I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

martedì 30 settembre 2014

The Signal ( 2014 )

Tre ragazzi,Nic , Jonah ed Haley in viaggio verso la California, sono attirati in una casa abbandonata nel sud est del Nevada dalla possibilità di venire a contatto con un misterioso hacker, chiamato NOMAD, che ha già violato a più riprese il sistema informatico di sicurezza dell'Università.
Arrivati sul posto , la ragazza sparisce assieme a Jonah, mentre Nic, affetto da distrofia muscolare si risveglia in una specie di laboratorio medico e conosce il dottor Damon che gli pone delle domande e cerca di acquisire dati sulle sue facoltà cognitive.
Nic parla con Jonah attraverso una parete e scopre che Haley è in stato di coma.
Tenta di fuggire più volte fino a che scopre....
Delittuoso dire di più, è uno spoler troppo grosso che, svelato, toglierebbe gran parte del piacere della visione.
The Signal è un prodotto scifi piuttosto anomalo per essere americano.
Budget piuttosto risicato, che non vuol dire che non abbia buoni effetti speciali ( usati con molta parsimonia tuttavia ) e che abbia un look sciatto, anzi tuttaltro, con protagonista quel Brenton Thwaites utilizzato subito dopo Oculus ma appena prima di due blockbuster che ne hanno fatto crescere a dismisura l'ingaggio, quali Maleficent e The Giver, The Signal  oltre per la  presenza di quel vecchio marpione di Laurence Fishburne, si segnala, mi si scusi la cacofonica allitterazione , per avere un'idea di base molto stuzzicante.
Un hacker senza volto , nè forma, quasi una figura mitologica, si vuol fare ritrovare da questi ragazzotti maniaci di computer.
Dopo un inizio da road movie in cui i tre ragazzi hanno modo di presentarsi , l'interesse sale quando si ritrovano in una vecchia costruzione dispersa nel bel mezzo del nulla.
Si cita apertamente The Blair Witch project in una sequenza e si apre una bella sezione stile found footage horror che però , si calmino coloro che detestano il genere, dura poco, pochissimo.
Da qui ci si fionda nella seconda parte del film, ambientata in una specie di laboratorio medico.
Non potendo parlare della trama del film posso solo dire che da qui in avanti ci sono alcuni colpi di scena veramente ben congegnati che da catapultano verso un finale in cui è tutto un po' troppo spiegato.
Ecco, il problema dello spiegone: non riuscirò a farmi capire perché devo evitare come uno slalomista tutti i paletti messi in mezzo da una trama che salta amabilmente di palo in frasca ( diciamo District 9, qualcosa di Flash, un 'ultima sequenza che profuma di Solaris di Tarkovskji  ma solo un'annusata, non scherziamo e anche una spruzzata di Pistorius , già che ci siamo, tanto per essere sacrilego).
Perché spiegare tutto così chiaramente e non lasciare qualcosa all'interpretazione dello spettatore?
Dopo la visione si divertirà a immaginare varie interpretazioni, vari scenari per quello che accadrà dopo il finale.
Qui invece è come se gli sceneggiatori ( tra cui lo stesso regista William Eubank, al secondo film ) avessero voluto tirare un segno , definitivo, una fine certa senza alcuna possibilità di immaginare un dopo.
E' quello e basta.
Ed è il difetto di un film, questo, che per altro è girato da un regista che sa molto bene come comporre le inquadrature e che sembra sapere il fatto suo nonostante la scarsa esperienza alla regia ( ma è un esperto direttore della fotografia e questo fa molto).
Qualche volta fa un po' troppo il fighetto ( vedi le scene al ralenti, il refugium peccatorum del regista stiloso) ma si può perdonare, in fondo è giovane e solo al suo secondo film.
Altra cosa;: dopo aver infilato una dietro l'altra qualche trovata niente male e aver proposto un'ambientazione che per me è di indubbio fascino come quella di un asettico laboratorio / ospedale in cui tutti sono vestiti con scafandri anti contagio che sembrano tute spaziali, ma perché poi buttare tutto in vacca con la solita masnada di sequenze di inseguimento che con uno sci fi c'entrano come i cavoli a merenda?
Solo per compiacere il pubblico americano?
Ecco , sotto questo profilo , gli americani non li capirò mai.
Ma a questo film, pur con tutti i suoi difetti, non riesco proprio a volerci male....

PERCHE' SI :  ottima parte centrale del film, ambientazione suggestiva, una buona serie di colpi di scena, regista che sa il fatto suo
PERCHE' NO : spiegone finale evitabile, solite scene di inseguimento che in un film come questo c'entrano pochino, nessuna possibilità di interpretazione nel finale, netto e tranchant.

( VOTO : 6 + / 10 ) 

lunedì 29 settembre 2014

Frances Ha ( 2012 )

Frances vive a New York trasferendosi da un appartamento all'altro, non ha una casa propria, balla all'interno di una compagnia di danza di cui non fa veramente parte forse perché non ha sufficiente talento, ha un'amicizia totale con Sophie con la quale convive e quando lei si trasferisce dal suo ragazzo entra in crisi.
Non sa letteralmente cosa fare, ritornare a Sacramento dai genitori non se ne parla perché non ci sono prospettive, meglio tornare all'Università dove ha studiato a fare la cameriera o forse è meglio accettare il lavoro di segretaria nella compagnia in cui prima danzava.
Almeno si può permettere un appartamento e pazienza se il suo cognome, Halladay, non entra nella targhetta del citofono.
Va bene anche solo Frances Ha.
Noah Baumbach è un regista anomalo nel panorama cinematografico americano.
Mentre nelle sue regie è indie fino al midollo, mostrando ai quattro venti il suo essere cinefilo e anche il suo amore per certo cinema europeo nonchè americano del passato ( Allen in primis) , d'altra parte è stato lo sceneggiatore per un paio di film di Wes Anderson ( Le avventure acquatiche di Mr Steve Zissou e Fantastic Mr Fox), ma al suo attivo anche la sceneggiatura , evidentemente alimentare, di Madagascar 3 che col resto della sua carriera c'entra come i cavoli a merenda.
Dicevamo del suo stile indie fino al midollo: Frances Ha, suo film del 2012 che qui da noi è arrivato con giusto due anni di ritardo, prosegue sul fil rouge de Il calamaro e la balena ,Il matrimonio di mia sorella e Lo stravagante mondo di Mr Greenberg, almeno dal punto di vista registico ( con un abbondanza di primi e primissimi piani e una cinepresa che pedina ossessivamente i vari personaggi , molto , molto da vicino) mentre a livello di contenuto sono quasi del tutto abolite le baruffe sentimentali e i personaggi disfunzionali.
A meno che non vogliamo considerare come disfunzionale un personaggio come quello di Frances e sentimentali le sue baruffe con Sophie , il suo alter ego con capelli diversi, come dice lei stessa.
Personalmente faccio un po' fatica a considerare Frances un personaggio reale o verosimile anche se si possono interpretare le sue peripezie come specchio del precariato reale , economico e sentimentale , che viviamo un po' tutti sulla nostra pelle in questi ultimi anni.
Ma Baumbach non vuol parlare di crisi economica, ambienta il suo film in una dimensione altra in cui squattrinati nullafacenti hanno sempre i soldi per andare avanti e genitori compiacenti continuano a permettere loro di cercare il loro percorso anche a costo di un generoso esborso economico.
A quanti è permesso nella vita reale?
Frances può, si può permettere di vivacchiare di qua e di là, di perdersi in chiacchiere infinite senza troppo costrutto, di inseguire un sogno, quello della danza , per la quale evidentemente non è tagliata.
Non posso dire che Frances Ha è un film brutto ma non ha statura sufficiente per competere coi modelli a cui si ispira e non ha narrazione organica, dimostrandosi a più riprese rapsodico come la vita della sua protagonista.
E poi Baumbach non perde l'occasione di ostentare la sua cinefilia ( il viaggio a Parigi quasi fosse una novella Zazie nel metrò, un bianco e nero fighetto che più fighetto non si può. Solo per darsi un tono autoriale. Altrimenti perché usarlo?).
Frances Ha sta tutto negli occhi da cerbiatta di Greta Gerwig che fanno fatica ad aprirsi sul mondo che la circonda ( o forse è semplicemente una paracula che fa finta di non vedere) e in quel paio di passi di danza che ogni tanto prova quasi a dimostrare a se stessa che lei ha un futuro da ballerina.
E' il classico film che riesco a classificare solo come caruccio ma nulla di più, niente aura di mito che da più parti gli è stata assegnata.
Classico cinema indie americano con un occhio rivolto alla vecchia Europa ma in realtà senza nulla di nuovo da dire.
Allen e Cassavetes, solo per rimanere nell'ambito del cinema americano, queste cose le hanno girate più di 30 anni fa e anche molto meglio di quanto possa mai fare Baumbach.
Tanto per rendere le giuste proporzioni confrontate il ritratto femminile di Frances Ha con Io e Annie di Allen o con Gloria di Cassavetes.
Baumbach e la sua furbizia cinefila perdono 2 a 0.

