Città di Terminus. Mya e Ben stanno facendo l'amore. Ha tutto un'aria un po' clandestina, frettolosa. Mya guarda l'orologio impaziente, si accorge che è mezzanotte e dice a Ben che deve tornare a casa, dal marito. Il cellulare non ha campo e fa uno strano rumore di radiazione elettromagnetica, la stessa che fa comparire strane figure sul televisore.
Mya torna a casa e i disturbi al cellulare e al televisore ci sono anche lì. Il marito che stava cercando di vedere una partita di baseball con due suoi amici la sottopone a un'interrogatorio da brigata criminale a cui lei risponde con sufficiente disinvoltura. Ma lui è nervoso e alla prima scusa scatta picchiando a morte uno dei suoi amici e lottando con l'altro che cerca di bloccarlo. Mya fugge nel corridoio del suo palazzo ma sembrano impazziti tutti, sfugge alla morte e parte con la macchina per incontrarsi col suo Ben al binario 13 della stazione di Terminus per prendere un treno diretto chissaddove.
Questo succede nel primo quarto d'ora di film, quindi nessuna paura di spoileramento selvaggio.
Devo ammettere di essere stato attratto da The Signal dopo aver letto la modalità particolare con cui è stato realizzato.Tre episodi realizzati da tre registi diversi ma strettamente legati tra loro nel raccontare una stessa storia da prospettive diverse, ognuno col proprio stile e con la propria sensibilità. E i protagonisti del singolo episodio tornano anche negli altri .
Si passa da un segmento all'altro semplicemente seguendo gli incontri di Mya, del marito (villain psicopatico) e di Ben.
Complessivamente si può dire che The Signal parte da uno spunto che deve molto al Kiyoshi Kurosawa di Kairo ( Pulse, il modem di un computer che manda strani segnali e l'apocalisse che viene silenziosa inghiottendo tutto ) e di Kyua ( The Cure, persone che impazziscono improvvisamente e diventano maniaci assassini) come sicuramente al Romero di The Crazies ( La città verrà distrutta all'alba).
Il tutto condito da scenari postapocalittici urbani.
Il budget estremamente limitato non ha permesso grossi voli pindarici ( si parla di 50 mila dollari, spesi presumo in massima parte per le secchiate di sangue finto che affrescano diverse pareti lungo tutto il film) e quindi le riprese in esterna cercano di nascondere più che mostrare dando al tutto un tono assolutamente intimista pur nella sua universalità: il mondo è impazzito eppure quella che vediamo sullo schermo è l'apocalisse privata di un gruppetto esiguo di personaggi.
Andando ad esaminare più nel dettaglio i vari episodi possiamo dire che il primo ( diretto da David Bruckner) è quello più classicamente horror: introduce la pazzia contagiosa di questo spicchio di umanità, la violenza è drammaticamente esibita, l'atmosfera è soffocante sia negli interni squallidi che negli esterni di una città praticamente deserta. L'unica via è la fuga.
Pur piacevole questo primo segmento è abbastanza ordinario ( voto : 6 ,5 / 10 ).
Il secondo episodio ( diretto da Jacob Gentry ) è una vera e propria sorpresa: cambiano i personaggi , muta l'ambientazione che è in una villetta nei sobborghi di Terminus, cambia soprattutto il tono che dall'horror classico si sposta verso la sua parodia arricchita con generose dosi di black comedy, ma non la violenza da esibire e lo splatter copioso con cui colorare pareti e personaggi.
Assistiamo a un violento gioco al massacro ambientato tutto in una stanza con cambiamenti continui di prospettiva. Violento di una violenza estremamente stilizzata ma anche ferocemente sarcastico ( voto 7, 5 / 10 ).
Il terzo episodio ( diretto da Dan Bush ) invece imbocca con qualche esitazione la via dell'onirico e del surreale abbandonando quasi del tutto lo splatter dei primi due segmenti.
In un horror come questo la chiusura è sempre difficile e anche qui c'è qualche problemino ma non crolla miseramente il castello di carte costruito precedentemente come succede in molti altri esponenti del genere.
Pur essendo meno efficace degli altri due episodi non è malvagio nel suo tentativo di chiudere nel migliore dei modi tutto quello che è accaduto prima. E poi il finale in fuga ha sempre racchiusa in sè un'aura romantica ( voto : 6 / 10 ).
Il messaggio che si legge in filigrana, non nuovo ma sempre di un certo peso è che la tecnologia uccide.
Un'ultima notazione curiosa: l'attore che interpreta Ben , Justin Welborn, ha una somiglianza inquietante con Gigi D'Alessio.
E' forse questo il particolare più horror di tutto il film.
( VOTO : 6,5 / 10 )
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