva i miei ormoni come poche altre.
Ancora di incredibile impatto la sequenza della metropolitana.
Film come questo dovrebbero essere visti e studiati dai fan del nuovo horror...
( VOTO : 10 / 10 )
mercoledì 18 novembre 2015
Cooties ( 2014 )
Clint è uno scrittore che sta lavorando al suo primo romanzo horror e per sbarcare il lunario accetta una supplenza nella scuola da lui frequentata da bambino. Ma proprio durante il suo primo giorno di lavoro un misterioso virus attacca i bambini trasformandoli in un'orda di zombie antropofagi .
Clint e un gruppo di insegnanti della scuola saranno costretti a lottare per le proprie vite mentre il contagio si diffonde sempre di più.
Elijah Wood da quando ha fatto i soldi, ma quelli veri , con Peter Jackson e tutte le menate della compagnia dell'anello, ha gettato la maschera e si è rivelato per quello che è veramente : un fan dell'horror che si butta in progetti piccoli ma sfiziosi , li produce spesso in prima persona, presta il suo volto e la sua notorietà al progetto recitandoci con grande abnegazione e , giudicando dall'esterno, credo anche che si diverta un mondo.
E' il caso di Cooties , piccolo horror indipendente, presentato al Sundance del 2014, che si rivela essere un autentico gioiellino di ironia e cattiveria mascherata dallo sberleffo sistematico che si applica al concetto di politically correct.
Si parla di bambini trasfomati in zombie, di insegnanti che nella loro vita sono probabilmente più zombie di loro e soprattutto non si lesina in quello che al cinema si vede non troppo spesso: la violenza sui minori.
Certo qui sono piccoli zombie affamati di carne e cervelli umani, morsicano più di un branco di rottweiler affamati, ma direi che c'è una certa , come dire, qual goduria nel mostrare violenze assortite su quelle belle testoline bionde e more che hanno giusto quello sguardo un po' vuoto e quel rivolo di sangue fresco che gli scende dal lato della bocca.
Cooties cita sapientemente tanto cinema del passato, non si può non pensare al cinema d'assedio di Carpenter, non si può negare che tutto sia partito da Romero ma forse ancora da prima da quello straordinario cult firmato da Wolf Rilla che si intitolava Il villaggio dei dannati, la mente inoltre non può evitare di dirigersi verso quel piccolo cult di qualche anno fa che era The Children di Tom Shankland che però sceglieva un tono nel raccontare la vicenda ben più inquietante di quello scelto dagli esordienti Jonathan Millott e Cary Murnion che tuttavia si ritrovano per le mani lo script di Leigh Whannel ( Saw ed Insidious tanto per citare un paio di saghe) e Ian Brennan ( creatore di Glee e della recentissima serie Scream Queens).
Dicevamo quindi che ci troviamo di fronte a un film fieramente citazionista ma tutto è frullato ad alta velocità e con cospicue dosi di ironia che lo immettono di diritto nel calderone delle horror comedies.
Però qui di cattiveria ce n'è a vagonate oltre a battute degne del Saturday Night Live ( vedi quella in cui Elijah Wood si becca l'appellativo di hobbit).
Oltre a farsi forte di un comparto tecnico all'altezza con effetti speciali che si dimostrano rustici ma efficaci dando al film quell'aspetto vintage che lo rende ancora più simpatico ai miei occhi, oltre all'ironia cui avevamo accennato in precedenza, la carta vincente di Cooties è rappresentata da una manica di personaggi talmente fuori le righe ( e anche oltre ) che raramente si trova in una produzione "seria".
Cooties , comunque , nonostante le apparenze e la ricerca della leggerezza è una produzione seria, anzi serissima.
Ma fottutamente divertente.
E Padron Frodo ci sguazza allegramente.
Ammirazione per lui e per la sua volontà di lavorare in progetti piccoli che gli piacciono piuttosto che cercare i dollaroni fruscianti nel blockbuster di turno.
PERCHE' SI : ironia a vagonate, Wood si presta allegramente, aria vintage che lo rende anche più simpatico, fiero citazionismo.
PERCHE' NO : qualche battuta a vuoto nella seconda parte, finale un po' frettoloso e troppo aperto a un possibile seguito.
LA SEQUENZA : i piccoli zombie furoreggiano e il prof di ginnastica continua a tirare a canestro ( non prendendoci mai) senza che si accorga di nulla, Prima del fugone.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Grande rispetto e ammirazione per Elijah Wood e le sue scelte professionali.
Di film come questo ne vorrei uno al giorno.
Rainn Wilson è debordante.
Spero che ne facciano un sequel, che sia a questo livello però....
( VOTO : 7+ / 10 )
Clint e un gruppo di insegnanti della scuola saranno costretti a lottare per le proprie vite mentre il contagio si diffonde sempre di più.
Elijah Wood da quando ha fatto i soldi, ma quelli veri , con Peter Jackson e tutte le menate della compagnia dell'anello, ha gettato la maschera e si è rivelato per quello che è veramente : un fan dell'horror che si butta in progetti piccoli ma sfiziosi , li produce spesso in prima persona, presta il suo volto e la sua notorietà al progetto recitandoci con grande abnegazione e , giudicando dall'esterno, credo anche che si diverta un mondo.
E' il caso di Cooties , piccolo horror indipendente, presentato al Sundance del 2014, che si rivela essere un autentico gioiellino di ironia e cattiveria mascherata dallo sberleffo sistematico che si applica al concetto di politically correct.
Si parla di bambini trasfomati in zombie, di insegnanti che nella loro vita sono probabilmente più zombie di loro e soprattutto non si lesina in quello che al cinema si vede non troppo spesso: la violenza sui minori.
Certo qui sono piccoli zombie affamati di carne e cervelli umani, morsicano più di un branco di rottweiler affamati, ma direi che c'è una certa , come dire, qual goduria nel mostrare violenze assortite su quelle belle testoline bionde e more che hanno giusto quello sguardo un po' vuoto e quel rivolo di sangue fresco che gli scende dal lato della bocca.
Cooties cita sapientemente tanto cinema del passato, non si può non pensare al cinema d'assedio di Carpenter, non si può negare che tutto sia partito da Romero ma forse ancora da prima da quello straordinario cult firmato da Wolf Rilla che si intitolava Il villaggio dei dannati, la mente inoltre non può evitare di dirigersi verso quel piccolo cult di qualche anno fa che era The Children di Tom Shankland che però sceglieva un tono nel raccontare la vicenda ben più inquietante di quello scelto dagli esordienti Jonathan Millott e Cary Murnion che tuttavia si ritrovano per le mani lo script di Leigh Whannel ( Saw ed Insidious tanto per citare un paio di saghe) e Ian Brennan ( creatore di Glee e della recentissima serie Scream Queens).
Dicevamo quindi che ci troviamo di fronte a un film fieramente citazionista ma tutto è frullato ad alta velocità e con cospicue dosi di ironia che lo immettono di diritto nel calderone delle horror comedies.
