I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

venerdì 24 ottobre 2014

Il giovane favoloso ( 2014 )

Tempo di novità grosse qui a Le maratone di un bradipo cinefilo: per la prima volta in mille e passa posts, ho deciso di lasciare l'onere della scrittura a due persone a me molto care che non lo avevano mai fatto prima, Anna Maria e Giulia a cui ho chiesto di vedere , per me , l'ultimo film di Martone.
Mi interessava parecchio il loro punto di vista perché Anna Maria è una professoressa di storia e letteratura che Leopardi lo insegna per professione ( e qui ci dona quella che è vera passione , perchè , conoscendola bene, so quanto adori Leopardi), mentre Giulia, studentessa universitaria , Leopardi l'ha studiato da poco e a sentire lei con molto gradimento.
Assieme hanno scritto questa recensione a quattro mani, molto bella a parer mio e non perché voglio tirare acqua al mio mulino o per piaggeria nei loro confronti,  ci hanno regalato una chiave di lettura del film che io personalmente non avrei potuto dare dal basso dei miei studi lontani dall'ambito letterario.
Il mio ringraziamento più sincero va quindi ad Anna Maria e a Giulia per la loro recensione di oggi, la prima che abbiano mai scritto.
E spero che anche in futuro vogliano rimettersi in gioco per parlare di altri film in questa maniera illuminata.
Anzi , e qui faccio come il mio amico Giuseppe de IL BUIO IN SALA, chi fosse interessato a scrivere delle recensioni per il blog, come ospite , può contattarmi alla mia mail (landru@live.it), chissà che escano cose molto belle come quella di oggi.
Altra piccola considerazione personale: sono molto critico col cinema italiano che ultimamente sembra interessato solo a commedie di facile consumo e si segnala per il poco coraggio nel proporre qualcosa di alternativo.
Mi fa piacere che un autore come Martone riesca a trovare i finanziamenti per proporre un film ricco ma non sfarzoso come questo e soprattutto ottenga un successo di pubblico insperato alla vigilia, un successo che è valso il secondo posto assoluto al box office italiano a pochissima distanza dalla solita commedia alimentare ma con una media sala nettamente superiore.
E in questa seconda settimana sono aumentate anche le copie a disposizione: evidentemente il passaparola sta facendo il suo dovere.


Giacomo Leopardi è un bambino di rara intelligenza che cresce nella casa natia di Recanati chiuso il più delle volte in biblioteca a leggere di tutto sotto l'occhio severo del padre Monaldo, nobile conservatore ed autoritario e della madre Adelaide che mal sopporta le ristrettezze economiche e l'ambiente provinciale in cui sono immersi.
La stessa cosa che succede al giovane Giacomo che si sente prigioniero in quel mondo e tiene una fitta corrispondenza con i suoi amici letterati.
A 24 anni finalmente riesce a lasciare Recanati: a Firenze conosce quello che sarà il suo miglior amico di sempre, Antonio Ranieri, si innamorerà , non ricambiato di Fanny Torgioni Tozzetti.
Sarà costretto a trasferirsi per ristrettezze economiche prima a Roma e poi a Napoli.
La sua salute cagionevole è minata definitivamente: in una villa alle pendici del Vesuvio, dopo un'eruzione, Giacomo, sul letto di morte, troverà l'ispirazione per scrivere La Ginestra.

Il giovane favoloso riesce a cogliere con estrema umiltà quella che, probabilmente, fu la vita dei uno dei poeti più amati della nostra letteratura, e, allo stesso tempo, sa mettere in luce le note più profonde del suo animo, un animo tanto grande quanto inquieto, lui stesso si dichiara “infelicissimo” e lo grida a gran voce agli intellettuali che gli rimproverano di essere un eterno” pessimista”. 

Cosa sono in fondo il pessimismo, o l'ottimismo? Solo parole vuote......per Leopardi l'unica verità è nel dubbio. 
Elio Germano dà un'ulteriore prova del suo grandissimo talento, è diventato Giacomo Leopardi, si è talmente calato nel personaggio da assumerne le caratteristiche fisiche ed emotive, da oggi in poi quando leggeremo i versi del poeta, quando cercheremo di immaginarlo, vedremo il suo volto.
La ricostruzione storica è di certo stata favorita dalla possibilità che il regista ha avuto di sistemare le macchine da presa nella biblioteca di casa Leopardi, riportando alla vita i polverosi volumi sui quali si consumò lo “studio matto e disperatissimo” del poeta recanatense. Splendida la colonna sonora, e coraggiosa, di sicuro uno dei punti di forza del film, fatta eccezione per il pezzo che sottolinea il dolore di Leopardi quando vede infrangersi ogni speranza di essere corrisposto dall'affascinante Fanny, perché stridente è il contrasto con il contesto della storia, sembra quasi che Martone qui abbia osato troppo.
Di questo film ci resterà soprattutto una scena: l'abbraccio struggente con cui il giovane Leopardi accoglie Pietro Giordani nella sua Recanati. 
In quell'abbraccio c'è tutto: la sofferenza fisica per una malattia che, inesorabile, minava il suo corpo, il desiderio di fuggire via dal natìo borgo selvaggio”, la profonda empatia che lo accomunava all'amico, conosciuto profondamente attraverso una fitta corrispondenza... Pietro è (o sembra essere) il padre che Giacomo avrebbe voluto. 

Lo ritroveremo a Firenze dove si consumerà l'amore non corrisposto per la bella e, quasi “figlia dei fiori”, Fanny Targioni Tozzetti. Quello con il Giordani non è l'unico abbraccio, vi è quello con la sorella Paolina quando si salutano prima della partenza clandestina per Roma e l'altro con il suo amico fraterno Ranieri.....un modo per il regista di sottolineare il rapporto del “giovane favoloso” con le persone, senza distinzioni.
Leopardi si intrattiene con gli intellettuali fiorentini allo stesso modo in cui conversa nei bassi napoletani con i più umili tra gli umili.
Certo, chi si aspetta di ritrovare nel film il precursore del pensiero del '900, resterà deluso, non perché questa dimensione manchi, ma perché Martone ha privilegiato l'aspetto emotivo, affettivo della vita di Leopardi.
Un Leopardi “eterno fanciullo”, goloso di dolci e gelati, quasi a voler sostituire quell'affetto che la madre Adelaide (fredda, distante, simbolo della Natura matrigna del pessimismo cosmico leopardiano, rappresentata da un' immensa statua di argilla, memoria del “Dialogo della Natura e di un islandese”) e il padre Monaldo ( morbosamente legato al figlio, così come ostinatamente attaccato ad un secolo spazzato via dalla Rivoluzione Francese) gli avevano negato. Meno convincente la figura di Antonio Ranieri, impersonato da Michele Riondino, anche se il regista è stato bravo nel rendere l'ambiguità del rapporto che lo legava al poeta. Il giovane favoloso è un film da vedere assolutamente, magari sgombrando la mente dai ricordi scolastici, di certo non vi è alcun tentativo di compiacere il pubblico, né tanto meno di giudicare o beatificare la figura di Giacomo Leopardi: un uomo che ha lasciato, attraverso i suoi pensieri, le sue emozioni, i suoi turbamenti, le sue paure, un grande segno nella storia della letteratura italiana e non solo.

( VOTO : 8 / 10 )  

Il giovane favoloso (2014) on IMDb

16 commenti:

  1. Hai acceso la mia curiosità. Di questa pellicola sapevo veramente poco. È il caso di vederla direi...

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    1. Anna Maria e Giulia l'hanno accesa anche in me ....

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  2. bradipo, ma almeno le hai pagate per fare il lavoro al posto tuo? ;)

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    1. ah ah ah , non che non le ho pagate...o meglio le ho pagate con la mia estrema gratitudine....

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  3. Pare interessante. A questo punto tenterò una visione, chissà che non possa risollevare un pò i destini del Cinema italiano che quest'anno mi è parso davvero messo maluccio.

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  4. Anch'io sottolineo in particolar modo la colonna sonora, davvero notevole e coraggiosa: l'ha composta un rapper tedesco, Sascha Ring, bravissimo nel miscelare al punto giusto arie classiche e composizioni sperimentali. Per il resto, direi un ottimo film (pur se un gradino sotto il precedente 'Noi Credevamo'), con Germano mattatore assoluto.

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    1. ho letto da molte parti della colonna sonora, vuol dire che quando vedrà il film ci porrò attenzione particolare...

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  5. Anche a me piaciuto moltissimo, Elio Germano straordinario, commovente sin dai primi minuti, per certi versi "soffocante" nelle difficoltà in cui era ingabbiato il corpo di Leopardi. Ecco, un po' troppo teatrale nella prima parte, però grandi momenti e grande cinema.

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    1. Martone è regista teatrale e credo che si vedrà anche qui, Germano al momento non ha rivali in Italia...

