I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

sabato 24 maggio 2014

La formula della felicità ( 2014 )

Douglas Varney eredita dal suocero la farmacia della piccola città in cui vive assieme a tutta la sua famiglia, venendo considerato appena più di zero da una moglie che è occupata col fitness e un figlio disadattato che si diverte a riempire di escrementi gli armadietti dei suoi compagni di scuola con cui ha avuto a che ridire.
Una sera conosce una danarosa cliente piuttosto affascinante con qualche problema coniugale più complicato del suo e , quasi suo malgrado, comincia una torrida relazione con la piacente signora, biondona da far girare la testa a un polpo.
E su incitamento della stessa che cosa c'è di meglio che concedersi qualche "aiutino" farmacologico per rendere tutta la sua vita più interessante?
Ebbene si lo ammetto, quando ho visto la locandina di questo film con tutto quel popò di cast dispiegato elegantemente a tutta pagina, mi sono fatto prendere dalla smania di vederlo e sono stato turlupinato miseramente.
Certo non potevo aspettarmi che un film con Sam Rockwell, Michelle Monaghan, Ray Liotta in partecipazione veloce, Jane Fonda e tanti altri volti conosciuti su piccolo e grande schermo fosse così....brutto.
Cioè più che brutto direi insignifcante.
Avrei sicuramente dovuto diffidare di un film, di genere commedia, quindi un genere piuttosto apprezzato dal pubblico in genere, che negli USA incassa la bellezza di 70 mila dollari.
Si, non è un refuso: 70 mila dollari in tutto, che non bastano neanche per pagare il conto del catering o per disegnare la locandina.
E avrei dovuto altresì diffidare del fatto che i distributori italiani si siano lasciati sfuggire questa perla non facendola passare per il grande schermo ma facendola uscire solo in dvd.
Vogliamo poi parlare del titolo?
Un'altra creazione magnifica dei nostri titolisti: che c'entra un titolo come La formula della felicità, che non significa niente e non è correlato manco di striscio col film ( forse se avessero aggiunto l'aggettivo chimica a formula una correlazione di striscio forse c'era) con l'originale che suona più o meno " Meglio vivere utilizzando la chimica"?
La storia del farmacista grigio e indolente che non riesce a imporsi neanche al figlio dodicenne e che viene vessato continuamente dal suocero marpione e dalla moglie, la cui vita viene sconvolta da una relazione pericolosa aveva tutte le carte in regola per somigliare a una di quelle storie trasversali, nel tono e nel contenuto, che piacciono tanto ai fratelli Coen, sesso , droga e omicidi ( o almeno tentativi di ammazzamenti vari ) con un'estetica ricavata però da roba televisiva come Desperate Housewives.
Se gli intenti erano nobili e apprezzabilissimi , i risultati non sono minimamente all'altezza visto che il film naviga a vista nel nonsense, fa affiorare la noia in più di un'occasione e non fa ridere manco per sbaglio.
E tutto quel cast riunito per l'occasione dà l'impressione di trovarsi lì per caso, anche un Sam Rockwell che si impegna, suda , sbraita e si impasticca peggio di un tossico non riesce a risollevare il livello di un film da passare subito nel reparto delle cose da dimenticare il più in fretta possibile.
L'unica cosa divertente è stata la gara ciclistica ma solo perché , da gran cazzaro quale sono , ci ho scorto una citazione sbilenca che va da Totò al giro d'Italia e arriva a Il Secondo Tragico Fantozzi.
Quindi cose che voi umani avete visto benissimo e che non c'entrano nulla con questo filmettino da quattro soldi.
Se per caso vi capitasse di vedere questo dvd nel cestone delle offerte di qualche ipermercato,,,,lasciatelo lì e coi soldi risparmiati ci comprate qualcosa d'altro....

( VOTO : 4 / 10 ) 

  Better Living Through Chemistry (2014) on IMDb

venerdì 23 maggio 2014

Miss Violence ( 2013 )

Angeliki, nel giorno del suo undicesimo compleanno decide di farla finita con la sua giovane vita , buttandosi dal balcone della sua casa.
E lo fa quasi con un sorriso appena accennato a increspare le labbra.
La polizia e gli assistenti sociali indagano o almeno cercano di farlo nella famiglia della bambina mentre la madre single di Angeliki e i nonni si sforzano ottusamente di parlare di incidente e cercano di andare avanti quasi con l'intenzione di dimenticarsi di lei.
Mano a mano la verità verrà fuori....
Che ci sia del marcio in Grecia , credo che sia ormai cosa appurata anche solo vedendo la cinematografia di Lanthimos ( Kinetta, Kynodontas e Alps che trovate recensiti quiquo e qua ) e anche quello che io ho trovato un patetico scimmiottamento e che invece pare sia molto stimato a livello critico ( Attenberg, che ho stroncato senza appello qui).
Cinema della crisi economica? Può essere una lettura anche se non l'unica.
Il protagonista qui è un ultracinquantenne alla ricerca di un lavoro per sostentare la sua famiglia allargata e si scontra con la burocrazia e con "padroni" giovani e irrispettosi.
Eppure non riesce a rinunciare a tutta una serie di rituali medio borghesi, come quello della colazione,della gita al mare che viene programmata più volte, oppure i pasti da cosumare tutti in famiglia.
Nel film di Avranas , come negli altri film succitati è proprio il concetto di famiglia a essere sovvertito alla base: più che un rifugio in cui essere immuni a qualsiasi danno che arrivi dall'esterno è proprio nella famiglia che si nascondono le insidie maggiori, i pericoli, la mostruosità.
A livello concettuale Miss Violence è meno sofisticato di un Kynodontas che utilizzava la traslazione del linguaggio per spiegare la stortura che condizionava la vita della famiglia protagonista.
Qui siamo a una di quelle storiacce infime che si sentono nella cronaca dei telegiornali tutti i giorni e ti viene sbattuto tutto in faccia nell'ultima parte del film.
Ma non per questo sconvolge di meno perchè i bambini non dovrebbero mai essere toccati, in nessun modo.
Miss Violence odora di Haneke e della sua concezione geometrica di cinema fin dalla prima sequenza e non di un Haneke qualsiasi ma quello della trilogia della glaciazione.
I rituali medioborghesi indagati da una macchina da presa ferma, immobile nonostante quello che accade, quello sminuzzare finemente la routine quotidiana, quel levare la maschera rassicurante a un mondo putrido e fatiscente è qualcosa che è stato raccontato dal regista austriaco in Der Siebente Kontinent ( e , visto che in questo post siamo in vena di pubblicità, ne abbiamo parlato qui).
Avranas non crea nulla di nuovo ma rielabora e adatta la lezione del maestro  descrivendo chirurgicamente un mondo plumbeo e disperato da cui si fugge in una sola maniera.
Quella utilizzata da Angeliki.
La normalità di facciata che caratterizza la vita di quell'appartamento un po' grigio è scompaginata e demolita pezzo dopo pezzo fino a far comparire la verità, senza alcuna metafora.
Un qualcosa che mina alla base qualsiasi certezza etica.
Si sorride nelle foto di famiglia ma sorride solo chi non sa: e a undici anni si smetterà di sorridere.
Possono esistere mostri così?
Le cronache dicono di si.
E possono nascondersi nella famiglia?
Oltre alle cronache anche le statistiche dicono di si.
Questo tipo di violenze nasce all'interno della famiglia, in oltre la metà dei casi.
Meditate gente, meditate.

( VOTO : 8 / 10 ) 

  Miss Violence (2013) on IMDb

giovedì 22 maggio 2014

Oculus ( 2013 )

Tim e Kaylie sono un fratello e una sorella vittime di una tristissima vicenda familiare. Loro padre , divenuto pazzo, uccise la loro mamma prima di essere ucciso da Tim.
Ora Tim ha compiuto 21 anni ed è appena uscito dall'ospedale psichiatrico dove è stato rinchiuso una decina d'anni  fin dai tempi dell'omicidio da lui commesso.
Kaylie è convinta della sua innocenza : crede che tutto sia stato cagionato da uno specchio maledetto che il padre comprò appena prima che succedessero tutti i fatti e facendo alcune ricerche scopre che anche i precedenti proprietari dello specchio hanno fatto tutti una brutta fine.
Ora , grazie al suo lavoro in una casa d'aste è riuscita a ritrovarlo.
E ha poco tempo per dimostrare assieme a Tim quello che pensa sia accaduto...
Oculus è l'entrata nel mondo del cinema che conta, o meglio di quella parte in cui girano abbastanza soldini, da parte del giovane Mike Flanagan, un regista che già mi aveva fatto notare il suo talento nel genere in quella piccola perla di Absentia, del 2011( se interessasse a qualcuno ne abbiamo già parlato qui ), un horror ultra low budget, girato con 70 mila dollari, pare, che regalava corposi brividi lungo la schiena.
Con Oculus Flanagan accede a un budget più importante, 5 milioncini di dollari, ma sempre piuttosto esiguo di fronte alle produzioni hollywoodiane standard  e cerca di non lasciare nulla al caso.
In un certo senso sceglie anche di non rischiare dilatando ad oltre 100 minuti un suo corto del 2006 di 32 minuti ( che non ho visto) intitolato Oculus : Chapter 3 - The man with the plan.

E in fondo c'è anche da capirlo: ha per la prima volta un po' di soldini a disposizione e cerca di addentrarsi in un terreno che conosce già.
Questo fatto del budget a mio parere condiziona anche un po' il talento registico di Flanagan, sempre accecante in parecchie sequenze di Oculus ma che viene mostrato un po' troppo ad intermittenza.
E qui forse torniamo al peccato originale alla base di questo film: non è mai facile dilatare un corto di 32 minuti, portarlo a 104 minuti ( durata ragguardevole comunque per un horror) senza accusare scompensi di alcun tipo.
Purtroppo Oculus non ne è immune: per tutta la prima parte sembra andare avanti col freno a mano tirato e ha quelle pause che sanno di riempitivo, lungaggini che affliggono l'80 % degli horror contemporanei.
Per uno che non conosce il film poi la sinossi non è così attraente: traumi familiari, specchi maledetti, case infestate, un continuo alternarsi tra Poltergeist, The Conjuring e Paranormal Activity ( ancora lui, il bastardo), insomma l'armamentario del perfetto horror plastificato fai-da -te che impera nelle sale cinematografiche di tutto il mondo.
E qui è necessario non essere superficiali perché se è vero che Flanagan si immerge praticamente fino al collo in una materia narrativa piuttosto abusata, lo fa mettendo al servizio della storia tutto il suo talento registico.
Che è tanta roba.
La seconda parte in cui Oculus entra finalmente nel vivo è un continuo andirivieni temporale con sequenze ad alto tasso acrobatico che esplorano quel limbo tra il vedere e il credere di vedere che crea una suspense che si taglia col coltello.
Ed emerge anche la passione di Flanagan per le dimensioni parallele alternative alla realtà : in fondo si parlava di questo in Absentia.
Se si va a sostituire il tunnel di quel film allo specchio di Oculus , il discorso non cambia poi di tanto.
Da segnalare anche il ritorno della tematica dell'affetto fraterno: qui un fratello e una sorella , in Absentia due sorelle, che è il propulsore principale del film.
A differenza di tanti altri suoi esimi colleghi specializzati in horror e affini , Flanagan delinea questo rapporto con finezza e una delicatezza rari da reperire anche in produzioni che esulino dal genere de paura.
Oculus è un film in cui non tutto funziona per il verso giusto ma ha la caratteristica di crescere col passare dei minuti per non sgonfiarsi nel finale come succede a molti altri esponenti del genere.
E non è poco .

( VOTO : 7 / 10 ) 

  Oculus (2013) on IMDb

mercoledì 21 maggio 2014

Il capitale umano ( 2013 )

In piene feste natalizie un ciclista viene investito a notte fonda. L'evento causa notevoli cambiamenti nei rapporti tra due famiglie, quella ricchissima dei Bernaschi e quella sulla via del fallimento degli Ossola legate tra loro dal sentimento dei figli e da rapporti economici.
Il denaro smuove vite e coscienze, un investimento sbagliato e soprattutto un amore che va controcorrente determinerà il destino dei vari componenti delle due famiglie.
E nessuno uscirà vincitore.
Virzì è ambizioso e questo suo ultimo film lo certifica in modo indubbio.
E' talmente ambizioso che per uscire dalle secche del provincialismo italiano sceglie di trovarsi all'estero la fonte letteraria del suo film e la adatta a una Brianza che più che un luogo geografico è uno stato mentale, un luogo di alienazione collettiva in cui il dio supremo è il denaro.
Sembra un paradosso che per uscire dal provincialismo italiota parli di provincia ma in realtà non lo è: frammenta i punti di vista e organizza la narrazione in vari capitoli proprio per far vedere l'incandescente materia narrativa che ha scelto di trasporre per immagini da più prospettive, aumentando così le distanze ed evitando di parteggiare per gli uni o per gli altri.
Perché è chiaro che da un film come Il capitale umano si esca tutti sconfitti o quasi.
Sinceramente mi sfugge il perché questo film sia stato osteggiato così strenuamente ( e ingenuamente) dai soliti assessori lumbard col fazzolettino verde nel taschino, urlanti e petulanti su questioni di principio ma razzolanti male, molto male.
Probabilmente non si sono neanche presi il disturbo di vedere il film, indaffarati come erano a sbraitare proclami e ingurgitare cassoeula.
E' vero che c'è una caricatura di leghista facente  parte di una presunta commissione di cultura per decidere il programma artistico di un teatro che deve riaprire grazie alle smanie filantropiche della gran signora Bernaschi.
Un flash di poche sequenze in cui è evidente come il lumbard venga preso assai per il culo.
Ma è anche vero che l'intellettualone di sinistra interpretato da Luigi Lo Cascio non fa una figura migliore , visto che preferisce alla cultura il trapanamento ostinato della gran signora di cui sopra.
Esce triturato dal film l'immobiliarista sulla via del fallimento Ossola, un misero arrampicatore sociale che non esita a prendere la scorciatoia più breve e redditizia per riottenere il suo investimento e anche qualcosa in più.
Perdente è anche il gran manager Bernaschi, uno che passa la vita ad aspettare la gente come Ossola, prosciugarla di tutti gli averi per speculare in borsa. A volte va bene, a volte va male ma lui cade sempre in piedi, lui rischia meno di zero.E' la classica esemplificazione del colletto bianco senza scrupoli che non batte ciglio neanche se manda alla rovina intere famiglie.
Anche Carla Bernaschi è un personaggio che esce da questo film con le ossa rotte: ambizioni filantropiche ma vita talmente grigia che cede alle smanie sessuali di un intellettualoide sinistrorso più grigio di lei.
Ne esce male anche la compagna di Ossola, aspirante madre e psicologa talmente in gamba che non si accorge di nulla riguardo a quello che succede attorno a lei.
E anche i giovani nel complesso forniscono un quadro desolante, di vuoto interiore , schiavitù di apparenze e ricchezza e quando cercano di farne a meno , sono solo dei disadattati .
Virzì esonda nel dramma sociale e lo fa in maniera beffarda armandosi di un ghigno feroce con cui descrive una provincia velenosa e incancrenita.
Una Brianza paranoica che , facendo i dovuti rapporti è il corrispettivo italiano della profonda provincia francese narrata per tanto tempo e per tanti film da Claude Chabrol.
Perfetto il cast  e perfetta allo scopo anche la fotografia glaciale di Jerome Almeras che svuota di colore il mondo descritto da Virzì.
Il capitale umano è un film importante, forse una svolta nella carriera di Virzì, mai così beffardo e pungente e forse uno scossone per un panorama cinematografico italiano che ha bisogno di uscire definitivamente dalle sabbie mobili della commedite acuta....

( VOTO : 7,5 / 10 ) 

Human Capital (2013) on IMDb

martedì 20 maggio 2014

Wolf Creek 2 ( 2013 )

Rutger e Katarina decidono di girare per l'outback australiano senza toccare itinerari troppo turistici nella desolata zona di Wolf Creek nel cui centro c'è un cratere immenso , antichissimo.
Si imbattono in un cacciatore di maiali, Mick Taylor che offre loro un passaggio da loro accettato.
Non sanno che hanno commesso l'errore più grande della loro vita. 
L'ultimo.
Mick ha appena massacrato due poliziotti ed è un serial killer tra i più sanguinari.
Adesca vittime da portare poi nel suo antro.
Con Katarina non va così: dopo avere ucciso Rutger davanti ai suoi occhi, lei riesce a fuggire ed è aiutata da un ragazzo incontrato per caso sulla strada, Paul.
Mick ha trovato la sua nuova vittima.
L'inseguimento è appena cominciato.
Scopro l'acqua calda dicendo che Wolf Creek quasi dieci anni fa scavò un solco ancora non riempito tra se stesso e tutta la miriade di slasher e di horror provenienti da tutte le parti del mondo.
Condensandolo in poche parole direi che la peculiarità dell'ambientazione, l'outback australiano, contaminava in profondità uno spirito da slasher anni '70 dando alle stampe uno degli horror più sconvolgenti mai apparsi sullo schermo, uno dei pochi in cui la sensazione di dolore fisico quasi arrivava a tracimare dallo schermo.
Il regista Greg Mclean aveva approntato una ricetta semplice se vogliamo, ma vincente.
Sembrava che fosse nata una stella e invece il nostro in questi dieci anni o quasi ha lavorato poco o male, facendosi ricordare solo per un più che decente crocodile movie, quel Rogue in cui l'ambientazione australiana era la vera protagonista , come nel film precedente.
Bisogna dare atto a Mclean che non ha preso facili scorciatoie redditizie e ha sempre glissato su eventuali seguiti di Wolf Creek.
Sicuramente gli hanno fatto una testa così con l'idea del sequel di un film tanto fortunato.
E dopo quasi 10 anni ha ceduto. Per modo di dire.
Perché lo ha fatto a modo suo, quasi facendosi beffe di chi in tutti questi anni lo ha tartassato per dare in pasto al pubblico un degno successore di Wolf Creek.
Wolf Creek 2 in comune con il primo capitolo ha solo un villain che però è uno tra i cattivi più carismatici, sgradevoli e puzzoni mai comparsi su grande schermo ( e non è poco) e l'outback australiano usato come corpo contundente.
Per il resto lo spartito è del tutto differente.
Qui il protagonista assoluto è Mick Taylor e la sua totale immoralità, il suo gusto nel provocare dolore agli altri, la sua pretesa assurda di difendere la purezza della razza australiana da influenze esterne che la renderebbero laida e inefficiente.
Se nel primo film incuteva terrore apparendo come antagonista di quel gruppetto di ragazzi capitato sotto le sue grinfie , qui è lui l'assoluto protagonista e quasi fa ridere nel suo essere così terribile e allo stesso sopra le righe.
Torture assortite a go go , dita mozzate, una parte finale che si ispira a un classico torture porn filtrato però attraverso il talento registico di Mclean, ma anche un inseguimento stile Duel, un prologo che fa subito venire l'acquolina in bocca con Mick che gioca al gatto col topo con due poliziotti e un assedio di una casa con due anziani che avevano avuto l'ardire di difendere Paul.
Mclean gioca coi generi e soprattutto dà l'impressione di giocare con gli spettatori infilando stravaganze estreme in un film che fa l'occhiolino ai clichè di genere per poi dirigersi in tuttaltra direzione.
Sono passati quasi 40 anni da Picnic ad Hanging Rock ma non se ne è accorto quasi nessuno.
L'outback australiano è lì fuori, immutabile nel corso dei millenni, capace di inghiottire vite umane come se nulla fosse.
E capace di partorire mostri come Mick Taylor.
Che sarà anche una versione caricaturale di uno spietato serial killer ma sevizia, tortura e ammazza come pochi.
E poi fugge a nascondersi nell'immensità del nulla australiano.

