Caleb è un giovane programmatore che lavora per la ditta informatica più grande del mondo e vince la permanenza di una settimana presso la magione del mitologico capo della sua ditta, Nathan, un tipo che si barcamena tra la filosofia zen e solenni ubriacature.
Caleb scopre che è stato selezionato da Nathan per testare il suo nuovo progetto, quello di un robot umanoide con un'elevata intelligenza artificiale di nome Ava.
Caleb ha numerosi colloqui con Ava e lei lo rende edotto di rivelazioni piuttosto inquietanti a cui si aggiungono i silenzi e le omissioni di Nathan, le telecamere che li riprendono 24 ore su 24 e le numerose stanze della casa in cui è interdetto l'accesso al giovane programmatore.
L'atmosfera si fa tesa e inquietante , è evidente che Ava vuole ribellarsi al suo creatore, suo padre e padrone...
Divido empiricamente la sci fi al cinema in fantascienza fatta con soldi ed effetti speciali da una parte e quella fatta con tanto sale in zucca, idee vincenti e poco budget dall'altra.
Sempre empiricamente ( perché naturalmente ci sono le eccezioni) la prima di solito viene "fabbricata " ad Hollywood, l'altra invece nella restante parte del globo terracqueo, quella parte di pianeta che non è baciata dagli investimenti milionari degli studios.
E' con estremo piacere unito ad una buona dose di malsana curiosità che quindi accolgo prodotti sci fi che non vengono da Hollywood.
E' il caso di questo Ex Machina debutto alla regia di Alex Garland che lo ha anche scritto. , sceneggiatore di razza già visto all'opera in film molto interessanti come Sunshine, 28 giorni dopo e il super cult Non lasciarmi.
Insomma un pedigree artistico di tutto rispetto che cattura subito la mia attenzione e aumenta le aspettative.
Come descrivere Ex Machina?
Per definirlo in due parole potrei dire che si tratta di un Frankenstein post moderno.
Abbiamo lo scienziato pazzo che gioca con l'origine della vita, con circuiti elettrici chiusi che vengono percorsi da quel fremito, da qull'energia primordiale che si trasforma quasi per incanto in afflato vitale, c'è un giovane ingenuo ma neanche tanto che si trova in mezzo tra il creatore e la sua creatura,e c'è Ava , il robot, l'umanoide con i circuiti a vista , che rivela segreti inconfessabili a Caleb, confondendolo ulteriormente.
Il tutto incastonato in un'atmosfera stile Grande Fratello con telecamere infingarde che riprendono tutto, ma proprio tutto e da varie angolazioni.
Fino a pochi minuti dalla fine, Ex Machina è una guerra di posizione in trincea, combattuta con le parole in cui la tecnologia pare l'unico verbo attendibile mentre la percezione è la più ingannevole delle cose .
La tematica del creatore che si crede il Dio della situazione è lì in bella vista ,così come quella della creatura autonoma , talmente emancipata che cerca di ribellarsi al suo creatore in barba a tutte le leggi asimoviane.
Un robot che diventa un replicante, consapevole di esserlo e che si gioca tutte le sue carte per ottenere quel vivere che Nathan gli negherebbe.
E che arriva a fare di tutto per cercare di vivere una sua vita.
Se tante volte il cinema racconta l'insopprimibile male di vivere, stavolta Garland, come era successo anche in Non lasciarmi, narra della volontà di respirare quel soffio vitale fino in fondo, di quella linea sempre più sottile tra vita biologica e vita artificiale.
E lo fa benissimo con un film intenso e rarefatto allo stesso tempo, capace di prendersi tutto il suo tempo senza isterie e accelerazioni da blockbuster, forte di un'intelaiatura visiva di grande impatto, sia per quanto riguarda gli esterni ( rari) in locations dove la natura selvaggia è padrona assoluta della scena, sia per gli interni di una casa dall'architettura modernissima e dall'arredamento minimal che aggiunge angoscia al vago senso di inquietudine che accompagna Caleb fin dall'inizio.
Angoscia che ha la sua ragione di esistere e che deflagrerà in un finale bello e terribile.
PERCHE' SI : produzione inglese con budget modesto rispetto agli standard hollywoodiani ( 15 milioni di euro) ma di grande livello visivo e sostanziale, fantascienza umanista e intelligente che snocciola intelligenza invece di effetti speciali.
PERCHE' NO : astenersi blockbustivori hollywoodiani, molti dialoghi e un ritmo piuttosto compassato.
LA SEQUENZA : Ava si "veste " da umana.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Nella vecchia Europa c'è sempre spazio per gioiellini come questo.
Domnhall Gleeson è sempre meno figlio di papà e sempre più attore convincente.
Alicia Vikander e Sonoya Mizuno sono due bellezze .
Ci sarà sempre spazio nel mio cuore per film come questo.
( VOTO : 7,5 / 10 )
I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.
venerdì 31 luglio 2015
giovedì 30 luglio 2015
Giovani si diventa ( 2014 )
Josh e Cornelia, lui documentarista alle prese con un documentario che forse non vedrà mai la luce, lei produttrice e figlia di un documentarista, sono una coppia newyorkese apparentemente felice che si sta avvicinando a grandi passi alla mezza età . E alla crisi in essa contenuta.
Tutto esplode quando incontrano una coppia più giovane di loro, quella formata da Jamie e Darby, anche lui realizza documentari, in cui sembrano specchiarsi rivedendo i loro stessi di una ventina di anni prima.
L'incontro all'inizio è una specie di shock elettrico positivo ma poi cominceranno a venire fuori i problemi.
Soprattutto perché sembra che Jamie e Darby non la stiano raccontando giusta.
Continuo a vedere imperterrito i film scritti e diretti da Noah Baumbach e a ogni pellicola che passa lo ritengo sempre più il più grande malinteso della scena cinematografica indie americana.
Ho apprezzato parecchio i suoi primi film , credo che Il calamaro e la balena sia il suo sforzo creativo più riuscito, ma poi , continuando a seguirne la carriera mi è sembrato che sia stato preso da una sindrome alleniana che si sta portando dietro da qualche film.
O forse anche cassevetesiana.
E come ho scritto a proposito di Frances Ha, film che ho trovato più furbetto che bello, accattivante ma non troppo sincero, prima di strillare al capolavoro occorre guardare questi film in prospettiva e la prospettiva, ossia il metro di giudizio è l'Allen di fine anni '70 e '80 e l'ultimo Cassevetes.
E , personalmente ritengo che utilizzando questo metro di giudizio il cinema di Baumbach ne esca fuori con le ossa rotte.
Baumbach continua a scrivere e dissertare su crisi e conflitti generazionali con una scrittura meticolosa, tutto orchestrato e studiato nei minimi termini, curandosi più del meccanismo del film che della sua eventuale rispondenza alla realtà.
Questa volta forse è un pochino più coinvolto perché in fondo racconta un personaggio, un fortysomething impegnato nel cinema che prima aiuta un giovane alle prime armi, poi lo combatte quando scopre di essere stato preso in giro, che un po' gli appartiene , almeno dal punto di vista anagrafico.
Il problema è che secondo me continua a perdersi in quisquilie e particolari irrilevanti ( il tentativo di imitazione che Jamie porta avanti sistematicamente e in maniera un po' troppo esibita, vedi il cappellino, che sembra sfuggire del tutto a Josh) più che portare avanti organicamente il suo discorso che alla fine riduce tutto a una fortissima rosicatura da parte di Josh nei confronti del collega più giovane, capace di filmare un documentario migliore del suo, anche se viene meno la totale aderenza al fatto reale.
Vogliamo ridurre la generazione di quasi cinquantenni a una manica di rosiconi , intellettualoidi da strapazzo e che girano documentari sull'economia turca che non verranno mai visti da nessuno?
Ecco , Baumbach lo fa , aggiungendo anche altre spezie , tipo la volontà di avere un figlio o il discorso della preoccupazione degli amici che vedono Josh e Cornelia cambiati in una qualche maniera.
Altro limite di un film che non annovererei tra i suoi migliori è anche quello di aver tralasciato i personaggi femminili, li ha messi in un angolino lasciandoli ad osservare il duello all'ultimo sangue tra Josh e Jamie, senza praticamente colpo ferire.
Anche in questo film si ha l'impressione di vedere un surrogato di Allen, diciamo Crimini e misfatti, che però è scolorito rispetto all'originale nonostante voglia essere a tutti i costi giovane e piacente.
Un po' come Josh e Cornelia.
Perchè giovani non si diventa, nemmeno se si prova a fingere.
PERCHE' SI : i dialoghi sono all'altezza, levigati fino allo sfinimento, all'inizio la storia impressiona favorevolmente, Stiller sembra molto coinvolto.
PERCHE' NO : Baumbach continua a sembrare un surrogato dell'Allen di fine anni '70, inizi anni '80, discorso generazionale come minimo superficiale, personaggi femminili lasciati troppo in disparte.
LA SEQUENZA : il duello finale , a tavola, tra Josh e Jamie. O meglio l'attacco di Josh a Jamie mentre si sta festeggiando un premio vinto del suocero di Josh.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Preferisco di gran lunga la scena indipendente europea a quella americana.
Pur essendo anagraficamente vicino a certi personaggi del film non mi sono rivisto per niente dentro di loro.
Baumbach è meglio dell'Allen bollito di oggi ( si abbia il coraggio di ammetterlo) ma molto peggio dell'Allen di ieri.
Come il piccolo newyorkese ha preso il ritmo di un film all'anno.Il prossimo esce tra qualche giorno negli USA e si chiama Mistress America , cosceneggiato con Greta Gerwig che vi recita anche.
( VOTO : 5,5 / 10)
Tutto esplode quando incontrano una coppia più giovane di loro, quella formata da Jamie e Darby, anche lui realizza documentari, in cui sembrano specchiarsi rivedendo i loro stessi di una ventina di anni prima.
L'incontro all'inizio è una specie di shock elettrico positivo ma poi cominceranno a venire fuori i problemi.
Soprattutto perché sembra che Jamie e Darby non la stiano raccontando giusta.
Continuo a vedere imperterrito i film scritti e diretti da Noah Baumbach e a ogni pellicola che passa lo ritengo sempre più il più grande malinteso della scena cinematografica indie americana.
Ho apprezzato parecchio i suoi primi film , credo che Il calamaro e la balena sia il suo sforzo creativo più riuscito, ma poi , continuando a seguirne la carriera mi è sembrato che sia stato preso da una sindrome alleniana che si sta portando dietro da qualche film.
O forse anche cassevetesiana.
E come ho scritto a proposito di Frances Ha, film che ho trovato più furbetto che bello, accattivante ma non troppo sincero, prima di strillare al capolavoro occorre guardare questi film in prospettiva e la prospettiva, ossia il metro di giudizio è l'Allen di fine anni '70 e '80 e l'ultimo Cassevetes.
E , personalmente ritengo che utilizzando questo metro di giudizio il cinema di Baumbach ne esca fuori con le ossa rotte.
