I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

sabato 31 gennaio 2015

When Animals Dream ( aka Når dyrene drømmer, 2014 )

Marie ha sedici anni e vive in un paesino di poche decine di anime in un 'isola sperduta della parte occidentale della Danimarca.
Verte tutto intorno alla fabbrica locale di lavorazione del pesce dove Marie ha cominciato a lavorare da poco divenendo presto il bersaglio degli scherzi, non sempre di buon gusto, da parte dei colleghi.
A casa la situazione non è delle più rosee: il padre Thor gestisce un negozio di alimentari e assieme a lei si dedica alla madre di Marie , bloccata in stato vegetativo su una sedia a rotelle, vittima di una misteriosa malattia.
Marie ha degli strani segni sul corpo e non può fare a meno di  notare gli strani conciliaboli tra il medico del paese, che viene a casa a fare le terapie alla madre, e il padre.
Le stanno nascondendo qualcosa e presto Marie lo scoprirà sulla sua pelle...
E' difficile mettere un film come questo, ad opera dell'esordiente danese Jonas Alexander Arnby, nel calderone horror, dei film sui licantropi, perché a scanso di equivoci diciamo subito che si parla di licantropi, ma è innegabile che un film dall'approccio autoriale come questo, rarefatto come l'atmosfera che lo permea, ha una modalità di avvicinamento al genere che si può definire in un certo senso contigua a quello che Lasciami entrare a suo tempo ebbe con i film sui vampiri.
Ora, occorre prendere con le pinze l'affermazione appena fatta perché è vero che i due film sono entrambi nordici, hanno un passo decisamente lungo e trattano due categorie totemiche dell'horror da una prospettiva diversa e originale.
Ma è anche vero che i due film sono completamente differenti stilisticamente e si situano anche in epoche diverse del percorso di crescita dei rispettivi protagonisti.
Probabilmente l'horror non è neanche il genere a cui guarda Amby, perché in realtà When Animals Dream ( titolo che occhieggia a Philip K Dick) è da considerare più che altro un romanzo di formazione.
O meglio di deformazione , la giovane Marie sta andando incontro a modificazioni del suo corpo indipendenti dalla sua volontà e scopre che , suo malgrado, c'è qualcosa di misterioso che la lega alla malattia della madre.
Il genere del coming of age che è molto frequentato dal cinema americano, indie e non, qui è trattato in maniera abbastanza peculiare, immergendolo in una natura brulla, in un clima gelido , gestito più con i silenzi che con le parole.
Soprattutto diventa un dramma personale che ha delle inattese vette di violenza che stridono con il silenzio che opprime il paesino dimenticato da Dio e dagli uomini che giace, letteralmente giace attorno ai personaggi del film , simbolo immobile di un altroquando in cui lo spazio e il tempo sembrano totalmente distorti rispetto al resto dell'universo tangibile.
Marie, l'esordiente Sonia Suhl, veramente brava, è fragile come un giunco però come quello si piega ma non si spezza, il furore che entro la rugge esonda improvviso e proprio come Lasciami entrare , il rosso delle macchie di sangue sembra quasi un'entità aliena che "sporca" un ambiente asettico, quasi ibernato in una fissità da cui sembra che non ci sia via d'uscita.
Marie se vuole sopravvivere , questa via d'uscita la deve trovare.
Il suo corpo che sta cambiando, la sua anima che anela all'amore vogliono questo.
Marie è diversa come era diversa la madre al cui altare il padre ha sacrificato tutta la sua vita, per amore.
E la sua dolorosa diversità ci viene annunciata attraverso inquietanti squarci onirici che come lame di bisturi affondano nella carne molle dell'oscurantismo di cui sono vittime gli abitanti del paesino.
Naturalmente la comunità non è in grado di accettare la sua diversità che si perde tra le pieghe della leggenda.
E proprio questo rigetto di cui lei è vittima ( le sta vicino solo quello che diventerà il suo fidanzato suggerendo  per lui un ruolo simile a quello avuto dal padre nei confronti della madre di Marie) ne fa empatizzare la sofferenza.
Perché il vero mostro non è lei , vittima di una caccia selvaggia.
Il vero mostro è chi non accetta la diversità.
Messaggio da leggere non solo in chiave cinematografica.

PERCHE' SI : ambientazione da urlo nel gelo e con un mare incredibile, ottima protagonista,originale approccio al genere.
PERCHE' NO : nonostante duri poco più di 80 minuti il passo è lungo, compassato, astenersi chi cerca solo sangue e gore ( arrivano ma tardi).

( VOTO : 7,5 / 10 )

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venerdì 30 gennaio 2015

Seria(l)mente : Happy Valley ( 2014 )

Provenienza : UK
Produzione e distribuzione : BBC, Red Production Company, Netflix
Episodi : 6 da 60 minuti cadauno