Però qui di cattiveria ce n'è a vagonate oltre a battute degne del Saturday Night Live ( vedi quella in cui Elijah Wood si becca l'appellativo di hobbit).
Oltre a farsi forte di un comparto tecnico all'altezza con effetti speciali che si dimostrano rustici ma efficaci dando al film quell'aspetto vintage che lo rende ancora più simpatico ai miei occhi, oltre all'ironia cui avevamo accennato in precedenza, la carta vincente di Cooties è rappresentata da una manica di personaggi talmente fuori le righe ( e anche oltre ) che raramente si trova in una produzione "seria".
Cooties , comunque , nonostante le apparenze e la ricerca della leggerezza è una produzione seria, anzi serissima.
Ma fottutamente divertente.
E Padron Frodo ci sguazza allegramente.
Ammirazione per lui e per la sua volontà di lavorare in progetti piccoli che gli piacciono piuttosto che cercare i dollaroni fruscianti nel blockbuster di turno.
PERCHE' SI : ironia a vagonate, Wood si presta allegramente, aria vintage che lo rende anche più simpatico, fiero citazionismo.
PERCHE' NO : qualche battuta a vuoto nella seconda parte, finale un po' frettoloso e troppo aperto a un possibile seguito.
LA SEQUENZA : i piccoli zombie furoreggiano e il prof di ginnastica continua a tirare a canestro ( non prendendoci mai) senza che si accorga di nulla, Prima del fugone.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Grande rispetto e ammirazione per Elijah Wood e le sue scelte professionali.
Di film come questo ne vorrei uno al giorno.
Rainn Wilson è debordante.
Spero che ne facciano un sequel, che sia a questo livello però....
( VOTO : 7+ / 10 )
sabato 14 novembre 2015
Segnalazione di " Real!" a Ghostbusters fan movie
E'
ON LINE IL TRAILER DI “REAL!” IL FAN MOVIE IDEATO DA EDOARDO STOPPACCIARO.
UNA
CAMPAGNA CROWDFUNDING STA SOSTENENDO IL PROGETTO
È on line il trailer di “Real!”, il fan movie sui Ghostbusters
nato da un'idea dell'attore e doppiatore Edoardo Stoppacciaro. I fan
di tutti il mondo potranno vedere il trailer al link https://www.youtube.com/watch?v=kr1GKJWzCIY,
sui canali Real! ed effettuare una donazione sulla piattaforma Kickstarter (https://www.kickstarter.com/projects/1738637525/real-a-fan-movie-of-biblical-proportions).
Una campagna di crowdfunding, infatti, sta sostenendo il progetto.
Il fan movie è ambientato nella Città Eterna
dove tre studenti di fisica si ritrovano inaspettatamente ad avere a che fare
con problemi soprannaturali, quando scoprono che l’unico appartamento che possono
permettersi è infestato da terribili presenze ultraterrene. Riusciranno le
teorie elaborate oltre trent’anni prima
a salvarli dagli indicibili orrori che li attendono?
Edoardo
Stoppacciaro è
protagonista del fan movie insieme a Fabio Cavalieri e Marco Fumarola,
e regista con Cristian Calabretta.
Nel cast del film troviamo anche Alessandro Budroni, Barbara Castracane,
Roberto Draghetti, Gianluca Machelli, Lidia Perrone, Roberto Stocchi, con la
partecipazione straordinaria di alcuni doppiatori dei personaggi
originale della saga. Il progetto, senza scopo di lucro, sarà prodotto da e
per i fan e verrà finanziato mediante la campagna di crowdfunding, che punta
al raggiungimento di 60.000,00 Euro
entro sessanta giorni.
Real!
Da
un'idea di:
Edoardo Stoppacciaro in collaborazione con Galaxian Art Explosion
Cast: Fabio Cavalieri, Edoardo
Stoppacciaro, Marco Fumarola, Alessandro Budroni, Gianluca Machelli, Lidia
Perrone, Barbara Castracane, Roberto Stocchi, Roberto Draghetti.
Con
la partecipazione straordinaria di:
Sergio Di Giulio, Mario Cordova e Cristiana Lionello
Sceneggiatura: Edoardo Stoppacciaro, Valerio
Albasini Di Giorgio e Cristian Calabretta
Regia:
Cristian
Calabretta, Edoardo Stoppacciaro
Aiuto
regia: Valerio Albasini Di Giorgio
Direttore
della fotografia:
Alessandro Mignacca
Fonico
di presa: Matteo
Grassi
Effetti
speciali: JMMate
giovedì 12 novembre 2015
Dove eravamo rimasti ( 2015 )
Ricki è la frontwoman un po' attempata della band Ricki and the Flash che si esibisce sempre nello stesso locale davanti a un piccolo pubblico di appassionati.
Per la carriera musicale ha lasciato la famiglia sotto forma di marito ricchissimo e tre figli sull'altra costa degli Stati Uniti ma quando la figlia va in forte depressione a causa del suo matrimonio sbagliato ( e del conseguente divorzio lampo) , Ricki è costretta quasi suo malgrado a esercitare un ruolo da lei mai ricoperto, quello di madre, andando a stare per qualche tempo nella lussuosa villa dell'ex marito che intanto ha una nuova compagna.
E tornerà ancora per presenziare il matrimonio del figlio ...
Dove eravamo rimasti, già , dove eravamo rimasti.
Per una volta tanto, ma è un caso eccezionale alla stessa stregua dell'imbattersi in un Gronchi rosa, io, che sono per il titolo originale sempre e comunque , quasi preferisco il titolo ideato da quell'ineffabile essere mitologico che è il titolista italiano, capace negli anni di regalarci perle di incredibile bruttezza
Se il titolo originale, Ricki and The Flash sposta l'attenzione sulla band che suona in quel pub polveroso al cospetto del solito gruppetto di mandriani e fancazzisti del sabato sera, il titolo italiano è un qualcosa che si dedica di più al bilancio esistenziale di questa rocker arrivata tardi all'appuntamento con la vita, una Joan Jett fuori tempo massimo ormai sgualcita dagli anni e dalle tante cose successe .
Ma quel Dove eravamo rimasti si rivela un titolo squisitamente polivalente perché questa domanda ce la possiamo porre un po' per tutti i soggetti in campo e non solo per la Ricki del titolo originale.
Con Meryl Streep personalmente mi ero lasciato un po' male da quell' Into The Woods che ho trovato talmente insopportabile da non proseguire la visione dopo la prima mezz'ora.
Grandissima attrice Meryl, in grado di interpretare veramente ogni tipo di personaggio dall'alto di una tecnica straordinaria e per quanto mi riguarda è questo il punto: le sue ultime prove , superapprezzate dai critici di turno e io non sono nessuno per mettere in dubbio le loro sacre parole sono mostruose per tecnica ma proprio per questo le ho trovate parecchio distanti dall'emozione che mi può regalare questo o quel personaggio.
Sono lontani i tempi in cui il solo sguardo della divina Meryl mi faceva vibrare, ora vedo un'attrice consumata che si situa sempre a una certa distanza dal suo personaggio e non mi regala più quell'emozione che mi faceva provare prima.