( VOTO : 7 + / 10 ) 

Wolf Creek 2 (2013) on IMDb

lunedì 19 maggio 2014

La stirpe del male ( 2014)

Zach e Samantha sono innamorati e un bel dì decidono di sposarsi.
In viaggio di nozze optano per la Repubblica Dominicana: tutto bello, tutto divertente finchè la sera prima di partire un losco tassista li porta a una sorta di discoteca abusiva dove si festeggia selvaggiamente.
I due si ritrovano rintronatissimi in albergo senza avere la minima idea di come ci siano arrivati ma non c'è tempo di farsi troppe domande perché si deve ritornare a casa.
Dopo qualche tempo la bella (?) notizia : nonostante tutte le precauzioni Samantha è rimasta incinta durante il viaggio di nozze.
Solito tran tran: notizia ad amici e parenti, ecografie di controllo ma c'è qualcosa che non va.
Samantha è vittima di strane crisi nervose ( tipo spacca a mani nude i pesantissimi vetri di un SUV in un supermercato),c'è il prete che ha uno sbocco di sangue alla sua presenza e tutto questo prelude all'apoteosi finale.
Eh si, sorpresa delle sorprese: sta arrivando il figlio del Gran Cornuto....
Come al solito, come nel peggiore dei deja vu , esce un mockumentary al cinema , o meglio un found footage, io continuo a dire che mi stanno sulla punta dell'esofago, eppure sto qui a vederli e a commentarli.
Stavolta però c'è la giustificazione, seppur parziale: i due registi  Matt Bettinelli Olpin e Tyler Gillett responsabili de La stirpe del diavolo sono gli stessi che hanno diretto uno dei segmenti di V/H/S , quel 10/31/98 che non si distingueva troppo per originalità ma raggiungeva senza dubbio il suo scopo: quello di mettere strizza usando le armi solite del found footage , cioè urla, strepiti, telecamera colta da raptus di delirium tremens e inseguimenti ad alta velocità all'interno di una casa presumibilmente stregata, viste le canoniche mani che escono dalle pareti.
E che cosa pensano di fare con questo La stirpe del diavolo i due valenti registi di cui sopra?
Replicare negli ultimi venti minuti di questo film, tutta la caciara che avevano usato come metodo espressivo o meglio come corpo contundente in 10/31/98.
Per quanto riguarda la prima parte il mare è rigorosamente in bonaccia: nulla da segnalare se non i soliti trucchetti da regista de paura che qui vengono sparsi a piene mani.
Il difetto fondamentale de La stirpe del male sta proprio nel manico: non tanto come regia, perché i due usano decentemente la cinepresa, ma quanto in una sceneggiatura spartana, povera di suggestioni e di sfumature che ondeggia continuamente tra Rosemary's baby  e lo stile dei vari Paranormal Activity e relativi epigoni.
Nella prima ora la noia regna sovrana , a parte qualche piccolo scossone, poi nell'ultima mezz'ora la telecamera comincia con il ballo di S.Vito per la goia di tutti quelli che devono prendere antiemetici per vedere questo tipo di film.
Non si capisce perché roba come questa riesce a trovare sbocchi nella distribuzione italiana e invece per vedere roba come l'ultimo di Ti West o anche Wolf Creek 2 i fans sono costretti a fare i salti mortali.
La stirpe del diavolo è una copia sbiadita di una copia di una copia di una copia su cui è inutile sprecare troppe parole: l'unica cosa che si salva è la protagonista , Allison Miller, bravina e anche molto bellina che in qualche frangente mi ha ricordato la giovane Diane Lane.
Zach Gilford nella parte di Zach ( la fantasia al potere) è invece insopportabile con questa mania di riprendere tutto dalla A alla Z.
E basta ! E posala 'sta telecamera! E cerca di vivere una vita normale!
Non ti lamentare se poi arriva il figlio del Gran Cornuto in persona ad appenderti a un palo per i testicoli a testa in giù.
Te lo meriti....

