I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

martedì 29 settembre 2015

Mommy ( 2014 )

In un Canada di finzione, appena un anno in avanti nel futuro, i ragazzi con problemi psicologici e relazionali possono essere internati in istituti specializzati nella cura di malattie mentali senza troppe complicazioni. Ed è per questo che Steve, figlio adolescente della madre single Diane, entra ed esce dai vari istituti.
Diane lo riprende con sé per un ulteriore tentativo ma il rapporto con Steve è veramente fuori da ogni schema nonostante la presenza della vicina balbuziente Kyla che costituisce una sorta di terzo polo magnetico per smussare tutte le tempeste che si scatenano tra i due...
Non conoscevo il cinema di Xavier Dolan, da qualcuno definito il regista bambino, prima di questo film , ma anche senza vedere gli altri suoi film non posso fare altro che inchinarmi di fronte a un tizio che a 26 anni ( ma quando ha fatto Mommy non ne aveva neanche 25) ha un curriculum così nutrito come il suo , sia come film diretti che interpretati.
E , a vedere questa sua ultima opera, il ragazzo ne ha di cose da dire: animato da una generosità narrativa difficile da riscontrare altrove , Dolan racconta un rapporto madre / figlio che più che una normale dialettica tra esponenti di diversa generazione , sembra essere la tempesta perfetta, un irripetibile conglomerato di perturbazioni che insieme determinano il caos totale.
Diane è una madre single che sopravvive più che vivere: piacente e sa di esserlo, dal look aggressivo e giovanilistico a tutti i costi deve fare i conti con una quotidianità che è poco generosa con lei e un figlio di cui ha paura.
Paura perché sa di non conoscerlo completamente, sa che l'accesso ai più profondi recessi della mente di Steve le è sostanzialmente negato, con un rapporto sempre in bilico tra amore e odio.
Steve ha problemi relazionali , psicologicamente è un campo minato in cui se tocchi la zolla di terreno sbagliata esplodi e vieni miseramente smembrato, è un collage di emozioni e pulsioni brutali, suggestioni ormonali e semplice incapacità di esprimere il caos che ha dentro.
E' evidente che due personalità così sono destinate a scontrarsi, è difficile per loro stare persino nella stessa stanza senza causare disastri, insieme sono un fuoco che brucia a fiamma altissima e che carbonizza tutti quelli che osano avvicinarsi loro.
Beh, proprio tutti no. C'è una vicina , Kyla , che forse è incasinata più di loro ed è per questo che riesce a stare con Diane e Steve senza bruciarsi, anzi quasi riesce a modulare l'ispido rapporto tra madre e figlio con i suoi silenzi legati alla sua difficoltà di esprimersi, è balbuziente.
Questo strano e fantasmagorico menage a trois è il filo conduttore di un film che si segnala , come detto prima, per una generosità rara nell'esporre sentimenti e sensazioni in modo ultrarealistico quasi a voler provocare shock programmatico nello spettatore.
A Dolan riesce il ritratto di tre personaggi a loro modo indimenticabili con tutte le loro imperfezioni e le loro piccole e grandi psicopatologie, tre persone più che personaggi in cui è facile trovarsi motivo per specchiarsi, oppure riconoscere una qualche sfumatura di se stessi.
Quello che forse mi piace di meno è il suo voler giocare con i formati cinematografici, non per reale fastidio di una visione stretta e alta che raramente si apre in un formato più cinematografico, ma per l'impressione che ricavo di un fighetto che vuole fare il sofisticato giocando con la forma.
Mommy ha il profumo acre e coinvolgente della verità, flirta con la sgradevolezza quasi a voler respingere qualsiasi forma di pietismo da parte di chi guarda, ha nella mente di Steve un mistero irrisolvibile per la madre e per noi tutti.
E se noi non abbiamo la soluzione per capire compiutamente i nostri figli nella vita di tutti i giorni, a Diane la soluzione, nel suo Canada di finzione , è data da una legge infida e bastarda che le permette di tirarsi indietro e di nascondere la polvere sotto il tappeto.
Steve non è fatto per vivere con lei e lei non è pronta a vivere con Steve.
Non si può restare indifferenti di fronte a questo film.
Dirò una cazzata , ma lasciatemela passare: per me questo film è il Qualcuno volò sul nido del cuculo del nuovo millennio.
Due film totalmente diversi ma che nella mia memoria cinefila sono stretti l'uno all'altro,
Vicini vicini.
E quel ballo silenzioso a tre sulle note di On ne Change Pas  a diversi giorni di distanza dalla visione , ce l'ho ancora davanti agli occhi.


PERCHE' SI : film di incredibile generosità narrativa, personaggi indimenticabili , come il finale
PERCHE' NO: leggero fastidio nel giocare con i formati cinematografici, sembra un orpello autoriale non necessario.


LA SEQUENZA : il ballo a tre sulle note di On ne Change Pas


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

Xavier Dolan è un altro nome da appuntare sul mio taccuino.
Raramente ho prestato così attenzione alla colonna sonora.
E chi se lo immaginava che On ne Change Pas fosse cantata da Celine Dion?
Se avessimo una legge del genere , quanti manicomi sarebbero pieni di figli problematici?