Catherine Cawood è un sergente di polizia di un piccolo paese in una valle dello Yorkshire, vicino Halifax.
Ha un passato doloroso che le ha impedito di fare carriera ( era detective e ora si ritrova a capo di una piccola stazione di polizia in un paesino) e un presente fatto di un ex marito con cui ancora si frequenta e si confida, una sorella ex tossicodipendente con cui vive, un figlio con cui praticamente non parla e un nipote di otto anni , frutto di una violenza sessuale sulla figlia poi suicida.
Non succede mai nulla nel paesino fino a che la figlia di un importante imprenditore della zona viene rapita e vi è implicato anche Tommy Lee Royce, l'autore della violenza sulla figlia e ora di nuovo a piede libero dopo otto anni di galera.
Le cose prendono da subito una piega inaspettata e sanguinosa.
Non ci vuole molto per intuire che quel titolo, Happy Valley che suona più o meno come " vallata felice" sia qualcosa di profondamente sarcastico e amaro, il classico humour inglese ma stavolta virato al nero.
Di felicità se ne trova ben poca in questa serie ambientata ( benissimo) nella profonda provincia inglese dove pare che l'unica attività criminale fiorente sia la droga di cui si fa un consumo procapite smodato.
Della serie : è un posto di merda per vivere e quindi ci droghiamo fino a scoppiare per far finta di non vedere quello che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno.
Nell'introduzione del personaggio si capisce subito che Catherine ha un trascorso doloroso che sta gettando pesanti ombre anche su un suo presente non particolarmente eccitante.
E per quanto si dimostri forte, il suo personaggio è stracolmo di debolezze, come quella di continuare a frequentare l'ex marito, un po' per compassione perché lui ha perso il lavoro e un po' per avere una spalla su cui piangere metaforicamente e confidarsi. E poi ci scappa anche qualche altra cosa, sempre a proposito di debolezze
Della carne stavolta.
Happy Valley formalmente è una serie di genere poliziesco ma l'indagine che fa da filo conduttore alle varie puntate non è il punto focale di tutto: a testimonianza di questo c'è la scelta , abbastanza originale, non mi viene altro aggettivo per descriverla, di chiudere il caso criminoso alla quarta puntata per poi amplificare il discorso del dramma familiare.
Non aspettatevi sequenze action sul filo dell'adrenalina ( anche se ci sono esplosioni improvvise di violenza inaspettata) ma personaggi verosimili, dialoghi ottimamente scritti e un 'atmosfera malsana nonostante si parli di una cittadina di provincia in cui non dovrebbe mai accadere nulla di sconveniente.
E invece...
In fondo questa è la storia di Catherine e della sua nemesi , quel Tommy Lee Royce che le ha violentato la figlia e ne ha provocato il suicidio.
Suicidio di cui Catherine si sente responsabile, il senso di colpa arriva a ottenebrarne il buon senso.
Un senso di colpa per l'inadeguatezza con cui ci si pone di fronte al libero arbitrio che permea un po' tutti i personaggi della serie, tutti costretti a scegliere e praticamente tutti con un talento particolare per scegliere l'opzione sbagliata.
La storia del rapimento ricorda abbastanza da vicino il plot di Fargo , il film dei Coen , con un contabile meno che mediocre l'impareggiabile Steve Pemberton( uno degli attori più incredibili della televisione inglese, trasformista e istrionico come pochi altri) che ha una meravigliosa idea in testa: snocciolare a una banda di balordi il piano per rapire la figlia del suo capo.
E anche qui drammi su drammi perché il contabile ha una moglie molto malata, così come il suo capo e si trova invischiato in una ragnatela inestricabile di equivoci e fraintendimenti.
Il risultato è che le cose vanno di male in peggio.
La serie, creata da Sally Wainwright, nativa proprio dello Yorkshire, ha un punto di vista prettamente femminile e si capisce subito che chi l'ha scritta sa bene di che cosa stia parlando.
L'Happy Valley del titolo è popolata di donne volitive che cercano di far leva sulle proprie debolezze per venire a capo di un mondo che verso di loro si mostra profondamente ingrato.
Catherine ha il volto e il fisico imperfetto di Sarah Lancashire, attrice superba che fino ad oggi non conoscevo e che le dona un'energia e una verosimiglianza impressionanti.
Nonostante ci sia la chiusura perfetta del cerchio narrativo , Happy Valley è stata rinnovata per una seconda stagione che sarà trasmessa nel 2016.
Trasmesso dalla fine di aprile del 2014 per sei settimane  si è rivelata essere una delle serie BBC con più alta audience televisiva di tutto l'anno.
Visione altamente consigliata perché come al solito English do it better!

PERCHE' SI : una protagonista eccellente, poliziesco e dramma familiare vanno a braccetto, personaggi verosimili, dialoghi ottimamente scritti.
PERCHE' NO : all'inizio il passo è un po' lungo, i fanatici del poliziesco potrebbero essere spiazzati perché  il caso si risolve alla quarta puntata.

( VOTO : 8 / 10 )

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giovedì 29 gennaio 2015

Whiplash ( 2014 )

