Con questo post su uno dei suoi film più celebri parte un mio modesto omaggio alla figura di Claude Miller, grandissimo regista francese che ha percorso trasversalmente molti generi cinematografici dimostrando sempre la sua grandezza. Dalla nouvelle vague al polar passando per i racconti di formazione tanto cari a Truffaut giusto per fare un esempio della sua poliedricità .
Guardato a vista è il suo terzo film , quello che lo ha fatto arrivare al successo e conoscere al pubblico internazionale.
Signori , giù il cappello che qui ci troviamo di fronte a del grandissimo cinema.
E non lo dico solo per la faccia percorsa da rughe profonde come canyons di Lino Ventura che da par suo disegna magistralmente la figura del commissario Gallien deciso a far rispettare la legge. E neanche per come questo film mette in evidenza la grandezza di Michel Serrault che i più in Italia conosceranno solo per la caratterizzazione farsesca dell'omosessuale Albin nella saga de Il vizietto. Qui è nella parte del notaio Martinaud, sospettato di pedofilia e dell'omicidio con violenza sessuale di due bambine. E neppure per la breve ma incisiva apparizione della divina Romy Schneider. Tre attori che amo follemente riuniti in un unico film non bastano a farmi dire che è un capolavoro.
Guardato a vista è un manuale di regia ad opera di Claude Miller, grandissimo cineasta celebrato troppo tardi (dopo la sua morte) quest'anno a Cannes dove è stato presentato il suo ultimo film.
Un continuo confronto in cui, anche se si è quasi sempre rinchiusi nelle anguste mura del commissariato, la regia sembra annullare l'esiguità dello spazio con poche ma incisive sottolineature ai dialoghi.
Da più parti viene indicato come un polar: in realtà è una descrizione impietosa di quella ragnatela di bugie e sottintesi che anima la vita ipocrita e di facciata della provincia francese( alla Chabrol), inoltre è la celebrazione della morte di un matrimonio, l'autopsia di un rapporto coniugale che avrà conseguenze terribili.
Il finale arriva improvviso come una rasoiata , un colpo di bisturi secco e mortale che spazza via con una sola scena tutte le certezze faticosamente costruite negli 80 minuti precedenti.
Quell'urlo disperato risuona nella testa dello spettatore anche ben oltre i titoli di coda.
Il film di Claude Miller è un kammerspiel votato al massacro reciproco tra i due protagonisti in cui il terzo (incomodo) non sta solo a guardare ma ha un ruolo decisamente attivo nella guerra di trincea scoppiata tra il commissario e il notaio.
E qui entra in campo la diversità di Ventura e di Serrault nel colorare i rispettivi personaggi: il primo che recita nella parte del commissario Gallien, è il monolite, incrollabile nelle sue certezze, stanco di essere la vittima sacrificale di una routine che gli impedisce di festeggiare come dovrebbe la notte dell'ultimo dell'anno.
Invece è rinchiuso nel suo commissariato a torchiare un sospetto pedofilo.
Che non è uno qualunque, ma una delle persone più in vista del paese. Il notaio Martinaud. Michel Serrault con la sua incommensurabile tecnica dà vita a un personaggio memorabile, umorale, un uomo che nell'atto di negare ogni addebito si ritrova a pensare a quanto misera è la sua vita matrimoniale, dilaniata dalle incomprensioni e dalle distanze rappresentate idealmente da quel corridoio di quindici metri che divide la sua stanza da quella della moglie.
E' lo scontro di due personalità spiccate, di due diversi modi di intendere la professione dell'attore.
L'incontro/scontro tra Ventura e Serrault è assecondato dalla regia di precisione cronometrica di Miller che , aiutato dai notevoli dialoghi di Michel Audiard ( padre di Jacques ), riesce a creare un emozionante thriller da camera che cresce impetuosamente col passare dei minuti. Impossibile staccare gli occhi dallo schermo, impossibile distrarsi.
Decisamente innovativo nel suo essere un thriller più legato alle parole che all'azione ha avuto un remake USA nettamente inferiore nel 2000 (Under suspicion) .
Una pura formalità di Tornatore ricorda molto nell'impianto narrativo questo film ma sceglie di utilizzare simbologie e ha un finale esistenzialista trascendente di cui non si trova traccia nel cinico pragmatismo della pellicola francese.
Vincitore di 4 premi Cesar , Guardato a vista ( che non è la traduzione letterale del titolo Garde à Vue che in francese indica il fermo di polizia) è un film che non sembra invecchiato di un attimo.
Decisamente da vedere.
( VOTO 9 / 10 )
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