( VOTO : 8,5 / 10 ) 


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domenica 27 settembre 2015

Self/Less ( 2015 )

Damian Hale è un multimiliardario che ha avuto tutto dalla vita ed ora invece sta perdendo la sua sfida più importante contro un cancro che lo sta devastando concedendogli pochissimi mesi di vita.
Decide allora di sottoporsi alla procedura di "shedding" che gli viene garantita da una misteriosa organizzazione: sarà dotato di un corpo nuovo sintetizzato in laboratorio e potrà vivere un'altra vita con un'altra identità.
Il problema è che oltre a dover assumere delle medicine Damian nel suo nuovo, bel corpo comincia ad avere dei ricordi che non gli appartengono.
Flash dolorosi che gli impongono di fare qualche ricerca.
Ma l'organizzazione che gli ha gentilmente fornito il corpo nuovo non è molto contenta...
Tarsem Singh è il prototipo del regista che mi sta di più sulla punta dell'esofago: proveniente dalla pubblicità ad alto, altissimo livello si è messo a fare cinema senza nascondere le sue origini televisive, anzi ha cercato di integrarle al meglio in un purismo visionario che , per quanto mi riguarda, ha sempre avuto la meglio sulla coerenza narrativa.
I suoi film , a mio modestissimo parere, sono sempre stati bellissimi involucri con il (quasi) nulla dentro, prigionieri della sua fantasia pantagruelica e di un'intelaiatura visiva che ha sempre schiacciato tutto il resto.
Per me il cinema è altro: è saper raccontare storie, non comporre solo bellissime inquadrature.
L'unico pregio che fino ad ora ho riconosciuto a Singh ( oltre a quello di saper costruire con indubbio talento l'inquadratura) è comunque un certo grado di originalità.
Fino ad ora i suoi film erano quasi immediatamente riconoscibili come appartenenti alla sua filmografia.
In Self/Less questo non succede: è un prodotto industriale che di visionario ha ben poco, cerca di raccontare solo la sua storiella ( banalotta a dir il vero) senza troppi voli pindarici ma solo volontà di intrattenere e portare a casa il risultato.
Volenti o nolenti riesce anche a riportarlo a casa perché in due ore succedono talmente tante cose che hai poco tempo per annoiarti ma di Singh non c'è traccia.
Il suo stile registico incline all'arzigogolo non c'è più è come se ci trovassimo di fronte a un professional qualsiasi che lavora su commissione , un po' come il John Woo dei brutti tempi ( quello di Paycheck, film curiosamente incentrato su memorie che venivano cancellate), talento abbacinante affossato dall'industria hollywoodiana , o come un Source Code qualsiasi( ancora memorie ma da una prospettiva se vogliamo antitetica a quella di Self/Less).
Lo confesso una parte di me ha gioito per non dover vedere tutte quelle pippe visive che appesantivano il cinema di Singh, d'altra parte però un po' di rammarico sovviene perché mi sembra di aver perso un talento, eccessivo nel suo modo di lavorare e sicuramente non nel mio gusto, che però almeno poteva avere qualcosa da dire.
Al contrario di questo cinema industrializzato e codificato per piacere senza troppe complicazioni.
Self/Less è il classico action/thriller con spruzzate di sci fi che non è brutto...ma neanche bello.
E' insipido, banale per come giocato al ribasso, ricalcato alla lontana da quel piccolo capolavoro che era Operazione diabolica, un filmetto come tanti realizzato con competenza e precisione, con mezzi adeguati ma che pecca di personalità e assomiglia a dozzine di altri film.
E Ryan Reynolds non mi sembra che abbia la faccia giusta per esprimere tutta la confusione del suo personaggio, per non dire di Natalie Martinez, starlette attiva soprattutto in televisione, che butta tutto sul melodramma di stampo sudamericano, sovraccaricando inutilmente il suo modo di recitare e cogliendo tutte le occasioni possibili e immaginabili per abbarbicarsi al bel Ryan come una cozza allo scoglio..
Senza infamia e senza lode e con un finale che sembra appiccicato come un post it sul frigorifero.


PERCHE' SI : Singh ha deciso finalmente di fare cinema, buon ritmo e capacità di intrattenere senza annoiare troppo.
PERCHE' NO : cucù e Tarsem Singh non c'è più, manca originalità e anche coraggio, Reynolds non dà sufficiente profondità al suo personaggio, Natalie Martinez sovraccarica tutto stile telenovela.


LA SEQUENZA : l'arrivo nella casa di quella che era sua moglie.


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

Meglio saper raccontare o meglio la bella inquadratura?
Probabilmente abbiamo perso un talento.
Reynolds mi sta diventando bolso come Ben Affleck.
Bella la Martinez, sapesse recitare sarebbe il top....


( VOTO : 5,5 / 10 )


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sabato 26 settembre 2015

Mea culpa ( 2014 )

Tolone: Franck e Simon sono due poliziotti che oltre a essere partner nel lavoro sono anche buoni amici nella vita di tutti i giorni.Un brutto incidente d'auto in cui è alla guida Simon provoca due morti e lui , essendo stato trovato in stato d'ebbrezza al volante , viene radiato dalla polizia, perdendo anche la famiglia oltre al lavoro.
Dopo sei anni cerca di sbarcare il lunario facendo il poliziotto privato cercando anche di essere un buon padre per suo figlio Theo.
Il quale un brutto giorno si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato e vede cose che non dovrebbe vedere: quanto basta per scatenare una caccia nei suoi confronti da parte di una banda di malviventi. Simon lo protegge e Franck torna a fare coppia con lui, come ai vecchi tempi...
Fred Cavaye è un regista sceneggiatore che si è fatto conoscere per la sceneggiatura e la regia di Pour Elle ( sceneggiatura poi prestata, anzi venduta a caro prezzo agli americani che ne hanno tratto il bolso The Next Three Days con un Russell Crowe che faceva rimpiangere e parecchio Vincent Lindon), per Point Blank, thriller notturno ad alta velocità da lui scritto e diretto e ora per questo Mea Culpa con ancora la sua firma a regia e sceneggiatura.
A Cavaye piace lavorare con lo stesso team perché per questo suo ultimo lavoro ha voluto come protagonisti i due protagonisti dei suoi due film precedenti, Vincent Lindon e Gilles Lellouche volti arcinoti del cinema francese, soprattutto il primo.
Una piccola chiosa su Vincent Lindon: noi non abbiamo nel nostro cinema attori così completi che abbiano un così completo range recitativo che va dalla commedia sbracata a quella seria per arrivare al thriller e al poliziesco d'azione passando attraverso  il dramma più intenso.
Ecco Vincent Lindon, veramente grande attore, è in grado di recitare veramente di tutto con la stessa credibilità e la stessa incredibile fisicità.
Mea culpa è il classico film d'intrattenimento che si suole definire thriller adrenalinico.
Nessun approfondimento, nessuna seconda lettura, nessuno sfruculiare tra le righe per cercare messaggi che non ci sono.
Questi sono 90 minuti all'insegna dell'azione e del thrilling, mazzate e sparatorie come se piovesse, due protagonisti bene assortiti che riescono a fronteggiare una banda di cattivoni senza scrupoli , del resto se si vuol fare fuori un bimbo di 8-10 anni o giù di lì, gli scrupoli devono essere veramente ben pochi.
L'unica cosa che può far storcere il naso è un po' l'attitudine da Superman che hanno i due che non vengono scalfiti da nulla ( o quasi) e che riescono sempre a farla franca in un modo o nell'altro.
Cosa che del resto è presente anche negli altri due film diretti da Cavaye .
Mea culpa è classico cinema medio ( altra cosa che manca da noi che ormai abbiamo solo cinema di bassa lega e cinema autoriale, senza mezze misure) , quel cinema che piace al pubblico e sul quale la critica seria e parruccona è disposta a chiudere un occhio, se non tutti e due, perché comunque realizzato con dovizia di mezzi e con soddisfacente competenza.
Non è andato benissimo al botteghino francese ma non mi stupirebbe che gli americani ne facessero un remake.
Le scene action e le coreografie non hanno nulla da invidiare ai prodotti hollywoodiani di grido nonostante il budget diverso.
Basta sedersi sulla poltrona, allacciarsi la cintura e godersi lo spettacolo!


PERCHE' SI : adrenalina a fiotti, due ottimi protagonisti, solo azione senza tante divagazioni o
chiacchiere inutili.
PERCHE' NO : non il massimo dell'originalità, i due protagonisti sono un po' troppo supereroi per i miei gusti, alcuni personaggi secondari inevitabilmente schiacciati dall'azione ( vedi la madre di Theo).


LA SEQUENZA : l'inseguimento nel mercato chiuso oppure la lotta sul treno.


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE : 

E' stato un buon modo per tornare a scrivere di film, senza tante complicazioni.
Vincent Lindon da solo vale il prezzo del biglietto.
I thriller li sanno fare anche in Francia non solo a Los Angeles o a Seul.
Fred Cavaye è assolutamente da tenere d'occhio.


( VOTO : 7 / 10 )


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martedì 15 settembre 2015

Non è sempre facile bloggare...

E' un periodo un po' così.
Ci sono cose che vanno e che non vanno.
E in questo momento la cosa che non va principalmente è che non riesco a stare dietro al blog come vorrei.
Fino ad ora per me non è stato mai un peso aggiornare il blog, non ho mai tenuto segreto che le mie impressioni sui film, scritte tutte rigorosamente di pancia , non mi portavano via molto tempo.
Prima riuscivo a ritagliarmi quell'oretta di tranquillità per fissare le idee e scrivere praticamente di getto tutto quello che ho sempre pubblicato.
In questo ultimo periodo purtroppo non è così ;  ci sono delle fasi nella vita di ognuno di noi e in questa fase non riesco a vedere film come facevo di solito e soprattutto non riesco ad avere la stessa freschezza nello stare ogni mattina davanti a questo rottame di computer per scrivere.
Potrei mettere recensioni vecchie che ho scritto in una vita precedente ( su internet non oso parlare di reincarnazione o di metempsicosi che dir si voglia )  ma sarebbe come prendersi in giro, anzi prendermi in giro.
E' un periodo che va così e l'unica cosa è che devo stare tranquillo e farlo passare.
Devo far passare questa sensazione che ho dentro di essere ormai dentro una routine soffocante, fatta di film,,scriverne, commentare, leggere e stare su internet.
Anzi, scusatemi se non sono presente come prima : la mia scarsa presenza sul blog è lo specchio esatto della mia scarsa presenza sul web, il mio tempo trascorso su internet si è drasticamente ridotto, diciamo che non voglio sentirmi prigioniero della rete e dei social network.
Ed è per questo che in questo momento li sto un pochino evitando: addirittura torno a casa dopo una giornata di lavoro e non ho voglia neanche di accendere il computer, gesto che prima era praticamente automatico al mio ritorno, il primo che facevo appena messo il primo piede in casa.
Fortunatamente sembra che il blog a livello numerico ne risenta molto molto relativamente ( per non dire affatto) e questo mi sta facendo riflettere sul diradare i vari post anche quando deciderò di tornare a regime pieno.
Magari è un modo per farli leggere a più persone.
Non voglio sparire , non voglio lasciare questo bradipo cinefilo a vagare da solo per la blogosfera, voglio continuare a scrivere e a parlare di film con voi tutti.
Ma in questo momento faccio una tremenda fatica.
A presto.

domenica 13 settembre 2015

The Gallows- L'esecuzione ( 2015 )