Baumbach continua a scrivere e dissertare su crisi e conflitti generazionali con una scrittura meticolosa, tutto orchestrato e studiato nei minimi termini, curandosi più del meccanismo del film che della sua eventuale rispondenza alla realtà.
Questa volta forse è un pochino più coinvolto perché in fondo racconta un personaggio, un fortysomething impegnato nel cinema che prima aiuta un giovane alle prime armi, poi lo combatte quando scopre di essere stato preso in giro, che un po' gli appartiene , almeno dal punto di vista anagrafico.
Il problema è che secondo me continua a perdersi in quisquilie e particolari irrilevanti ( il tentativo di imitazione che Jamie porta avanti sistematicamente e in maniera un po' troppo esibita, vedi il cappellino, che sembra sfuggire del tutto a Josh) più che portare avanti organicamente il suo discorso che alla fine riduce tutto a una fortissima rosicatura da parte di Josh nei confronti del collega più giovane, capace di filmare un documentario migliore del suo, anche se viene meno la totale aderenza al fatto reale.
Vogliamo ridurre la generazione di quasi cinquantenni a una manica di rosiconi , intellettualoidi da strapazzo e che girano documentari sull'economia turca che non verranno mai visti da nessuno?
Ecco , Baumbach lo fa , aggiungendo anche altre spezie , tipo la volontà di avere un figlio o il discorso della preoccupazione degli amici che vedono Josh e Cornelia cambiati in una qualche maniera.
Altro limite di un film che non annovererei tra i suoi migliori è anche quello di aver tralasciato i personaggi femminili, li ha messi in un angolino lasciandoli ad osservare il duello all'ultimo sangue tra Josh e Jamie, senza praticamente colpo ferire.
Anche in questo film si ha l'impressione di vedere un surrogato di Allen, diciamo Crimini e misfatti, che però è scolorito rispetto all'originale nonostante voglia essere a tutti i costi giovane e piacente.
Un po' come Josh e Cornelia.
Perchè giovani non si diventa, nemmeno se si prova a fingere.
PERCHE' SI : i dialoghi sono all'altezza, levigati fino allo sfinimento, all'inizio la storia impressiona favorevolmente, Stiller sembra molto coinvolto.
PERCHE' NO : Baumbach continua a sembrare un surrogato dell'Allen di fine anni '70, inizi anni '80, discorso generazionale come minimo superficiale, personaggi femminili lasciati troppo in disparte.
LA SEQUENZA : il duello finale , a tavola, tra Josh e Jamie. O meglio l'attacco di Josh a Jamie mentre si sta festeggiando un premio vinto del suocero di Josh.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Preferisco di gran lunga la scena indipendente europea a quella americana.
Pur essendo anagraficamente vicino a certi personaggi del film non mi sono rivisto per niente dentro di loro.
Baumbach è meglio dell'Allen bollito di oggi ( si abbia il coraggio di ammetterlo) ma molto peggio dell'Allen di ieri.
Come il piccolo newyorkese ha preso il ritmo di un film all'anno.Il prossimo esce tra qualche giorno negli USA e si chiama Mistress America , cosceneggiato con Greta Gerwig che vi recita anche.
( VOTO : 5,5 / 10)
mercoledì 29 luglio 2015
The Reach - Caccia all'uomo ( 2014 )
Ben è una guida esperta di itinerari nel deserto del Mojave che , proprio il giorno tristissimo della partenza della sua amatissima fidanzata per l'università, viene ingaggiato dal ricco uomo d'affari Madec per una battuta di caccia al muflone.
Durante la "gita" però avviene un bruttissimo incidente, Madec uccide per sbaglio il vecchio Charlie, uno che in quel deserto ci viveva da parecchi anni.
E per paura di non chiudere un affare particolarmente importante cerca di incolpare Ben prima tentando di corromperlo, poi addirittura cercando di farlo fuori.
Anzi farà di più: continuerà la sua battuta di caccia e il bersaglio sarà proprio Ben.
Qualche tempo fa in una trasmissione di gossip, una manica di ignorantoni in campo cinematografico si è messa a disquisire su quali attori e attrici stavano invecchiando bene e quali invece stavano avvizzendo con l'età vittime dell'aggressività sempre più invadente della chirurgia plastica.
Non mi ricordo se stessero parlando anche di Michael Douglas ma a vedere questo film devo dire che è invecchiato proprio male: ora è rimasto tutta zazzera e dentiera, gli occhi sono nascosti , o meglio circondati da zampe di gallina che evidentemente nessun chirurgo è riuscito a stirare più di tanto e direi che le 70 primavere si vedono tutte, ma proprio tutte.
Con l'età mi sembra che sia venuto meno anche il discernimento di scegliersi film e ruoli, malattia che ha colpito inesorabilmente anche una leggenda come Robert De Niro, e quindi il nostro si presenta con un filmetto usa e getta, progetto a cui evidentemente teneva visto che lo ha anche prodotto in cui si presenta come una specie di Gordon Gekko in ferie.
E' un magnate della finanza al centro di affari poco chiari, ha quel modo di fare tipico di quelli che " io sono io e voi non siete un cazzo", si presenta con un fuoristrada Mercedes a 6 ruote che sembra lui il vero protagonista del film per come viene parcheggiato sempre al centro dell'inquadratura e su War Horse e che ora si presenta in questo film col suo bel corpicino senza neanche un pelo sopra , con la tartaruga sull' addome montata correttamente ( al contrario della nostra che è montata tristemente al contrario) e che ci manca solo che abbia la scritta Calvin Klein sulle mutande ,suo abbigliamento unico per la maggior parte del film.
crinali impossibili per le comuni autovetture ( e il sospetto che in realtà tutto il film sia uno spottone formato panoramico del suddetto mezzo di locomozione è ben fondato), ha un fucile austriaco di precisione che lo vedi giusto esposto nei musei, è attrezzato con il suo bel cocktail bar per non farsi mancare nulla, tipo un Martini con due olive dentro mentre è nel bel mezzo della caccia all'uomo che vede coinvolto Ben impersonato da tale Jeremy Irvine diventato famoso dopo il lacrimevole spielberghiano
Se volessimo andare a trovare sottotesti politici diremmo che è un film sulla lotta di classe portata nel deserto in cui sono protagonisti il padrone e l'operaio, quello che ha la ricchezza e quello che la fabbrica sulla propria pelle ma sono sicuro che non è questo l'intento del film.
Il regista Jean Baptiste Leonetti si ritrova spaesato a lavorare con due personaggi che incarnano perfettamente lo stereotipo del buono e del cattivo in un contesto ambientale bello e terribile come il deserto del Mojave.
Che , detto , tra noi sembra veramente un posto di merda dove ti bruci al sole dopo due ore e muori nella canicola tra le più atroci sofferenze se per caso ti avventuri come un turista fai-da-te-no-Alpitour-ahi-ahi-ahi-ahi.
Il nostro Irvine no, è un osso duro e sfugge al suo carnefice trovando sempre l'anfratto giusto, la buca , il rifugio di Charlie, insomma ha sempre una via d'uscita.
A tal punto che quasi ti sta sul cazzo quanto Douglas che lo sta inseguendo.
Insomma questo The Reach è un bel crocevia di suggestioni ( per non dire pasticciaccio brutto) in cui Wall Street incontra 127 ore e si trasforma nella riproposizione live action della lotta sempiterna tra Willy il Coyote e Roadrunner.
Con quel dannato struzzo che ce la fa sempre.
Ma un bel camion che lo fa a sottiletta no?
Ecco la stessa cosa che speri in questo film: che l'agonia sia breve, che Irvine passi a miglior vita soffrendo il meno possibile perché tanto sai che la sua sofferenza è anche la tua che stai al di qua dello schermo a vedere le sue disavventure.
Con questo caldo alla fine provi anche un certo senso d'immedesimazione.
Ma poi noi accendiamo i condizionatori.
Tiè.
PERCHE' SI : scenari naturali maestosi, belli e terribili, l'inizio in cui ancora non tutte le carte sono in tavola.
PERCHE' NO : Douglas fa il Gekko, Irvine fa il Roadrunner, lo spettatore fa l'annoiato.
LA SEQUENZA : la descrizione della morte della famigliola nel deserto.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
A una gita al Grand Canyon preferirò sempre una bella visita guidata a un castello sulla Loira.
Douglas ha una dentiera prepotente.
Irvine è incolore e insapore.
Che ci avrà visto Douglas in questa storia che gli ha fatto decidere di aprire il portafoglio per produrla?
( VOTO . 4 / 10 )
Durante la "gita" però avviene un bruttissimo incidente, Madec uccide per sbaglio il vecchio Charlie, uno che in quel deserto ci viveva da parecchi anni.
E per paura di non chiudere un affare particolarmente importante cerca di incolpare Ben prima tentando di corromperlo, poi addirittura cercando di farlo fuori.
Anzi farà di più: continuerà la sua battuta di caccia e il bersaglio sarà proprio Ben.
Qualche tempo fa in una trasmissione di gossip, una manica di ignorantoni in campo cinematografico si è messa a disquisire su quali attori e attrici stavano invecchiando bene e quali invece stavano avvizzendo con l'età vittime dell'aggressività sempre più invadente della chirurgia plastica.
Non mi ricordo se stessero parlando anche di Michael Douglas ma a vedere questo film devo dire che è invecchiato proprio male: ora è rimasto tutta zazzera e dentiera, gli occhi sono nascosti , o meglio circondati da zampe di gallina che evidentemente nessun chirurgo è riuscito a stirare più di tanto e direi che le 70 primavere si vedono tutte, ma proprio tutte.
Con l'età mi sembra che sia venuto meno anche il discernimento di scegliersi film e ruoli, malattia che ha colpito inesorabilmente anche una leggenda come Robert De Niro, e quindi il nostro si presenta con un filmetto usa e getta, progetto a cui evidentemente teneva visto che lo ha anche prodotto in cui si presenta come una specie di Gordon Gekko in ferie.
E' un magnate della finanza al centro di affari poco chiari, ha quel modo di fare tipico di quelli che " io sono io e voi non siete un cazzo", si presenta con un fuoristrada Mercedes a 6 ruote che sembra lui il vero protagonista del film per come viene parcheggiato sempre al centro dell'inquadratura e su War Horse e che ora si presenta in questo film col suo bel corpicino senza neanche un pelo sopra , con la tartaruga sull' addome montata correttamente ( al contrario della nostra che è montata tristemente al contrario) e che ci manca solo che abbia la scritta Calvin Klein sulle mutande ,suo abbigliamento unico per la maggior parte del film.
crinali impossibili per le comuni autovetture ( e il sospetto che in realtà tutto il film sia uno spottone formato panoramico del suddetto mezzo di locomozione è ben fondato), ha un fucile austriaco di precisione che lo vedi giusto esposto nei musei, è attrezzato con il suo bel cocktail bar per non farsi mancare nulla, tipo un Martini con due olive dentro mentre è nel bel mezzo della caccia all'uomo che vede coinvolto Ben impersonato da tale Jeremy Irvine diventato famoso dopo il lacrimevole spielberghiano
Se volessimo andare a trovare sottotesti politici diremmo che è un film sulla lotta di classe portata nel deserto in cui sono protagonisti il padrone e l'operaio, quello che ha la ricchezza e quello che la fabbrica sulla propria pelle ma sono sicuro che non è questo l'intento del film.