PERCHE' SI : Greta Gerwig è brava e convincente, nel finale c'è anche una certa vena comica oltre a quella malinconica.
PERCHE' NO : salutato da più parti come un capolavoro al massimo è un film caruccio, piacione e girato in modo fighetto ( e basta col bianco e nero usato per darsi un tono).

( VOTO : 6 / 10 )

 Frances Ha (2012) on IMDb

domenica 28 settembre 2014

Lovelace ( 2013 )

La storia di Linda Susan  Boreman in arte Linda Lovelace e di come fu convinta a interpretare il primo film porno della storia che approdò nei cinema americani ( e non solo nel circuito dei film a luce rossa ) con successo strepitoso.
La storia viene praticamente raccontata due volte: prima quello che era già noto al pubblico con il successo di Linda che diventa un'icona della libertà e dell'emancipazione sessuale , suo malgrado.
La seconda volta è raccontato il dietro le quinte: il rapporto col marito Chuck, più che un compagno uno sfruttatore e tutte le violenze da lei subite e raccontate nel suo libro Ordeal in cui narra quello che si nasconde nel porno biz americano.
Fare un film sulla biografia di Linda Lovelace era un progetto accarezzato da molti cineasti interessati alla figura di una donna che nel corso degli anni è passata dall'essere un'icona dell'emancipazione sessuale, come già detto, a una fiera oppositrice dell'industria del porno, un business di prostituzione mascherata, secondo le sue parole.
Vedere questo progetto in mano a Rob Epstein e Jeffrey Friedman documentaristi pluripremiati ( autori de Lo schermo velato, per esempio) , qui al loro secondo film di fiction dopo Urlo, la storia di Allen Ginsberg e la nascita della Beat Generation, era in un certo senso una garanzia.
Eppure, diciamolo subito, questo film non funziona.
Non funziona nè sul piano della fiction pura in quanto un montaggio che alterna i piani temporali di fatto interrompe la fluidità della narrazione e non riesce a dare un filo logico, un'organicità a quello che si sta narrando, e neanche sul piano del documento storico perché superato in tromba dal vero documentario sulla storia della povera Linda, quel Inside Gola profonda del 2005 che esaminava nel dettaglio alcuni aspetti messi in evidenza in Lovelace, diciamo gli aspetti più tecnici della distribuzione del film e delle reazioni del pubblico americano a quella che si presentava come l'essere una novità assoluta per il pubblico cinematografico a stelle e strisce.
E in più c'erano le interviste ai veri protagonisti e non attori che ne scimmiottavano voce e gesti.
Lovelace fallisce sia come ritratto di una donna, infarcito come è di ovvietà nella descrizione di un rapporto d'amore violento con un marito sfruttatore e del rapporto coi genitori, ultrabigotti, ritenuto in qualche maniera decisivo sia nell'allontanamento da casa di Linda , sia nel suo successivo riavvicinamento ( a proposito , sarà vergogna dirlo, ma non avevo neanche riconosciuto Sharon Stone , invecchiata e imbruttita nella parte della madre).
Linda che ha la faccia troppo bella e troppo pulita di Amanda Seyfried e che concede anche poco delle sue burrose curve non disdegnando comunque il topless, sembra una sorta di lolita atterrata da Marte e che guarda tutto con i suoi occhi stupiti da cerbiatta innocente, piuttosto distante dalla grazia ( per modo di dire) della vera Linda , una che innocente probabilmente non è mai sembrata nella sua vita.
Tralasciando qualche caratterizzazione oltre la soglia del ridicolo ( vedi un impomatatissimo James Franco nei panni di Hugh Hefner) Lovelace fallisce anche come ritratto di un'epoca fondamentale nella storia del costume americano, superato di gran lunga dal magnifico Boogie Nights, quello si un ritatto a tutto tondo del porno business che diventava un grande affresco di una società in fermento, da tutti i punti di vista.
Altra cosa da imputare al film è quella di aver ridotto Linda Lovelace allo status di vittima ignara di tutto e di tutti, per dare una deriva melodrammatica alla sua storia.
La storia dice che non era propriamente così e il fatto che due documentaristi di gran nome come Epstein e Friedman abbiano distorto così la sua figura per raccontare una sorta di melodramma esistenziale ( vittima dei genitori ,  del marito e del business, visto che Gola Profonda incassò 600 milioni di dollari e lei ne guadagnò solo 1250) che ci restituisce una sorta di riabilitazione della sua figura post mortem.
Linda sicuramente non ne aveva bisogno.

PERCHE' SI : fotografia vintage di pregio, grande cast anche se usato non sempre nel modo giusto.
PERCHE' NO: fallisce sia come ritratto d'epoca che come storia di Linda Lovelace, James Franco nei panni di Hefner è semplicemente ridicolo.

( VOTO : 5 / 10 ) 

Lovelace (2013) on IMDb

sabato 27 settembre 2014

Enemies Closer ( 2013 )