Gli studenti di un liceo in Nebraska stanno allestendo una rappresentazione teatrale , la stessa che venti anni prima provocò la morte in scena di uno degli attori.
Nell'eccitazione generale della rappresentazione uno dei pochi non entusiasti è Reese, il capitano della squadra di football che accetta solo perché la coprotagonista è Pfeiffer per cui ha una cotta.
Ryan lo convince a distruggere le scenografie dello spettacolo introducendosi nella scuola  la notte prima della rappresentazione perché così potrà consolare Pfeiffer.
Ma quando entrano nella scuola ( assieme alla ragazza di Ryan, Cassidy) si accorgeranno che non sono soli.
C'è anche Pfeiffer che scopre presto il motivo della loro sortita notturna.
Oltre a lei c'è però qualcuno che comincia a uccidere...
Che dire dell'ennesimo found footage mandato al macero nella calura estiva come fosse il peggiore dei fondi di magazzino?
Direi che per una volta hanno avuto ragione, anzi non dovevano neanche farlo arrivare in sala, essendo l'ennesimo filmetto girato con la telecamera imbracciata in malo modo da un malato di delirium tremens e che oltre al mal di testa non ha nulla da regalare all'ignaro spettatore.
Ora io a uno come Jason Blum ci voglio anche bene ma ormai per trovare buoni film nelle sue
produzioni li dobbiamo cercare col lanternino e quindi comincio un po' a stufarmi di questa ricerca.
Dal suo punto di vista lui fa un lavoro splendido: con soli 100 mila dollari di budget incassa la bellezza di 22 milioni solo negli USA e vuoi che non continui a produrre tale monnezza?
Anche io lo farei al posto suo.
The Gallows- L'esecuzione sceneggiato e diretto dai due carneadi Travis Cluff e Chris Lofing con un cast che sembra assemblato tra gli scarti di un talent show qualunque  è il nulla sotto vuoto spinto, siamo tornati al grado zero della realizzazione del found footage perché non hanno neanche pensato a scrivere una sceneggiatura degna di questo nome.
In confronto The Blair witch project era un capolavoro di filosofia esistenzialista.
In meno di ottanta minuti hai tempo per guardare una ventina di volte l'orologio, controllare almeno dieci volte il cellulare per vedere se qualche anima pia ti cerca e ti distolga da questo schifo, asciugarti gli occhi un numero imprecisato di volte perché a forza di sbadigliare oltre a rischiare di lussarti la mandibola esonda una notevole quantità di liquido lacrimale e sbuffare altrettante volte sperando che questa sofferenza finisca il più presto possibile.
Alla vergogna non c'è mai fine e questi si presentano con un film che è la fotocopia di millemila altri film, costruito con la stessa tecnica e lo stesso menefreghismo nel cercare di costruire un minimo di suspense degna di questo nome o una-sequenza-una che ti faccia almeno sollevare un minimo la palpebra o risvegliarti dal torpore che inevitabilmente ti ha attanagliato nella prima metà del film in cui succede veramente poco.
Per non dire nulla.
Insomma ottanta minuti scarsi buttati via.
Non voglio dilungarmi oltre a parlare di questo schifo.
Aspetto solo un found footage decente per riprendere un minimo di fiducia nel genere....


PERCHE' SI : dura meno di ottanta minuti, ma sono sempre troppi.
PERCHE' NO : costruito in maniera pedestre, cast di facce anonime e attori incapaci, non c'è suspense...serve ancora altro?


LA SEQUENZA: diciamo quella finale con annesso colpetto di scena....


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

I trailer possono costruire la fortuna di monnezze come questa.
L'ennesimo film fotocopia mi ha fatto perdere ormai la fiducia nel genere found footage, genere che ritengo abbia ottime potenzialità.
Potevo utilizzare gli 80 minuti del film per fare qualcosa di più produttivo.
La prossima volta che vedo il nome Jason Blum drizzerò le antenne ....


( VOTO : 2 / 10 )


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venerdì 11 settembre 2015

Southpaw - L'ultima sfida ( 2015 )