Nel personaggio di Ricki ho visto qualche bagliore della Meryl che fu, si vede che le piace il personaggio e che le piace esibirsi sul palco ( dove canta tutti i brani presenti nel film) ma a dire il vero non ha una grande voce, diciamo che però è ben conscia dei suoi limiti e non sfigura affatto.
Con Demme mi ero perso di vista qualche anno fa , appena dopo Rachel sta per sposarsi, uno di quei film appartenenti al genere "matrimoni con i crampi", a cui appartiene anche questa sua ultima fatica , uno slowburner pazzesco che esplodeva alla distanza rivelando tutta la sua profondità.
L'altra grande passione di Demme è notoriamente la musica quindi posso comprendere bene che questo film , scritto da Diablo Cody, fosse particolarmente nelle sue corde.
Perché oltre a figlie oltre la crisi di nervi, mariti che sembrano muri di gomma per come gli rimbalza addosso tutto, rivelazioni più o meno inaspettate, oltre al matrimonio con i crampi , c'è tanta , tanta musica, c'è la polvere del palcoscenico, il presente fatto di rimpianti, un difficoltoso coming of age a cui arriva, non è mai troppo tardi, Ricki che faticosamente tira una linea e mostra quella maturità mai mostrata prima .
All'inizio ne soffre la relazione col chitarrista del suo gruppo , uno spiantato come lei ma con un cuore grande così ( un Rick Springfield con un'inquietante matita che gli accentua il contorno degli occhi), ma poi vedranno tutto sotto una luce migliore.
E il matrimonio, grazie alla loro musica e a una canzone del Boss, si trasformerà in un happening...
Dove eravamo rimasti non è un film perfetto, non è neanche lontanamente il miglior film di Demme, ma trasuda cuore e passione e proprio per questo si fa apprezzare.
E sul manifesto del film magari si poteva azzardare anche un " Meryl canta!" un po' come succedeva in Ninotchka di Lubitsch (" Garbo laughs!").
PERCHE' SI : tanta musica, Meryl canta, ottimo cast, cuore e passione.
PERCHE' NO : Meryl canta ( perché in fondo non ha una gran voce, ma onore all'impegno), gli occhi disegnati con la matita di Rick Springfield, un impianto del film non proprio originale.
LA SEQUENZA : Ricki and the Flash si esibiscono al matrimonio, nel finale.E la festa diventa un happening.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
La Streep non ha paura di niente.
Un peccato che Demme si conceda così poco al cinema di fiction.
Kevin Kline sta invecchiando splendidamente.
Avevo paira di questo film, che l'avrei odiato....e invece...
( VOTO : 7 / 10 )
Per la carriera musicale ha lasciato la famiglia sotto forma di marito ricchissimo e tre figli sull'altra costa degli Stati Uniti ma quando la figlia va in forte depressione a causa del suo matrimonio sbagliato ( e del conseguente divorzio lampo) , Ricki è costretta quasi suo malgrado a esercitare un ruolo da lei mai ricoperto, quello di madre, andando a stare per qualche tempo nella lussuosa villa dell'ex marito che intanto ha una nuova compagna.
E tornerà ancora per presenziare il matrimonio del figlio ...
Dove eravamo rimasti, già , dove eravamo rimasti.
Per una volta tanto, ma è un caso eccezionale alla stessa stregua dell'imbattersi in un Gronchi rosa, io, che sono per il titolo originale sempre e comunque , quasi preferisco il titolo ideato da quell'ineffabile essere mitologico che è il titolista italiano, capace negli anni di regalarci perle di incredibile bruttezza
Se il titolo originale, Ricki and The Flash sposta l'attenzione sulla band che suona in quel pub polveroso al cospetto del solito gruppetto di mandriani e fancazzisti del sabato sera, il titolo italiano è un qualcosa che si dedica di più al bilancio esistenziale di questa rocker arrivata tardi all'appuntamento con la vita, una Joan Jett fuori tempo massimo ormai sgualcita dagli anni e dalle tante cose successe .
Ma quel Dove eravamo rimasti si rivela un titolo squisitamente polivalente perché questa domanda ce la possiamo porre un po' per tutti i soggetti in campo e non solo per la Ricki del titolo originale.
Con Meryl Streep personalmente mi ero lasciato un po' male da quell' Into The Woods che ho trovato talmente insopportabile da non proseguire la visione dopo la prima mezz'ora.
Grandissima attrice Meryl, in grado di interpretare veramente ogni tipo di personaggio dall'alto di una tecnica straordinaria e per quanto mi riguarda è questo il punto: le sue ultime prove , superapprezzate dai critici di turno e io non sono nessuno per mettere in dubbio le loro sacre parole sono mostruose per tecnica ma proprio per questo le ho trovate parecchio distanti dall'emozione che mi può regalare questo o quel personaggio.
Sono lontani i tempi in cui il solo sguardo della divina Meryl mi faceva vibrare, ora vedo un'attrice consumata che si situa sempre a una certa distanza dal suo personaggio e non mi regala più quell'emozione che mi faceva provare prima.
Nel personaggio di Ricki ho visto qualche bagliore della Meryl che fu, si vede che le piace il personaggio e che le piace esibirsi sul palco ( dove canta tutti i brani presenti nel film) ma a dire il vero non ha una grande voce, diciamo che però è ben conscia dei suoi limiti e non sfigura affatto.
Con Demme mi ero perso di vista qualche anno fa , appena dopo Rachel sta per sposarsi, uno di quei film appartenenti al genere "matrimoni con i crampi", a cui appartiene anche questa sua ultima fatica , uno slowburner pazzesco che esplodeva alla distanza rivelando tutta la sua profondità.
L'altra grande passione di Demme è notoriamente la musica quindi posso comprendere bene che questo film , scritto da Diablo Cody, fosse particolarmente nelle sue corde.
Perché oltre a figlie oltre la crisi di nervi, mariti che sembrano muri di gomma per come gli rimbalza addosso tutto, rivelazioni più o meno inaspettate, oltre al matrimonio con i crampi , c'è tanta , tanta musica, c'è la polvere del palcoscenico, il presente fatto di rimpianti, un difficoltoso coming of age a cui arriva, non è mai troppo tardi, Ricki che faticosamente tira una linea e mostra quella maturità mai mostrata prima .
All'inizio ne soffre la relazione col chitarrista del suo gruppo , uno spiantato come lei ma con un cuore grande così ( un Rick Springfield con un'inquietante matita che gli accentua il contorno degli occhi), ma poi vedranno tutto sotto una luce migliore.
E il matrimonio, grazie alla loro musica e a una canzone del Boss, si trasformerà in un happening...
Dove eravamo rimasti non è un film perfetto, non è neanche lontanamente il miglior film di Demme, ma trasuda cuore e passione e proprio per questo si fa apprezzare.
E sul manifesto del film magari si poteva azzardare anche un " Meryl canta!" un po' come succedeva in Ninotchka di Lubitsch (" Garbo laughs!").
