Ispirato alla storia vera di Armida Miserere, la prima donna direttore di carcere che in un mondo militarizzato e maschilizzato si crea una fama di dura e si guadagna il rispetto di molta gente ( detenuti ma anche colleghi) che non è abituata a rispettare una donna.
Armida in realtà convive con un dolore sordo e lancinante, un qualcosa che la insegue lungo tutti i suoi spostamenti su e giù per l'Italia, quasi a voler sfuggire da questo male che la affligge.
Ma a Sulmona, quel Venerdì Santo del 2003, un tragico 19 aprile, il dolore la sovrasta e Armida si toglie la vita. Ha 47 anni.
Ricordavo a grandi linee la storia della vita di Armida Miserere ma naturalmente sapevo solo quello che riportavano le cronache dei giornali e dei tg , ignoravo molti particolari della sua vita.
Particolari che vengono svelati con delicatezza, con estremo rispetto, anche con una certa pudicizia ( termine da intendersi nel senso più lato possibile) da questo film di Marco Simon Puccioni, regista che si è costruito una solida fama di documentarista.
Puccioni invece dell'impegno civile o di una impalcatura da film carcerario, sceglie di inquadrare da una prospettiva molto intima una figura come quella di Armida Miserere , una che ha percorso gli anni di piombo in Italia, restandone direttamente coinvolta ( la causa del suo dolore che l'ha inseguita tutta la vita), una che ha dato un nuovo impulso e un nuovo stile nella conduzione dei carceri che è stata chiamata a dirigere, una donna piccola e puntuta, incorruttibile e determinata come il più addestrato dei marines.
Una figura che si stagliava in un mondo che non sembrava fatto su misura per lei.
E sicuramente non lo era.
Dicevamo del taglio intimo dato al film, quel suo insistere sul suo lato privato, su quel suo essere senza legami e senza radici , libera come il vento e pronta quindi a cogliere sempre nuove opportunità di lavoro in un ambiente che l'ha sempre guardata di sottecchi e come minimo sottovalutata.
Emerge il ritratto di una donna tanto dura e irreprensibile dal punto di vista lavorativo, quanto fragile e svuotata dai tragici eventi della sua vita.
Una donna in un limbo , tra due mondi, uno in cui indossare una maschera granitica per non far intuire il benché minimo segno di debolezza e uno privato , a sua misura in cui finalmente dare sfogo a tutte le sue fragilità e incertezze.
Ne esce fuori un ritratto gentile e intenso allo stesso tempo, una figura di donna abituata a convivere con l'infelicità e a nasconderla.
A dare il volto e il corpo ad Armida ci pensa Valeria Golino, attrice non precisamente apprezzata qui a bottega a partire dalla sua voce.
Eppure la sua carriera parla di un'attrice che non fa scelte ovvie solo in nome del botteghino e che è cresciuta in tutti i sensi , a partire dalla consapevolezza della sua capacità.
E' strano che ormai la Golino preferisca muoversi ai margini della cinematografia nostrana preferendo opere a più ampio respiro.
E' strano ma plausibile ed encomiabile che un'artista non voglia essere ingabbiata in una scena cinematografica modesta e provinciale come la nostra.
E questo è testimoniato dal suo primo film come regista, Miele ( di cui abbiamo parlato qui ) , dal suo ruolo ne Il capitale umano di Virzì ( ne abbiamo parlato qui ) e anche nella scelta di un ruolo difficile come quello di Armida Miserere, personaggio di grande impatto emotivo e di clamorosa intensità drammatica.
Al di là di qualche lentezza e di una Valeria Golino che oscura tutti gli altri personaggi in scena ( a partire da un Filippo Timi confinato a un ruolo abbastanza marginale in termini di minutaggio, ma fondamentale per il film), Come il vento, titolo preso dalle parole della stessa Armida Miserere nel biglietto lasciato , è un valido esempio di cinema italiano altro e già solo per questo è da incoraggiare.
( VOTO : 7 / 10 )
mi hai convinta a guardarlo, me lo segno xD
RispondiEliminapoi mi dirai....
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