Andrew studia batteria jazz nel più importante conservatorio di New York, Vuol diventare il più grande batterista del mondo e il suo talento viene notato fin dal primo anno di scuola da quello che è il più famoso insegnate della scuola, Terence Fletcher i cui modi militari e le tecniche di insegnamento, molto dure, scoraggiano parecchi studenti.
Ma Andrew è testardo e ha un obiettivo solo in testa: fino a che salta letteralmente alla gola di Flecher all'apice dell'ennesimo diverbio...
Proseguiamo nella carrellata dei film candidati all'Oscar di quest'anno: è il turno di quello che fino ad ora ha l'aria di essere il migliore e naturalmente non ve n'è traccia nei listini italiani.
Siccome Whiplash ha l'aspetto del perfetto outsider che può ambire a vincere statuette importanti ( è candidato a 5 Oscar : miglior film, miglior attore non protagonista, JK Simmons, ma su di lui faremo un discorsetto a parte, miglior montaggio, migliore sceneggiatura non originale, miglior suono) si sente aria di recupero dopo l'assegnazione degli Academy Awards a testimoniare ancora una volta che i nostri distributori non capiscono un'acca di bel cinema.
Cioè tappezzano le nostre sale di filmacci di danza come Step up e relativi epigoni di ogni genere e un bel film come questo non trova neanche uno spazietto?
Whiplash è un film musicale che in realtà di musica ne contiene meno del preventivato: è formalmente un ibrido, una pellicola che mescola il genere del coming of age ( per Andrew la batteria è il simbolo della sua crescita), con quel genere che parla di American Dream in tutte le sue forme , anche quelle più strane( Andrew vuol diventare assolutamente il migliore per realizzarsi anche al di fuori della scuola ).
Il tutto frullato assieme al genere sportivo ( il duro allenamento, una specialità del cinema americano da Rocky in avanti) e a un pizzico di cinema di guerra ( l'addestramento a cui viene sottoposto Andrew è militare e i modi di Fletcher ricordano tanto quelli del sergente Hartman in Full Metal Jacket o quelli del sergente Foley in Ufficiale e gentiluomo).
Whiplash è assai accattivante, confezionato con grande cura e diretto con grande ritmo, parrebbe quasi un ossimoro narrando la storia di un batterista, dal semi esordiente Damian Chazelle che ha ampliato quello che era precedentemente un cortometraggio.
Non amo il jazz, la mia è una formazione musicale del tutto diversa, amo tantissimo la batteria , in gioventù volevo anche suonarla ma non è mai stato possibile e prima di vedere questo film consideravo femminucce i batteristi che non hanno la doppia cassa,  ho anche una certa avversione per coloro che impugnano le bacchette come fa Andrew ( che fanno tanto orchestra di liscio) perché abituato a gente che spacca rullanti in nome del rock , però questo film mi ha preso.
E parecchio anche.
Merito di una storia incalzante e di un confronto epico tra i due protagonisti ( mi rifiuto di considerare JK Simmons un semplice comprimario): c'è tutto il sale della vita nei loro confronti aspri, talmente aspri da diventare selvaggi, c'è voglia di primeggiare, c'è tutto quel senso di individualismo e competizione che percorre trasversalmente la società americana per cui se arrivi secondo sei solamente il primo degli ultimi, c'è l'abnegazione al proprio strumento che è il segreto peggio celato del musicista che vuole arrivare al successo. c'è la tenacia di un alunno, incrollabile nelle sue certezze e l'apparente durezza di un insegnante che usa tutti i trucchi possibili e immaginabili per tirare fuori il meglio da chi ha il talento necessario per andare avanti.
Capitolo J.K.Simmons: quando ho letto che era candidato all'Oscar come miglior attore protagonista, come la maggior parte del globo terracqueo mi sono chiesto chi diavolo fosse e sono andato a cercare la sua fotografia.
Il nome mi era ignoto ma la faccia è notissima avendo un curriculum lungo così in ruoli da eterno
comprimario: beh finalmente è venuta la sua ora, spero che l'Oscar lo vinca sia perché è autore di una performance impressionante in questo film, sia perché la sua vittoria dovrebbe essere un simbolo di rivincita per tutti i caratteristi che pullulano nel sottobosco cinematografico, gente con due palle così, con talento da vendere , eppure senza quella faccia e quel nome che da soli fanno vendere biglietti.
Whiplash segue da vicino l'addestramento, perché di vero e proprio addestramento si tratta, riduttivo parlare di studio, di Andrew, ce ne fa percepire la fatica, il sudore e il dolore, le sue piaghe sulle mani arrivano ad essere le nostre perché ci sembra di essere lì con lui a sbuffare come una ciminiera per eseguire partiture musicali precise al centesimo di secondo senza l'ausilio di un metronomo.
Ed è questa la sua carta vincente: non i brani musicali, non commerciali (forse sarebbe stato troppo facile suonare pezzi conosciuti da tutti), non il genere musicale trattato, abbastanza di nicchia e neanche lo strumento suonato, non mi sembra di ricordare altri film incentrati sulle gesta di un batterista.
L'unica cosa che stona è quell'abbozzo di storiella sentimentale di Andrew, trattata un po' troppo sbrigativamente e di importanza quasi nulla nell'economia del racconto.
Anche se non amate il jazz fatevi sotto: Whiplash vi piacerà sicuramente.

PERCHE' SI : ritmo incalzante, ibrido di generi particolarmente riuscito, JK Simmons autore di una performance eccezionale, regia e montaggio ai limiti della perfezione
PERCHE' NO : qualcuno storcerà il naso di fronte alla presenza di brani poco conosciuti, la storiella sentimentale di Andrew è trattata un po' sbrigativamente.

( VOTO : 8 / 10 )

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mercoledì 28 gennaio 2015

Still Alice ( 2014 )