Billy Hope è il campione imbattuto dei mediomassimi: dopo l'ultimo combattimento la moglie Maureen, con cui sta insieme dai tempi dell'orfanotrofio, cerca di convincerlo di smettere con la boxe ( e  ha pure ragione, sembra il fratello rincoglionito di Ozzy Osborne), mentre il suo manager cerca di portare avanti la sua rivalità con un altro suo assistito, il colombiano Miguel Escobar.
E proprio durante un accenno di rissa con Escobar , Maureen viene centrata da un proiettile vagante e muore tra le braccia di Billy.
Lui si ritrova sul lastrico, con la figlia affidata ai servizi sociali e una vita da ricostruire.
Si affida a Tick Wills per rientrare nella boxe, gettare il guanto della sfida all'odioso Escobar e soprattutto riconquistare l'affetto di sua figlia.
Il ring di boxe è stata, e pare che lo sia ancora, uno sfondo molto apprezzato dagli sceneggiatori hollywoodiani, carico come è di metafore sul riscatto da raggiungere solo attraverso le proprie forze.
Da Lassù qualcuno mi ama passando per l'interminabile saga di Rocky , per il capolavoro Toro scatenato e transitando per Cinderella Man e Million Dollar Baby si arriva buon ultimo a questo Southpaw- L'ultima sfida, ultima fatica di quel Antoine Fuqua che dopo il suo promettentissimo esordio con Training day si è trasformato in uno dei più grossi equivoci partoriti dall'industria hollywoodiana da un po' di anni a questa parte.
E purtroppo questo suo ultimo film non fa altro che rafforzare questa mia opmione.
Sceneggiato da Kurt Sutter , esordiente al cinema ma con un curriculum televisivo da paura essendo stato il creatore di Sons of Anarchy e sceneggiatore di alcuni episodi di The Shield, Southpaw - L'ultima sfida manifesta la sua debolezza principale proprio nella scrittura senza sfumature che alterna serie di cazzotti a mitragliate di buoni sentimenti con dialoghi non proprio così rifiniti e svolte nella narrazione che sono ampiamente prevedibili nello snocciolare quintalate di retorica.
Lo sforzo di raccontare l'uomo dietro il pugile, il rapporto ispido con la figlia affidata ai servizi sociali è encomiabile ma è tutto ampiamente già visto.
Fuqua , si sa, non è un regista adatto a sfumare personaggi e sequenze e quindi ci va giù pesante, non usa il fioretto ma la sciabola ( ma a volte anche la clava) per arrivare esattamente dove vuole lui: raccontare un personaggio che dal fondo ha toccato il cielo con un dito e che poi è riprecipitato nell'abisso in attesa di una seconda occasione.
Peccato che tutto venga declinato seguendo la parabola di un Rocky de' noantri con l'aggravante ( pena capitale ai miei occhi) di un finale che va quasi a toccare le vette dello scempio zeffirelliano di The Champ per come cerca di stimolare a tradimento i dotti lacrimali.
Southpaw- L'ultima sfida è un melodramma sportivo urlato che mostra presto, troppo presto, la sua fragilità, il suo essere vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro e non serve a nulla aumentare il volume delle urla, incrementare il livello di decibel per catturare lo spettatore in una vicenda che ha già visto parecchie volte.
Il film di Fuqua è un prodotto industriale confezionato come tanti dall'industria hollywoodiana, quindi con grande cura ma pecca di originalità, grondando retorica in molte sequenze.
Meglio poi non parlare delle sequenze degli incontri di pugilato,direi abbastanza brutte,  inutilmente sovraccariche e prive di qualsiasi punto di ancoraggio con la realtà.
Neanche in Rocky IV avevano osato tanto e lì c'era Ivan Drago che voleva "spiezzare " in due il malcapitato eroe nostrano.
Purtroppo non basta la prova monstre di Jake Gyllenhaal ( fisicatissimo, totalmente diverso da come era , segaligno, quasi sottopeso, in  Lo sciacallo).
Lui si che è un vero peso massimo della recitazione.
Al contrario del film.


PERCHE' SI : Jake Gyllenhaal è mostruoso, si divora completamente il film, confezione sui soliti livelli alti hollywoodiani.
PERCHE' NO : script debole, riprese di pugilato bruttine e poco realistiche, retorica che gronda in molte sequenze.


LA SEQUENZA : il primo incontro con Thick Wills


DA QUESTO FILM  HO CAPITO CHE :


Va bene il puglitato come metafora di vita ma magari ci si poteva mettere un po' più di fantasia.
Jake Gyllenhaal è ormai nell'empireo hollywoodiano, oramai non sbaglia più un colpo.
Ma il personaggio della McAdams a farlo durare un po' di più pareva brutto?
E Whitaker che vuole fare il surrogato di Eastwood?


( VOTO : 5 / 10 )


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lunedì 7 settembre 2015

Regalo di compleanno


Oggi un post diverso dal solito.
Niente film, o meglio non un solo film ,,,mi spiego meglio.
Oggi è il mio compleanno:
Tranquilli, non faccio il post per ricevere auguri e felicitazioni varie che fanno sempre piacere, inutile essere ipocrita.
Sono arrivato ad un'età tale in cui il compleanno è una specie di nemico da abbattere con i due pargoletti che girano per casa che non sono più tanto pargoletti e cominciano ad essere l'esatto parametro di riferimento attraverso cui misurare il tuo grado d'invecchiamento.
No, non mi sento vecchio, in fondo l'anagrafe ancora non è così mia nemica acerrima, anzi per dirla con le parole della bradipa sono sempre il solito cazzone che ha conosciuto tanti anni fa.
Ancora non capisco se mi sta dicendo che non sto invecchiando oppure che non sto crescendo rimanendo sempre bambino  a livello cerebrale.
Un po' mi ci sento e visto che ai bambini piace giocare io voglio giocare con voi, sempre se gradite.

Vorrei che voi mi faceste un regalo: regalatemi un film  o una serie televisiva, o meglio regalatemi le emozioni forti che vi ha lasciato, niente di impegnativo, anche pochissime parole da scrivere nei commenti di questo post.
Quindi non dovete mettere mano al portafogli ma solo al cuore.
Ditemi quale film o quale serie tv vi abbia emozionato di più  e perché.
Non i più belli, ma quelli a cui vi sentite particolarmente legati da un particolare, da un ricordo, da una suggestione.
Fate voi.
E per me sarà un bellissimo regalo di compleanno.

domenica 6 settembre 2015

Goodnight Mommy ( 2014 )