Il regista Jean Baptiste Leonetti si ritrova spaesato a lavorare con due personaggi che incarnano perfettamente lo stereotipo del buono e del cattivo in un contesto ambientale bello e terribile come il deserto del Mojave.
Che , detto , tra noi sembra veramente un posto di merda dove ti bruci al sole dopo due ore e muori nella canicola tra le più atroci sofferenze se per caso ti avventuri come un turista fai-da-te-no-Alpitour-ahi-ahi-ahi-ahi.
Il nostro Irvine no, è un osso duro e sfugge al suo carnefice trovando sempre l'anfratto giusto, la buca , il rifugio di Charlie, insomma ha sempre una via d'uscita.
A tal punto che quasi ti sta sul cazzo quanto Douglas che lo sta inseguendo.
Insomma questo The Reach è un bel crocevia di suggestioni ( per non dire pasticciaccio brutto) in cui Wall Street incontra 127 ore e si trasforma nella riproposizione live action della lotta sempiterna tra Willy il Coyote e Roadrunner.
Con quel dannato struzzo che ce la fa sempre.
Ma un bel camion che lo fa a sottiletta no?
Ecco la stessa cosa che speri in questo film: che l'agonia sia breve, che Irvine passi a miglior vita soffrendo il meno possibile perché tanto sai che la sua sofferenza è anche la tua che stai al di qua dello schermo a vedere le sue disavventure.
Con questo caldo alla fine provi anche un certo senso d'immedesimazione.
Ma poi noi accendiamo i condizionatori.
Tiè.
PERCHE' SI : scenari naturali maestosi, belli e terribili, l'inizio in cui ancora non tutte le carte sono in tavola.
PERCHE' NO : Douglas fa il Gekko, Irvine fa il Roadrunner, lo spettatore fa l'annoiato.
LA SEQUENZA : la descrizione della morte della famigliola nel deserto.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
A una gita al Grand Canyon preferirò sempre una bella visita guidata a un castello sulla Loira.
Douglas ha una dentiera prepotente.
Irvine è incolore e insapore.
Che ci avrà visto Douglas in questa storia che gli ha fatto decidere di aprire il portafoglio per produrla?
( VOTO . 4 / 10 )
martedì 28 luglio 2015
Sto tornando
La connessione finalmente è tornata.
Sembra in maniera stabile, dico così perché l'altro giorno era sparita pure la linea telefonica oltre alla connessione e dopo aver ripetuto tutta la manfrina di metti la spina, togli la spina, metti lo stuzzicadenti nel reset, toglilo, metti il modem in frigorifero, butta nel fiume la contessa Serpelloni Mazzanti vien dal Mare, togli i semini dal cocomero che potrebbero bloccare la linea, bevi tanta acqua e non metterti al sole, hanno ammesso che c'era un guasto.
Che ora è risolto.
Torno domani e mi fa veramente un grande piacere.
Il film non è un granché ma cercheremo di rendere la lettura interessante .
Promesso.
Sembra in maniera stabile, dico così perché l'altro giorno era sparita pure la linea telefonica oltre alla connessione e dopo aver ripetuto tutta la manfrina di metti la spina, togli la spina, metti lo stuzzicadenti nel reset, toglilo, metti il modem in frigorifero, butta nel fiume la contessa Serpelloni Mazzanti vien dal Mare, togli i semini dal cocomero che potrebbero bloccare la linea, bevi tanta acqua e non metterti al sole, hanno ammesso che c'era un guasto.
Che ora è risolto.
Torno domani e mi fa veramente un grande piacere.
Il film non è un granché ma cercheremo di rendere la lettura interessante .
Promesso.
mercoledì 22 luglio 2015
Cucù e la connessione non c'è più
Stamattina una triste sorpresa.
Quella che ieri sembrava una normale , temporanea mancanza di connessione a internet si è rivelato invece qualcosa di più serio.
Contatto il servizio clienti ( per non fare nomi ma solo cognomi SKY Fastweb) e dopo avere nell'ordine staccato e riattaccato la spina del modem, staccato e riattaccato il filtro della linea ADSL, essersi armati di stuzzicadenti e aver violato un forellino piccolo piccolo con su scritto reset, dopo aver chiesto alla solerte operatrice ( la quarta ) se per caso mi stesse facendo la supercazzola , abbiamo stabilito che serve l'omino Fastweb per verificare eventuali guasti.
E l'omino pare che non arrivi prima di almeno 72 ore.
Tre giorni.
Almeno , perché temo che saranno di più.
L'alternativa per me sarebbe di scrivere col computer dell'ambulatorio ma non mi pare gentile far aspettare i clienti in sala d'attesa perché io sto armeggiando col blogghe.
Per cui mi devo prendere una piccola pausa , sperando che sia il più breve possibile.
Intanto prometto di studiare, cioè di guardare film a manetta di cui vi parlerò.
Sempre se volete gradire.
Ah ,un'altra cosa sulla globalizzazione di cui parliamo tanto ma in realtà non sappiamo quasi nulla: stamani le solerti operatrici del servizio clienti di un'azienda italiana ( diciamo il ramo italiano di una multinazionale) mi hanno risposto da una ridente cittadina affacciata sulle rive del Mar Nero, in Romania.
Ecco perché non aveva capito il termine "supercazzola".
In Romania non si usa.
A presto.
Al più presto possibile che già mi prudono le manine...
Quella che ieri sembrava una normale , temporanea mancanza di connessione a internet si è rivelato invece qualcosa di più serio.
Contatto il servizio clienti ( per non fare nomi ma solo cognomi SKY Fastweb) e dopo avere nell'ordine staccato e riattaccato la spina del modem, staccato e riattaccato il filtro della linea ADSL, essersi armati di stuzzicadenti e aver violato un forellino piccolo piccolo con su scritto reset, dopo aver chiesto alla solerte operatrice ( la quarta ) se per caso mi stesse facendo la supercazzola , abbiamo stabilito che serve l'omino Fastweb per verificare eventuali guasti.
E l'omino pare che non arrivi prima di almeno 72 ore.
Tre giorni.
Almeno , perché temo che saranno di più.
L'alternativa per me sarebbe di scrivere col computer dell'ambulatorio ma non mi pare gentile far aspettare i clienti in sala d'attesa perché io sto armeggiando col blogghe.
Per cui mi devo prendere una piccola pausa , sperando che sia il più breve possibile.
Intanto prometto di studiare, cioè di guardare film a manetta di cui vi parlerò.
Sempre se volete gradire.
Ah ,un'altra cosa sulla globalizzazione di cui parliamo tanto ma in realtà non sappiamo quasi nulla: stamani le solerti operatrici del servizio clienti di un'azienda italiana ( diciamo il ramo italiano di una multinazionale) mi hanno risposto da una ridente cittadina affacciata sulle rive del Mar Nero, in Romania.
Ecco perché non aveva capito il termine "supercazzola".
In Romania non si usa.
A presto.
Al più presto possibile che già mi prudono le manine...
martedì 21 luglio 2015
Potiche ( 2010 )
Suzanne è la moglie borghese, annoiata e moderatamente depressa per il suo ruolo squisitamente ornamentale ( la potiche del titolo, statuetta di poco valore , utile al massimo come soprammobile) di un capitano d'industria che non fa della simpatia in famiglia e presso i suoi operai il suo cavallo di battaglia. Suzanne è costretta a scendere in campo quando durante uno sciopero il marito viene addirittura sequestrato dai suoi operai e lo libera grazie all'intervento di un operaio sindacalista , suo vecchio amante, Babin.
Il marito , colpito da infarto , è costretto a lasciare tutto nelle mani della moglie e lei si dimostra inaspettatamente all'altezza del compito.
Il problema ora è il suo rientro in azienda, Suzanne di certo non vuole lasciargli il passo...
Ma quante corna ornano il capo di Madama la marchesa (d'industria) Pujol?
Tante, si possono scorgere tra un bigodino e l'altro mentre lei va correndo per boschi con la sua bella tutina rossa vintage , come tutto il resto dell'accessoristica del film, ispirato al decor settantiano più colorato.
Eppure a lei sembra non importare....
Ma, diamine siamo negli anni '70 , epoca di ribellione ed emancipazione e vuoi che anche lei non sia percorsa da un fremito di femminismo?
Non ci vuole stare a essere la potiche della situazione, la bella statuina, il soprammobile di tanta apparenza e nulla sostanza, un pezzo d'arredamento destinato a diventare in pochi anni un articolo da rigattiere.
Potiche, ritorno di Ozon alle atmosfere dai colori saturi e brillanti che avevamo conosciuto nel brillante 8 donne e un mistero è un film incentrato totalmente sul suo meccanismo narrativo di cronometrica precisione.
Una vicenda narrata per piccoli passi, con colpi di scena che cambiano le carte in tavola e animata da fermenti vecchi e nuovi.
Tutti vogliono evitare di essere la potiche della situazione.
La madama di cui sopra, il di lei marito e alla fine anche il corpulento deputato Babin scornato alle elezioni ma come ogni trombato elettorale che si rispetti con altra poltrona pronta per le sue natiche debordanti.
Una statuina che cade sempre in piedi.
Potiche ha un'esibito impianto teatrale sia nelle scenografie che nella recitazione ma è un qualcosa che sfugge alla definizione di teatro filmato per la grande vivacità della regia , per il dispiego di ambientazioni diverse e per la cura minuziosa delle ricostruzioni d'epoca.
Ozon riunisce per l'ennesima volta la coppia dell'Ultimo metrò, la Deneuve e Depardieu ma il tempo che accarezza gentilmente le forme della divina Catherine, ora elegantissima signora di mezza età, ha cambiato totalmente il bravo Gerard senza però togliergli la sua fisicità, ora diversa, meno muscolare e più adiposa.
Potiche è un film che descrive anche il fallimento della politica di quegli anni senza salvare niente e nessuno.
L'industriale arrogante è sostituito da una moglie più tollerante ma classista come lui, appena più illuminata nella sua imprenditorialità mentre dall'altra parte la lotta contro i padroni porta a risultati minimi ma importanti.
E comunque anche i sottoposti hanno nel loro piccolo l'aspirazione a cambiare solo status sociale, non cercano di attuare quegli ideali socialisti che hanno l'aria di essere efficaci solo su carta.
La signora Pujol ha quindi deciso di rientrare nel mondo attivo entrando a gamba tesa sul marito fedifrago e coinvolgendo i figlioli anche loro, nel loro piccolo mondo di bambagia, aspiranti al titolo di potiche.
Potiche è un semplice divertissment che rievoca un'epoca che sembra già preistoria.
Adorabile per i suoi colori sparati, per la sua ricostruzione d'epoca minuziosa e per un cast a livelli stellari, Potiche è anche un piccolo gioiello di humour che sconfina spesso e volentieri nella fine satira politica.
Se può sembrare a prima vista una spietata critica a certo maschilismo, c'è da notare in Potiche non viene salvata neanche la metà femminile del cielo.
Ma sempre col sorriso sulle labbra.
PERCHE' SI : confezione perfetta, fotografia e cromatismo molto particolari, ottimi attori, si riunisce la coppia Deneuve / Depardieu.
PERCHE' NO : l'impianto teatrale è talmente esibito che gli dà un aspetto finto, si parla molto e questo scoaraggerà qualcuno, la satira politica potrebbe non piacere a qualcuno.
LA SEQUENZA : le passeggiate nei boschi della Denueve con la sua tuta Adidas rossa molto vintage.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Un attore come Depardieu capace di recitare letteralmente tutto, noi non ce l'abbiamo.
Mi stupisce che non abbiano mai pensato di farne un remake italiano vista la nostra situazione politica.
Ozon si dimostra ancora una volta cesellatore di generi.
In questo divertisment non si salva niente e nessuno.
( VOTO : 7 / 10 )
Il marito , colpito da infarto , è costretto a lasciare tutto nelle mani della moglie e lei si dimostra inaspettatamente all'altezza del compito.
Il problema ora è il suo rientro in azienda, Suzanne di certo non vuole lasciargli il passo...
Ma quante corna ornano il capo di Madama la marchesa (d'industria) Pujol?
Tante, si possono scorgere tra un bigodino e l'altro mentre lei va correndo per boschi con la sua bella tutina rossa vintage , come tutto il resto dell'accessoristica del film, ispirato al decor settantiano più colorato.
Eppure a lei sembra non importare....
Ma, diamine siamo negli anni '70 , epoca di ribellione ed emancipazione e vuoi che anche lei non sia percorsa da un fremito di femminismo?
Non ci vuole stare a essere la potiche della situazione, la bella statuina, il soprammobile di tanta apparenza e nulla sostanza, un pezzo d'arredamento destinato a diventare in pochi anni un articolo da rigattiere.
Potiche, ritorno di Ozon alle atmosfere dai colori saturi e brillanti che avevamo conosciuto nel brillante 8 donne e un mistero è un film incentrato totalmente sul suo meccanismo narrativo di cronometrica precisione.
Una vicenda narrata per piccoli passi, con colpi di scena che cambiano le carte in tavola e animata da fermenti vecchi e nuovi.
Tutti vogliono evitare di essere la potiche della situazione.
La madama di cui sopra, il di lei marito e alla fine anche il corpulento deputato Babin scornato alle elezioni ma come ogni trombato elettorale che si rispetti con altra poltrona pronta per le sue natiche debordanti.
Una statuina che cade sempre in piedi.
Potiche ha un'esibito impianto teatrale sia nelle scenografie che nella recitazione ma è un qualcosa che sfugge alla definizione di teatro filmato per la grande vivacità della regia , per il dispiego di ambientazioni diverse e per la cura minuziosa delle ricostruzioni d'epoca.
Ozon riunisce per l'ennesima volta la coppia dell'Ultimo metrò, la Deneuve e Depardieu ma il tempo che accarezza gentilmente le forme della divina Catherine, ora elegantissima signora di mezza età, ha cambiato totalmente il bravo Gerard senza però togliergli la sua fisicità, ora diversa, meno muscolare e più adiposa.
Potiche è un film che descrive anche il fallimento della politica di quegli anni senza salvare niente e nessuno.
L'industriale arrogante è sostituito da una moglie più tollerante ma classista come lui, appena più illuminata nella sua imprenditorialità mentre dall'altra parte la lotta contro i padroni porta a risultati minimi ma importanti.
E comunque anche i sottoposti hanno nel loro piccolo l'aspirazione a cambiare solo status sociale, non cercano di attuare quegli ideali socialisti che hanno l'aria di essere efficaci solo su carta.
La signora Pujol ha quindi deciso di rientrare nel mondo attivo entrando a gamba tesa sul marito fedifrago e coinvolgendo i figlioli anche loro, nel loro piccolo mondo di bambagia, aspiranti al titolo di potiche.
Potiche è un semplice divertissment che rievoca un'epoca che sembra già preistoria.
Adorabile per i suoi colori sparati, per la sua ricostruzione d'epoca minuziosa e per un cast a livelli stellari, Potiche è anche un piccolo gioiello di humour che sconfina spesso e volentieri nella fine satira politica.
Se può sembrare a prima vista una spietata critica a certo maschilismo, c'è da notare in Potiche non viene salvata neanche la metà femminile del cielo.
Ma sempre col sorriso sulle labbra.
PERCHE' SI : confezione perfetta, fotografia e cromatismo molto particolari, ottimi attori, si riunisce la coppia Deneuve / Depardieu.
PERCHE' NO : l'impianto teatrale è talmente esibito che gli dà un aspetto finto, si parla molto e questo scoaraggerà qualcuno, la satira politica potrebbe non piacere a qualcuno.
LA SEQUENZA : le passeggiate nei boschi della Denueve con la sua tuta Adidas rossa molto vintage.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Un attore come Depardieu capace di recitare letteralmente tutto, noi non ce l'abbiamo.
Mi stupisce che non abbiano mai pensato di farne un remake italiano vista la nostra situazione politica.
Ozon si dimostra ancora una volta cesellatore di generi.
In questo divertisment non si salva niente e nessuno.
( VOTO : 7 / 10 )
lunedì 20 luglio 2015
Splinter ( 2008 )
Seth e Paula sono una coppia di fidanzati che vuole trascorrere una vacanza all'insegna del campeggio più avventuroso. A causa di problemi con le tende optano per un motel ma per strada sono avvicinati dal delinquente Dennis e dalla sua fidanzata tossica in crisi d'astinenza che salgono sulla loro macchina per farsi portare dove vogliono.
Si fermano in una stazione di servizio a fare rifornimento ma vengono attaccati da una strana creatura parassita che divora qualsiasi cosa di organico con cui viene a contatto.
La prima a essere fatta fuori è la fidanzata di Dennis: gli altri tre si organizzano per cercare di sopravvivere all'assedio della strana creatura...
Girando per internet trovi classifiche di ogni tipo, graduatorie fatte parlando della rava e della fava oppure redatte con i piedi, però, lo ammetto è uno mio guilty pleasure , mi piace leggerle.
Poi in genere non regalo alcun seguito alla lettura ma stavolta è stato diverso: in questa classifica di una ventina di film horror indipendenti da vedere assolutamente mi mancavano questo Splinter e un altro titolo che neanche ricordo.
Siccome tra quelli che avevo visto c'era anche roba ampiamente perdibile stavo già apprestandomi a mettere tutto nel dimenticatoio quando è intervenuta la mia signora dell'horror, Lucia , che mi ha consigliato caldamente questo titolo.
E per me i consigli di Lucia sono il verbo assoluto.
A visione avvenuta non posso fare altro che darle ragione.
Splinter è una visione degnissima, un horror piccolo piccolo che produttivamente fatica anche ad entrare nella zona del B movie ( ma ci entra sicuramente per qualità artistiche e di stile con cui è realizzato) ma che dimostra di avere molte frecce al suo arco.
Per prima cosa ha un regista , Toby Wilkins che è un esperto di effetti speciali e nel montaggio, insomma un regista factotum un po' come ce n'erano una volta : sembrerà una sciocchezza ma in realtà è molto importante il comparto effetti speciali in un film realizzato praticamente in una sola location ( la stazione di servizio), con quattro attori e due comparse.
Così come è importante il montaggio che diventa nervoso e concitato quando la creatura attacca gli umani creando quell'effetto ti vedo/non ti vedo che però risulta molto efficace perché da una parte maschera eventuali errori o particolari un po' troppo economici nella realizzazione degli effetti, dall'altra parte è perfetto per restituire quell'ansia e quel nervosismo , oltre che quella strana andatura a scatti, che creano paura e ribrezzo nei confronti di questa creatura e di coloro che sono trasformati dal contatto con lei.
E poi quegli aculei...
Creatura mutagena, tenuta nell'ombra, non si sa se è un virus, un organismo alieno, un parassita schifoso, sappiamo solo che consuma i corpi da dentro e che ogni singola parte anatomica , anche se separata dal corpo, ha vita autonoma e cerca di nutrirsi e parassitare altri esseri viventi.
Siamo quindi in pieno monster movie anni '50 ( un po' come quel Blob - Fluido Mortale che inglobava tutto o anche in piena area La cosa da un'altro mondo ) ma si sprecano citazioni da altri capisaldi del cinema horror ( vedi Alien ma ditemi dove non è citato quando si parla di creature che ti divorano dall'interno) senza contare la generosa spruzzata di Carpenter ( da Dstretto 13, vero manuale di cinema d'assedio, qui riproposto in sedicesimo a La Cosa, uno dei parassiti più terrorizzanti mai apparsi su grande schermo).
La recitazione dei quattro attori non è mai approssimativa, c'è un apprezzabile disegno dei vari personaggi che non sono le solite figurine di cartone usa e getta di molto horror contemporaneo, c'è una regia nervosa e volitiva che valorizza al meglio le qualità di uno script piuttosto basic ma coerente e senza quel monte di minchiate che spesso caratterizzano i personaggi di questo tipo di film.
E poi Splinter ha quel parassita che mette paura e fa ribrezzo allo stesso tempo.
Non roba da poco.
Toby Wilkins scrive e dirige una pellicola senza nessuna pretesa di innovazione ma che ha il grosso merito di intrattenere ottimamente per gli 80 minuti della sua durata che passano in un attimo e senza guardare mai l'orologio.
Un peccato che sia finito nelle retrovie delle serie televisive, il ragazzo sembra avere stoffa...
PERCHE' SI : solido B movie realizzato con due soldi e molte idee, ottima regia , attori credibili e precisi, personaggi ben delineati, nessuno spiegone finale.
PERCHE' NO : il montaggio frenetico nasconde più del dovuto l'attacco della creatura, storia molto basic, l'originalità non è così spiccata.
LA SEQUENZA : l'amputazione del braccio col taglierino...
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
occorre fare sempre tesoro dei consigli preziosi.
Adoro la serie B cinematografica , a volte , anzi molto spesso , più della serie A.
Film come questo con le loro citazioni scatenano flussi di ricordi.
Carpenter uber alles.
( VOTO : 7+ / 10 )
Si fermano in una stazione di servizio a fare rifornimento ma vengono attaccati da una strana creatura parassita che divora qualsiasi cosa di organico con cui viene a contatto.
La prima a essere fatta fuori è la fidanzata di Dennis: gli altri tre si organizzano per cercare di sopravvivere all'assedio della strana creatura...
Girando per internet trovi classifiche di ogni tipo, graduatorie fatte parlando della rava e della fava oppure redatte con i piedi, però, lo ammetto è uno mio guilty pleasure , mi piace leggerle.
Poi in genere non regalo alcun seguito alla lettura ma stavolta è stato diverso: in questa classifica di una ventina di film horror indipendenti da vedere assolutamente mi mancavano questo Splinter e un altro titolo che neanche ricordo.