Alice Howland è una docente di linguistica alla Columbia University, è moglie felice e madre realizzata.
Ultimamente però le accade di dimenticare le cose e , quando va a fare jogging, di andare nel panico perché non ha la minima idea di dove diavolo si trovi.
La visita dal neurologo le fa scoprire che soffre di una rarissima forma di morbo di Alzheimer, ereditaria e che si manifesta molto precocemente.
La memoria va e viene, ma tende sempre più ad andarsene , il lavoro ne risente e anche i rapporti familiari cominciano a essere più complicati, ma Alice lotta per conservare il più a lungo possibile i ricordi che una malattia bastarda le sta rubando giorno per giorno.
Se c'è una cosa che piace ai giudici dell'Academy è la malattia portata sullo schermo però nella maniera meno sgradevole possibile, smussandone i lati più spiacevoli.
E' successo con il biopic dedicato alla vita di Stephen Hawking, La teoria del tutto, e accade anche in questo Still Alice, veicolo promozionale per l'Oscar da consegnare a Julianne Moore.
Che , a scanso di equivoci, è bravissima, fragile e determinata allo stesso tempo, sempre scandalosamente snobbata precedentemente , ora sembra che sia venuto il suo momento alla notte degli Oscar.
Per me l'Oscar ce l'ha in tasca, perché la sua è una performance che oltre ad essere eccellente rientra nella categoria di quelle che più piacciono ai giurati dell'Academy.
Eppure Still Alice , per quanto mi riguarda, è un film che non funziona.
Glatzer ( a cui è stata diagnosticata la SLA proprio appena prima che i produttori pensassero a lui per dirigere questo film, altro " caso " della vita su cui riflettere, ma sicuramente sarà una fatalità) e Westmoreland dimenticano letteralmente di costruire un film attorno alla Alice di Julianne Moore, vero e proprio santino con l'aureola intorno che compare praticamente in ogni sequenza del film.
E invece di raccontare il vero Alzheimer, scelgono di raccontarne i prodromi, quel processo sicuramente  crudele e infingardo che è la perdita dei vari brandelli di memoria e di quotidianità che costuiscono la giornata di Alice, ma che a conti fatti è uno zuccherino, anche simpatico ( come vedere i trucchetti che usa Alice per testare la sua memoria o per vivere il più normalmente possibile) di fronte alla malattia vera e propria.
Il sospetto è quello paventato in precedenza cioè quello di aver creato un prodotto ad hoc, commovente ma non troppo, destabilizzante ma non troppo, comunque debitamente lontano dal pietismo e dal patetismo , requisito necessario per avanzare la candidatura della Moore all'Oscar.
E al suo altare vengono sacrificati  tutti i comprimari di un film , anche una Kristen Stewart nei panni di una wannabe actress che si vuole far strada nel mondo della recitazione ( praticamente la storia della sua vita) e che risulta addirittura meno irritante del solito.
Il risultato è che Still Alice risulta poco credibile come film sull'Alzheimer perché in realtà la malattia viene solo sfiorata, è l'esaltazione della figura di una donna che vuole lottare , che si erge coraggiosa contro quella bastarda sostanza amiloide che sta spazzando via tutti i suoi neuroni.
Per vedere qualcosa di più vicino all'Alzheimer occorre rivolgersi altrove , basta tornare indietro di qualche anno e al bellissimo Away from Her di Sarah Polley in cui una intensissima Julie Christie dava voce e volto a una malata in cui il morbo di Alzheimer era ad uno stato molto avanzato.
Un film che arrivava quasi a strapparti dal petto un cuore gonfio di commozione.
E forse , proprio perché troppo ancorato a una realtà sgradevole da vivere e da raccontare, snobbato clamorosamente quando si è trattato di andare alla notte degli Oscar ( solo due nominations per un film che meritava molto di più ).
La guerra contro l'Alzheimer è persa in partenza e stavolta l'amore, neanche quello più grande, è in grado di sovvertirne gli esiti.
Al contrario di quanto suggerito dalla ridondante scena finale.
Cercavo emozione ma  non l'ho trovata.

PERCHE' SI : Julianne Moore, performance da Oscar, anche Kristen Stewart è meno irritante del solito, lontano da pietismi e patetismi vari.
PERCHE' NO : Glatzer e Westmoreland hanno dimenticato di costruire il film attorno alla Moore, personaggi di supporto praticamente piallati, il film affronta solo la fase prodromica della malattia.

( VOTO : 5,5 / 10 )

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martedì 27 gennaio 2015

The Atticus Institute ( 2015 )

A metà degli anni '70 un piccolo laboratorio di psicologia dell'Università della Pennsylvania si occupa di persone con facoltà paranormali ( preveggenza, telecinesi) con risultati piuttosto deludenti.
Finché si imbattono in una donna i cui poteri sembrano da subito straordinari : il Ministero della Difesa prende subito in carico la donna, segregandola nell'Istituto e sottoponendola ad esperimenti sempre più pesanti per lei da sopportare.
Il sospetto è che la donna sia posseduta da un demone.
Dopo questo caso il piccolo laboratorio, nell'autunno del '76 chiude definitivamente i battenti.
Raramente capita che vedendo un film sia così difficile annoverarlo tra i mockumentaries o tra i found footages.
The Atticus Institute si basa sui filmati lasciati dal Dr West e dalla sua equipe che riguardano gli esperimenti di quell'ultimo caso e li integra con interviste fatte invece ai tempi di oggi.
Quindi è impossibile distinguere in questa piccola produzione i due generi in questione.
Ancora non smaltita la sbornia della mia playlist domenicale sui mockumentaries / found footages( un post di grande successo, evidentemente ognuno, anche io, dice che li odia  eppure stiamo tutti lì a guardarli) ecco alla mia attenzione questo film scritto e diretto da  Chris Sparling conosciuto più che altro per le sceneggiature di Buried e di ATM- Trappola mortale, in verità due discreti esercizi di scrittura.
E già che ci siamo ecco la risposta che dovevo dare e che non ho scritto nella prefazione della playlist: a me il genere potenzialmente piace e anche parecchio, altrimenti non perderei tempo a guardare questi film.
Il problema è che nel genere moclumentary/ found footage c'è tanta di quella monnezza che non basta neanche una carovana intera di camion per spalarla.
Per un film buono te ne devi sorbire una decina di mediocri se non pessimi
Ma ritorniamo a The Atticus Institute, prodotto a budget basso ma non irrisorio a vedere la cura con cui è stato realizzato e che presenta qualche punto di interesse pur in una struttura abbastanza derivativa.
In fondo le possessioni demoniache sono uno degli argomenti più frequentati nel genere.
La cosa che predispone bene di questo film è il suo aspetto realistico: è un film che fa della verosimiglianza il suo pregio principale e non sbraca neanche quando la situazione si fa un attimo più chiara riguardo alla donna protagonista.
Dico un attimo più chiara perché Sparling preferisce far rimanere per quasi tutto il film quel fondo di ambiguità che rende più avvincente la visione.
Altra cosa che metterei tra i pregi è la qualità degli attori, diciamo medio alta e anche le scelte di casting risultano abbastanza credibili in un film che sceglie di far vedere gli stessi personaggi nel presente e nel '76.
Si evitano trucco e parrucco ad alto rischio di ridicolo involontario e si va con attori diversi che tuttavia hanno le facce giuste, credibili.
Il problema del film è l'amalgama delle parti in found footage con quelle in cui sono riprese le interviste ai vari personaggi: nonostante il buon lavoro al montaggio di Sam Bauer ( Donnie Darko, The Box) è inevitabile che il film perda di ritmo anche perché il piatto forte del film sono le scene nel laboratorio, gli esperimenti sulla donna che fanno scivolare il film decisamente su crinali horror, magari anche involontariamente perché l'impressione è che Sparling abbia voluto tenersi fuori deliberatamente da ogni catalogazione di genere.
Un po' horror, un po' sci fi, un po' documentario( falso), un po' thriller, un po' dramma personale, un po' di cospirazionismo di grana grossa e chi più ne ha più ne metta.
Ma a volte a essere troppo originali o sofisticati si fa peccato di supponenza e si cade nel clichè più puro e bieco.
E The Atticus Institute sarà ricordato soprattutto perché è l'ennesimo mockumentary / found footage che parla di possessioni demoniache.
Magari con sommo scorno di Chris Sparling.