Lukas ed Elias , due gemelli di nove anni aspettano nella loro bellissima casa nelle campagne attorno Vienna che ritorni la madre che ha dovuto subire un intervento di chirurgia estetica al volto.
Torna con la faccia bendata, è irascibile, incostante , cattiva con loro.
I due gemelli si convincono progressivamente che quella non è la loro madre e faranno di tutto per provarlo.
Veramente di tutto.
Goodnight Mommy è l'esordio nel lungometraggio di fiction di Veronika Franz ( moglie di Ulrich Seidl e sceneggiatrice di alcuni suoi film) e di Severin Fiala.
Un film da non prendere esattamente alla leggera : non conosco sufficientemente il cinema di Ulrich Seidl ( che qui produce e affettuosamente presenzia) ma conosco bene quello di Haneke e posso dire che Goodnight Mommy è un liofilizzato dei canoni estetici del grande Michael esposti come suo stile in una forma asettica, quasi da sala operatoria in cui quello che vale è la percezione visiva ( non a caso il titolo originale è Ich seh, Ich seh,,,Io vedo, io vedo ).
A livello concettuale credo invece che si trovino non su piani differenti, ma proprio su pianeti diversi.
I gemelli vedono una donna bendata come una mummia in cui sono scoperti solo gli occhi ( ma sono di un colore diverso...) , la donna quando fa la terapia si guarda allo specchio e forse neanche lei riconosce se stessa, prigioniera in una casa fredda e distante, con dei quadri sfocati alle pareti e
fotografie a ricordarle il suo luminoso passato da anchor woman televisiva di successo,  lo spettatore vede due ragazzini lasciati praticamente soli in una enorme villa di campagna, arredata con stile ultramoderno e che si perdono dietro ai loro giochi, alle loro ossessioni ( gli scarafaggi, quanti scarafaggi) , cercando di capire se quella donna che li sta trattando così male è veramente loro madre.
La prima parte del film è presenziata da questo cumulo di suggestioni che donano un cipiglio fiero e vigoroso ma decisamente autoriale, rarefatto nel suo ritmo lento e nella quasi totale mancanza di dialoghi.
Per noi che siamo figli cinefili di The Others e nipoti de Il sesto senso, non sfuggirà certo un piccolo "dettaglio" della trama ( che naturalmente mi asterrò dal rivelare , ma per chi è sufficientemente sgamato è un qualcosa che salta quasi subito all'occhio) che costringe a rileggere tutto in maniera diversa , compresa la deriva horror ( tanto denigrata dai parrucconi della critica ufficiale che sono a digiuno di film di questo genere) che nell'ultima parte di film fa pensare a un altro titolo monstre della scorsa stagione cinematografica, The Babadook.
Quello che salta all'occhio è anche il debito estetico che il film paga a uno dei film di Almodovar più criticati degli ultimi anni, La pelle che abito, a sua volta ispirato ai melodrammi fiammeggianti di Sirk, alle storie d'amore asfissiante alla Fassbinder, ma soprattutto a quella maschera immota, dagli occhi sempre mobili e dall'aspetto inquietante che era il punto focale di un magnifico film di Georges Franju, Occhi senza volto , che riesce ancora a sorprendere e terrorizzare a più di cinquanta anni di distanza.
Parlavamo di The Babadook: riferimento assolutamente non peregrino sia per la svolta che avviene nella seconda parte del film, sia per tutto l'armamentario di suggestioni che i due film condividono: dal tentativo di elaborare il lutto, di rifarsi comunque una vita ripartendo da zero fino ad arrivare al rapporto madre/figlio, un diamante grezzo dai mille riflessi di luce e di oscurità.
Goodnight Mommy , il titolo internazionale stavolta è meno che azzeccato,  superficialmente immesso nel calderone horror da molta critica è invece qualcosa di diverso, di perturbante e non solo per quel finale in cui abbonda anche lo stravaso ematico.
E' un vaso di Pandora che dentro contiene nefandezze di ogni tipo, un po' come quel barattolo e quel terrario pieno di blatte enormi e schifose che i due gemelli accudiscono quasi amorevolmente.
E' un film dalla superficie patinata, dai contrasti accesi ( i colori neutri dell'interno casa che sembrano la cartina di tornasole attraverso cui guardare la vegetazione lussureggiante che c'è intorno casa , ingentilita dai caldi colori dell'estate) , dal cromatismo studiato nei minimi termini ( vedere per credere l'abbinamento dei vestiti dei gemelli) che poi nel finale lascia vedere allo spettatore quell'abisso che aveva solamente intravisto tra le righe, tra le pieghe di una narrazione avara di dialoghi ma ricca lo stesso di sfumature.
E' veramente un esordio con fiocchi e controfiocchi.
E non chiamatelo solamente horror....


PERCHE' SI : dramma familiare e horror si fondono con sublime eleganza, autoriale ma non esita a sporcarsi di sangue, numerosi richiami a grande cinema del passato.
PERCHE' NO : un "piccolo" dettaglio della trama che costringe a rileggere tutto da un'altra prospettiva salta all'occhio quasi subito, ritmo compassato che scoraggerà qualcuno , così come il taglio decisamente autoriale.


LA SEQUENZA :  quella in cui si vede per la prima volta il terrario stracolmo di enormi blatte....


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

devo recuperare di corsa la filmografia di Ulrich Seidl.
In Austria , un po' come in Belgio, stanno discretamente male.
L'horror può diventare un genere da Festival ?
Vedendo questo film la risposta è affermativa , ma con tutti i distinguo del caso...


( VOTO : 7,5 / 10 )

Goodnight Mommy (2014) on IMDb

venerdì 4 settembre 2015

Professore per amore ( 2014 )