Siccome tra quelli che avevo visto c'era anche roba ampiamente perdibile stavo già apprestandomi a mettere tutto nel dimenticatoio quando è intervenuta la mia signora dell'horror, Lucia , che mi ha consigliato caldamente questo titolo.
E per me i consigli di Lucia sono il verbo assoluto.
A visione avvenuta non posso fare altro che darle ragione.
Splinter è una visione degnissima, un horror piccolo piccolo che produttivamente fatica anche ad entrare nella zona del B movie ( ma ci entra sicuramente per qualità artistiche e di stile con cui è realizzato) ma che dimostra di avere molte frecce al suo arco.
Per prima cosa ha un regista , Toby Wilkins che è un esperto di effetti speciali e nel montaggio, insomma un regista factotum un po' come ce n'erano una volta : sembrerà una sciocchezza ma in realtà è molto importante il comparto effetti speciali in un film realizzato praticamente in una sola location ( la stazione di servizio), con quattro attori e due comparse.
Così come è importante il montaggio che diventa nervoso e concitato quando la creatura attacca gli umani creando quell'effetto ti vedo/non ti vedo che però risulta molto efficace perché da una parte maschera eventuali errori o particolari un po' troppo economici nella realizzazione degli effetti, dall'altra parte è perfetto per restituire quell'ansia e quel nervosismo , oltre che quella strana andatura a scatti, che creano paura e ribrezzo nei confronti di questa creatura e di coloro che sono trasformati dal contatto con lei.
E poi quegli aculei...
Creatura mutagena, tenuta nell'ombra, non si sa se è un virus, un organismo alieno, un parassita schifoso, sappiamo solo che consuma i corpi da dentro e che ogni singola parte anatomica , anche se separata dal corpo, ha vita autonoma e cerca di nutrirsi e parassitare altri esseri viventi.
Siamo quindi in pieno monster movie anni '50 ( un po' come quel Blob - Fluido Mortale che inglobava tutto o anche in piena area La cosa da un'altro mondo ) ma si sprecano citazioni da altri capisaldi del cinema horror ( vedi Alien ma ditemi dove non è citato quando si parla di creature che ti divorano dall'interno) senza contare la generosa spruzzata di Carpenter ( da Dstretto 13, vero manuale di cinema d'assedio, qui riproposto in sedicesimo a La Cosa, uno dei parassiti più terrorizzanti mai apparsi su grande schermo).
La recitazione dei quattro attori non è mai approssimativa, c'è un apprezzabile disegno dei vari personaggi che non sono le solite figurine di cartone usa e getta di molto horror contemporaneo, c'è una regia nervosa e volitiva che valorizza al meglio le qualità di uno script piuttosto basic ma coerente e senza quel monte di minchiate che spesso caratterizzano i personaggi di questo tipo di film.
E poi Splinter ha quel parassita che mette paura e fa ribrezzo allo stesso tempo.
Non roba da poco.
Toby Wilkins scrive e dirige una pellicola senza nessuna pretesa di innovazione ma che ha il grosso merito di intrattenere ottimamente per gli 80 minuti della sua durata che passano in un attimo e senza guardare mai l'orologio.
Un peccato che sia finito nelle retrovie delle serie televisive, il ragazzo sembra avere stoffa...
PERCHE' SI : solido B movie realizzato con due soldi e molte idee, ottima regia , attori credibili e precisi, personaggi ben delineati, nessuno spiegone finale.
PERCHE' NO : il montaggio frenetico nasconde più del dovuto l'attacco della creatura, storia molto basic, l'originalità non è così spiccata.
LA SEQUENZA : l'amputazione del braccio col taglierino...
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
occorre fare sempre tesoro dei consigli preziosi.
Adoro la serie B cinematografica , a volte , anzi molto spesso , più della serie A.
Film come questo con le loro citazioni scatenano flussi di ricordi.
Carpenter uber alles.
( VOTO : 7+ / 10 )
domenica 19 luglio 2015
Spy ( 2015 )
Susan Cooper è un'agente CIA relegata dietro a un computer a fare da occhi e orecchie durante le missioni dell'agente Fine di cui è segretamente , ma neanche tanto, innamorata.
Lui muore in missione e lei decide di prendere chi è stato, apparentemente la figlia di un criminale ucciso dallo stesso Fine e nel frattempo deve impedire che la suddetta signora venda al miglior offerente una bomba nucleare che potrebbe sovvertire gli equilibri politici globali.
Tra Bulgaria, Budapest, Roma, Parigi e Lago Balaton Susan diventa l'agente CIA perfetto, stavolta con licenza di uccidere.
Ma anche di far ridere.
Paul Feig deve essere per forza il regista più femminista di Hollywood.
Dopo lo strepitoso Le amiche della sposa e il giulivo Corpi da reato in cui creava un action al femminile con protagonista la ciccia di Melissa McCarthy, ora è la volta di sdoganare dal machismo la spy story bondiana e protagoniste sono sempre le ciccette in libera uscita della McCarthy che si presta con parecchia ironia al gioco.
In un contesto glamour che potrebbe fare da sfondo a un qualsiasi film di 007, con un eccellente surrogato di James Bond che ha la fisicità di un Jude Law ritornato bello come il sole dopo alcuni film in cui era ingrassato e imbruttito in modo preoccupante, Susan Cooper/ Melissa McCarthy si muove in modo insicuro tra errori da principiante e insicurezze scolpite a fuoco nel suo DNA.
Però ha sempre il colpo d'ala per non finire male, crivellata di pallottole o di coltellate , anzi ha sempre quello spunto che rasenta il genio che le permette di continuare la sua missione facendo lo slalom tra pericoli, trabocchetti e vincendo molti duelli all'arma bianca ( tipo quello nelle cucine).
Il suo mix di insicurezza , genio e fisicità sbagliata , perché in fondo è alta sempre un metro e un foglio di giornale e larga altrettanto, sono il perfetto contrappunto al fascino inglese di Law, con quegli occhi blu in cui lei si vorrebbe tuffare, quasi ci vorrebbe annegare e alla fisicità giusta ( ma con la testa sbagliata) di Jason Statham che interpreta il ruolo più spassoso della sua vita, quello di un agente che non è precisamente un fulmine di guerra in quanto a cervello.
Feig si muove agilmente tra la commedia , l'action e la parodia ma dà il meglio di sé nei duetti tra la McCarthy e la Byrne, altra a cui non manca di certo l'autoironia , ma soprattutto in quelli con Miranda Hart, la sua amica Nancy , un'altra che ha una fisicità sbagliata almeno quanto la sua , pur avendo caratteristiche fisiognomiche nettamente diverse ( diciamo che è alta almeno 30 centimetri più di lei).
Sono due nerd in un mondo di super agenti e lo urlano a squarciagola al mondo intero il loro essere comunque adeguate.
L'impressione è che a Feig vada stretta la parodia, non vuole diventare un nuovo Mel Brooks, vuole ibridare generi e creare spazio per personaggi che in un mondo perfetto , tutto lustrini e pailettes , come quello hollywoodiano, non avrebbero possibilità di sopravvivenza.
E allora largo alle forma straripanti di Melissa McCarthy che non sarà veloce o aggraziata nei suoi movimenti ma arriva sempre al suo scopo e largo al confronto con tante tipe fisicamente perfette ( il film ne è letteralmente tappezzato) su cui il nostro agente poco speciale passerà sopra come un rullo compressore.
E' facile fare l'agente speciale con il fisico di un Jude Law o di un Daniel Craig.
Provate a fare l'agente speciale con un fisico alla Melissa McCarthy.
Tutto è più difficile.
Eppure lei ci riesce benissimo.
PERCHE' SI : film che si muove tra commedia, action e parodia bondiana, la McCarthy è un ciclone, Statham , Law e la Byrne stanno al gioco con autoironia.
PERCHE' NO : forse un po' troppo lungo, l'impressione è che a Feig stia stretta la parodia bondiana, astenersi chi cerca verosimiglianza.
LA SEQUENZA: la furiosa lotta all'arma bianca nella cucina dell'albergo contro una pericolosa pin up di verde vestita
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Un'altra Hollywood è possibile, fatta di bellezze non perfette e fisici non statuari.
Non vorrei che la McCarthy qui da noi facesse la fine di Steve Martin, incensatissimo in patria ma ignorato in Italia.
Feig ha ormai maturato un suo stile ma tremo all'idea del suo Ghostbusters al femminile.
Jude Law è ritornato bellissimo come il sole dopo alcuni film in cui era ingrassato, invecchiato e imbruttito. Ma come fanno?
( VOTO : 7 / 10 )
Lui muore in missione e lei decide di prendere chi è stato, apparentemente la figlia di un criminale ucciso dallo stesso Fine e nel frattempo deve impedire che la suddetta signora venda al miglior offerente una bomba nucleare che potrebbe sovvertire gli equilibri politici globali.
Tra Bulgaria, Budapest, Roma, Parigi e Lago Balaton Susan diventa l'agente CIA perfetto, stavolta con licenza di uccidere.
Ma anche di far ridere.
Paul Feig deve essere per forza il regista più femminista di Hollywood.
Dopo lo strepitoso Le amiche della sposa e il giulivo Corpi da reato in cui creava un action al femminile con protagonista la ciccia di Melissa McCarthy, ora è la volta di sdoganare dal machismo la spy story bondiana e protagoniste sono sempre le ciccette in libera uscita della McCarthy che si presta con parecchia ironia al gioco.
In un contesto glamour che potrebbe fare da sfondo a un qualsiasi film di 007, con un eccellente surrogato di James Bond che ha la fisicità di un Jude Law ritornato bello come il sole dopo alcuni film in cui era ingrassato e imbruttito in modo preoccupante, Susan Cooper/ Melissa McCarthy si muove in modo insicuro tra errori da principiante e insicurezze scolpite a fuoco nel suo DNA.
Però ha sempre il colpo d'ala per non finire male, crivellata di pallottole o di coltellate , anzi ha sempre quello spunto che rasenta il genio che le permette di continuare la sua missione facendo lo slalom tra pericoli, trabocchetti e vincendo molti duelli all'arma bianca ( tipo quello nelle cucine).
Il suo mix di insicurezza , genio e fisicità sbagliata , perché in fondo è alta sempre un metro e un foglio di giornale e larga altrettanto, sono il perfetto contrappunto al fascino inglese di Law, con quegli occhi blu in cui lei si vorrebbe tuffare, quasi ci vorrebbe annegare e alla fisicità giusta ( ma con la testa sbagliata) di Jason Statham che interpreta il ruolo più spassoso della sua vita, quello di un agente che non è precisamente un fulmine di guerra in quanto a cervello.
Feig si muove agilmente tra la commedia , l'action e la parodia ma dà il meglio di sé nei duetti tra la McCarthy e la Byrne, altra a cui non manca di certo l'autoironia , ma soprattutto in quelli con Miranda Hart, la sua amica Nancy , un'altra che ha una fisicità sbagliata almeno quanto la sua , pur avendo caratteristiche fisiognomiche nettamente diverse ( diciamo che è alta almeno 30 centimetri più di lei).
Sono due nerd in un mondo di super agenti e lo urlano a squarciagola al mondo intero il loro essere comunque adeguate.