PERCHE' SI : il look anni '70 è accattivante e riuscito, verosimile, buona la performance degli attori, buone scelte di casting
PERCHE' NO : non il massimo dell'originalità , manca un po' di amalgama tra le parti found footage e quelle mockumentary, anche il ritmo risente di questa alternanza

( VOTO : 6 + / 10 )

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lunedì 26 gennaio 2015

John Wick ( 2014 )

John Wick è un killer professionista al soldo del miglior offerente che sceglie di ritirarsi per amore della moglie Helen. Ma una malattia se la porta via e lei per farsi ricordare anche dopo la morte le regala un cucciolo di beagle.
Mentre sta a fare benzina con la sua Mustang del '69 , un tizio gli chiede a che prezzo è in vendita ma lui risponde che non è in vendita.
Il tizio in questione, che è il figlio di un potente boss mafioso russo, la stessa sera con i suoi complici si va a prendere la macchina, malmena John e per sfregio gli uccide il cane.
E' la firma sulla sua condanna perché la vendetta di John sarà tremenda e definitiva.
Scenetta dell'altra sera con la bradipa mentre stavamo vedendo il film: io dico che John si incazza se quello gli frega la macchina e gli spacca il culo , la bradipa mi dice che è solo una macchina, non è degna di tutto quel casino ( tanto per lei una Mustang o una Fiat Duna sono praticamente la stessa cosa).
Poi quando il cattivone uccide il cane, la bradipa infoiatissima " No, no, deve morire, deve schiattare, lo deve fare a pezzettini piccoli piccoli e deve anche soffrire tutte le pene dell'inferno il bastardone!"
Insomma prospettive diverse.
Diretto da due stuntmen al loro esordio alla regia Chad Stahelski e David Leitch ( di cui solo il primo accreditato per motivi sindacali) che avevano già modo di lavorare diverse volte con Keanu Reeves , John Wick è uno di quei film che non ha bisogno di metafore servite con guanti da forno per raccontare la sua storia: un vendetta, una pura e semplice vendetta.
E nella sua intelligibilità , nella sua sceneggiatura ridotta all'osso, nel suo andare al punto dopo un inizio lento e riflessivo che magari lasciava presagire qualcosa d'altro, è un film che si fa volere bene perché è una specie di mostra dell'artigianato cinematografico.
E' l'apoteosi degli stuntmen ( con due registi che vengono da quel mondo non era lecito aspettarsi altro, vedere per credere sui titoli di coda quanto è lunga la lista), è il cinema dei direttori delle seconde unità, dei coreografi dei combattimenti, delle traiettorie dei proiettili e dei fiotti di sangue ( forse un po' troppo sottolineati in computer grafica), un film in cui la violenza è semplicemente un dettaglio stilistico a cui appigliarsi per esprimere la propria arte cinematografica.
Ed è il film di un granitico Keanu Reeves, 50 anni e non sentirli,  tizio di poche parole e di molte pallottole esplose, un antieroe che puzza di anni '80 lontano un miglio, che spara e combatte come un ossesso.
John Wick si richiama espressamente al cinema orientale,in particolare quello di Hong Kong ( e anche questo ce lo aspettavamo vista la deriva che ha preso la carriera di Keanu , affascinato sempre più dal cinema e dall'iconografia di quel pezzo di mondo che sta ad oriente) e lo fa quasi con deferenza senza uscire praticamente mai dallo spartito.
Accanto al protagonista i personaggi di contorno sono macchiette preordinate, appiattite ma che hanno le facce giuste.
E c'è pure una specie di contrappunto ironico nelle sequenze di pulizia degli ambienti che hanno visto spargimento di litri e litri di sangue e nella figura del portiere dell'albergo di lusso dove sembrano alloggiare solo killer.
Diciamo che John WIck assomiglia al cinema del primo John Woo, quello del suo primo periodo hongkonghese, senza averne un minimo di sentimento e di pathos.
Ma basta e avanza.
Astenersi puristi di dialoghi e di incastri narrativi: qui si spara , ci si picchia e ci si accoltella in proporzioni variabili.
A piacere dello chef.
Pardon, dei registi.

PERCHE' SI : azione pura, pochi dialoghi e tante pallottole, protagonista granitico, coreografie eccellenti, ci si richiama al primo John Woo
PERCHE' NO : la sceneggiatura è ridotta all'ossa, così come tutto quello che non abbia a che fare con la vendetta di John, personaggi di contorno sono solo macchiette appiattite, troppo sangue in computer grafica.