PERCHE' SI : tanta musica, Meryl canta, ottimo cast, cuore e passione.
PERCHE' NO : Meryl canta ( perché in fondo non ha una gran voce, ma onore all'impegno), gli occhi disegnati con la matita di Rick Springfield, un impianto del film non proprio originale.
LA SEQUENZA : Ricki and the Flash si esibiscono al matrimonio, nel finale.E la festa diventa un happening.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
La Streep non ha paura di niente.
Un peccato che Demme si conceda così poco al cinema di fiction.
Kevin Kline sta invecchiando splendidamente.
Avevo paira di questo film, che l'avrei odiato....e invece...
( VOTO : 7 / 10 )
martedì 10 novembre 2015
Ci si vede dal Moz
Oggi giornata speciale per questo blog: finalmente è arrivato il momento della tanto agognata, figherrima, intervista che il Moz mi ha fatto qualche giorno fa.
Qui accorrete numerosissimi dal Moz e scoprirete qualche curiosità su questo ramingo bradipo cinefilo.
Naturalmente commentate numerosi!!!!
Qui accorrete numerosissimi dal Moz e scoprirete qualche curiosità su questo ramingo bradipo cinefilo.
Naturalmente commentate numerosi!!!!
sabato 7 novembre 2015
Presentazione film "Il Segreto di Caino"
Oggi la presentazione di un film attualmente in lavorazione, un giallo all'italiana, nelle parole degli autori che vedrà la luce nei primi mesi del 2016.
Sono veramente felice di ospitarlo qui sul mio blog, il genere in questione è molto apprezzato qui a bottega e quando si tratta di dare una mano in qualche modo a un nuovo progetto di cinema italiano non mi tiro mai indietro.
Supportate il cinema italiano e supportate Il Segreto di Caino, qui raccontato brevemente nelle parole di Roberto Ricci.
IL SEGRETO DI CAINO
Sono veramente felice di ospitarlo qui sul mio blog, il genere in questione è molto apprezzato qui a bottega e quando si tratta di dare una mano in qualche modo a un nuovo progetto di cinema italiano non mi tiro mai indietro.
Supportate il cinema italiano e supportate Il Segreto di Caino, qui raccontato brevemente nelle parole di Roberto Ricci.
IL SEGRETO DI CAINO
Si stanno
effettuando in questi giorni tra Rimini e Pesaro, le riprese del thriller IL
SEGRETO DI CAINO.
La
pellicola, il cui soggetto è scritto da Roberto Ricci, noto come
"parrucchiere del brivido", vista la sua alternanza tra il lavoro
principale e la scrittura di libri e soggetti cinematografici giallo - horror,
è appunto un thriller visivamente molto forte.
La regia è
di Luca Guerini, un giovane regista di Civitavecchia e fondatore della compagnia
teatrale Skenexodia.
Dopo
essersi formato alla scuola delle arti di Pino Quartullo, con prestigiosi
insegnanti come Daniele Vicari, Giovanni Veronesi e tanti altri, ha realizzato
nel 2010 il suo primo lavoro teatrale "Play", vincendo il siparietto
d'oro a Vicenza.
In
seguito, ha prodotto numerosi e prestigiosi spettacoli, dividendosi tra il
palcoscenico e la cinepresa.
Titoli
come "Adina riposa al buio", "Operatori" e
"Cibo".
IL SEGRETO
DI CAINO, è sia per Guerini che per Ricci, il primo lungometraggio pensato
apposta per il cinema.
Una sfida
non facile, visto il periodo poco fortunato per questo genere di pellicole.
Il giallo
all'Italiana infatti, dopo il grande successo degli anni 70 - 80, grazie
soprattutto a Dario Argento, ha perso sempre più colpi, sino ad arrivare al
totale disinteresse dei produttori.
Questo
film ha tutte le carte in regola per rilanciare il genere e risvegliare
l'attenzione da parte degli addetti ai lavori e soprattutto del pubblico,
magari stanco di decine e decine di commedie o drammi sociali.
La trama,
vede un feroce e misterioso serial killer, uccidere giovani ragazzi, che si
prostituiscono in cambio di pochi soldi o regali.
Intorno a
questa catena di delitti, girano le storie di due fratelli uniti da un legame
morboso, una donna pettegola e impicciona, un misterioso professore di lettere,
una detective, uno stalker bellissimo e senza scrupoli, e altri personaggi
ancora, molti dei quali cadranno vittime del sanguinario assassino.
Paura,
tensione, sesso e sangue.
Gli
ingredienti per farne un buon thriller, ci sono tutti.
Nulla sarà
lasciato all'immaginazione dello spettatore, gli occhi dell'assassino saranno i
suoi.
Vivrà lo
stesso terrore della vittima, che da iniziale predatore sessuale, diverrà preda
sacrificale della follia omicida del suo carnefice.
Il cast,
vede tra gli interpreti principali : Sandro Fabiani, Alessandro Santoro, Marta
Corrias, Eleonora Mensitieri, Francesco Lizzi, Gianluca Grazioli e altri bravi
attori, la maggior parte dei quali, facenti parte della compagnia Skenexodia.
Michael
Musto, Matteo Petrillo, Maridina Stavroulaki e Andrea Mainardi, fanno invece
parte del cast tecnico.
Musiche
originali di Alekey.
L'uscita
di questa pellicola, è prevista per i primi mesi del 2016.
mercoledì 4 novembre 2015
The Final Girls ( 2015 )
Amanda è un'attricetta che ha vissuto il suo quarto d'ora di celebrità recitando , si fa per dire, in uno slasher di un certo successo, Camp Bloodbath, in cui faceva una brutta fine sotto i colpi di machete del bruto di turno, ma è un po' che fatica a trovare una scrittura decente.Vive con la figlia adolescente Max e stavolta muore per davvero in un incidente stradale.
Dopo qualche tempo dalla sua morte un amico di Max organizza una serata omaggio a Camp Bloodbath e al suo sequel ma le cose non vanno come dovrebbero andare.
Per uno strano susseguirsi di coincidenze il cinema va a fuoco, Max con i suoi amici per salvarsi attraversa lo schermo e si ritrovano come per incanto nel film che stavano vedendo.
Ora tutto sta a sopravvivere alla furia del bruto col machete.
Andando ad esaminare i credits del film non si può non rimanere sorpresi: e chi si aspetta un gioiello di metacinema di siffatta bellezza dalle menti di due sceneggiatori praticamente esordienti ( Fortin e Joshua Miller ma costui è stato attore con un discreto curriculum) e da un regista, Todd Strauss-Schulson, molto attivo in tv, con molti corti nella sua carriera e pochissimo cinema?
Nessuno, io, meno di tutti.
E invece ci troviamo di fronte a uno spartiacque del genere allo stesso modo in cui poteva essere The Cabin in the Woods non più tardi di tre anni fa.
Allora avevo salutato quello che ritenevo l'horror definitivo, ora mi vedo costretto a rifarlo.