L'impressione è che a Feig vada stretta la parodia, non vuole diventare un nuovo Mel Brooks, vuole ibridare generi e creare spazio per personaggi che in un mondo perfetto , tutto lustrini e pailettes , come quello hollywoodiano, non avrebbero possibilità di sopravvivenza.
E allora largo alle forma straripanti di Melissa McCarthy che non sarà veloce o aggraziata nei suoi movimenti ma arriva sempre al suo scopo e largo al confronto con tante tipe fisicamente perfette ( il film ne è letteralmente tappezzato) su cui il nostro agente poco speciale passerà sopra come un rullo compressore.
E' facile fare l'agente speciale con il fisico di un Jude Law o di un Daniel Craig.
Provate a fare l'agente speciale con un fisico alla Melissa McCarthy.
Tutto è più difficile.
Eppure lei ci riesce benissimo.
PERCHE' SI : film che si muove tra commedia, action e parodia bondiana, la McCarthy è un ciclone, Statham , Law e la Byrne stanno al gioco con autoironia.
PERCHE' NO : forse un po' troppo lungo, l'impressione è che a Feig stia stretta la parodia bondiana, astenersi chi cerca verosimiglianza.
LA SEQUENZA: la furiosa lotta all'arma bianca nella cucina dell'albergo contro una pericolosa pin up di verde vestita
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Un'altra Hollywood è possibile, fatta di bellezze non perfette e fisici non statuari.
Non vorrei che la McCarthy qui da noi facesse la fine di Steve Martin, incensatissimo in patria ma ignorato in Italia.
Feig ha ormai maturato un suo stile ma tremo all'idea del suo Ghostbusters al femminile.
Jude Law è ritornato bellissimo come il sole dopo alcuni film in cui era ingrassato, invecchiato e imbruttito. Ma come fanno?
( VOTO : 7 / 10 )
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sabato 18 luglio 2015
Il ragazzo della porta accanto ( 2015 )
Claire è un insegnante da poco separata dal marito che vive assieme al figlio Kevin.
Quando nella casa a fianco si trasferisce il ventenne Noah lei incoraggia la sua amicizia con Kevin e siccome è un bel ragazzone , una notte in cui non c'è nessuno in casa , addirittura cede alle sue avances.
Capisce che è stato un errore e vuole troncare subito tutto sul nascere ma Noah non è d'accordo dimostrandosi violento e vendicativo.
Per Claire , suo figlio e il suo ex marito comincia una disperata lotta per la sopravvivenza.
La domanda sorge spontanea : perché vedere nel 2015 un filmetto che se va bene puzza di anni '80 lontano un miglio a partire dal titolo che è la sagra dello stereotipo?
Per Jennifer Lopez ?
Francamente no, non sono mai stato troppo appassionato delle grazie di Jennifer , né delle sue doti attoriali, l'unica battuta memorabile che le riconosco è quella in Amore a cinque stelle ( se non erro) in cui si guarda il suo famigerato posteriore allo specchio e afferma sconsolata : " Ho due culi!!!"
Ecco , la memorabilità di questa battuta gliela riconosco senza problemi, denota anche un certo grado di autoironia, dote per cui non è certo conosciuta.
La vera ragione per cui ho visto questo film nonostante le aspettative bassissime e il sospetto ( poi rivelatosi fondato) che fosse una robetta assolutamente mediocre ed evitabile, è la regia di Rob Cohen.
Rob Cohen è uno di quei registi che esistevano una volta, uno nato come produttore, poi arrivato alla regia delle seconde unità e quindi alla regia in prima persona.
Uno di quelli che la gavetta l'ha fatta , insomma, e per intero dirigendo poi con il suo stile pane e salame film ad alto livello energetico come il primo Fast and Furious oppure xXx ma a me piace ricordarlo più per un film come Dragonheart, un fantasy che è un po' come una mosca bianca nella sua carriera ma che resiste bene all'usura degli anni.
E' un po' di tempo che il buon Rob sembra aver perso il suo tocco, ma si sa che la speranza è sempre l'ultima a morire...
Purtroppo con Il ragazzo della porta accanto le cose vanno maluccio: come ho detto già dal titolo puzza di stereotipo e di anni '80, andandolo a visionare le cose non vanno certamente meglio.
Una trama trita e ritrita in cui uno spettatore un minimo smaliziato sa benissimo dove il tutto vada a parare con almeno un paio di sequenze d'anticipo, non basta di certo a risollevare il tono di un film stanco, nato già vecchio e comunque arrivato fuori tempo massimo.
Jennifer Lopez è abituata a parti da stalkerata ( vedi Angel Eyes in cui interpretava la parte di un energica poliziotta alle prese con una relazione molto pericolosa) e qui agisce di conserva.
Il sex appeal non è più quello di una volta, gli anni si cominciano a vedere e le sue forme non sono così esplosive : tutte componenti che la fanno apparire stanca e non basta crearle addosso l'effetto bagnato per renderla più seducente , anzi.
Se poi la statura di un film la dobbiamo misurare a partire dal livello del villain all'opera, beh qui siamo messi proprio male: Ryan Guzman il giovane virgulto che recita nella parte di Noah è un po' troppo uomo per poter recitare la parte di un ventenne e non fa nulla per uscire dallo stereotipo del classico mascellone americano cresciuto a di torta di mele con qualche rinforzino vitaminico.
Non incide, non mette paura, è di un anonimo inquietante.
Anonimo un po' come tutto il film che al massimo può fare a gara con la fiction della seconda serata estiva di Rai 2, quei filmacci per la tv via cavo statunitense fatti con due soldi e che valgono due soldi.
A proposito di soldi: questo film negli USA ha incassato circa 35 milioni di dollari a fronte di un budget di soli 4 milioni.
Si è dimostrato quindi un affare.
Che Dio ci scampi da un possibile sequel.
PERCHE' SI : praticamente nulla, qualche sequenza nel finale in cui viene fuori la verve di Cohen.
PERCHE' NO : thrillerino trito e ritrito a partire dal titolo, stanco e anonimo con una Lopez che ormai non è più adatta a recitare in certi ruoli.
LA SEQUENZA : il flirt attraverso le tende delle proprie case tra Claire e Noah all'insegna del ti vedo / non ti vedo.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
E anche Rob Cohen ce lo siamo giocato.
Le curve di Jennifer Lopez non sono più esplosive come una volta.
Di ragazzi e ragazze della porta accanto è piena la storia del cinema.
Se un filmaccio così si dimostra remunerativo, allora c'è speranza per tutti.
( VOTO : 4 / 10 )
Quando nella casa a fianco si trasferisce il ventenne Noah lei incoraggia la sua amicizia con Kevin e siccome è un bel ragazzone , una notte in cui non c'è nessuno in casa , addirittura cede alle sue avances.
Capisce che è stato un errore e vuole troncare subito tutto sul nascere ma Noah non è d'accordo dimostrandosi violento e vendicativo.
Per Claire , suo figlio e il suo ex marito comincia una disperata lotta per la sopravvivenza.
La domanda sorge spontanea : perché vedere nel 2015 un filmetto che se va bene puzza di anni '80 lontano un miglio a partire dal titolo che è la sagra dello stereotipo?
Per Jennifer Lopez ?
Francamente no, non sono mai stato troppo appassionato delle grazie di Jennifer , né delle sue doti attoriali, l'unica battuta memorabile che le riconosco è quella in Amore a cinque stelle ( se non erro) in cui si guarda il suo famigerato posteriore allo specchio e afferma sconsolata : " Ho due culi!!!"
Ecco , la memorabilità di questa battuta gliela riconosco senza problemi, denota anche un certo grado di autoironia, dote per cui non è certo conosciuta.
La vera ragione per cui ho visto questo film nonostante le aspettative bassissime e il sospetto ( poi rivelatosi fondato) che fosse una robetta assolutamente mediocre ed evitabile, è la regia di Rob Cohen.
Rob Cohen è uno di quei registi che esistevano una volta, uno nato come produttore, poi arrivato alla regia delle seconde unità e quindi alla regia in prima persona.
Uno di quelli che la gavetta l'ha fatta , insomma, e per intero dirigendo poi con il suo stile pane e salame film ad alto livello energetico come il primo Fast and Furious oppure xXx ma a me piace ricordarlo più per un film come Dragonheart, un fantasy che è un po' come una mosca bianca nella sua carriera ma che resiste bene all'usura degli anni.
E' un po' di tempo che il buon Rob sembra aver perso il suo tocco, ma si sa che la speranza è sempre l'ultima a morire...
Purtroppo con Il ragazzo della porta accanto le cose vanno maluccio: come ho detto già dal titolo puzza di stereotipo e di anni '80, andandolo a visionare le cose non vanno certamente meglio.
Una trama trita e ritrita in cui uno spettatore un minimo smaliziato sa benissimo dove il tutto vada a parare con almeno un paio di sequenze d'anticipo, non basta di certo a risollevare il tono di un film stanco, nato già vecchio e comunque arrivato fuori tempo massimo.
Jennifer Lopez è abituata a parti da stalkerata ( vedi Angel Eyes in cui interpretava la parte di un energica poliziotta alle prese con una relazione molto pericolosa) e qui agisce di conserva.
Il sex appeal non è più quello di una volta, gli anni si cominciano a vedere e le sue forme non sono così esplosive : tutte componenti che la fanno apparire stanca e non basta crearle addosso l'effetto bagnato per renderla più seducente , anzi.
Se poi la statura di un film la dobbiamo misurare a partire dal livello del villain all'opera, beh qui siamo messi proprio male: Ryan Guzman il giovane virgulto che recita nella parte di Noah è un po' troppo uomo per poter recitare la parte di un ventenne e non fa nulla per uscire dallo stereotipo del classico mascellone americano cresciuto a di torta di mele con qualche rinforzino vitaminico.
Non incide, non mette paura, è di un anonimo inquietante.
Anonimo un po' come tutto il film che al massimo può fare a gara con la fiction della seconda serata estiva di Rai 2, quei filmacci per la tv via cavo statunitense fatti con due soldi e che valgono due soldi.
A proposito di soldi: questo film negli USA ha incassato circa 35 milioni di dollari a fronte di un budget di soli 4 milioni.
Si è dimostrato quindi un affare.
Che Dio ci scampi da un possibile sequel.
PERCHE' SI : praticamente nulla, qualche sequenza nel finale in cui viene fuori la verve di Cohen.
PERCHE' NO : thrillerino trito e ritrito a partire dal titolo, stanco e anonimo con una Lopez che ormai non è più adatta a recitare in certi ruoli.
LA SEQUENZA : il flirt attraverso le tende delle proprie case tra Claire e Noah all'insegna del ti vedo / non ti vedo.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
E anche Rob Cohen ce lo siamo giocato.
Le curve di Jennifer Lopez non sono più esplosive come una volta.
Di ragazzi e ragazze della porta accanto è piena la storia del cinema.
Se un filmaccio così si dimostra remunerativo, allora c'è speranza per tutti.
