I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.
mercoledì 14 marzo 2012
Rabbit Hole ( 2010 )
La tana del coniglio è quella in cui si dovrebbe andare a nascondere la brillante equipe di liftaroli e di botulinisti che ha ridotto la Kidman alla donnetta rugosa che mi ha fatto venire quasi un colpo alla prima sequenza del film.
Giuro, non l'avevo riconosciuta!
Rabbit Hole doveva essere un valido veicolo promozionale per le ritrovate capacità recitative di una diva bloccata dalla paralisi flaccida dei muscoli della faccia e parzialmente assolve a questo ruolo. Possiamo dire che la Kidman ritorna a livelli che non le riconoscevamo da tempo, sopratttutto ha la capacità di spogliarsi (metaforicamente) di tutto quell'alone di glacialità che avvolge il suo modo di recitare.
Finalmente avvertiamo un cuore sotto tutto lo sfoggio di tecnica, cosa che probabilmente le mancava da The Hours e da Dogville, ultime sue prove degne di menzione.
Rabbit Hole narra dell'elaborazione del lutto da parte di una coppia,Becca e Howie:è morto per tragica fatalità loro figlio di quattro anni. Naturalmente la metabolizzazione dell'avvenimento più brutto che possa capitare a un genitore è diametralmente opposta: se la donna è soffocata dalle mura domestiche che sembrano sussurrarle continuamente il nome del figlio e per questo vuole cancellare il più possibile le tracce della presenza del piccolo cercando di trincerarsi in un mondo a sè stante, il marito si abbevera al suo ricordo mediante vecchi filmati e cerca di andare avanti illudendosi di averlo sempre con sè, nel filmato registrato sul telefonino.
Entrambi cercano di superare questo ineffabile trauma da soli, senza richiedere l'aiuto del partner. E questo fa calare il gelo tra di loro. John Cameron Mitchell si inerpica per la china della rappresentazione del dolore senza troppi cedimenti al melodramma o alla pornografia del dolore che spesso zavorra film che trattano temi delicati come questo.
Nessuna scena madre, ma piccoli costanti segni che rendono impossibile la serenità della vita di coppia. La perdita di un figlio del resto può spazzare via qualsiasi storia d'amore. Rabbit Hole una luce di speranza in fondo al tunnel la fa intravedere ma è una ben magra consolazione pensare che sempre e comunque quel patetico show che è la vita deve sempre andare avanti.
Apprezzabile il disegno dei personaggi di contorno ( tranne che per l'irritante compagna di terapia di gruppo,Sandra Oh che quasi simboleggia una facile via d'uscita per far decantare tutto il dolore di Howie accumulato per mesi e mesi) così come è da evidenziare la misura che la regia riesce a conservare anche nei passaggi emotivamente più difficili. Permane un senso di incompiutezza , traspare la solita ansia comunque di avere una speranza per il futuro ( il figlio della sorella di Becca) mentre disturba il paragone che si vuole fare tra un figlio morto di overdose a quasi quaranta anni e un bambino di quattro morto per un investimento automobilistico.
Di questo paragone se ne poteva fare tranquillamente a meno: non ci sono morti di prima classe e morti di seconda classe e non si possono organizzare gare a quale madre è più colpita da tale distacco traumatico.
Piace la nuova , fragile e accorata Kidman e piace anche Eckhart che sotto la scorza da marine mostra di avere notevole padronanza scenica.
( VOTO : 7 / 10 )
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento