La notte buia e senza stelle che si affaccia sulle steppe sconfinate dell'Anatolia è la compagna di viaggio di un piccolo convoglio di macchine che rivelano subito la loro affannosa ricerca di un cadavere seppellito chissà dove.
Un medico legale, un magistrato, alcuni poliziotti, militari e un paio di scavatori portano con loro un paio di sospetti, rei confessi in realtà.
Ma c'è un problema.
Le fontane si assomigliano tutte, le colline hanno tutte la stessa pendenza, colui che dovrebbe guidare il manipolo di uomini al luogo dove ha seppellito il corpo è terribilmente confuso e suscita le ire dell'ufficiale di polizia.
C'era una volta in Anatolia è la storia di una notte diversa dalle altre, passata tra chiacchiere catartiche e segreti inconfessati/inconfessabili, cronaca di un viaggio interiore alla ricerca dell'ineffabile, di quel tempo in cui ci si riesce a guardare dentro per cercare di capire la propria solitudine ostinatamente e gelosamente custodita.
E'una storia di uomini rimasti soli per gli accidenti della vita, di un magistrato che dicono somigli a Clark Gable (e lui se ne compiace) ma che a parte piccoli problemi di salute ha un fardello insostenibile da portarsi dietro, di un medico ultrarazionale che si lascia prendere dall'emotività allorchè cerca di nascondere elementi a favore del reo confesso, di un criminale per caso a cui sembra scivolare addosso tutto ma che poi crolla apperentemente in modo inspiegabile al gesto di disprezzo del figlio della vittima (ma anche a questo c'è una spiegazione).
Nuri Bilge Ceylan si dimostra sublime dissezionatore di stati d'animo in un film in cui i silenzi e la mesta routine tra percorsi e soste del piccolo convoglio sono la colonna portante di tutto quello che si agita dentro i personaggi.
Tra campi lunghissimi e primissimi piani il cinema del grande regista turco dimostra ancora una volta il proprio rigore formale e sostanziale affermando di nuovo, pervicacemente , la propria identità stilistica.
La steppa anatolica è una distesa uniforme su cui poggiare la propria inquieta solitudine, un inferno dello stesso colore del grano, una distesa uniforme che nasconde ma non ruba.
La luce è bandita se non fosse per un angelo luminoso che regala il suo volto ai vari personaggi durante una cena in un paese incontrato durante il pellegrinaggio notturno.
E' difficile spiegare che cosa affascina di questo film: non ci sono le parole adatte per descrivere le sensazioni che evoca una vicenda in cui sembra che non succeda nulla per due e mezza.
Eppure il nuovo film di Nuri Bilge Ceylan ti entra dentro come e ancor più dei suoi predecessori proprio per la sua incredibile capacità di descrivere sostanzialemente quel fardello doloroso che ognuno porta con sè.
E'un film sul dolore che riesce a creare tensione con dialoghi semplici eppure così carichi di significato.
C'era una volta in Anatolia è un mystery tour senza mistero in cui il vero fulcro di tutto non è la ricerca di un cadavere ma è l'ammissione del dolore che ognuno dei tre protagonisti si porta dentro.
Perchè sono loro che si porteranno dietro tutto il loro pregresso semplicemente vivendo.
Non importato in Italia(ma ormai siamo abituati agli scempi della nostrana distribuzione), è un vero delitto che un'opera di questa portata sia stata esclusa dalle nominations agli Oscar per il miglior film straniero.
( VOTO : 9 / 10 )
( VOTO : 9 / 10 )
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