Henry, ex militare dei Navy Seal , fa ora il ranger in un parco naturale in un'isola ai confini tra USA e Canada. Mentre deve fronteggiare un pericolo che viene dal suo passato ( il fratello di un suo ex commilitone morto lo prende in ostaggio per ucciderlo e vendicare il fratello a suo dire abbandonato da Henry), una banda di trafficanti di droga capeggiata dal perfido Xander deve recuperare il carico di un aereo.
E non si fanno scrupolo di uccidere chiunque si frapponga tra loro e la droga.
Henry e il suo nuovo "amico" devono far fronte comune per avere salva la vita....
Enemies Closer ovverossia Van Damme uber alles.
Dopo essere stato malamente estromesso dalla saga degli Expendables ( forse perché a dispetto delle altre leggende  vecchiette fisicamente è ancora tirato come una corda di violino e capace di fare cose impensabili), lui che poteva sicuramente essere non un ma L'Expendable di domani, ma anche di dopodomani, ritorna al cinema di basso budget che negli anni '90 gli aveva decretato una certa fama tra gli aficionados facendolo anche sbarcare nel cinema di serie A.
Questo Enemies Closer è cinema anni '90 scongelato e tirato fuori per l'occasione e , nonostante i suoi limiti, perché di sorprese ne nasconde veramente poche ed è piuttosto prevedibile nei suoi sviluppi, ha quell'aria delle cose buone fatte in casa, un po' come quelle crostate della nonna che avevano tutte lo stesso sapore ma che comunque era sempre piacevole assaporare.
Qui la crostata della nonna la cucina un certo Peter Hyams, un nonnetto vero, che all'alba dei suoi 71 anni, dirige e fotografa il film con la sua solita perizia da ottimo artigiano di cinema e si fa aiutare nel montaggio dal figlio John, uno che si è costruito già una carriera apprezzabile nella serie B cinematografica.
Quindi in questo film si ricrea il sodalizio Hyams/Van Damme già visto negli anni '90.
Certo, gli anni passano per tutti e la faccia di Van Damme ha delle rughe profonde come canyons ma vederlo con quei capelli sparati in alto che ostinatamente vogliono vincere la forza di gravità, con quegli occhi sempre spalancati forse in memoria di un passato tossico che lo ha quasi rovinato e quella smania di apparire diverso sempre e comunque , è come rivedere dopo tanto tempo un vecchio amico.
Perché a uno come Van Damme non si può fare a meno di volerci bene anche solo per il fatto che ti ricorda il cinema che fu, quello tamarro che vedevi assieme agli amici solo per gustarti botte da orbi e le immancabili acrobazie vandammesche, le sue oramai mitiche spaccate spaccamaroni che se non ne ficcava almeno una in ogni film non era contento.
In Enemies Closer magari non pretendi più da lui una tale esplosività atletica ma lui ti spiazza menando sempre come un fabbro ( ma stavolta niente spaccata) e uccidendo spietatamente dando vita a un villain sempre sull'orlo della caricatura se non oltre.
Del resto come si può pensare a un vegano , ambientalista che uccide senza pietà?
Una contraddizione in termini difficile da giustificare.
Eppure è un personaggio che non fa ridere ma fa un po' paura perchè non sai mai che cosa potrebbe fare, ti potrebbe uccidere anche con un semplice cd.
Van Damme un po' ci mette anche del suo , si mette a parlare in francese, filosofeggia sulla rava e sulla fava, gli dà di supercazzola, novello conte Mascetti,  quando si è ormai prossimi al finale.
Insomma furoreggia in un film in cui il resto del cast è fatto di residuati bellici recuperati per l'occasione come Tom Everett Scott, sgonfissimo e Orlando Jones, qui in una parte da serio , sorprendente per me che me lo ricordavo solo per le boccacce e gli occhi strabuzzati in quella porcata megagalattica di Evolution.
Enemies Closer è robetta da consumare al volo, fatta bene ma consapevole del suo livello medio in cui Van Damme spadroneggia anche in over acting.
Del resto dopo l'incredibile pianosequenza di 7-minuti-7 nel cult assoluto JCVD , lui può tutto.
E lo sa.

PERCHE'SI : action vecchio stampo, breve ed aguzzo, c'è Van Damme diretto Hyams
PERCHE' NO : senza lampi di genio, il resto del cast oltre Van Damme è piatto come il mare in bonaccia, a tratti anacronistico.

( VOTO : 6 + / 10 ) 

venerdì 26 settembre 2014

Stage Fright ( 2014 )

Camilla Swanson assieme al fratello Bobby lavora come cuoca nella cucina di un campus dove sono iscritti figli con problemi di gente ricca. Si stanno tenendo le audizioni di un musical e lei si intrufola tra le candidate facendo conoscere al regista la sua splendida voce.
Del resto è figlia di una cantante di Broadway uccisa brutalmente dieci anni prima durante la rappresentazione di The Hunting of the Opera,
E il musical che si terrà nel campus è ispirato proprio a quella rappresentazione in cui morì la madre di Camilla, come omaggio, anche perché il direttore del campus è l'ex fidanzato della madre di Camilla e di Bobby.
Camilla ottiene la parte principale anche se dovrà dividerla con un'altra candidata ma per la serata della premiere è lei la prescelta.
Lo spettacolo si terrà nonostante ci sia un omicidio nel campus , un killer mascherato si aggira tra gli studenti e continua a seminare terrore e morte....
Stage Fright, esordio nel lungometraggio del canadese Jerome Sable, apprezzato autore di corti di cui uno , The Legend of Beaver Dam, horror / musical , ha vinto diversi premi nei Festival specializzati di tutto il mondo, dimostra che nel campo horror si può ancora dire qualcosa di nuovo.
E forse quella novità sta nella contaminazione di generi.
Stage Fright è infatti una riuscita composizione di vari generi cinematografici che vanno dall'horror al musical abbracciando nel contempo anche la commedia e il thriller.
Si canta a squarciagola ma ci si squarta anche allegramente come dimostrato nella scena dell'uccisione della madre di Camilla , brutalizzata con varie coltellate e finita con una coltellata direttamente in bocca in un diluvio di sangue e di urla, oltre che di musica.
Dopo questo omicidio che ricorda molto da vicino , anche per come è girato, il glorioso thriller all'italiana, tra Argento e Mario Bava, il tono cambia e il musical teen prende il sopravvento.
Canzoni orecchiabili, una trama appena accennata che serve solo come supporto per numeri musicali e per scene cruente da slasher sanguinolento come pochi.
Il killer è mascherato , diciamo qualcosa che ricorda più Scream che i vari Venerdì 13 o Halloween, uccide urlando a squarciagola su una base metal in un delirio di sangue che assume presto i contorni della parodia.
Ma si muore in quel campus e nei modi più brutali.
E' questo il corto circuito che crea il film di Sable: in un'atmosfera da High School Musical invece delle solite smancerie da teen comedy e delle consuete baruffe sentimentali volano coltellate come se piovesse  perché l'unica cosa che non gli si può rimproverare a questo Stage Fright è l'edulcorazione delle scene meno adatte al pubblico impressionabile.
Di sangue ne schizza parecchio, gli omicidi non vengono lesinati e neanche le pugnalate.
Ma la caratteriezzazione del killer è ancora più parodistica di quello che accadeva in Scream.
Evoca sensazioni strane perché fa paura per come è spietato e brutale ma fa anche ridere per come è incapace e vulnerabile.
Pur realizzato con la tecnica del whodunit, il colpevole si scopre abbastanza presto ( diciamo per gli spettatori appena più smaliziati la soluzione è chiara praticamente fin dall'inizio ) ma non è questo che sembra interessare al regista.
Sembra più interessargli la ragnatela di citazioni tessuta lungo tutto il film in cui i padri putativi di questa interessante produzione canadese sono robetta come Il fantasma dell' Opera , Il fantasma del palcoscenico di De Palma ( forse il vero padre naturale di questo film), per non parlare di High School Musical e Scream.
Niente di miracoloso ma qualcosa di fottutamente divertente.
Solo per questo lo consiglierei agli amanti di qualcosa di nuovo e frizzante che cerchi di rielaborare i dettami dei vari generi che tocca.

PERCHE' SI : riuscita contaminazione di generi, un horror brutale in alcuni punti, parodia irresistibile in altri
PERCHE' NO : il colpevole si scopre troppo presto, la trama è poco più di un pretesto.