( VOTO : 4 / 10 ) 

Devil's Due (2014) on IMDb

domenica 18 maggio 2014

I DISCHI CON CUI SONO CRESCIUTO

Le liste del Cannibale non ci abbandonano mai. Giammai.
Questo post effettivamente è un po' fuori tempo massimo perché il solerte blogger di cui sopra è già passato ad altro pontificando sui vari generi musicali , quasi del tutto inauditi alle mie orecchie, ma sono giustificato per il ritardo...sono bradipo, no? e poi diciamo che sono stato assente un tre settimane....
Allora come ho inteso questa lista che compilo dopo quella delle canzoni con cui sono cresciuto?
In maniera mista: ho preso la musica un po' come il cinema, un viaggio, un'esplorazione continua, uno scavallare continuamente di genere per arrivare sempre più all'estremo, almeno nel mio caso.
Poi si dovrebbe fare il viaggio di ritorno, ma nel mio caso ancora non è iniziato.
Ci sto benissimo in quel limbo di musica estrema , in cui la parola estremo è un concetto da prendere nel senso più lato possibile.
Quindi da una parte ci sono i dischi di quando ero bambinetto e mi hanno formato " fisicamente" ponendo le basi per i miei gusti futuri, dall'altra quei dischi che mi hanno fatto "crescere" dal punto di vista della consapevolezza e della scoperta di generi nuovi e forme espressive differenti.
E ora basta col pippone.
Cominciamo .

1) ALBERTO CAMERINI : RUDY & RITA

Uno dei primi vinili che acquistai, avevo dieci anni o giù di lì. Nonostante fosse in cima alle classifiche i fans di Camerini erano sempre piuttosto nascosti perché lui dava un'immagine di sè piuttosto alternativa, sempre mascherato da Arlecchino.Anche i miei mi prendevano per il culo quando lo ascoltavo eppure io andavo avanti nonostante tutto. E a distanza di tanti anni posso dire che Alberto Camerini era un po' come i Rockets: decisamente avanti rispetto ai suoi tempi e per questo non compreso appieno.
Cioè lui nell'80 parlava di computer, di comunicazione globale , di progresso tecnologico e di tanti altri temi che all'epoca non erano trattati da nessuno.
Ho fatto ascoltare le sue canzoni anche ai miei figli e loro apprezzano. Moltissimo.
E a me fa un grandissimo piacere.

2) DEEP PURPLE : MADE IN JAPAN

La scena l'ho già raccontata. Era una fiera sotto Pasqua, il centro cittadino agghindato a festa e andai a curiosare tra le cassette esposte da un venditore.
Tra i vari Claudio Villa, Mino Reitano e Fausto Papetti la mia attenzione fu catturata da una cassetta, anzi due, perchè era un doppio con una copertina color oro.
Me ne avevano parlato a scuola, avevo due tre ripetenti di lungo corso in classe che mi davano un sacco di dritte e tra queste c'erano i Deep Purple.
Avevo pochi soldini in tasca ma mi dissi perché non investirli in cassette?
E tanto feci: la sera tornai a casa quasi emozionato e misi la prima cassetta nel mio vecchio radioregistratore stereo Samsung, all'epoca una marca sconosciuta , per poveracci, non era manco giapponese ma coreano.
E da lì è partito il mio viaggio: la chitarra di Blackmore che macinava riffs senza soluzioni di continuo, la tastiera di Jon Lord a colorare le melodie, la batteria furiosa di Ian Paice a disegnare tappeti ritmici assieme al basso ultrapreciso di Roger Glover e poi, lui, Jan Gillan, la sua ugola d'oro, all'epoca potentissima,un timbro vocale inimitabile, con un acuto ai concerti spettinava i giapponesi delle prime file. Highway star, Child in time, Smoke on the water, Woman from Tokyo, Space Truckin'.
Fu subito ammmmore.