( VOTO : 4 / 10 )
venerdì 17 luglio 2015
Una nuova amica ( 2014 )
Claire e Laura sono amiche fin da bambine, un sentimento profondo che le ha accompagnate fino all'età adulta. Ora Claire è sposata con Gilles, Laura con David eppure è sempre la loro la relazione più profonda .Quando Laura muore di malattia al suo capezzale Claire promette di occuparsi di David e della piccola Lucy , loro figlia.
E comincia una strana relazione con lui che ama vestirsi con abiti da donna ed uscire con lei sotto le mentite spoglie di Virginie.
La loro relazione diventa un gioco con la posta costantemente al rialzo, un gioco pericoloso...
Ozon è un cineasta che ci ha abituato nel corso della sua ormai lunga carriera a scelte coraggiose e poco convenzionali.
Pur essendo inserito totalmente nel mainstream riesce a mantenere un'invidiabile indipendenza stilistica e una libertà che pochi possono permettersi in un panorama cinematografico asfittico come quello odierno.
E direi che se ne frega anche del marketing perché sulla rivelazione "shock" di questo film, il segreto di David, quello di pensarsi come una donna e abbigliarsi di conseguenza, avrebbe potuto costruire un piccolo caso cinematografico che gli avrebbe fatto staccare molti più biglietti.
Scelta probabilmente poco produttiva dal punto di vista commerciale ma assolutamente coerente con lo stile del suo autore attratto come al solito da storie scomode e dal piacere di raccontarle seguendo prospettive ardite e non del tutto convenzionali.
E' il caso di questo film, Una nuova amica, ozoniano fino al midollo se così possiamo definirlo, racconto su quella che possiamo definire un' amitiè fou citando quell'amour fou che ha fatto la fortuna di tanto cinema francese.
Il fatto che David si vesta da donna è un dato di fatto che viene accettato da Claire senza apparente difficoltà, o meglio pur non capendo all'inizio , restando spiazzata si adegua velocemente e accetta di stare al gioco, confusa e divertita di avere tra le mani una specie di surrogato di quella che è stata la sua migliore amica.
Perché Claire sta al gioco in onore della memoria di Laura, ha una scusa per parlarne, per avere nostalgia del tempo passato assieme a lei, per rivangare la profondità del loro affetto così intimo e così platonico allo stesso tempo, per condividerla con l'altra persona che l'ha amata come lei.
L'ambiguità del film non è tanto nella sessualità , come minimo confusa , di David , ma quanto nel rapporto che instaura con Claire, apparentemente contenta e appagata di avere una nuova amica.
E qui rientra in gioco il rapporto tra Claire e Laura: amore, amicizia o che cosa ?
Dal punto di vista registico Ozon non ci risparmia nulla : dal flashback veloce ed esplicativo su un passato fumoso, allo slittamento della percezione che fa confondere realtà e immaginazione senza un'apparente linea che le demarchi chiaramente , dallo stile hitchockiano della regia che cerca di nascondere chissà quali segreti ( che poi alla fine non ci sono) , a quel tono del racconto tendente al noir che fa tanto Patricia Highsmith e che in qualche maniera cita il grande Chabrol.
Eppure lo spettatore non perde mai la bussola, come portato per mano da un autore che forse in questo film si dimostra fin troppo consapevole del proprio stile situandosi a un passo dal manierismo , quasi specchiandosi in un film tanto perfetto stilisticamente quanto algido e distaccato, anche nei momenti in cui la sfera emotiva è sollecitata come non mai, vedi l'incidente di David.
Una nuova amica è un piccolo bignami che si propone il rifiuto assoluto delle discriminazioni e dell'omofobia in modo programmatico, forse anche un po' freddo.
Romain Duris si presta anima e soprattutto corpo a un personaggio a cavallo tra doloroso e grottesco mentre Anais Demoustier, bella nel suo essere acerba , è uno scrigno pieno di emozioni che deve essere solo aperto con la chiave giusta.
Lasciate ogni pregiudizio voi che v'apprestate a vedere questo film...
PERCHE' SI : confezione come al solito eccellente, due protagonisti che si immolano anima e corpo, una storia contro tutte le discriminazioni ,i pregiudizi e l'omofobia.
PERCHE' NO : si situa a un passo dal manierismo, in filigrana il messaggio si legge fin troppo forte e chiaro, film che a tratti si dimostra freddo e distante.
LA SEQUENZA : l'esibizione en travesti alla discoteca dove vanno a divertirsi Virginie e Claire.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Sono giorni che mi affanno a trovare un regista italiano che somigli a Ozon eppure non riesco a trovarlo.
Romain Duris dimostra grande coraggio nell'affrontare questo ruolo, ma soprattutto i tacchi che porta.
Anais Demoustier è di una bellezza strana, acerba ma allo stesso tempo provocante.
Si può parlare di amitiè fou? se si può voglio il copyright del termine.
( VOTO : 7 + / 10 )
E comincia una strana relazione con lui che ama vestirsi con abiti da donna ed uscire con lei sotto le mentite spoglie di Virginie.
La loro relazione diventa un gioco con la posta costantemente al rialzo, un gioco pericoloso...
Ozon è un cineasta che ci ha abituato nel corso della sua ormai lunga carriera a scelte coraggiose e poco convenzionali.
Pur essendo inserito totalmente nel mainstream riesce a mantenere un'invidiabile indipendenza stilistica e una libertà che pochi possono permettersi in un panorama cinematografico asfittico come quello odierno.
E direi che se ne frega anche del marketing perché sulla rivelazione "shock" di questo film, il segreto di David, quello di pensarsi come una donna e abbigliarsi di conseguenza, avrebbe potuto costruire un piccolo caso cinematografico che gli avrebbe fatto staccare molti più biglietti.
Scelta probabilmente poco produttiva dal punto di vista commerciale ma assolutamente coerente con lo stile del suo autore attratto come al solito da storie scomode e dal piacere di raccontarle seguendo prospettive ardite e non del tutto convenzionali.
E' il caso di questo film, Una nuova amica, ozoniano fino al midollo se così possiamo definirlo, racconto su quella che possiamo definire un' amitiè fou citando quell'amour fou che ha fatto la fortuna di tanto cinema francese.
Il fatto che David si vesta da donna è un dato di fatto che viene accettato da Claire senza apparente difficoltà, o meglio pur non capendo all'inizio , restando spiazzata si adegua velocemente e accetta di stare al gioco, confusa e divertita di avere tra le mani una specie di surrogato di quella che è stata la sua migliore amica.
Perché Claire sta al gioco in onore della memoria di Laura, ha una scusa per parlarne, per avere nostalgia del tempo passato assieme a lei, per rivangare la profondità del loro affetto così intimo e così platonico allo stesso tempo, per condividerla con l'altra persona che l'ha amata come lei.
L'ambiguità del film non è tanto nella sessualità , come minimo confusa , di David , ma quanto nel rapporto che instaura con Claire, apparentemente contenta e appagata di avere una nuova amica.
E qui rientra in gioco il rapporto tra Claire e Laura: amore, amicizia o che cosa ?
Dal punto di vista registico Ozon non ci risparmia nulla : dal flashback veloce ed esplicativo su un passato fumoso, allo slittamento della percezione che fa confondere realtà e immaginazione senza un'apparente linea che le demarchi chiaramente , dallo stile hitchockiano della regia che cerca di nascondere chissà quali segreti ( che poi alla fine non ci sono) , a quel tono del racconto tendente al noir che fa tanto Patricia Highsmith e che in qualche maniera cita il grande Chabrol.
Eppure lo spettatore non perde mai la bussola, come portato per mano da un autore che forse in questo film si dimostra fin troppo consapevole del proprio stile situandosi a un passo dal manierismo , quasi specchiandosi in un film tanto perfetto stilisticamente quanto algido e distaccato, anche nei momenti in cui la sfera emotiva è sollecitata come non mai, vedi l'incidente di David.
Una nuova amica è un piccolo bignami che si propone il rifiuto assoluto delle discriminazioni e dell'omofobia in modo programmatico, forse anche un po' freddo.
Romain Duris si presta anima e soprattutto corpo a un personaggio a cavallo tra doloroso e grottesco mentre Anais Demoustier, bella nel suo essere acerba , è uno scrigno pieno di emozioni che deve essere solo aperto con la chiave giusta.
Lasciate ogni pregiudizio voi che v'apprestate a vedere questo film...
PERCHE' SI : confezione come al solito eccellente, due protagonisti che si immolano anima e corpo, una storia contro tutte le discriminazioni ,i pregiudizi e l'omofobia.
PERCHE' NO : si situa a un passo dal manierismo, in filigrana il messaggio si legge fin troppo forte e chiaro, film che a tratti si dimostra freddo e distante.
LA SEQUENZA : l'esibizione en travesti alla discoteca dove vanno a divertirsi Virginie e Claire.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Sono giorni che mi affanno a trovare un regista italiano che somigli a Ozon eppure non riesco a trovarlo.
Romain Duris dimostra grande coraggio nell'affrontare questo ruolo, ma soprattutto i tacchi che porta.
Anais Demoustier è di una bellezza strana, acerba ma allo stesso tempo provocante.
Si può parlare di amitiè fou? se si può voglio il copyright del termine.
( VOTO : 7 + / 10 )
giovedì 16 luglio 2015
Babadook ( 2014 )
Oggi voglio a celebrare a modo mio l'uscita in sala cinematografica avvenuta sul suolo italico in data 15 luglio 2015 di quello che è stato il mio horror del 2014, The Babadook di Jennifer Kent , una scoperta di fine 2014 proveniente dalla terra dei canguri e che arrivò praticamente come un fulmine a ciel sereno nonostante se ne parlasse , anzi se ne favoleggiasse da molto tempo in giro per la rete.
Eppure, nonostante le aspettative altissime il film d'esordio di Jennifer Kent seppe andare addirittura oltre , diventando , per quanto mi riguarda , l'horror dell'anno anche se mi rendo conto che affibbiare a questa pellicola l'etichetta di genere è assolutamente riduttivo.
The Babadook ieri è uscito in sala anche qui da noi: ha perso l'articolo ma almeno il malvagio titolista italiano non ha messo frasette stupide dopo il titolo.
The Babadook ieri è uscito in sala anche qui da noi: ha perso l'articolo ma almeno il malvagio titolista italiano non ha messo frasette stupide dopo il titolo.
Andate in massa al cinema a godervelo, come farò io.
Se lo merita assolutamente.
Qui di seguito quello che scrissi a suo tempo.
E' la prima volta che ripropongo una mia opinione di un film qui sul blog.
Ma l'occasione direi che è troppo ghiotta per non essere sfruttata.
Dook! Dook! Dook!
Dook! Dook! Dook!
Amelia è la madre vedova del piccolo Samuel. Ha perso il marito in un incidente stradale proprio mentre stava andando in ospedale per dare alla luce il piccolo .
Amelia deve fare i conti con la sua condizione di parziale emarginata anche in famiglia ( vittima della micidiale accoppiata vedova + lavoro umile ), inoltre Samuel ha seri problemi di relazione e manifesta a volte anche delle crisi epilettiche.