( VOTO : 7 / 10 )

 Stage Fright (2014) on IMDb

giovedì 25 settembre 2014

Di tette e di culi. E anche di fighe. Reprise

Una breve chiosa a quanto scritto ieri.
Come volevasi dimostrare.
Se metti le tette e i culi nel titolo del post il successo è assicurato.
Quasi 1000 visualizzazioni in un giorno , circa il 25 % in più di una media mensile che era già ragguardevole rispetto agli altri mesi ( del 25 % superiore alla media degli altri mesi), quasi 350 visualizzazioni del post in questione che è di gran lunga il post più visualizzato nel giorno di uscita, addirittura più della mitica intervista al Moz che smosse metà della blogosfera a guardare nel mio blog ( all'epoca nel primo giorno quell'intervista totalizzò circa 250 visualizzazioni).
Per altri saranno numeri anche normali, bassi, ma per il mio blog sono assolutamente di rilievo.
E siamo arrivati a un numero di commenti che si piazza nelle posizioni alte della top ten del blog (senza contare i miei la media è 1 commento ogni 10 visualizzazioni contro la media normale di 1 ogni 60 )
Vi cito l'aridità dei numeri solo per rendere l'idea di quello che succede in giro: addirittura vedendo le parole chiave per arrivare al blog e al post in questione ho trovato anche uno che ha messo nel motore di ricerca " blogger di culi".
Esiste veramente un blogger di culi?
No, parliamone, se esiste veramente, direi che abbiamo un problema.
Un altro è arrivato nel mio blog mettendo nel motore di ricerca " figa albanese".
E anche qui direi che abbiamo un problema a meno che da quelle parti abbiano qualche differenza anatomica che a me sfugge.
Ma io voglio pensare altro.
Voglio pensare che il mio post sia stato così visualizzato perché parlava di un argomento che mi e ci preme moltissimo, non voglio pensare a quelle masnade di porconi che vanno in giro per il web cercando emozioni a buon mercato.
Emozioni di pixel.
Che tristezza.
Altra cosa che forse ieri non sono riuscito a spiegare bene: non voglio chiudere il mio blog, almeno non ora.
Qualche mese fa ci avevo pensato ma ora non ci sto pensando assolutamente.
Ma ciò non toglie che quando vedo blog belli e di successo come quello di Davide che chiudono oppure vedere blog abbandonati a se stessi nelle deriva della blogosfera il turbamento mi assale e con lui una certa inquietudine.
Riporto una frase del mio amico Franco Battaglia ( amico vero e non solo di web!) che sintetizza come meglio non si potrebbe quello che provo
Come se entrassi in una casa devastata da un virus che ha fatto scappare tutto ciò che è vita ma lasciando la caffettiera sul gas (spento), il letto disfatto ma ovviamente vuoto, il giornale di dieci anni fa poggiato sulla lavatrice. Ma tutto senza polvere o ragnatele, perché la blogosfera cristallizza l'attimo dell'abbandono e te lo preserva in eterno. Entri in quella casa, perché un blog morto è pur sempre aperto, e trovi un mondo che fu. Resti in silenzio, gironzoli senza toccare nulla e riprendi l'astronave della curiosità."

E con questo chiudiamo sull'argomento
E vediamo con la figa nel titolo in quanti si avvicineranno a questo post.
Da domani si torna a parlare di cinema.
Promesso!

mercoledì 24 settembre 2014

Di tette e di culi. E di blog che chiudono.

Sono  nuovo della blogosfera, un pivello diversamente giovane e anche diversamente competente a cui piace parlare e sparlare dei suoi argomenti preferiti, anzi di uno , fondamentalmente , il cinema.
Dopo anni e anni passati a scrivere di film su un sito come semplice utente , due anni e mezzo fa ho sentito l'esigenza, quasi la pulsione, o forse era lo scazzo per una nevicata apocalittica che mi bloccò in casa per quasi due settimane, di crearmi uno spazio mio per scrivere di cinema e di tutte le altre cazzate che compongono la mia vita.
Che cosa è il mio blog per me?
Una valvola di sfogo, un modo per condividere una mia passione.
Ho provato anche a parlare degli aspetti più buffi della mia professione, quella vera intenda, quella che dà da mangiare a me e alla mia famiglia.
Quella di veterinario: un lavoro bellissimo e sono ben consapevole di avere un lavoro che mi piace, non è roba da tutti.
Certo la ricchezza non arriverà mai, mi sono scelto una professione in cui se lavori come un mulo riesci a vivere dignitosamente ma le soddisfazioni economiche non sono commisurate agli sforzi.
Ci sono altre soddisfazioni, tipo quella di ieri sera in cui sono riuscito a rianimare un magnifico setter irlandese con problemi di dilatazione gastrica che era andato in arresto respiratorio mentre cercavo di svuotare il suo stomaco.
Attimi interminabili, la lingua diventata cianotica perché non ossigenata , lo sforzo fisico per comprimere la sua cassa toracica e assicurargli un minimo di ossigeno, la respirazione bocca a bocca.
E dopo qualche minuto quella lingua che ha ricominciato a riprendere colore e quella respirazione che mano mano è diventata più regolare è stata una liberazione e quando alla fine il cagnone si è rimesso in piedi è stato una gioia immensa, qualcosa difficile da descrivere, una soddisfazione che poche professioni possono vantare.
Questo per dire che per me tenere in vita il mio blog non è una professione.
Non ho velleità da scrittore, mai avute, mai provato a scrivere romanzi, forse negli anni di gioventù ho provato a scrivere qualche poesia,subito cestinata per assoluta mancanza di talento, ho nel mio ricco palmares solo qualche testo di canzone.
Per me blog vuol dire passione , non lo vedo neanche come una missione come magari fanno altri.
Non mi sento su un piedistallo per pontificare su quello che vedo come può fare il critico cinematografico di turno, mi sento libero di esprimere tutto quello che sento ed è un gran bel sentire.
Prima di scrivere faccio ricerche, cerco riscontri, scrivo sempre di cose che conosco, cose di cui ho almeno un minimo di competenza.
E la mia competenza sta molto nelle migliaia di film visti durante gli anni.
Non ho pretese da intellettualoide.
Voglio solo condividere la mia passione.
Una cosa che mi ha colpito sempre negativamente da quando bazzico per la blogosfera, poco più di due anni, quindi perdonate il mio essere pivello, è vedere così tanti blog che non vengono aggiornati da mesi, lasciati lì come navicelle spaziali alla deriva in uno spazio sempre più infinito.
Blog che chiudono, che muoiono.
Da due blogger che stimo moltissimo, Hell di Book and Negative  e Lucia de Il giorno degli zombi, sono venuto a conoscenza della chiusura del blog Strategie Evolutive, un blog bellissimo che purtroppo ho avuto modo di conoscere solo dopo la sua chiusura.
Potevo dirvi che lo seguivo da tempo e invece no, visto che non posso stare a girellare per blog come vorrei, mi era sfuggito il blog di Davide, come sicuramente mi sfuggono e mi sono sfuggiti blog bellissimi e importantissimi come quello di Davide.
Il punto è che anche se non lo conoscevo , quando sento che un blog chiude per me è sempre un enorme dispiacere nonché un campanello d'allarme, mi chiedo sempre fino a quando avrò la costanza di aggiornare quotidianamente questo blog come sto facendo ora.
Qualche mese fa sono stato a un passo dalla chiusura per fattori esterni al mio blog e chi mi conosce sa quali siano eppure, faticosamente , mi sono rimesso in carreggiata.
Leggendo Davide , Germano e Lucia scopro che il nocciolo è sempre lo stesso.
La mancanza di condivisione, decine, centinaia  di occhi puntati sui propri scritti eppure pochissimi che si appalesano per far sentire la propria voce , il proprio parere, favorevole e contrario che sia.
E' un problema che sento parecchio anche io , le visualizzazioni ci sono, le statistiche corroborano la mia voglia di andare avanti ma qualche volta mi sto a domandare il perché un post quando viene pubblicato fa un botto di letture eppure di commenti ce ne sono sempre pochi.
E succede anche che c'è qualcuno che commenta e poi cancella il proprio commento non si sa perché o per come.
Leggendo le mie statistiche , compresi i miei di commenti, perché cerco sempre di rispondere a tutti, mi sembra una norma di buona educazione e quando non accade è perché il commento non lo vedo e mi scuso anticipatamente, ho una media di circa un commento ogni 30 visualizzazioni.
Poco , tanto? Non lo so.
E se levo i miei la media sale a un commento ogni 60 visualizzazioni circa.
Capitolo visualizzazioni: sono appassionatissimo di cinema coreano e giapponese , all'inizio  ne ho parlato a profusione ma un po' mi è passata la voglia perché ho visto che quel tipo di cinema è effettivamente per pochi intimi.
E dopo un po' ti scocci a scrivere e notare che non ti si fila nessuno.
Se invece parli di tette e di culi il successo è assicurato.
Ecco perché capisco Davide e la sua insoddisfazione nel vedere che post per cui si impiega tanto tempo e ideale sudore della fronte se li filano in pochi.
Ma l'invito è sempre quello di non mollare mai, per la passione , perché se pochi condividono la tua passione non vuol dire che stai sbagliando.
Io spero che sia solo un momento di debolezza e che Davide ci ripensi.
Se ci ripensi , da oggi avrai un lettore in più.
Certo non è roba da fare salti di gioia , ma ora grazie a Germano e a Lucia ti ho conosciuto  e non ti mollo, neanche in inglese.
Scusate la divagazione ma come si dice in Alto Adige....quanno ce vo' ce vo'.....