Keith Michaels è uno sceneggiatore che una quindicina d'anni fa ha vinto un'Oscar per una sua sceneggiatura. Ora è senza lavoro, ha difficoltà a pagare le bollette, non riesce a scrivere e il suo agente gli propone di andare a tenere un corso di sceneggiatura in una piccola Università vicino New York, sull'altra costa, almeno per sbarcare il lunario.
Keith accetta e ha non poche difficoltà a entrare nell'ottica di essere un professore universitario...un po' sui generis visto che intrattiene rapporti con una sua alunna e c'è una terribile professoressa di letteratura che vorrebbe vederlo cacciato a pedate.
Ma lui comincia a crescere e il corso di sceneggiatura con lui.
E anche il rapporto con Holly Carpenter, una sorta di factotum nel campus universitario, anche lei una "studentessa" fuori corso un po' sui generis....
Ok, temo di dovervi fare una confessione: è sin dagli anni '90 che Hugh Grant rappresenta una specie di gulity pleasure per me.
Lo adoro, mi piace fisicamente, lo trovo veramente bello ( se fossi gay crollerei ai suoi piedi) e soprattutto mi piace il personaggio che lui continua a recitare film dopo film: il tipo stralunato che vive nel suo mondo che , guarda il caso, procede a una velocità differente rispetto a quello in cui vive tutta la restante parte dell'umanità.
Lo conobbi in Quattro matrimoni e un funerale e poi non l'ho più abbandonato, seguendolo affettuosamente nella sua carriera fatta quasi esclusivamente di personaggi incapaci di crescere o perlomeno in difficoltà nell'affrontare le scelte impegnative che la vita ti può proporre.
Quindi la sua sola presenza era una ragione sufficiente per guardare questo film che in realtà ha un'altra motivazione importantissima che mi ha fatto accingere alla visione alla stessa velocità di una palla di fuoco lanciata nello spazio profondo ( vabbè stamattina mi è uscita così).
Sto parlando di Marisa Tomei, conosciuta e apprezzata già ai tempi di Mio cugino Vincenzo, film in cui vinse a sorpresa un'Oscar , e poi diventata col tempo un sex symbol assoluto, almeno per me.
E complimenti vivissimi al suo personal trainer che a 50 anni suonati ce la conserva così tirata fisicamente e così assolutamente desiderabile.
Si, anche in questo film che sembra una romcom come le altre, magari con protagonisti un po' più avanti negli anni rispetto alla maggior parte dei film appartenenti a questo specifico genere e che invece si rivela una piacevolissima sorpresa, un divertissement leggero e ironico che però si pregia di contenere delle piccole notazioni che rifuggono la banalità.
La prima cosa che si nota è che la storia tra i due protagonisti non ha uno sviluppo così prevedibile e lineare: c'è alchimia tra di loro, gioco di sguardi, i soliti discorsi seriosi di Hugh Grant che si inceppano ogni tre parole, gli occhioni da cerbiatta di lei che lo guardano in un mix di comprensione e vera compassione umana, ma non c'è il solito momento super ruffiano del bacio romanticissimo da sparare a favore di camera.
Anzi non si baciano proprio per tutto il film.
E' tutto affidato all'immaginazione dello spettatore.
Altro fattore da sottolineare è la linea sempre più sottile che demarca l'attore dal suo personaggio: oggi Hugh Grant è un bel 55 enne ( un po' invecchiato, abbastanza sgualcito ma sempre un bel pezzo di figliolo per chi apprezza l'articolo e molte ragazze sembrano gradire) che probabilmente il suo momento di massimo splendore nella sua carriera lo ha già vissuto.
Parliamo anche di uno che stava con una delle donne più belle del mondo a quel tempo, Liz Hurley e si è fatto beccare con un mignottone da strada di rara bruttezza  riuscendo quasi a ditruggere la sua vita.
Eppure pian piano è riuscito a risollevarsi, a ritagliarsi questo  personaggio abbastanza standardizzato che fa dell'inadeguatezza il suo tratto distintivo ( ma naturalmente ci sono state anche divagazioni sul tema come la sua partecipazione a Cloud Atlas) in alcuni film assai gradevoli , non capolavori ma assolutamente guardabili come Notting Hill , About a boy o Il diario di Bridget Jones che mettono in risalto tutta la sua grazia british.
Dicevamo : è agevole far specchiare il vero Hugh Grant nel suo personaggio e in fondo questa è la ricetta del suo successo.
Lui non recita un personaggio, porta semplicemente una generosa parte di se stesso in scena.
E se continua a piacere perché non continuare a farlo?
Professore per amore fa sorridere in più di un'occasione, è un film piacevolmente fuori dal tempo un po' come l'Università e la città dove è ambientato, ha quel retrogusto amarognolo che potrebbe farlo apprezzare ancora di più a chi non è precisamente un fan di questo tipo di film e , come detto, contiene al suo interno dialoghi non banali e riflessioni interessanti.
Non filosofia junghiana ma qualche notazione intelligente.
E questi 100 minuti riescono a passare in un attimo.
Complimenti al malvagio titolista italiano, da appendere per i testicoli a testa in giù , che fa perdere del tutto l'ambivalenza del titolo originale The Rewrite ( la riscrittura, la rimaneggiatura che si riferisce sia al lavoro che si fa sulle sceneggiature che alla vita del protagonista), in favore del solito titolo da decerebrati.


PERCHE' SI : Hugh Grant e Marisa Tomei nello stesso film, rom com divertente e con interessanti variazioni sul tema compreso un retrogusto amarognolo, ottimi dialoghi, ottimo cast di supporto.
PERCHE' NO : a chi non piace il genere...qualche cliché che è duro da scalfire, un po' troppo rose e fiori, la vita vera è decisamente più complicata.


LA SEQUENZA : la scelta degli studenti del proprio corso con criteri assolutamente "meritocratici" e il primo incontro con la terribile prof di letteratura amante di Jane Austen.


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

Hugh Grant e Marisa Tomei non mi hanno deluso neanche questa volta.
E' possibile ancora fare una rom com per protagonisti over 50.
In altri tempi un film con questo cast non sarebbe stato mandato al macero nella calura estiva.
Per la Tomei il tempo sembra essersi fermato e non sembra più ripartire.


