I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

venerdì 23 marzo 2012

Pontypool ( 2008 )


In generale credo che l'horror sia uno dei generi cinematografici che meno possano prescindere dall'impalcatura visiva per potere arrivare al loro scopo. Almeno questo mi pare che sia accaduto da molti anni a questa parte mentre credo che la mia affermazione sia più discutibile per quanto riguarda molti horror d'annata (penso a due film in particolare come Gli invasati di Wise o Il bacio della pantera di Tourneur che si basavano esclusivamente sulla suggestione evocata nello spettatore).E comunque  anche a quell'epoca abbondavano gli esempi di cinema horror che non poteva prescindere dal suo impatto visivo.
Il film di Bruce Mc Donald, girato con zero soldi e un bastimento carico di idee ritorna al concetto base dell'horror che suggestiona lo spettatore non con quello che si vede ma con quello che non si vede. 
O meglio lo suggestiona con il sonoro.
E'tutto ambientato all'interno di una stazione radio (tranne qualche scena in esterno a prima vista piuttosto ricostruita in studio) dove ci sono un dj piuttosto anarchico, la produttrice e proprietaria della radio e un'assistente di studio. E da fuori cominciano a venire riportate notizie su folle di assaanati che hanno assaltato vari edifici a Pontypool. Sono come zombi, sono contagiati da qualcosa, ma da che cosa?
Sono contagiati da un virus contenuto nel linguaggio.Questa la risposta e la spiegazione portata da un dottore che ha riparato alla radio per scappare dagli zombi. Il film lascia le efferatezze fuori campo in maniera originale:l'orrore scaturisce da effetti sonori, dalle voci concitate che si sentono al telefono, da quello che viene descritto da un reporter inviato dalla radio sul posto, da quello che dice un poliziotto intervistato dal dj della radio, dalle teorie e da quello che ha visto il dottore che si è trovato nel bel mezzo della sollevazione di questi esseri contagiati.
La parola è un virus: meglio il silenzio, meglio parlare in un'altra lingua, meglio non comunicare affatto. La tensione si affetta con il coltello fin quasi alla fine quando si avverte la necessità ,sulla scorta di quello affermato dal dottore,di spiegare un pò tutto e di trovare un rimedio.Ecco forse qui il film di McDonad fa i conti con il suo misero budget perchè comunque non riesce a trovare una soluzione soddisfacente o perlomento una chiusura adeguata.

 Si resta nella radio, si guarisce,guariscono gli altri mentre alla radio si continuano a sentire le voci che spiegano come sta evolvendo la situazione. Viene disattesa quindi una delle caratteristiche che regalano fascino all'horror: non è necessario vedere il "mostro", non si avverte la necessità di avere troppe spiegazioni che rimettano tutte le tessere del mosaico logico al loro posto.
E'meglio quel pizzico di indeterminazione o addirittura meglio l'apocalisse evocata in molti film di Romero.
Pontypool è comunque un film originale,un horror politico da camera che non è il solito caso internautico creato sul nulla,una pellicola che parla del linguaggio ( un qualcosa perfezionato solo dall'animale uomo)  come di una malattia contagiosa  che si muove tra il primo Carpenter e Romero, una deliziosa variazione sul tema degli zombi (o degli invasati in genere) arricchito dalla presenza in carne e soprattutto voce di un grande attore come Stephen McHattie: la sua voce carica di un milione di sigarette e di chissà quante bottiglie di whisky è qualcosa di indescrivibile:mette i brividi solo a sentirla.Diversi da quelli che poi fa venire il film....

( VOTO : 7,5 / 10 )  Pontypool (2008) on IMDb

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