martedì 23 settembre 2014

The Giver - Il mondo di Jonas ( 2014 )

In un pezzetto di mondo da qualche parte nello spazio e nel tempo, presumibilmente un futuro abbastanza vicino, circondato da un recinto più immaginario che reale, la società si è evoluta in senso anaffettivo: sono bandite le emozioni, i contatti fisici, le memorie del passato, i colori e chi provi a turbare questo nuovo ordine è " congedato", una maniera elegante per dire ucciso.
Addirittura vengono anche contingentate le nascite , vengono usate vere e proprie fattrici e poi i bimbi perfetti geneticamente sono assegnati alle varie famiglie.
Quelli che non lo sono vengono accantonati, uccisi.
Dopo un'infanzia apparentemente felice , al limitare dell'adolescenza , i giovincelli vengono assegnati alle loro nuove mansioni, in base alle inclinazioni mostrate.
Il Jonas del titolo deve venire addestrato come raccoglitore di memorie e viene mandato da colui , anziano, che ha questo ruolo nella società.
E costui gli mostra che tutto quello che ha intorno è una truffa ordita contro di loro, il mondo ha colori, emozioni, amori.
Jonas sente tutto questo e si vuole ribellare....
Ormai al cinema il film che partono da uno spunto di futuro distopico te li danno in offerta speciale, prendi tre e paghi due, film da consumare all'istante perché poi la loro fine naturale è quella del cartone delle superofferte in mezzo a decine di altri articoli che col cinema c'entrano come i classici cavoli a merenda.
Qui a bottega il genere sci fi è molto gradito e anche che si parli di futuro distopico , ma sinceramente ne ho le tasche piene ( per non dire qualcosa d'altro, meglio essere educati ed eleganti), di film fatti con lo stampino, prendendo un po' di qua e un po' di là, raffazzonati alla meglio , un po' così come viene e che abbiano come target adolescenti brufolosi in cerca di emozioni che diano sfoghi al loro stravaso ormonale.
Sarà che ho passato da un pezzo quella fase, sarà anche che mal sopporto la deriva teen che ha preso il genere e sarà anche che ormai ne ho visti a bizzeffe ma considero totalmente irricevibile la proposta cinematografica di questo The Giver- Il mondo di Jonas, frullatone malmostoso di decine e decine di altri film già visti e stravisti.
Dalla filosofia eugenetica presa da Gattaca e da Divergent, altra recente , cocentissima delusione, alla società totalitaria di Hunger Games fino ad arrivare al mondo in bianco e nero già paventato in quel piccolo gioiello cinematografico di Pleasantville, il film di Noyce, autore robusto quando si tratta di thriller ed action , ma assolutamente lontano dalla visionarietà di cui avrebbe bisogno il genere, procede saltando di palo in frasca e mandando tutto in malora con una seconda parte pseudoaction che piccona alla base quel poco costruito nella prima parte.
Dispiace vedere due attori che a loro modo hanno fatto la storia di Hollywood come Jeff Bridges e Meryl Streep , impegnati in due personaggi assolutamente senza colore come la prima parte del film e dispiace vedere un film che poteva avere delle potenzialità messo nelle mani insipienti di un gruppo di giovinastri che oltre al loro bel faccino hanno ben poco da offrire.
Paradossalmente quello che manca al film è proprio quell'emozione, quello scarto emotivo che cerca di raccontare e che è simboleggiato dal passaggio da una vita senza colori , in un asettico bianco e nero a un diluvio policromatico che dovrebbe rapire il cuore.
In realtà la noia comincia a regnare sovrana e il  viaggio in motocicletta di Jonas che porta con sé la speranza per un nuovo inizio assume mano mano i contorni del delirio.
Distopia portami via...ma veramente...

PERCHE' SI : la distopia è sempre gradita qui a bottega , un concept con delle potenzialità
PERCHE' NO:  frullatone di decine di altri titoli del genere, Bridges e Streep in personaggi scialbi e senza colore, attori giovani insipienti, noia che affiora ben presto, seconda parte pseudoaction assolutamente fuori contesto...

( VOTO : 3,5 / 10 )

The Giver (2014) on IMDb

lunedì 22 settembre 2014

Seria(l)mente : House of Cards ( 2013, Stagione 1 )

Paese d'origine : USA
Produzione e distribuzione : Netflix
Episodi : 13 da 55 minuti cadauno