Un giorno mentre sono assieme a letto leggendo, incappano in un libro che Samuel trova spaventoso, che narra di un baubau, il Babadook.
Da quel momento in poi la loro vita non sarà più la stessa perché strane presenze infestano la casa e il limite tra sanità mentale e pazzia si fa sempre più labile.
Il Babadook è ovunque.....
The Babadook è il film di esordio di Jennifer Kent, un passato non troppo brillante da attrice nelle lande australiane da cui proviene.
Il tutto a partire da un suo corto di circa 10 minuti , Monster, uscito quasi dieci anni fa nel 2005 e notato finalmente da qualche produttore..
Un percorso che hanno fatto tanti altri film ma stavolta è diverso: se infatti la cosa che si teme di più è la perdita della genialità dello spunto iniziale , fondamentale per ogni cortometraggio che si rispetti, nel marasma di una durata più ampia, vedendo Monster si ha l'impressione tangibile di un lavoro di limatura certosino, estenuante che ha portato a un film che è solo ispirato alla lontana al corto da cui è tratto.
Amelia deve fare i conti con la sua condizione di parziale emarginata anche in famiglia ( vittima della micidiale accoppiata vedova + lavoro umile ), inoltre Samuel ha seri problemi di relazione e manifesta a volte anche delle crisi epilettiche.
Un giorno mentre sono assieme a letto leggendo, incappano in un libro che Samuel trova spaventoso, che narra di un baubau, il Babadook.
Da quel momento in poi la loro vita non sarà più la stessa perché strane presenze infestano la casa e il limite tra sanità mentale e pazzia si fa sempre più labile.
Il Babadook è ovunque.....
The Babadook è il film di esordio di Jennifer Kent, un passato non troppo brillante da attrice nelle lande australiane da cui proviene.
Il tutto a partire da un suo corto di circa 10 minuti , Monster, uscito quasi dieci anni fa nel 2005 e notato finalmente da qualche produttore..
Un percorso che hanno fatto tanti altri film ma stavolta è diverso: se infatti la cosa che si teme di più è la perdita della genialità dello spunto iniziale , fondamentale per ogni cortometraggio che si rispetti, nel marasma di una durata più ampia, vedendo Monster si ha l'impressione tangibile di un lavoro di limatura certosino, estenuante che ha portato a un film che è solo ispirato alla lontana al corto da cui è tratto.
Nonostante duri 9 volte di più c'è un lavoro di asciugatura degli stereotipi usati nel corto ( quel fantasma coi capelli corvini davanti agli occhi che fa tanto J-horror ) per arrivare a un risultato molto diverso, un qualcosa che è riduttivo definire horror.
The Babadook non è la solita storia del babau, dell'Uomo Nero , dello spauracchio che sta chiuso nell'armadio o dietro la porta della cantina chiusa a doppia mandata, è qualcosa di più intenso, perturbante, un qualcosa che ti entra sottopelle e diventa più disturbante ogni minuto che passa.
Jennifer Kent, a proposito, una regista donna e noi che continuiamo a dire che l'horror non è un genere per donne, non utlizza i soliti trucchi da Luna Park per spaventare, non smanetta sul volume della musica ma costruisce un orrore molto più complesso e stratificato e , pur senza usare le tecniche di cui sopra, ci regala un film che mette fottutamente paura, ma paura vera.
Un disagio che aumenta col passare dei minuti e che arriva ad essere disturbante nel profondo anche solo prendendosi tutto il tempo necessario per inquadrare il mondo in cui vivono Amelia e Samuel.
Sono due emarginati: lei vedova costretta a fare un lavoro umile, lui, un bimbo con seri problemi relazionali perché perso nel suo mondo di illusionismi e trucchi da mago fai-da-te.
Il loro è un mondo grigio, senza colori ( e tutto questo viene sottolineato da una stupenda fotografia dai toni plumbei ad opera del polacco Radek Ladczuk) che non viene rischiarato dalla gentilezza di un collega di lei e nemmeno dalla vicina di casa, un'anziana signora che a volte si prende cura di Samuel quando Amelia non c'è.
Jennifer Kent, a proposito, una regista donna e noi che continuiamo a dire che l'horror non è un genere per donne, non utlizza i soliti trucchi da Luna Park per spaventare, non smanetta sul volume della musica ma costruisce un orrore molto più complesso e stratificato e , pur senza usare le tecniche di cui sopra, ci regala un film che mette fottutamente paura, ma paura vera.
Un disagio che aumenta col passare dei minuti e che arriva ad essere disturbante nel profondo anche solo prendendosi tutto il tempo necessario per inquadrare il mondo in cui vivono Amelia e Samuel.
Sono due emarginati: lei vedova costretta a fare un lavoro umile, lui, un bimbo con seri problemi relazionali perché perso nel suo mondo di illusionismi e trucchi da mago fai-da-te.
Il loro è un mondo grigio, senza colori ( e tutto questo viene sottolineato da una stupenda fotografia dai toni plumbei ad opera del polacco Radek Ladczuk) che non viene rischiarato dalla gentilezza di un collega di lei e nemmeno dalla vicina di casa, un'anziana signora che a volte si prende cura di Samuel quando Amelia non c'è.
In questo contesto tuttaltro che felice, in un rapporto ricco di contraddizioni tra madre e figlio ( anche se non lo ammetterebbe mai, Amelia inconsapevolmente vede il figlio come la ragione per cui ha perso l'amatissimo marito) ha presa facile la suggestione operata da un libro di fiabe illustrato con protagonista questa creatura oscura e minacciosa, in tuba, mantello e unghioni alla Freddie Krueger.
E' reale?
O è solo una proiezione della mente di Amelia e Samuel?
L'eco delle loro paure più inconfessabili?
Come detto prima The Babadook pur lavorando sugli stereotipi alla base del genere horror e pur citando a piene mani i maestri ( vedere su uno schermo I tre volti della paura di Mario Bava fa veramente un gran piacere) ne rielabora costantemente la lezione dando luogo a un maelstrom di suggestioni e fobie che ha un aspetto nuovo, originale.
E' reale?
O è solo una proiezione della mente di Amelia e Samuel?
L'eco delle loro paure più inconfessabili?
Come detto prima The Babadook pur lavorando sugli stereotipi alla base del genere horror e pur citando a piene mani i maestri ( vedere su uno schermo I tre volti della paura di Mario Bava fa veramente un gran piacere) ne rielabora costantemente la lezione dando luogo a un maelstrom di suggestioni e fobie che ha un aspetto nuovo, originale.
Facile rintracciare tra i meandri di questa casa spettrale gli echi di Suspense di Clayton, forse il miglior adattamento cinematografico del Giro di vite di Henry James, forse è facile anche intuire la psicopatologia che affligge la protagonista come in Repulsion di Polanski, o anche rintracciare il Kubrick di Shining soprattutto per il lavoro sopraffino sulla voce che fa Essie Davis ( attrice favolosa che fino a ieri mi era colpevolmente sfuggita) capace di passare dal sussurro all'urlo disumano senza soluzione di continuità , mettendo i brividi addosso.
Così come è rimarchevole il lavoro del piccolo Noah Wiseman nella parte di Samuel, occhi grandissimi in un viso che sa essere angelico e inquietante allo stesso tempo, a seconda dell'angolazione da cui è inquadrato.
The Babadook non è un horror o solo un thriller psicologico ( altro genere a cui è molto vicino) ma è uno struggente apologo su una mancata elaborazione di un lutto e sul rapporto contrastato con un figlio a cui si è fatto sempre festeggiare il compleanno in una data diversa da quella vera.
Per non ricordare.
Parte integrante di questa costruzione ai limiti della perfezione è anche un'intelaiatura visiva di grande raffinatezza, fatta di scenografie che inquietano non poco nel loro aspetto ordinario e di un uso dell'illuminazione che ha del pittorico pur parlando di una pellicola che appare desaturata di ogni forma di colore.
Jennifer Kent che ha una consapevolezza rara nell'utilizzo del mezzo espressivo, ancora più sorprendente se si pensa che questo è il suo esordio nel lungometraggio ,crea un personaggio di quelli che si fanno fatica a dimenticare, non la solita figurina monodimensionale che spesso affligge il cinema di genere.
E rielabora con grande sensibilità un'iconografia di genere ben rintracciabile ma che magicamente assume una valenza diversa, un'impronta quasi nuova.
Così come è rimarchevole il lavoro del piccolo Noah Wiseman nella parte di Samuel, occhi grandissimi in un viso che sa essere angelico e inquietante allo stesso tempo, a seconda dell'angolazione da cui è inquadrato.
The Babadook non è un horror o solo un thriller psicologico ( altro genere a cui è molto vicino) ma è uno struggente apologo su una mancata elaborazione di un lutto e sul rapporto contrastato con un figlio a cui si è fatto sempre festeggiare il compleanno in una data diversa da quella vera.
Per non ricordare.
Parte integrante di questa costruzione ai limiti della perfezione è anche un'intelaiatura visiva di grande raffinatezza, fatta di scenografie che inquietano non poco nel loro aspetto ordinario e di un uso dell'illuminazione che ha del pittorico pur parlando di una pellicola che appare desaturata di ogni forma di colore.
Jennifer Kent che ha una consapevolezza rara nell'utilizzo del mezzo espressivo, ancora più sorprendente se si pensa che questo è il suo esordio nel lungometraggio ,crea un personaggio di quelli che si fanno fatica a dimenticare, non la solita figurina monodimensionale che spesso affligge il cinema di genere.
E rielabora con grande sensibilità un'iconografia di genere ben rintracciabile ma che magicamente assume una valenza diversa, un'impronta quasi nuova.
I detrattori vi diranno che in The Babadook non succede nulla ma non credete loro.
L'adrenalina scorrerà a fiumi, il sangue no.
L'adrenalina scorrerà a fiumi, il sangue no.
E quel finale , mutuato dal corto, è un ulteriore colpo di genio.
Chapeau ! Jennifer Kent.
Hai fatto l'horror dell'anno.
Ma forse anche il film dell'anno.
E la bomba stavolta viene dall'Australia.
PERCHE' SI : film disturbante che rielabora gli stereotipi dell'horror per trarne qualcosa di nettamente diverso, ottima confezione, fotografia straordinaria, eccellenti Essie Davis e Noah Wiseman.
PERCHE' NO : l'unica pecca è forse nella velocità con cui vengono tratteggiati alcuni personaggi secondari, i detrattori vi diranno che non succede nulla in questo film ma non credetegli....
( VOTO : 8,5 / 10 )
Chapeau ! Jennifer Kent.
Hai fatto l'horror dell'anno.
Ma forse anche il film dell'anno.
E la bomba stavolta viene dall'Australia.
PERCHE' SI : film disturbante che rielabora gli stereotipi dell'horror per trarne qualcosa di nettamente diverso, ottima confezione, fotografia straordinaria, eccellenti Essie Davis e Noah Wiseman.
PERCHE' NO : l'unica pecca è forse nella velocità con cui vengono tratteggiati alcuni personaggi secondari, i detrattori vi diranno che non succede nulla in questo film ma non credetegli....
( VOTO : 8,5 / 10 )
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