Varie vicende che sembrano non avere nulla a che fare tra di loro in realtà fanno parte di un disegno che le vede fatalmente convergere all'interno di una banca due giorni prima di Natale. Un giovane entra e fa fuoco. Il tutto intervallato da notiziari della televisione austriaca che in modo assolutamente neutro snocciolano news una dietro l'altra.
Frammenti. Solitudine mascherata. Puzzles esistenziali. Tessere di un mosaico che magicamente trovano il loro posto giusto all'interno di un disegno più articolato. Un giochino al computer in cui basta ricomporre una croce. O una partita a Shanghai inquadrata dall'alto per far vedere le mani che tolgono un bastoncino dietro l'altro.
Nel terzo capitolo della cosiddetta trilogia della glaciazione Haneke agisce di sottrazione prosciugando il film di qualsiasi tipo di emozione anche più di quanto abbia fatto nei due film precedenti. Con uno stile di assoluto rigore. Il linguaggio cinematografico è volutamente scarno, la cinepresa come sempre è ferma, la quotidianità è colta attimo per attimo, anche il più insignificante come può essere quello del risveglio, un allenamento a ping pong o una lunga telefonata. Non più la sola violenza al centro del suo mondo, non più la sola feroce critica all'ipocrisia borghese ma una disamina fredda della penetrazione dei media nella vita quotidiana .
I 71 frammenti di vite disparate in un inverno viennese sono intervallati non a caso da lunghi brani di telegiornale che sembrano scandire il tempo di esistenze che hanno l'aria di non avere un proprio ritmo: il bambino immigrato clandestino vive di piccoli espedienti, il signore anziano che ha problemi con la figlia, la coppia alla disperata ricerca di un figlio a cui donare il proprio affetto, il poliziotto impegnato nella sua mesta ruotine quotidiana, lo studentello apatico, a prima vista poco occupato dai suoi studi.
I frammenti sono 71 come dice il titolo, 71 scene intervallate da dissolvenze in nero che portano tutte a un finale tragico e inaspettato.
Ma anche in questo caso la scelta di Haneke è radicale: la sua telecamera inquadra altro, si sente solo il rumore degli spari. E la notizia sarà data velocemente in mezzo al telegiornale, tra altre magari anche perdibili. Quello di Haneke è un film che sembra procedere a cerchi concentrici restringendo sempre più il suo campo fino a convergere nel finale in cui la suggestione è l'unica concessione che viene fatta allo spettatore.
I vari spezzoni di telegiornali che vediamo parlano di atti violenti e ingiustificati oltre a cose molto meno significative.
Questo a voler dire che comunque la violenza non ha nessun tipo di giustificazione ma comunque trova sempre posto all'interno della società moderna.
Una società decisamente videocratica.
Tra quelli di Haneke forse questo è il film più ostico e respingente , ma è una chiusura degnissima della trilogia della glaciazione.
( VOTO : 7,5 / 10 )
mi sa troppo di glaciale :)
RispondiEliminaustionante da quanto è glaciale!:)
RispondiEliminaMa come fai ad avere il tempo per visionare e scrivere tanto e contemporaneamente fare il veterinario? Ti invidio, perdiana. :)
RispondiEliminaP.S. Sono riuscito a togliere il captcha seguendo i tuoi protocolli. Grazie!
Grande! togliere il captcha è una grande vittoria! Come faccio a fare tutto? Beh il mio lavoro mi lascia un po' di tempo libero, mi sveglio presto la mattina e ci metto veramente poco a scrivere i miei sproloqui che sono scritti tutti di pancia e niente di testa...
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