Vita ,  peccati, pensieri , opere e omissioni del deputato democratico Francis J. Underwood, uomo cinico e spietato che , non nominato segretario di Stato, riesce ad organizzare un piano di vendetta meticoloso contro tutti quelli che lo hanno ostacolato e ha successo nel mutare  la scena politica attorno al presidente degli Stati Uniti.In questo è aiutato a fasi alterne dalla moglie Claire, dalla blogger Zoe a cui passa notizie di prima mano e da Stamper vero e proprio braccio esecutivo.
13 puntate che si muovono nel dietro le quinte del potere mettendo in scena una storia che ha molto dello shakespeariano ma che ha anche molto, ma veramente molto di contemporaneo.
House of cards sembra la versione marcia e incancrenita di West Wing, dipinge un mondo grigiastro in cui ognuno ha da farsi perdonare qualcosa, ognuno ha uno scheletro nell'armadio grosso così, ognuno  è animato dalla filosofia del più perverso "do ut des".
Io non faccio nulla se tu non fai qualcosa per me.
Al centro della scena c'è lui, Francis J. Underwood a cui Kevin Spacey dà ottimamente corpo, volto e voce.
E' perfetto.Sfaccettato sotto una patina di apparente impassibilità, sempre sotto controllo e capace di non fermarsi davanti a nulla.
Il pilot ce lo presenta subito in tutta la sua lucentezza di genio del male quando praticamente spezza il collo a un cane appena investito per non farlo soffrire.
E lui vuole fare proprio questo, la sua ambizione è quella di disporre delle vite e delle carriere di tutti.
E in qualche maniera ci riesce, con la sua ragnatela di conoscenze e la sua mente machiavellica ottiene sempre quello che vuole.
Anche chi gli sta intorno non gli è da meno a partire dalla moglie Claire personaggio indecifrabile per almeno metà serie.
Poi, anche lei getta la maschera, in una scena talmente "forte" da rasentare il cattivo gusto: si mette a ravanare nelle parti basse di una loro ex guardia del corpo immobilizzata in un letto d'ospedale in quanto malato terminale di tumore, solo perché lui le ha confessato di averla sempre amata e di aver coperto il marito in tutte le sue marachelle extraconiugali.
Robin Wright nella parte di Claire è perfetta, giunonica e illeggibile e tanto tanto gnocca ( mai stata così gnocca almeno a mia memoria).
House of Cards è una serie fondamentale per la storia della televisione: basandosi su un omonima serie inglese del 1990 ricavata dal romanzo di Michael Dobbs, ex funzionario di alto livello del Partito Conservatore britannico, è la prima serie tv prodotta dal network Netflix , specializzato in streaming legale di alta qualità e web series, che ne ha strappato i diritti a colossi come l'HBO e segna lo sbarco in tv di un divo di prima grandezza come Kevin Spacey dopo anni di relativo appannamento.
Ma è anche la serie di David Fincher ( regista della puntata doppia che apre la serie) che si è portato a casa l'Emmy della regia , così come di altri registi di cinema prestati alla tv, come Joel Schumacher, James Foley e Carl Franklin.
E' la serie in cui si certifica il primato del web sulla carta stampata ( vedi il personaggio di Zoe Barnes, anche lei priva di scrupoli e disposto a sacrificare biblicamente anche il proprio corpo per ottenere quello che vuole), perché internet arriva sempre prima delle rotative e della tipografia e se poi riesce a sfruttare gole profonde provenienti dalle stanze del potere è ancora meglio ed è anche una delle poche serie che può vantare un budget da grossa produzione hollywoodiana, circa 60 milioni di dollari.
Pur di impianto teatrale la ragnatela di intrighi ordita da Underwood avvince e tiene incollati allo schermo, segnalandosi anche per oltrepassare la quarta parete spesso e volentieri, ovvero quel muro invisibile che è situato tra il pubblico ( che può vedere tutto) e gli attori ( che in realtà non devono vedere al di là di questo muro).
Spacey parla più volte col pubblico valicando la suddetta quarta parete e testimoniando ulteriormente l'impianto teatrale di tutta la serie.
Espediente curioso usato nei momenti topici e che rimarca , se ce ne fosse bisogno, l'aura del bardo che aleggia su tutta la serie in cui vediamo un giovane Riccardo III che ha sposato Lady Macbeth in una sinergica unione di intenti.
Si amano? Si sopportano solamente ? Si usano vicendevolmente?
E perché allora sbroccano entrambi quando si sentono traditi?
House of cards unisce l'eccellente qualità di scrittura a una confezione pressoché perfetta.
Inoltre è un qualcosa che fa tremendamente paura: ma veramente noi cittadini siamo trattati alla stessa stregua di formiche operaie in un formicaio?
Ecco, dopo aver visto House of Cards non vedrete più la politica allo stesso modo, penserete sempre e solo a tutto quello che si agita dietro le quinte....
Rinnovata per altre due stagioni.

PERCHE' SI : appassionante e avvincente, grandi attori, Kevin Spacey a livelli a cui non era arrivato più da tempo
PERCHE' NO : impianto teatrale che a qualcuno potrà non piacere, a tratti inverosimile

( VOTO : 8,5 / 10 )

 House of Cards (2013) on IMDb

domenica 21 settembre 2014

Seria(l)mente : Dead Set ( 2008 )

Paese d'origine : UK
Produzione : Zeppotron
Puntate : 5 (1 episodio da 45 minuti , 4 da 25 minuti )

Mentre in un affollato studio televisivo fervono i preparativi di una puntata de Il Grande Fratello ( versione inglese ) , una misteriosa epidemia si è portata via quasi tutta la popolazione lasciando solo orde di zombies.All'inizio dentro la casa de Il Grande Fratello non ci si accorge di nulla, presi come si è dall'isteria della trasmissione televisiva, ma presto i concorrenti del reality show si accorgeranno che c'è qualcosa che non va. Non c'è più nessuno che li controlla e soprattutto dovranno cominciare a lottare per la propria vita perché sono circondati da un numero impressionante di zombie....
Ancora una miniserie dall'Inghilterra e ancora una qualità molto alta: ma che avranno questi inglesi?
E perché riescono a raccontare così bene le storie di zombie nonostante non siano un'invenzione della terra d'Albione?
Non so quale sia la risposta , la mia interpretazione è che , essendo fondamentalmente degli isolani,gli inglesi abbiano un concetto dell'isolamento tutto diverso rispetto a noi, una sorta di abitudine legata a fattori geopolitici e questo li faciliti nel raccontare storie in cui è protagonista una Terra svuotata  e disabitata.
Riuscirono a raccontarlo benissimo nella serie televisiva anni '70 , un cult personalissimo di cui conservo tutti i dvd  ,  I sopravvissuti creata da Terry Nation ( e anche il remake di qualche anno fa non è da buttare via ) e riescono a raccontarlo anche in questo Dead Set in cui è vero che i protagonisti sono gli zombies ( e sono anche di piede veloce quasi rigettando uno dei dogmi romeriani), ma è anche vero che molto del tempo la cinepresa indugia su scenari desolati che brillano per l'assenza di ogni forma civilizzata.
E poi c'è l'interno della casa de Il Grande Fratello; sia quella parte dello studio in cui ci sono i concorrenti, ignari di tutto, sia quel girone infernale che la circonda tra registi oltre la crisi di nervi, produttori dittatori e un'isteria collettiva che serpeggia tra tutti coloro che fanno parte di questo carrozzone.
Certamente , Romero è ben più che un'ispirazione ma qui si va anche oltre perché a ben vedere non è facile distinguere quali siano i veri zombies, se appartenga a questa schiera quel manipolo di ragazzotti decerebrati che cercano la notorietà prendendo la scorciatoia del reality show senza alcun merito o capacità particolare ( anzi a vedere il personaggio di Pippa, una vera e propria caricatura, siamo ampiamente al di sotto della soglia di intelligenza media), praticamente incapaci di reagire a quello che minaccia le loro vite,  oppure che siano gli antropofagi che infestano tutto il mondo che c'è intorno a quello studio televisivo.
E la preoccupazione del produttore è solo quella di non vedere cancellato il proprio programma.
L'isteria collettiva , quel brulicare nel dietro le quinte, quel sovraccaricare i personaggi che sono dentro la casa o in cabina di produzione ha un intento evidentemente satirico verso Il Grande Fratello e tutta la deriva mediatica che ha creato a partire dalla sua creazione arrivando a creare un vero e proprio corto circuito quando si usa come set una casa usata per un'edizione del programma e si utilizza addirittura la storica conduttrice del programma nei panni di se stessa, Davina McCall per non parlare della produzione ad opera della Zeppotron, società di proprietà della Endemol, colosso televisivo che ha creato Il Grande Fratello.
Insomma è un po' come ironizzare su stessi, anche in maniera pesante e senza troppo curarsi sia di quanto sia crudo il linguaggio sia del realismo degli effetti speciali, ad alto livello di truculenza, non adatti agli stomaci più delicati.
Qualcosa che ha ben poco di televisivo , il gore si spinge veramente ad alti livelli.
Dead Set è una serie ottimamente scritta e fotografata, con personaggi ben delineati dai quali emergono chiari l'egoismo e le divisioni che possono allontanarli dalla salvezza.
Zombies dentro e zombies fuori, un corridoio che li divide ma che poi diventa il loro trait d'union in cui gli uni si confondono con gli altri.
E quell'ultima sequenza, bellissima, disperata in cui lo zombie si guarda nella telecamera , smarrito, spaesato per quanto possa esserlo un organismo non vivente non dotato di materia cerebrale funzionante, ma forse è la visualizzazione del nostro di smarrimento mentre lo stiamo guardando, con tutte quelle telecamere puntate su quegli occhi che fissano stolidamente il vuoto....
Reality bites....