3) BLACK SABBATH ; BORN AGAIN

E' tuttora il disco dei Black Sabbath che amo di più e prima che insorgano tutti i puristi spiego anche il perchè.
Dopo Made in Japan era scoppiata in me la Jan Gillan mania e cominciai a cercare tutti i dischi con la sua voce.
E il destino volle che mi imbattei in questo disco dalla copertina satanica in cui sul retro campeggiava il faccione e i capelloni di Gillan.
Acquistato all'istante e amato fin da subito.
La sua voce , già un po' differente da quella di Made in Japan, diciamo migliaia di whisky e sigarette dopo, arriva a vette inarrivabili per il 99% dei vocalist terrestri. Pezzi bellissimi come Disturbing the priest, la title track o Zero the hero sono tuttora nei miei ascolti più frequenti.
Eppure è un disco amato poco o nulla da Jan perchè dice che la sua voce è inghiottita dal basso in un mixaggio da codice penale.
E' vero, hai ragione, ma va bene anche così....

4) AC / DC : BACK IN BLACK

A dir la verità il riff di Back in black lo conoscevo fin da quando ero molto piccolo perché era la sigla di un programma di catch giapponese che davano su una tv locale e che era commentato dal maestro Tony Fusaro ( non chiedetemi chi è, conosco solo il nome ). Acquistato il disco fui sorpreso di ritrovare quella musica che mi piaceva moltissimo. E poi trovai tanto altro, tanta roba veramente , tra cui anche Hells Bells, forse una delle canzoni che ho ascoltato di più nella mia vita, tanto che attualmente è anche la suoneria del mio telefono.
All'epoca mi prendevano quasi per satanista" ma come ti piace una canzone che comincia con le campane a morto?"
Certo che mi piace...la so tutta a memoria!!!!

5) QUEENSRYCHE : OPERATION MINDCRIME

Questo è il classico disco che mi porterei sull'isola deserta ammesso che possa avere con me un lettore cd o mp3.Anche questo comprato a scatola chiusa su consiglio dell'amico che ne sa sempre un po' più di te.
Comprato in cassetta, vinile e anche in cd , ogni volta che cambiavo il supporto per ascoltare musica, cambiava anche il formato di Operation Mindcrime.
In piena esplosione grunge i Queensryche from Seattle armati di un cantante da quattro ottave di estensione ( e ora ridotto in verità abbastanza maluccio) e di musicisti eccellenti facevano sentire forte e chiara la loro voce con una successione di dischi invidiabile, perché questo non è il loro unico bel disco.....

6) MORBID ANGEL : ALTARS OF MADNESS

Già bazzicavo la musica estrema, non mi piacevano eccessivamente i Metallica, mi garbavano parecchio gli Slayer e l'anno prima di questo disco avevo conosciuto il death metal con quella elegantissima mazzata nelle gengive che è Leprosy dei Death capitanati dal mai abbastanza compianto Chuck Schuldiner, un musicista geniale che un brutto male si è portato via troppo presto.
Altars of madness è il rovescio della medaglia di Leprosy: a differenza di questo punta tutto sull'ultravelocità dotato di un batterista che era una vera e propria piovra ( Pete Sandoval che in concerto all'epoca andava anche più veloce che in studio, sembrava avesse più braccia di Bravo Simac o di una dea Kali).
Poi c'era David Vincent e il suo non timbro vocale, lacerante, maligno, che ti entrava fin dentro le ossa....
E poi come si fa a non amare gente che nel successivo, bellissimo, Blessed are the sick, nella title track cantava ( per modo di dire, diciamo che espettorava) " Blessed are we to taste life of sin".
Ci ho consumato le corde vocali con questi due dischi....e questo mi ricorda il mio amico Luca che si vantava con me di aver messo su una band death metal. Dopo due prove finì al pronto soccorso con una grave infiammazione alle corde vocali e dovette appendere la voce al chiodo....