( VOTO : 7 / 10 )

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domenica 25 gennaio 2015

Playlist : i miei 10 found footage /mockumentaries

Oggi si parla di due generi cinematografici molto amati/odiati qui a bottega: il found footage e il mockumentary.
Ho deciso di metterli assieme perché molto spesso è difficile distinguere tra i due, anzi l'espediente narrativo del filmato ritrovato spesso dà vita a quello che può essere una specie di reportage documentaristico, naturalmente del tutto falso e allora può essere difficile mettere una linea netta di demarcazione tra le due tendenze che sono molto frequentate nella cinematografia horror  in questi ultimi tempi.
Un po' lo specchio della crisi: cinema fatto con pochi soldi ( leggasi quasi assenza di effetti speciali che costano un botto) e arrangiandosi alla meglio.
E poi ci sono anche i papponi come Oren Peli che pur avendone le possibilità economiche continuano a fare film di questo tipo, assai poveri e , cosa più grave, che ormai non hanno più niente da dire al genere, perché pensano solo al frusciare delle banconote incassate.
Mettiamo un po' di paletti : ho cercato di escludere i film che non appartenessero alla sfera horror/ sci fi , ho escluso The Blair Witch Project che sarebbe stato sicuramente in classifica, ho escluso quello che è considerato il progenitore del found footage/ mockumentary di oggi che è Cannibal Holocaust ( per me un film assolutamente infame ), ho escluso film meritevoli di questa classifica come The Imposter e The Conspiracy perché di genere sostanzialmente diverso a quello che voglio trattare e per ultimo vorrei dirvi come al solito che la mia è una classifica assolutamnte opinabile anche perché sicuramente mi sarà sfuggito qualche altro titolo interessante. Anzi segnalatelo se vi va.
Ultimissima cosa : non ho dimenticato Cloverfield.
Semplicemente non mi piace.

10) APOLLO 18
Apollo 18,. non Apollo 13. Uno sci fi che si tinge cospicuamente di horror in un'alternanza di fonti di visione ( sostanzialmente le telecamere all'interno della navicella spaziale) che rendono la visione più vivace e senza contrarre quella specie di nausea che ti viene quando la telecamera ballonzola più del dovuto.Qui il regista sa il fatto suo e confeziona un prodotto ricco di suspense e che va in crescendo minuto dopo minuto.
Dispiace che un film così ben confezionato e con realmente qualcosa da dire sia passato praticamente inosservato .

9 ) TROLLHUNTER 
Se gli americani hanno il loro Bigfoot , gli scandinavi nei loro boschi hanno il troll.
E questo mock racconta la storia di tre studenti universitari che per fare una ricerca seguono da vicino le attività di un vero cacciatore di troll, che poi è il personaggio cardine di tutto il film.
Stralci di mitologia norrena, corse a perdifiato nei boschi, appostamenti, inseguimenti sul filo del rasoio e infine appare lui, il troll, una cosa creata in computer grafica che è a metà tra il brutto e il buffo.
Non fa paura anche se dovrebbe metterne.
E forse mostrarlo chiaramente è l'unico errore che posso imputare a questo film, avrei preferito qualcosa di più coperto, più suggerito che sbandierato ai quattro venti.
Errore grave ma che non inficia una piacevolissima visione.

8) THE TUNNEL
Un found footage/ mockumentary( qui è particolarmente difficile distinguere i due generi) che viene dall'altra parte del mondo, l'Australia e nel suo essere al di fuori delle logiche commerciali che regolano il mainstream ha la sua carta vincente. Spaventi genuini, ambientazione molto riuscita, un senso di claustrofobia che opprime e che fa sembrare Necropolis - La città dei morti, una gita fuori porta.
E soprattutto i protagonisti non sono i soliti bimbominkia pronti a recitare la parte della carne da macello.Il mostro c'è ma non si vede ed è meglio così, ne guadagna la suspense.
Interessante la storia produttiva: messo in vendita su internet a un dollaro per fotogramma e , una volta raggiunta la copertura delle spese, è stato messo a disposizione gratuitamente via torrent.
In un secondo momento la Paramount ha deciso di distribuirlo attraverso modalità più "convenzionali"

7) AFFLICTED
Scoperta abbastanza recente, diciamo dell'estate scorsa. Un found footage su due amici che vanno in giro per il mondo ma uno dei due è molto malato.
Diciamo che è un'escursione abbastanza originale sul tema del vampirismo, è un prodotto formalmente curato e che ha anche dei discreti effetti speciali. Insomma sembra che qualche soldino ce l'abbiano buttato.
Altra cosa che te lo fa guardare di buon occhio è il fatto che una parte consistente di questo film è stata girata sulla riviera ligure da Vernazza a La Spezia senza per questo fare la solita caricatura degli italiani spaghetti pizza e mandolino.
Anche se la nostra polizia appare alquanto scarsotta. Ma è in ottima compagnia.
In Italia circola col vomitevole titolo di Videoblog di un vampiro.

6) THE BAY
Ovvero come un ultrasettantenne oscarizzato si mette a fare un horror con la tecnica del found footage e spacca praticamente il culo al 99% della concorrenza pur non essendosi mai applicato al genere nella sua lunga e gloriosa carriera.
Parliamo di Barry Levinson che con The Bay ci regala un film che non gli farà guadagnare molti consensi nel mainstream ( l'horror, si sa, è guardato sempre con un certo sospetto, come se fosse un genere per poveri di intelletto) ma sicuramente moltissimi tra i fans puri e crudi del genere.
Il nonnetto arzillissimo non sembra aver fatto altro nella vita : alterna le immagini delle telecamere della città in cui è ambientato, videochiamate ansiogene, falsi reportage giornalistici, telecamere degli ospedali e anche le dashcam delle macchine della polizia.
L'effetto mal di mare è molto mitigato in compenso c'è suspense a pacchi.
E poi c'è anche Miss Carapace.Volete mettere?

5) V/H/S - V/H/S 2
Due antologie di corti che hanno in comune l'impostazione found footage: nel loro insieme abbastanza riuscita l'amalgama ( un po' meno nell'ultimo film rilasciato V/H/S Viral) con gli inevitabili alti e bassi.
Ho incluso queste due antologie non per il loro valore intrinseco ( probabilmente non rientrerebbero nella classifica ) ma perché al loro interno contengono due corti che invece di diritto dovrebbero essere in questa classifica e anche nei posti alti.
Parlo di The Sick Thing That Happened to Emily When She Was Young di Joe Swanberg, appartenente a V/H/S , un corto girato utilizzando come unica fonte di visione lo schermo del computer e Skype nello specifico e che racconta in modi straordinari una storia di fantasmi piuttosto terrorizzante e ansiogena ma non così originale e di Safe Heaven ( di Gareth Evans e Timo Tjahjanto) che è nel secondo film ( che contiene anche un solluccherosissimo zombie movie in prima persona di Gregg Hale e Eduardo "Mr BlairWitch project" Sanchez, intitolato A ride in the park).
Con Safe Heaven siamo proprio all'università del found footage, si respira orrore vero fin dalle prime sequenze , sin dall'intervista al guru che spiega le regole della sua religione.
Poi si passa direttamente alle secchiate di sangue in faccia allo spettatore.
Siamo al top.