( VOTO : 7 / 10 ) 


The Rewrite (2014) on IMDb

mercoledì 2 settembre 2015

Found. ( 2012 )

Marty è un timido studente delle scuole medie che vive nel suo mondo fatto di fumetti ( che scrive anche) timidezza, bulli che lo vessano e film horror che attinge dalla videoteca oppure dalla fornitissima collezione del fratello.
Un brutto giorno, curiosando tra le cose del fratello scopre una testa in una borsa per le palle del bowling.
Suo fratello è un serial killer.
Che fare? Sfruttarlo per avere la meglio sul bullo che gli rovina la vita oppure temere per la propria incolumità o per quella dei genitori?
E se lui venisse a sapere che Marty ha scoperto tutto?
Found, ( non so se è una cosa che succede solo a me ma quanto mi inquieta quel punto che c'è nel titolo originale, che sembra lasciato lì per caso e invece rappresenta solo l'inizio del perturbante che caratterizzerà tutto il film) è tratto dal romanzo omonimo di Todd Rigney del 2004 ed è sceneggiato dallo stesso regista , il semiesordiente Scott Schirmer che il film lo ha anche montato e prodotto con un budget non esattamente milionario, si parla di 8000 dollari ( leggansi ottomila).
Il giovane Scott si è formato all'Università dell'Indiana dove ha studiato cinema, videoproduzione e sceneggiatura ed è stato talmente brillante negli studi da aver ricevuto premi e finanziamenti per girare i suoi primi corti.
Quindi parliamo di un giovane, praticamente all'esordio ma non di un carneade qualsiasi.
La cosa che colpisce infatti di Found. è la sua estrema maturità nell'utilizzo del mezzo espressivo.
In un solo film , in meno di 100 minuti si viene letteralmente investiti da tematiche importanti ( le prime che balzano all'occhio sono la declinazione del tema dell'amore fraterno tra il dodicenne Marty e il fratello Steve, ma si parla anche di un ragazzino che sta entrando nella fase decisiva della sua crescita, l'adolescenza in un modo che definire confuso e contraddittorio è assolutamente riduttivo e sappiamo bene quanto il tema del coming of age sia molto apprezzato e trattato nel cinema
indipendente americano  e poi è impossibile non citare il tema del bullismo nelle scuole) incastonate in una narrazione organica, non rapsodica come ci si attenderebbe, ma assolutamente funzionale nell'immergere lo spettatore in un'atmosfera paludosa, appiccicaticcia, fastidiosa quasi in cui si è inesorabilmente indirizzati verso l'immedesimazione in un personaggio, quello di Marty, di cui nessuno vorrebbe mai indossare i panni.
Schirmer descrive la pigra e oserei dire  quasi immobile provincia americana, praticamente una natura morta,  con cognizione di causa, in fondo sta descrivendo casa sua e non stupirebbe che abbia preso spunto da personaggi reali.
Sicuramente parla di serial killer con un taglio socio antropologico che non avevo mai rintracciato in alcun film precedente, il tutto mediato, ma forse è meglio dire intriso, dei classici stereotipi che descrivono al meglio la vita di un paesino qualunque dell'Indiana, quelli in cui non sembra succedere mai nulla.
Giusto per non  farci mancare nulla, Schirmer osa anche sotto il profilo della metacinematografia, inserendo cospicue sequenze di un film all'epoca inesistente ( un fake girato per l'occasione) ma che poi, data la risonanza di Found., ha goduto di ampliamento e riscrittura arrivando a essere un film vero e proprio che si intitola Headless ( di cui abbiamo parlato qualche mese fa qui ). un film che ossessiona talmente Steve, il fratello serial killer, che lo incita all'emulazione di atti veramente ineffabili.
Praticamente una manna dal cielo per tutti i munus habentes che dicono che i film horror ( ma mettiamoci anche la musica metal , la musica del demonio per antonomasia) possano provocare fatti di sangue deviando le menti di giovani virgulti.
Dimenticando di dire che il giovane virgulto di cui sopra deve essere già predisposto di suo con una mente già sufficientemente deviata verso la psicopatologia conclamata.
Ma alla fine chi è Steve per Marty?
Ed è questa la domanda che fa tremare i polsi durante la visione perché all'inizio Steve è una specie di eroe, un segreto da custodire gelosamente ma anche un ottimo rimedio contro le angherie del più bullo della scuola, uno che ti fa sentire quasi il fratello di Superman per il delirio di onnipotenza che lo caratterizza.
Agli occhi di Marty  Steve può tutto e chi si frappone sulla sua strada ha il destino segnato: quello di avere la testa staccata dal corpo e conservata in una borsa per palle da bowling.
Ma proseguendo nel film questa percezione è destinata a cambiare.
Non stupisce più di tanto neanche il finale con il crollo definitivo di quell'istituzione familiare che sembrava essere una pietra angolare praticamente inscalfibile.
Found. è un film che inquieta e pone delle domande a cui è difficilissimo rispondere.
Un horror che segue le dinamiche del thriller psicologico e che si snoda come un dramma familiare.
Perché in fondo quello di Steve è un fottutissimo dramma familiare da cui è impossibile uscire indenni.


PERCHE' SI : ambientazione estremamente credibile, ottima recitazione dei protagonisti, film che inquieta e pone domande a cui è molto difficile rispondere.
PERCHE' NO : ritmo lento che però descrive alla perfezione la vita rarefatta di provincia, si vede che è un film girato in totale economia ma assolutamente non è sciatto o non curato formalmente, finale che scatenerà l'indignazione di qualcuno.


LA SEQUENZA : Marty trova la testa del bullo della scuola in una borsa per palle da bowling in camera del fratello.


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

Era da Cronenberg e dal suo Inseparabili che non vedevo trattato in maniera così intensa e brillante il tema dell'amore fraterno.
La provincia americana è sempre gravida di mostri.
Il cinema indipendente a stelle e strisce è una fucina di talenti.
Che cosa avrei fatto io avendo un fratello serial killer?


( VOTO :7,5 / 10 ) 


Found (2012) on IMDb