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  6. Allora se sono due donne così coinvolte nella materia mi fido :)

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    1. si, il punto di vista è squisitamente femminile...

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  7. Per una manciatina di arrosticini in endecasillabi te la scrivo anch'io qualche rece.. non di horror però (perlomeno non quelli dichiarati a priori, solo degli "horror" che trovo a sorpresa in sala.. ahah..)

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    1. ah ah ah e ti accontenti di poco....pagamento però posticipato ...quando mi vieni a trovare...

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  8. L’estenuante visione del film, accidenti, ha confermato i pregiudizi che mi aveva suscitato il trailer in cui mi era capitato di intravedere Elio Germano arrancare rasentando antichi muri, piegato in due e insaccato nelle sue braghette lucide,…

    Nella prima parte (quella carceraria ma idilliaca) mi sono sorbito, con crescente irritazione, una carrellata confusa infarcita dei più triti luoghi comuni della biografia del poeta: il padre scorbutico, la madre arida d’affetti (O natura, o natura,…), il fratello ombra e la sorella trepidante, la procace ma cagionevole dirimpettaia Silvia, all’opre intenta; e lo studio matto e disperatissimo nella biblioteca, il greco tradotto all’impronta, il tavolinuccio accostato alla finestra aperta nelle notti di luna e la corrispondenza quasi amorosa con Giordani, cara e buona immagine paterna; e l’infelicità variamente declinata, il sarcasmo iroso, il pessimismo cosmico e le derivazioni metafisiche e non fisiche dell’infelicità, l’insofferenza per il natio borgo selvaggio e lo smarrimento nella città, con la lucida consapevolezza di essere estraneo dovunque.
    Non ci è nemmeno stata risparmiata la gallina sulla via, quella che ripete il suo verso nella quiete dopo la tempesta.
    E quando ho visto il povero gobbo infrattarsi nella boschetta intricata in cerca di un invalicabile cespuglio che fungesse da siepe (quella che dall’ultimo orizzonte il guardo esclude), ed ho intuito che ci si apprestava a declamare L’infinito, mi ha sopraffatto l’insofferenza (parzialmente smorzata – ad essere sincero – dallo struggente incanto del carme, ben detto da Elio Germano e ben fotografato da Martone che per fortuna ha tenuto la macchina ferma sul primo piano dell’attore e ci ha risparmiato la carrellata didascalica su gli interminati spazi).

    La seconda parte poi (quella della libertà) mi è parsa ancora più indisponente e confusa: lì si assiste frastornati all’affastellarsi di viaggi e amori non corrisposti (per la seducente fiorentina Fanny Ronchivecchi Targioni Tozzetti ma forse anche per il troppo avvenente amico Ranieri); ad attese in anticamere vaticane (con lo zio bigotto); a comparsate imbarazzanti in salotti brulicanti di dame, curiose verso il malformato genio e in Gabinetti affollati da scrittori livorosi.

    Nella terza parte (quella disperata) si ha un’impennata teatrale e visionaria e non ci viene risparmiato nulla: il degradante alloggiare in una fredda stamberga, come la Mimì della Bohème; le soste in incongrue taverne napoletane per sfogar la fame di vita divorando gelati; e poi ancora l’incontro allucinato con una convitata di fango che si sfarina in sabbia; un’inverosimile eruzione vulcanica; lo sfacelo del colera che imperversa; una terrificante discesa all’inferno – presagio funebre – in un felliniano postribolo sotterraneo simile all’antro fumoso della sibilla.
    Il film con le sue esasperanti contorsioni sembra non finire mai. Procede a balzi e intoppi, accelera, singhiozza, rallenta, scarta, si attorciglia. E quando arriva la conclusione, il botto finale è dato dall’indigeribile lettura della potente ma contortissima Ginestra.

    Elio Germano sguazza nella sua parte come un dustinhoffman de noantri, pensando al prossimo trofeo; riesce però a rendere con una certa efficacia l’acido sarcasmo che divorava il povero Leopardi (da non confondere con il pessimismo citato in tutti i bigini). Martone dimostra di aver studiato molto ma gigioneggia di riflesso, pensando forse ai passaggi televisivi o al bookshop della Casa Leopardi (che dall’1 ottobre, guarda caso, aumenta le tariffe del 30%). Le musiche giocano di contropiede e scompigliano le carte accostando elettronica e Rossini.
    La sala era piena di studenti, a sacrificare una sera per qualche credito in più.

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