PERCHE' SI : ben scritta e fotografata, personaggi ben delineati, ottimi effetti speciali
PERCHE' NO : gore a livelli altissimi che non è adatto agli stomaci più delicati, troppo breve

( VOTO : 8 / 10 )

Dead Set (2008) on IMDb

sabato 20 settembre 2014

Vintage horror - Sotto shock ( 1989 )

Un sadico serial killer terrorizza i sobborghi di Los Angeles. E' Horace Pinker, riparatore di tv, zoppo, ed è il primo sospettato dal tenente Parker che sta conducendo le indagini, coadiuvato dal figlio adottivo Jonathan che viene guidato da strani sogni.
Quando stanno per mettergli le mani addosso Pinker fugge e uccide la famiglia del tenente, moglie e due figli. E uccide anche la fidanzata di Jonathan.
Viene catturato e condannato alla sedia elettrica ma proprio mentre sta " friggendo" sulla sedia elettrica , Pinker diventa pura energia che può possedere corpi ed elettrodomestici.
Comincia la caccia: Jonathan è guidato dalla visione di Allison, sua fidanzata, mentre Pinker fugge di corpo in corpo.Grazie a Allison escogitano un piano in modo da imprigionarlo in un'altra dimensione: ma Jonathan dovrà rischiare parecchio in un finale tra show televisivi, concerti e films in cui i due se le daranno di santa ragione....
Sotto Shock ovvero come Wes Craven cercasse disperatamente di creare un'altra figura iconica dell'horror dopo che il buon Freddie Krueger gli era stato sottratto dalla New Line Cinema ( che ci fece i milioni e a quell'epoca ancora ce li stava facendo) senza che lui vedesse il becco di un quattrino.
All'epoca questo film, visto con gli occhi del ventenne o giù di lì, assolutamente strafatto di horror, mi garbò decisamente.
Non tanto la figura di Pinker, evidentemente ricalcata su quella di Freddie Krueger ( e poi ma perchè prendere un italoamericano come Mitch Pileggi e truccarlo da nero, colorandolo anche ?) ma mi affascinò il concetto di un villain fatto di sola energia, immateriale, in grado di passare da un corpo all'altro, un po' come un paio di anni prima succedeva ne L'alieno, in cui però il lato sci fi e il lato horror venivano accantonati in favore di una robusta vena action.
Il problema è però che Craven non si limita a questo, se lo avesse fatto avremmo brindato tutti a ostriche e champagne: lui invece, memore delle suggestioni di quello che rimane uno dei suoi film migliori , Il serpente e l'arcobaleno, ha cercato di mettere un po' di tutto dentro Sotto shock.
E allora andiamo col rito vodoo davanti al televisore ( di resa più comica che orrorifica), vai con la collana che ha i poteri contro Pinker come la croce contro il vampiro ( ma perché poi, ce n'era bisogno?) e vai con lo spirito guida di Allison che come uno sciamano guida Jonathan.
L'unico momento veramente horror di tutto il film rimane la lunga sequenza della sedia elettrica, mentre per il resto si naviga un po' a vista a cominciare dai lunghi inseguimenti a piedi di cui la pellicola è stracolma,  in cui l'invasato di turno, che se posseduto da Pinker ne eredita la zoppia, riesce tranquillamente a star dietro a Jonathan che è un quarteback della squadra di football del college, quindi atleta fatto e finito.
Craven cita l'horror dell'ultimo decennio prima di Sotto shock e si autocita pesantemente ( vedi la scena del letto presa di peso da Nightmare e anche tutto questo vagare tra il mondo del sogno, o meglio dell'incubo, e la realtà è figlio naturale della sua creatura di qualche anno prima) per poi incanalarsi in un'impennata di metacinematografia nella lotta finale tra Jonathan e Pinker.
I due saltano da un programma all'altro di un palinsesto in sequenze che però sono più inclini alla farsa che all'horror.
Concettualmente la parte più stuzzicante, però falcidiata da una realizzazione modesta a causa di effetti speciali che risultavano abbastanza datati anche allora.
Del resto con un budget di appena 5 milioni forse non era lecito aspettarsi di più.
All'epoca volli bene a questo film ma, e mi duole quasi ammetterlo, è invecchiato decisamente male....

PERCHE' SI: buona l'idea del villain immateriale, ottima la sequenza dell'esecuzione, finale metacinematografico
PERCHE' NO : un po' troppa carne al fuoco, troppe citazioni e autocitazioni, un villain ricalcato evidentemente su Freddie Krueger, effetti speciali datati.

( VOTO : 5 / 10 )

 Shocker (1989) on IMDb

venerdì 19 settembre 2014

One on One ( 2014 )