Stavolta saluto lo slasher definitivo.
Ma definitivo perché?
Proprio qualche giorno fa parlavamo del linguaggio cinematografico di The Green Inferno, ultima ( o meglio penultima ) fatica di Eli Roth, quindi non proprio l'ultimo arrivato nel genere.
E dicevamo che era un qualcosa di vecchio, ho usato il termine decrepito per un film che voleva dire qualcosa di nuovo, richiamarsi a un genere che nel passato ha avuto un discreto successo e che oggi è scivolato irrimediabilmente nel dimenticatoio, il cannibal movie,
Cosa che in un certo senso è successa anche allo slasher anche se in tono minore: seppur con produzioni piccole , nelle pieghe dei vari listini indipendenti, uno slasher si trovava sempre.
E noi qui a parlare, spesso anche a sparlare, di film nati vecchi e con canoni estetici ormai superati.
Ecco,
The Final Girls prende spunto, linfa vitale da questo per mettere in campo tutta la sua genialità.
Cita palesemente uno degli slasher più famosi della storia del cinema, ogni riferimento in questo film a Venerdì 13 è puramente voluto, lo disseziona vorticosamente ma non come farebbe l'allegro chirurgo in un gioco da tavolo, ma proprio come un anatomo patologo attento a studiare il suo reperto, a rispettarlo profondamente non rovinando nulla e consegna al pubblico un piccolo capolavoro di cinema nel cinema.
Si usa quindi il linguaggio vecchio per dire qualcosa di nuovo.
Il contrario di quello che succedeva in The Green Inferno.
The Final Girls osa fin dove aveva osato The Cabin in the Woods e forse ancora di più: se quel geniaccio di Whedon aveva fatto metacinema codificando i vari sottogeneri appartenenti formalmente all'horror, Fortin, Joshua Miller ( sceneggiatura), Todd Strauss Schulson ( regia ) e tutta l'allegra combriccola codificano le componenti del genere slasher.
Abbiamo dei personaggi con delle precise caratteristiche e tendenze che rispondono a determinati stereotipi ( il maschio infoiato che pensa al sesso anche quando è in pericolo di vita, la sciacquetta che si accinge a perdere la verginità ecc ecc) ma inserisce anche altri elementi che arricchiscono il tutto e lo rendono grande: il gioco continuo con lo spettatore su chi sarà la "final girl " del film ( la final girl è in gergo cinematografico l'unico personaggio che riesce a sopravvivere alla furia del maniaco in ogni slasher che si rispetti e deve essere rigorosamente vergine e qui di vergini in campo ce ne sono due, Amanda e Max, sua figlia che per questo tenta di far rimanere vergine la sua mamma di celluloide a tutti i costi) e la descrizione di un rapporto tra madre e figlia che raramente si è vista al cinema, men che meno nell'horror.
Amanda e Max e il loro rapporto di detti e non detti, di piccole omissioni e grandi scherzi del destino è un qualcosa che a tratti sfiora persino la poesia. e vi assicuro che non è uno sproposito parlare di poesia in un film che dovrebbe far parte della serie B cinematografica .
Altra cosa che rende The Final Girls un film vincente sotto tutti i punti di vista è la sua ironia, o meglio la sua autoironia.
Siamo nel metacinema puro ma non ci prendiamo affatto sul serio si ride e non ci sono spiegoni trituranti.
E usciamo di scene sulle note di Bette Davis Eyes.
Chiusura perfetta.
PERCHE' SI : è lo slasher definitivo, anzi il metaslasher definitivo, tanta ironia contagiosa, attori che stanno al gioco e tanta tanta altra roba.
PERCHE' NO : faccio fatica a trovarne, a chi non piace il genere...
LA SEQUENZA : l'arrivo a Camp Bloodbath , in mezzo al suo loop spazio temporale.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Anche stavolta ho parlato di film definitivo.
Almeno fino al prossimo titolo per cui spenderò questo termine.
Sono passati tre anni da quando l'avevo speso l'ultima volta ( The Cabin in the Woods)
Avrei voluto che non finisse mai
Di sicuro è l'horror dell'anno.
( VOTO : 8,5 / 10 )
Dopo qualche tempo dalla sua morte un amico di Max organizza una serata omaggio a Camp Bloodbath e al suo sequel ma le cose non vanno come dovrebbero andare.
Per uno strano susseguirsi di coincidenze il cinema va a fuoco, Max con i suoi amici per salvarsi attraversa lo schermo e si ritrovano come per incanto nel film che stavano vedendo.
Ora tutto sta a sopravvivere alla furia del bruto col machete.
Andando ad esaminare i credits del film non si può non rimanere sorpresi: e chi si aspetta un gioiello di metacinema di siffatta bellezza dalle menti di due sceneggiatori praticamente esordienti ( Fortin e Joshua Miller ma costui è stato attore con un discreto curriculum) e da un regista, Todd Strauss-Schulson, molto attivo in tv, con molti corti nella sua carriera e pochissimo cinema?
Nessuno, io, meno di tutti.
E invece ci troviamo di fronte a uno spartiacque del genere allo stesso modo in cui poteva essere The Cabin in the Woods non più tardi di tre anni fa.
Allora avevo salutato quello che ritenevo l'horror definitivo, ora mi vedo costretto a rifarlo.
Stavolta saluto lo slasher definitivo.
Ma definitivo perché?
Proprio qualche giorno fa parlavamo del linguaggio cinematografico di The Green Inferno, ultima ( o meglio penultima ) fatica di Eli Roth, quindi non proprio l'ultimo arrivato nel genere.
E dicevamo che era un qualcosa di vecchio, ho usato il termine decrepito per un film che voleva dire qualcosa di nuovo, richiamarsi a un genere che nel passato ha avuto un discreto successo e che oggi è scivolato irrimediabilmente nel dimenticatoio, il cannibal movie,
Cosa che in un certo senso è successa anche allo slasher anche se in tono minore: seppur con produzioni piccole , nelle pieghe dei vari listini indipendenti, uno slasher si trovava sempre.
E noi qui a parlare, spesso anche a sparlare, di film nati vecchi e con canoni estetici ormai superati.
Ecco,
The Final Girls prende spunto, linfa vitale da questo per mettere in campo tutta la sua genialità.
Cita palesemente uno degli slasher più famosi della storia del cinema, ogni riferimento in questo film a Venerdì 13 è puramente voluto, lo disseziona vorticosamente ma non come farebbe l'allegro chirurgo in un gioco da tavolo, ma proprio come un anatomo patologo attento a studiare il suo reperto, a rispettarlo profondamente non rovinando nulla e consegna al pubblico un piccolo capolavoro di cinema nel cinema.
Si usa quindi il linguaggio vecchio per dire qualcosa di nuovo.
Il contrario di quello che succedeva in The Green Inferno.
The Final Girls osa fin dove aveva osato The Cabin in the Woods e forse ancora di più: se quel geniaccio di Whedon aveva fatto metacinema codificando i vari sottogeneri appartenenti formalmente all'horror, Fortin, Joshua Miller ( sceneggiatura), Todd Strauss Schulson ( regia ) e tutta l'allegra combriccola codificano le componenti del genere slasher.
