Sei mesi dopo lo tsunami del sud est asiatico dove hanno perso loro figlio, il piccolo Joshua, in Thailandia i coniugi Paul e Jeanne a una cena di beneficienza visionano un video.
E Jeanne si convince (irrazionalmente) che un bimbo che si vede di spalle e che indossa una magliettina rossa sia suo figlio.
Vinte le rimostranze del marito si affidano a un boss locale per cercare il bimbo nei villaggi costieri pagando fior di dollari. Il viaggio nella foresta pluviale, sempre più lontani da ogni forma di vita civile, muta ben presto in un incredibile processo di trasformazione delle proprie percezioni da parte di Jeanne che , animata da un fuoco che la lacera da dentro fa continuare le ricerche.
Vinyan ( termine che indica lo spirito di una madre inquieta) è il racconto della metamorfosi di una donna, di una madre che da quando ha perso il suo unico figlio sente di non esserlo più.
E vuole tornare ad essere fonte di vita , addirittura vede Joshua praticamente in tutti i bambini che le si parano davanti. Oltre a completare un viaggio fisico Jeanne percorre tutti i gradini che la portano a scivolare nell'abisso
Il fatto che venga tutto fatto su fiume o su coste può far pensare al furente Aguirre di Herzog (ma forse di più a certi suoi documentari) o anche al viaggio in direzione del cuore di tenebra di Apocalypse now. Ma sono riferimenti solo esteriori che non dicono nulla del cuore pulsante del cinema del talentuoso Du Welz.
Dopo Calvaire horror per certi versi sottostimato ma riconducibile alla nuova ondata di horror francofoni, con Vinyan il cineasta belga firma un film che fa dell'orrore sordo eppure lancinante la sua principale caratteristica.
Un horror antropologico, un film che lascia annichiliti nel suo percorso labirintico in cui la Beart dona corpo e anima a un personaggio progressivamente preda dei fantasmi dell'inconscio.
E' lei il fulcro del film, il suo essere donna libera in una terra in cui le donne sono atavicamente sottomesse, è una donna che vuole tornare ostinatamente a essere madre .
Sta qui la ragione di tutto.
Anche del pasto (nudo) rituale nel finale e dell'accarezzare incantati il corpo di un archetipo fatto madre.
Un sorriso liberatorio: l'ingresso definitivo in un mondo di senza nome.
Du Welz regala al suo (ristretto) pubblico la prova tangibile di quanto grande sia il suo talento con una pellicola suscettibile di molteplici letture, filmata con stile nitido e coinvolgente.
La pioggia batte incessantemente sui corpi.
La Beart illumina tutto: ci si può perdere nei suoi occhi del color del mare sempre sul punto di essere offuscati da una lacrima...
PERCHE' SI : un horror che travalica i confini del genere, un viaggio alla ricerca di se stessi o una fuga dalla propria follia incipiente, c'è la Beart.
PERCHE' NO: astratto, talmente astratto che potrebbe non piacere ai patiti del genere, umidiccio in maniera fastidiosa, c'è la Beart post chirurgia plastica....
( VOTO : 7,5 / 10 )
Caspita, questo è il secondo Du Weltz, lo voglio vedere almeno da 3 anni, da Calvaire ovviamente.
RispondiEliminaVoto che incoraggia, bene.
Questo davvero lo devo mettere in cima alla lista
è diverso da Calvaire, più insinuante , molto particolare...
EliminaAvevo amato "Calvaire" ma questo mi manca
RispondiEliminasecondo me è da recuperare senza indugio...
EliminaCalvaire mi aveva colpito molto, recupero volentieri anche questo!
RispondiEliminacredo che allora ti colpirà anche questo...
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