Una studentessa viene rapita e uccisa per soffocamento da un gruppo di uomini, senza alcun perché.
Qualche tempo dopo, sullo sfondo di una Corea indifferente, un gruppo di uomini in tenuta paramilitare, addestrati all'azione ( si fanno chiamare Shadow), rapisce a uno a uno tutti coloro che sono stati coinvolti nell'assassinio della ragazzina e , con svariati metodi di tortura, estorce loro una confessione completa, facendoli addirittura arrivare al suicidio.
Il primo dei catturati dal gruppo Shadow dopo aver firmato la propria confessione è salvo ma comincia con sgomento a vedere che i suoi complici stanno seguendo tutti la sua sorte.
Seguendoli arriva finalmente al capo del gruppo che li ha rapiti e torturati....
Oggi vi racconto una storia.
C'era una volta un cinefilo che , pur guardando centinaia e centinaia di film di ogni genere, scansava scientemente tutto quel cinema che veniva dall'Estremo Oriente, Corea, Cina e Giappone.
Questione di nomi, incomprensibili ( quelli coreani poi te li raccomando), questione di facce, tutte uguali che poi accoppiarle ai nomi era peggio che uscire di notte senza neanche un lanternino.
Ma soprattutto era questione di pigrizia da parte di questo cinefilo ignorante che non voleva sgualcire ulteriormente i suoi neuroni superstiti ( un paio forse o pochi più) per impegnarsi nel seguire un cinema diverso da quello a cui era abituato.
Poi arrivò un certo Kim Ki Duk: caspita ne parlano tutti bene, qui in Occidente è idolatrato come un semidio, forse è tempo che il cinefilo ignorante di cui sopra si decida a guardare qualcosa di suo.
E ne ha visti tanti, quasi tutti. Grazie a lui ha scoperto anche il cinema giapponese e tante altre cose, tipo che in Corea fanno dei thriller coi controcazzi che a Hollywood se li sognano.
E il cinefilo di cui sopra venne assalito da vera e propria passione per il cinema orientale, passione che si porta dietro ancora oggi, inalterata.
Ma Kim Ki Duk?
Ecco , con lui da un po' di tempo si hanno un po' di problemi.
Forse il successo gli ha fatto male, forse è normale una fase di appannamento dopo aver sfornato una serie incessante di capolavori, ma l'amore sbocciato quella volta è stato molto messo in discussione a tal punto da evitare accuratamente i suoi ultimi film.
Come avrete capito questa è la mia storia, la storia di un cinefilo sedotto e abbandonato ( ma a questo punto non so chi ha abbandonato chi ) da Kim Ki Duk, autore al quale sarà comunque sempre grato per avergli dischiuso una porta tenuta sbarrata prima di lui.
Accidenti ho scritto un trattato e ancora non ho parlato del film, del mio ritorno alla visione di un suo film.
Insomma come sarà questo One on One ?
Dalla sinossi è stuzzicante, anche se di vendetta nei film coreani si comincia ad averne un po' le tasche piene e si ha la sensazione che Chan Wook Park abbia detto la parola definitiva sul genere non con uno , ma con addirittura tre film di una trilogia.
In One on One  si vedono solo ombre del Kim Ki Duk che fu, solo ricordi che si perdono in un film smaccatamente a tesi.
L'oggetto è la critica sempiterna alle dinamiche che animano la società della Corea del Sud, una dittatura mascherata , regolata da potere e denaro.
Uno dei personaggi dice : " ma qui siamo meglio della Corea del Nord!"
E grazie al ciufolo, un'ovvietà simile ha del lapalissiano, visto che ci confrontiamo con un regime in cui un caro leader schiattato recentemente è stato sostituito da un altro caro leader molto più giovane ma anche più folle del precedente.
Ecco, Kim Ki Duk sembra dirci che anche al Sud la situazione non è molto migliore e lo fa incanalando i suoi personaggi dentro stilemi specifici, stereotipi che il nostro non si preoccupa neanche di mascherare troppo.
E' come se usasse questi stereotipi come simboli per additare specifiche debolezze della società coreana, marcia fino al midollo.
Non mancano le sequenze di ottimo impatto visivo e anche il finale ricorda molto da vicino la grandezza del cineasta che fu, perso forse nell'autoreferenzialismo più tronfio.
Il film procede meccanicamente inanellando episodi su episodi senza una reale progressione drammaturgica del plot se non in un finale che urla al mondo circostante tutte le domande che rimarranno senza risposta.
Che cosa è la giustizia?
E chi la deve amministrare?
Kim Ki Duk abbandona la metafora, rinfodera il fioretto per sguainare la sciabola ma il suo cinema esasperato diventa didascalico, potente visivamente quanto debole concettualmente..
Non bastano scene di tortura per fare un bel film di vendetta.
Soprattutto se si vuole stolidamente enunciare una tesi.
E al nostro caro Kim interessa soprattutto questo.
Non so se vedrò il prossimo suo film, non so neanche se recupererò i suoi film passati e che ancora non ho visionato.
One on One non mi mette certo quella voglia irrefrenabile....

PERCHE' SI : ombre del bel cinema che fu di Kim Ki Duk, buona la recitazione, bello il finale
PERCHE' NO : film smaccatamente a tesi, ripetitivo, personaggi troppo inclini allo stereotipo

( VOTO : 5,5 / 10 )

 One on One (2014) on IMDb

giovedì 18 settembre 2014

The factory ( 2012 )

Nel gelido inverno della città di Buffalo, stato di New York, un uomo fa salire sulla sua berlina nera una prostituta abbordata per strada. La porta a casa e poi in preda a non si sa che cosa la uccide senza pietà.
Non è la prima prostituta che sparisce dalle strade di Buffalo senza lasciare tracce e  il detective Mike Fletcher, coadiuvato dalla sua assistente Kelsey Walker segue questo caso che sembra proprio l'opera di un serial killer.
E intanto sparisce sua figlia dopo essere stata avvicinata da un tizio dentro una berlina nera....
Lo ammetto : ho un debole per John Cusack, divo di seconda schiera forse ma che è legato ad alcuni film che mi sono molto cari. E poi tra gli attori della sua generazione , credo che sia uno di quelli più bravi anche se meno pubblicizzati.
Ammetto anche un altro mio debole: mi piacciono i film con i serial killer e non è una passione che mi è venuta dopo aver letto e visto libri e film con Hannibal Lecter.
Se poi il film è basato su una storia vera ed è ambientato in un rigido inverno americano in un anonima città dello Stato di New York ( di cui la città di Montreal è una controfigura ottima), allora ho tutto quello di cui ho bisogno.
Sembrerebbe .
E invece no.
The factory pur avendo un sacco di ingredienti necessari per il mio gradimento  è un po' come quelle pietanze che sembrano buone a vederle ma poi all'assaggio si rivelano anonime, senza struttura, che passano dalla bocca allo stomaco senza lasciare traccia di sé.
E non devo averlo pensato solo io se questo film è stato girato nel 2008 ed è stato tenuto in mezzo alla naftalina dei cassetti per quasi quattro anni.
Il dubbio me lo ha fatto venire proprio John Cusack che mi sembrava fosse improvvisamente ringiovanito rispetto alle sue ultime prove e con delle guance da Cicciobello che nelle sue ultime apparizioni erano solo un ricordo.
Va bene che l'inverno e il freddo glaciale distendano i lineamenti , ma che diamine!
Eh si perchè gli anni passano anche per il buon John , che si sta avvicinando a grandi passi verso il mezzo secolo di vita.
Ma ritorniamo al film.
The factory è un film la cui sceneggiatura è superata in tromba dalla realtà ( vedi il mostro di Cleveland, caso del 2013 , la cui vicenda sembra ricalcata in  parte su questo film , ma dotata di risvolti molto più efferati di quelli che vengono osati nella versione cinematografica) ma anche da produzioni televisive del genere.
Se dal punto di visto cinematografico sembra un frullatone di millemila altri film di serial killer , c'è da dire che se uno si mette a vedere una puntata di Criminal Minds di quelle bruttine, quelle riempitive di una stagione troppo ricca di episodi, sicuramente si divertirà di più.
Il regista e cosceneggiatore Morgan O' Neill sembra disinteressato alle'evoluzione del plot che ha degli evidenti buchi ( logici  e narrativi , deboli le motivazioni con cui viene giustificato il tutto e francamente impossibile che avvengano certe cose )  e che procede stancamente , senza sorprese , verso l'unico colpo di scena che è racchiuso proprio nel rendez vous definitivo col killer.
John Cusack ?
Beh lui è sempre bravo, è molto meglio del film che lo circonda , veramente troppo bravo per questo genere di film e tutto questo stona abbastanza anche se lui non gigioneggia affatto.
E' quello che sta intorno a lui che non funziona.
Un'ultima notazione: ho visto il film in italiano e avevo sentito raramente un doppiaggio così sciagurato.
Oltre a non essere un bel film è anche inascoltabile....

PERCHE' SI : c'è John Cusack, c'è un presunto serial killer e c'è un'ambientazione letteralmente da brividi
PERCHE' NO : assenza totale di originalità, regia che sembra quella di una puntata di Criminal Minds ( anzi è peggio), doppiaggio pessimo.

( VOTO : 5 / 10 ) 

The Factory (2012) on IMDb