4) WHAT WE DO IN THE SHADOWS
Questa è una scoperta recentissima diciamo di qualche settimana fa. Un mockumentary neozelandese ( che dimostrano ancora una volta di essere mediamente malati e non capaci solo di giocare a rugby) in cui una troupe segue la vita quotidiana in una casa in cui convivono 4 vampiri col più giovane che ha meno di 200 anni e il più vecchio che sta intorno agli 8000 anni.
Una miniera di trovate comiche ma anche sangue che schizza da carotidi e giugulari varie  in un film che approccia al tema del vampirismo in maniera del tutto originale, aggiornandolo ai tempi nostri.
E si ride a vedere questi tizi scoppiatissimi in difficoltà con le nuove tecnologie.
Fa il paio con un altro mockumentary, il belga Vampires in cui una troupe viene chiamata a fare un documentario su una famiglia di vampiri.

3) NOROI - THE CURSE
Ho da molto tempo un rapporto privilegiato con il J-horror trovandolo genuinamente spaventoso e meno addomesticato ad esigenze di cassetta come succede dall'altra parte dell'Oceano.
Noroi - The Curse è uno strano J horror , con coordinate stilistiche da found footage/ mockumentary e che nasconde nell'ultima parte , molto blairwitchiana, alcune sequenze che spaventano, ma veramente.
Un film che avvince fin dalla prima sequenza e che propone continuamente piccoli segni destabilizzanti che sfoceranno in un finale in cui la paura è di quelle vere.
E senza versare una goccia di sangue umano.
Assolutamente da vedere.

2) EUROPA REPORT
Un found footage non horror ma sci fi arriva al posto d'onore di questa piccola opinabilissima classifica:
Ma è assolutamente meritato.
Una piccola produzione che sceglie il formato stilistico del found footage per aggiungere realismo a una storia puramente sci fi ( parliamo di una missione con astronauti diretta a Giove) e che si richiama a grandi film sci fi del passato in cui non esistono mostri spaziali ma solo il sacrificio per far progredire la conoscenza umana.
E sono brividi che scendono lungo la schiena.

1) LAKE MUNGO 
 A proposito di brividi lungo la schiena, Lake Mungo ne fa correre tanti arrivando nel finale a delle vette mai toccate prima.
Diciamo che non mi impressiono di fronte a nulla e avevo cominciato a vedere questo film in tarda serata , in solitudine.
Ecco , dopo una mezzoretta ho lasciato perdere perché non dico che stavo provando paura ma disagio sicuramente.
E ho finito di vederlo la mattina dopo, in compagnia e in un posto ben illuminato dalla luce naturale.
Mockumentary realizzato con interviste ai vari personaggi in cui la vera protagonista è la ragazza scomparsa.
Apparizioni, suspense a fiotti e un finale che è genio puro.
E un gelo che ti attraversa.
Bellissimo.

Spero che vi sia piaciuta questa playlist.
That's all folks!

sabato 24 gennaio 2015

Dead Silence ( 2007 )

Jamie è sconvolto dall'omicidio efferato della moglie, Ella,a cui è stata strappata di netto la lingua, avvenuto mentre lui era fuori a comprare la cena al take away cinese.
Poche ore prima qualcuno aveva inviato loro un pacco contenente un pupazzo da ventriloquo.
Jamie torna alla città natale di Ravens Fair , ora poco più di una città fantasma, per organizzare il funerale della moglie e indagare su quel pupazzo.
E scopre la storia di Mary Shaw e della sua collezione di 101 pupazzi con cui organizzava spettacoli in un teatro della zona.
Una donna legata a misteriosi fatti avvenuti a Ravens Fair, tipo la sparizione di un bambino , lontano parente di Jamie e che aveva l'ambizione di costruire il pupazzo perfetto.
Jamie oltre a risolvere il mistero , deve lottare per la sua salvezza perché le morti continuano a fioccare...
Smaltita la sbornia del successo mondiale di Saw, James Wan , giovane cineasta malese trapiantato prima in Australia e poi approdato a Hollywood, assieme al suo compagnuccio di merende Leigh Whannel, scrive un altro horror incentrato su un particolare tipo di bambole, i pupazzi da ventriloquo che , personalmente ho trovato sempre abbastanza inquietanti.
E lo dirige anche.
Invece di prendersi il solito quarto d'ora accademico che molti registi horror si prendono prima di far iniziare le danze, memore della lezione di Saw, il buon James parte con il pedale dell'acceleratore a tavoletta e ci regala subito quelle che poi si riveleranno le migliori sequenze del film: quelle dell'omicidio di Ella e del suo ritrovamento da parte di Jamie, terrore genuino old school però realizzato bene sia visivamente sia con un utilizzo del sonoro particolarmente azzeccato per quanto è incalzante.
Altra sequenza notevole è il ritorno a Ravens Fair, una città fantasma sepolta sotto una coltre di polvere e di incuria , un'ambientazione che trasmette disagio sottolineata dai colori freddi e metallici che utilizza il direttore della fotografia  John R. Leonetti (che per chi non lo sapesse è il regista del recente Annabelle, sotto l'affettuosa supervisione di Wan).
Una fotografia di qualità sopra la media per essere un horror a basso costo, anche se 20 milioni di dollari sono un budget di tutto rispetto per una produzione come questa..
Poi quando si comincia a fare la bocca a qualcosa che potrebbe regalare qualche bel brivido da far correre lungo la schiena il film si impantana nell'indagine condotta da Jamie e dal polziotto che gli è alle calcagna.
Cominciano i clichè da horror anni '80 ( ma magari per qualcuno saranno omaggi o citazioni) che denotano da una parte la cinefilia di Wan che comunque si richiama a una stagione ben precisa, quella in cui gli horror riempivano i listini delle case cinematografiche e soprattutto riempivano le sale, e dall'altra una sorta di ingenuità nella loro utilizzazione che sa tanto di peccato di gioventù , di inesperienza .
Inesperienza che si traduce in due personaggi principali che sono la zavorra più pesante da sopportare durante la visione: assistiamo a un maritino belloccio, che non sembra per nulla affranto ( ma probabilmente le capacità recitative molto ridotte di Ryan Kwanten non permettevano troppe digressioni sul tema ) e alla figura di un poliziotto ( Donnie Wahlberg) che esonda spesso e volentieri nella caricatura , un'ironia del tutto fuori contesto.
Un peccato per un film che partiva in maniera assai promettente e confezionato decentemente con una regia forse acerba per certi versi ma assolutamente promettente per il futuro.
Magari gli spaventi sono poca cosa per un appassionato del genere ma Dead Silence non è del tutto da buttare via, nonostante difetti abbastanza evidenti ci regala qualche momento degno di nota.
E quel teatro abbandonato che pullula di pupazzi ( tra cui uno che ha la faccia del pupazzo di Saw, autocitazione?) scenograficamente è veramente un bel vedere.
Un recupero consigliato solo per gli appassionati.
Non avrà la personalità di un Chucky ma è molto più onesto del già citato Annabelle.