Abbiamo dei personaggi con delle precise caratteristiche e tendenze che rispondono a determinati stereotipi ( il maschio infoiato che pensa al sesso anche quando è in pericolo di vita, la sciacquetta che si accinge a perdere la verginità ecc ecc) ma inserisce anche altri elementi che arricchiscono il tutto e lo rendono grande: il gioco continuo con lo spettatore su chi sarà la "final girl " del film ( la final girl è in gergo cinematografico l'unico personaggio che riesce a sopravvivere alla furia del maniaco in ogni slasher che si rispetti e deve essere rigorosamente vergine e qui di vergini in campo ce ne sono due, Amanda e Max, sua figlia che per questo tenta di far rimanere vergine la sua mamma di celluloide a tutti i costi) e la descrizione di un rapporto tra madre e figlia che raramente si è vista al cinema, men che meno nell'horror.
Amanda e Max e il loro rapporto di detti e non detti, di piccole omissioni e grandi scherzi del destino è un qualcosa che a tratti sfiora persino la poesia. e vi assicuro che non è uno sproposito parlare di poesia in un film che dovrebbe far parte della serie B cinematografica .
Altra cosa che rende The Final Girls un film vincente sotto tutti i punti di vista è la sua ironia, o meglio la sua autoironia.
Siamo nel metacinema puro ma non ci prendiamo affatto sul serio si ride e non ci sono spiegoni trituranti.
E usciamo di scene sulle note di Bette Davis Eyes.
Chiusura perfetta.
PERCHE' SI : è lo slasher definitivo, anzi il metaslasher definitivo, tanta ironia contagiosa, attori che stanno al gioco e tanta tanta altra roba.
PERCHE' NO : faccio fatica a trovarne, a chi non piace il genere...
LA SEQUENZA : l'arrivo a Camp Bloodbath , in mezzo al suo loop spazio temporale.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Anche stavolta ho parlato di film definitivo.
Almeno fino al prossimo titolo per cui spenderò questo termine.
Sono passati tre anni da quando l'avevo speso l'ultima volta ( The Cabin in the Woods)
Avrei voluto che non finisse mai
Di sicuro è l'horror dell'anno.
( VOTO : 8,5 / 10 )
domenica 1 novembre 2015
The Green Inferno ( 2015 )
Justine è la figlia di un avvocato che lavora per le Nazioni Unite e rimane sconvolta da una lezione universitaria sull'infibulazione delle bambine in Africa. Decide così di abbracciare la causa di giovani attivisti contro lo sfruttamento della foresta amazzonica.
Insieme ad un gruppo di loro parte per il Perù al fine di compiere un'azione dimostrativa per fermare i lavori di distruzione della foresta.
Si incatenano agli alberi in diretta tv ed ottengono quello che si erano prefissi: la pubblicità per il loro gruppo.
Durante il viaggio di ritorno però il loro piccolo aereo che li riporta a casa cade nel bel mezzo della foresta che volevano tanto difendere. E diventano preda di una tribù di cannibali.
Storia di un film scandalo che la leggenda vuole che sia stato fermo ai box per oltre due anni per varie motivazioni folkloristiche tipo censura per scene troppo cruente, il rifiuto di tornare a un genere estremo come quello del cannibal movie , il richiamarsi con molta ostentazione a un film come Cannibal Holocaust, ancora proibito in molti Paesi del mondo e altre amenità assortite .
Pare che la realtà sia molto meno romantica e folk: pare che The Green Inferno sia stato preso in mezzo a diatribe produttive e di marketing facendo la fine del vaso di coccio in mezzo ai vasi di piombo.
Pare che non abbiano fatto uscire il film al cinema prima perché non gli si poteva assicurare una promozione adeguata.
Che tuttavia gli è stata garantita dal tam tam delle voci riguardanti la sua uscita da due anni a questa parte.
Ma insomma come è questo The Green Inferno?
Trincerandomi dietro definizioni sofistiche e supertecniche potrei citare la cagata pazzesca fantozziana ma mi sforzerò di essere un po' più circostanziato.
Potrei nascondermi anche dietro a un più gentile ....tanto tuonò che non piovve.
La cosa vera di The Green Inferno è che pur durando meno di 100 minuti , durata comunque ragguardevole per un horror, annoia tanto.
Si comincia con quaranta minuti in cui praticamente non succede nulla, il solito teatrino con introduzione di personaggi stantii e che non fanno nulla per elevarsi rispetto allo status di carne da macello che sembra sia stato disegnato apposta per loro, il consueto tema dello spaesamento in terra straniera come Hostel docet, il trito e ritrito uso di effetti piuttosto rustici per aumentare lo shock in quella parte di pubblico che ancora può venire shockata da una decapitazione o da un uomo fatto a tranci col machete.
L'unica variante rispetto a uno slasher normale è che chi viene fatto a tranci con l'arma bianca viene poi trattato come una porchetta e messo al forno dopo averlo spellato e scarnificato.
E pare che dell'uomo , come succede col maiale , non si butta via niente.
Eli Roth poi non si fa mancare nulla e ci propina anche la testa del malcapitato con la mela in bocca come un maiale al forno qualunque.
Può bastare questo e qualche altro effettaccio per fare un buon film horror nel 2015, pardon , nel 2013?
No, non basta e non è sufficiente neanche usare furbescamente il fuori campo per cercare di aumentare la sgradevolezza ed evocare ulteriore orrore.
Il problema è che Eli Roth continua a usare un linguaggio cinematografico decrepito cercando di mascherare il tutto da horror politico.
Ecco la politica in The Green Inferno.
Parliamone.
Il film pone sullo stesso piano la mostruosità dello sfruttamento della foresta amazzonica e della distruzione delle popolazioni che lì vivono da millenni, a quella degli autoctoni che non si fanno scrupolo a mangiare propri simili, a essere dediti alla pratica del cannibalismo.
Anzi. forse quello che uccidono per denaro per rubare chilometri quadrati di verde al pianeta sono peggiori.
Ora va bene tutto, il messaggio che si legge tra le righe posso anche parzialmente approvarlo ma sembra veramente tutto scritto con i piedi, talmente grossolano da esondare nel ridicolo involontario tutto talmente esibito da risultare sovraccarico e fastidioso.
E non c'era bisogno di creare un personaggio odioso come il capo degli attivisti ( a cui il buon Eli fa compiere ogni azione nefasta, persino una masturbazione in pubblico per mantenere il cervello attivo) e di sottolineare con la postilla sul finale come l'opinione pubblica sia facilmente raggirabile dai mass media.
Il problema di The Green Inferno è che a dispetto delle aspettative si rivela essere un film come tanti altri, anzi anche peggiore di altri.
Nessun guizzo , nessuno scatto in avanti.
Peccato.
PERCHE' SI : qualche contrappunto ironico nella prima parte che alleggerisce la noia, effetti speciali molto rustici che fanno il loro porco lavoro, gli occhi della signora Roth, alias Lorenza Izzo nella parte di Justine.
PERCHE' NO : linguaggio cinematografico decrepito, attori dimenticabili, messaggio talmente esibito da risultare fastidioso.
LA SEQUENZA : la caduta dell'aereo nella foresta
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
A me Eli Roth sta simpatico ma forse è meglio che rimane solo a produrre e a fare il talent scout non il regista.
Mai fidarsi della pubblicità.
Mai avere aspettative troppo alte per un fondo di magazzino di due anni.
A volte le leggende stravolgono la realtà.
( VOTO : 4 / 10 )
Insieme ad un gruppo di loro parte per il Perù al fine di compiere un'azione dimostrativa per fermare i lavori di distruzione della foresta.
Si incatenano agli alberi in diretta tv ed ottengono quello che si erano prefissi: la pubblicità per il loro gruppo.
Durante il viaggio di ritorno però il loro piccolo aereo che li riporta a casa cade nel bel mezzo della foresta che volevano tanto difendere. E diventano preda di una tribù di cannibali.
Storia di un film scandalo che la leggenda vuole che sia stato fermo ai box per oltre due anni per varie motivazioni folkloristiche tipo censura per scene troppo cruente, il rifiuto di tornare a un genere estremo come quello del cannibal movie , il richiamarsi con molta ostentazione a un film come Cannibal Holocaust, ancora proibito in molti Paesi del mondo e altre amenità assortite .
Pare che la realtà sia molto meno romantica e folk: pare che The Green Inferno sia stato preso in mezzo a diatribe produttive e di marketing facendo la fine del vaso di coccio in mezzo ai vasi di piombo.
Pare che non abbiano fatto uscire il film al cinema prima perché non gli si poteva assicurare una promozione adeguata.
Che tuttavia gli è stata garantita dal tam tam delle voci riguardanti la sua uscita da due anni a questa parte.
Ma insomma come è questo The Green Inferno?
Trincerandomi dietro definizioni sofistiche e supertecniche potrei citare la cagata pazzesca fantozziana ma mi sforzerò di essere un po' più circostanziato.
Potrei nascondermi anche dietro a un più gentile ....tanto tuonò che non piovve.
La cosa vera di The Green Inferno è che pur durando meno di 100 minuti , durata comunque ragguardevole per un horror, annoia tanto.
Si comincia con quaranta minuti in cui praticamente non succede nulla, il solito teatrino con introduzione di personaggi stantii e che non fanno nulla per elevarsi rispetto allo status di carne da macello che sembra sia stato disegnato apposta per loro, il consueto tema dello spaesamento in terra straniera come Hostel docet, il trito e ritrito uso di effetti piuttosto rustici per aumentare lo shock in quella parte di pubblico che ancora può venire shockata da una decapitazione o da un uomo fatto a tranci col machete.
L'unica variante rispetto a uno slasher normale è che chi viene fatto a tranci con l'arma bianca viene poi trattato come una porchetta e messo al forno dopo averlo spellato e scarnificato.
E pare che dell'uomo , come succede col maiale , non si butta via niente.
Eli Roth poi non si fa mancare nulla e ci propina anche la testa del malcapitato con la mela in bocca come un maiale al forno qualunque.
Può bastare questo e qualche altro effettaccio per fare un buon film horror nel 2015, pardon , nel 2013?
No, non basta e non è sufficiente neanche usare furbescamente il fuori campo per cercare di aumentare la sgradevolezza ed evocare ulteriore orrore.
Il problema è che Eli Roth continua a usare un linguaggio cinematografico decrepito cercando di mascherare il tutto da horror politico.
Ecco la politica in The Green Inferno.
Parliamone.
Il film pone sullo stesso piano la mostruosità dello sfruttamento della foresta amazzonica e della distruzione delle popolazioni che lì vivono da millenni, a quella degli autoctoni che non si fanno scrupolo a mangiare propri simili, a essere dediti alla pratica del cannibalismo.
Anzi. forse quello che uccidono per denaro per rubare chilometri quadrati di verde al pianeta sono peggiori.
Ora va bene tutto, il messaggio che si legge tra le righe posso anche parzialmente approvarlo ma sembra veramente tutto scritto con i piedi, talmente grossolano da esondare nel ridicolo involontario tutto talmente esibito da risultare sovraccarico e fastidioso.
E non c'era bisogno di creare un personaggio odioso come il capo degli attivisti ( a cui il buon Eli fa compiere ogni azione nefasta, persino una masturbazione in pubblico per mantenere il cervello attivo) e di sottolineare con la postilla sul finale come l'opinione pubblica sia facilmente raggirabile dai mass media.
Il problema di The Green Inferno è che a dispetto delle aspettative si rivela essere un film come tanti altri, anzi anche peggiore di altri.
Nessun guizzo , nessuno scatto in avanti.
Peccato.
PERCHE' SI : qualche contrappunto ironico nella prima parte che alleggerisce la noia, effetti speciali molto rustici che fanno il loro porco lavoro, gli occhi della signora Roth, alias Lorenza Izzo nella parte di Justine.
PERCHE' NO : linguaggio cinematografico decrepito, attori dimenticabili, messaggio talmente esibito da risultare fastidioso.
LA SEQUENZA : la caduta dell'aereo nella foresta
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
A me Eli Roth sta simpatico ma forse è meglio che rimane solo a produrre e a fare il talent scout non il regista.
Mai fidarsi della pubblicità.
Mai avere aspettative troppo alte per un fondo di magazzino di due anni.
A volte le leggende stravolgono la realtà.
( VOTO : 4 / 10 )
mercoledì 28 ottobre 2015
Janara ( 2015 )
Marta e Alessandro tornano al paese di lei, San Lupo , nel beneventano, a causa di questioni legate al testamento del nonno.Trovano un paese oltre la crisi di nervi perché i bambini spariscono e la polizia brancola nel buio credendo che si tratti di un inafferrabile pedofilo,
Gli abitanti del paese credono che sia in realtà tutta colpa della Janara, una strega mandata al rogo mentre era incinta proprio lì a San Lupo e che ora viene a prendersi tutti i bambini del paese.
Più passano i giorni e più Marta si accorge che in qualche modo è legata alla Janara ed è per questo che non esita a mettere in gioco se stessa , il suo matrimonio e la sua gravidanza...
Janara è l'esordio alla regia di Roberto Bontà Polito che per il suo primo film attinge alla tradizione popolare campana contadina rievocando la figura di una misteriosa strega che aleggia sul destino di un intero paese incastonato nella parte più nascosta del Sannio, luogo aspro e impervio che diede molto filo da torcere assieme ai suoi indomiti guerrieri anche alle potentissime legioni romane che di lì a qualche decennio avrebbero conquistato quasi tutto il mondo conosciuto.