PERCHE' SI : bella la fotografia , incalzanti le musiche, ottimo incipit, bello il teatro abbandonato che pullula di pupazzi
PERCHE' NO : protagonista improponibile, la figura del detective esonda troppo nella caricatura, spaventi telefonati, clichè da horror anni '80

( VOTO : 5,5 / 10 )

 Dead Silence (2007) on IMDb

venerdì 23 gennaio 2015

Ouija ( 2014 )

Una ragazza viene trovata impiccata in casa sua .La sua migliore amica , Laine, sospetta che la sua morte sia dovuta a una tavoletta Ouija con cui la vittima aveva giocato prima di morire.
Indaga assieme alla sorella e a un gruppetto di amici e sembra proprio aver ragione.
Il Male si è intrufolato per scompaginare le loro vite attraverso quella tavoletta e la loro sarà una lotta non solo per scoprire quello che è realmente successo , ma per la loro sopravvivenza.
Come è quel detto ?
Che da una rapa non si può cavar sangue ?
E che cosa si può cavare da una ditta di giocattoli che commercializza un suo prodotto,la Hasbro che pubblicizza la sua tavoletta Ouija, da Michael Bay che fa il produttore ( e che guarda casa deve la sua fortuna cinematografica a una saga di film imperniata su giocattoli) e da Jason Blums che con la sua Blum House fa un tot di film al kilo mettendo sul piatto per ogni film solo cinque milioni di dollari?
La cosa che esce è Ouija, diretto dal carneade degli effetti speciali Stiles White , qui al suo esordio alla regia e che il film se lo è anche cosceneggiato.
Un (falso) horror che spaventa meno di un telegiornale di Italia Uno e che non è degno neanche di essere trasmesso in terza serata nel palinsesto estivo della peggior tv via cavo americana.
Eppure incassa circa 50 milioni di dollari in patria ( quindi 10 volte il costo di realizzazione) e riesce a guadagnare senza problemi la distribuzione nelle sale nostrane abituate a spalare i detriti lasciati dalle feste appena trascorse.
Con le dovute proporzioni questa è un'operazione commerciale che ricorda quel fondo di magazzino con una chiappa suturata male  al posto della faccia che faceva brutta mostra di sé sulla locandina di Smiley, uno degli scult della passata stagione cinematografica .
Quindi uno slasher sotto mentite spoglie ( mascherato da film di fantasmi) in cui il meccanismo narrativo cigola ad ogni twist di sceneggiatura con più buchi logici che una forma di groviera svizzero e questo è testimoniato anche dalla confessione che ha fatto la protagonista costretta assieme agli altri attori del cast a rigirare praticamente metà film dopo l'ufficiale fine delle riprese per tappare qualche falla che nel frattempo si era aperta a una revisione del materiale..
Tentativo francamente non riuscito in un film che cerca di riciclare un armamentario da film de paura decrepito, trito e ritrito.
Con grande tristezza e sprezzo del ridicolo involontario.
Cast interamente o quasi formato di sciacquette di belle speranze( ma anche sciacquetti di sesso maschile perché non mi si venga a dire che qui si fanno discriminazioni sessuali) in cerca del loro posto al sole che in realtà sono ottima carne da macello pronta al sacrificio.
Con grande goduria da parte dello spettatore irritato da tanta idiozia concentrata in così poche belle testoline.
Pur avvertito dalle recensioni di tutto il globo terracqueo non ho potuto fare a meno di perdere un'ora e mezza della mia vita appresso a cotanta monnezza.
Ma ogni tanto toccare con mano  la monnezza e sentirne il tanfo  è necessario per apprezzare le cose belle.
La merda cinematografica di quest'anno ha un nome: Ouija

PERCHE' SI : il rumore della testa fracassata sul lavandino del primo omicidio ( o del secondo considerato un suicidio il primo)
PERCHE' NO : tutto , finto slasher per teenager dalla testa vuota, sciacquette per ogni dove ( ma anche sciacquetti perchè qui non si fanno discriminazioni sessuali),uso di  meccanismi orrorifici  triti e ritriti.

( VOTO : 2 / 10 )

 Ouija (2014) on IMDb