Ed è proprio l'ambientazione in questo paese in mezzo alle montagne, chiuso non solo metaforicamente a causa di abitanti ben poco ospitali, ma proprio dal punto di vista geografico, è il pregio principale di un film che avrebbe tutte le possibilità di essere un buon prodotto di nicchia, destinato agli aficionados del genere.
Roberto Bontà Polito riesce a costruire una bella cornice , una ragnatela fitta di suggestioni, di misteri e di intrighi dietro facciate peraltro poco rassicuranti ( vedi il personaggio del prete), ha tra le mani una leggenda bellissima da raccontare che fa parte della millenaria tradizione contadina del luogo, ma poi non ha lo scatto definitivo per andare oltre un bello spunto,
E' proprio quando viene dipanato il mistero della strega che vengono alla luce tutte le debolezze di scrittura di un film che pur non brillando in sede di sceneggiatura ( diciamo che ci sono alcuni dialoghi e alcune dinamiche tra i personaggi del film che se ne infischiano allegramente del buon senso e della verosimiglianza) nella prima ora aveva catturato l'interesse per il suo essere ibrido tra vari generi e soprattutto per essere italiano, per raccontare un pezzetto del nostro folklore e mostrarlo orgogliosamente al mondo intero.
Quello che si può imputare al regista ( e anche co-sceneggiatore ) è una certa mancanza di coraggio per come si trincera dietro soluzioni già viste troppe volte ( vedi la caccia alla strega da parte dei paesani e i vari tentativi di linciaggio) fino ad arrivare a un prefinale a mio parere poco riuscito proprio perché sbatte in faccia allo spettatore tutto quello che aveva abilmente suggerito per tutto il resto del film.
La solita storia che l'orrore è meglio evocarlo che mostrarlo, Roberto Bontà Polito cade in questo errore.
La regia è comunque apprezzabile nella composizione dell inquadratura , sfrutta bene le scenografie spartane del film ( ma non è un demerito, nelle scene in interni si ha come la sensazione di tornare nella casa dei nonni con quegli arredamenti vecchi ma non antichi e tanto tanto tristi ) e ha una fotografia che privilegia i toni insaturi decolorando il tutto in maniera innaturale ma abbastanza suggestiva soprattutto nelle sequenze notturne.
Il punto di criticità è la recitazione che convince poco sia nei protagonisti , sia negli attori secondari.
Il livello mi sembra un po' troppo basso.
Su Imdb.com si parla di un budget di poco più di un milione di euro: mi sembra esagerato, a me sembra un film fatto con molto meno...
Magari qualcuno riuscirà a risolvere questo mistero.
Comunque non è così brutto come lo si dipinge.
Gli appassionati troveranno punti di interesse.
PERCHE' SI : bella ambientazione, prima parte suggestiva, buona confezione.
PERCHE' NO : la seconda parte non funziona , livello recitativo basso in generale.
LA SEQUENZA : il rito religioso nel bosco.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Ho conosciuto il mito della Janara che prima mi era sconosciuto.
Ho conosciuto il paesino di San Lupo.
In Italia la scena horror è in fermento.
Basterebbe trovare produttori illuminati...
( VOTO : 5,5 / 10 )
Gli abitanti del paese credono che sia in realtà tutta colpa della Janara, una strega mandata al rogo mentre era incinta proprio lì a San Lupo e che ora viene a prendersi tutti i bambini del paese.
Più passano i giorni e più Marta si accorge che in qualche modo è legata alla Janara ed è per questo che non esita a mettere in gioco se stessa , il suo matrimonio e la sua gravidanza...
Janara è l'esordio alla regia di Roberto Bontà Polito che per il suo primo film attinge alla tradizione popolare campana contadina rievocando la figura di una misteriosa strega che aleggia sul destino di un intero paese incastonato nella parte più nascosta del Sannio, luogo aspro e impervio che diede molto filo da torcere assieme ai suoi indomiti guerrieri anche alle potentissime legioni romane che di lì a qualche decennio avrebbero conquistato quasi tutto il mondo conosciuto.
Ed è proprio l'ambientazione in questo paese in mezzo alle montagne, chiuso non solo metaforicamente a causa di abitanti ben poco ospitali, ma proprio dal punto di vista geografico, è il pregio principale di un film che avrebbe tutte le possibilità di essere un buon prodotto di nicchia, destinato agli aficionados del genere.
Roberto Bontà Polito riesce a costruire una bella cornice , una ragnatela fitta di suggestioni, di misteri e di intrighi dietro facciate peraltro poco rassicuranti ( vedi il personaggio del prete), ha tra le mani una leggenda bellissima da raccontare che fa parte della millenaria tradizione contadina del luogo, ma poi non ha lo scatto definitivo per andare oltre un bello spunto,
E' proprio quando viene dipanato il mistero della strega che vengono alla luce tutte le debolezze di scrittura di un film che pur non brillando in sede di sceneggiatura ( diciamo che ci sono alcuni dialoghi e alcune dinamiche tra i personaggi del film che se ne infischiano allegramente del buon senso e della verosimiglianza) nella prima ora aveva catturato l'interesse per il suo essere ibrido tra vari generi e soprattutto per essere italiano, per raccontare un pezzetto del nostro folklore e mostrarlo orgogliosamente al mondo intero.
Quello che si può imputare al regista ( e anche co-sceneggiatore ) è una certa mancanza di coraggio per come si trincera dietro soluzioni già viste troppe volte ( vedi la caccia alla strega da parte dei paesani e i vari tentativi di linciaggio) fino ad arrivare a un prefinale a mio parere poco riuscito proprio perché sbatte in faccia allo spettatore tutto quello che aveva abilmente suggerito per tutto il resto del film.
La solita storia che l'orrore è meglio evocarlo che mostrarlo, Roberto Bontà Polito cade in questo errore.
La regia è comunque apprezzabile nella composizione dell inquadratura , sfrutta bene le scenografie spartane del film ( ma non è un demerito, nelle scene in interni si ha come la sensazione di tornare nella casa dei nonni con quegli arredamenti vecchi ma non antichi e tanto tanto tristi ) e ha una fotografia che privilegia i toni insaturi decolorando il tutto in maniera innaturale ma abbastanza suggestiva soprattutto nelle sequenze notturne.
Il punto di criticità è la recitazione che convince poco sia nei protagonisti , sia negli attori secondari.
Il livello mi sembra un po' troppo basso.
Su Imdb.com si parla di un budget di poco più di un milione di euro: mi sembra esagerato, a me sembra un film fatto con molto meno...
Magari qualcuno riuscirà a risolvere questo mistero.
Comunque non è così brutto come lo si dipinge.
Gli appassionati troveranno punti di interesse.
PERCHE' SI : bella ambientazione, prima parte suggestiva, buona confezione.
PERCHE' NO : la seconda parte non funziona , livello recitativo basso in generale.
LA SEQUENZA : il rito religioso nel bosco.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Ho conosciuto il mito della Janara che prima mi era sconosciuto.
Ho conosciuto il paesino di San Lupo.
In Italia la scena horror è in fermento.
Basterebbe trovare produttori illuminati...
( VOTO : 5,5 / 10 )
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