7) MY DYING BRIDE : TURN LOOSE THE SWANS

Prendete un violino, intonate una melodia triste, aggiungeteci una voce melodica che spesso tracima nel growling , prendete anche una sezione ritmica potentissima e chitarre ultracompresse e avrete il perfetto doom metal che viene dalla brughiera inglese.
Brani lunghi , appassionati, tristi, questa band dal nome bellissimo ancora allieta i miei padiglioni auricolari con una musica oscura che se ne infischia delle regole.
Musica che ti arriva lentamente e gradualmente ma che poi entra in profondità e non ti lascia più.
Questo disco e anche il successivo The Angel and The Dark River, ancora più triste e se possibile delicato sono l'epitome del meglio che è racchiuso nel doom metal che non sia ispirato così chiaramente ai Black Sabbath...
Anche questa musica estrema, in tutti i sensi, anche nella durata : 7 brani e oltre 72 minuti di durata....

8) CRADLE OF FILTH : THE PRINCIPLE OF EVIL MADE FLESH

Oggi Dani Filth e i suoi vampirelli inglesi sono solo una caricatura ma all'epoca, quando ancora non li conosceva nessuno, tirarono fuori dei dischi niente male.
E mi introdussero al mondo del black metal, mondo che tuttora bazzico e che loro hanno abbandonato da anni e anni, prigionieri di un gothic metal che può riservare emozioni solo a chi non ha conosciuto la loro musica degli esordi.
Il nano Filth usava aiutini piuttosto corposi per la voce ma il suo scream era piuttosto efficace e peculiare e soprattutto erano i pezzi che spaccavano.
Peccato che si siano persi per strada per le smanie di grandezza del loro vocalist.
La scena inglese di quei tempi era parecchio vivace e ricca di gruppi incredibili....

9) IN THE WOODS : OMNIO

Non avrei mai pensato che una band partita con la scena black norvegese si convertisse poi a una musica così profonda e atmosferica e che sfornasse un disco del genere.
Omnio è un disco metal che sembra realizzato dai Pink Floyd, anche qui il concetto di musica estrema viene rivisitato e sovvertito alle basi per dare alle stampe un disco di genere inclassificabile.
Certo metal, ci sono le chitarre distorte, ma ci sono tastiere, lunghe fughe strumentali, l'alternarsi di voce maschile e femminile e una suite di 26 minuti , divisa in varie parti che occupa più di un terzo del disco.
Per chi pensa che la musica non siano solo canzonette, questo è un disco perfetto, emozionante , unico nel panorama musicale e non solo metal.
5 brani per 65 minuti abbondanti di durata e un disco successivo "Strange in stereo" talmente avanti che sarà capito da pochi, pochissimi. Bellissimo anche quello.

10) THERION : THELI

Mi ricordo ancora quel giorno nel negozio di dischi: avevo un gruzzoletto da investire ( mai come quello che avevo quando andai a Norimberga a un negozio di dischi a vari piani e un piano era dedicato solo al metal. Praticamente mi sembrava di essere arrivato in paradiso e mia mogli riuscì a trascinarmi fuori solo dopo una decina di cd e un 150 euri sputtanati in meno di un quarto d'ora) e già avevo preso Stille dei Lacrimosa  quando fui attirato da questo disco dei Therion: li conoscevo per un loro vecchio disco death metal ma li avevo persi di vista.Così misi il cd nel lettore e skippata la intro mi trovai letteralmente schiaffeggiato da una brano trascinante, una partitura metal suonata da un orchestra sinfonica e cantata da un coro lirico.
Metal , orchestra e musica lirica, la ricetta dei Therion che resiste ancora oggi che sono passati quasi 20 anni.
Inutile sottolineare che passati due minuti , senza neanche ascoltare i brani successivi, tolsi il cd dal lettore e mi presentai alla cassa per il conto.....

Questo è quanto: ci sono tanti altri dischi con cui sono cresciuto ( Haggard, Angizia, Sopor Aeternus , Mago de Oz ) e che tuttora mi stanno facendo crescere ma questi credo che siano i più importanti nel mio viaggio di scoperta di nuovi orizzonti musicali....
Già immagino l'orrore e il raccapriccio del Cannibale nel leggerla questa lista....


sabato 17 maggio 2014

Una piccola grande soddisfazione...

Qualche tempo fa, un paio di mesi circa, sono stato contattato da una professoressa di lettere di una scuola media vicino Pisa per parlare di cinema da una prospettiva un po' diversa da quella "ufficiale".
Nell'ambito di un concorso giornalistico per bambini delle scuole medie della Toscana mi hanno proposto una piccola intervista a cui ho risposto con molto piacere.
La stessa è stata pubblicata sulla Nazione.it durante il trambusto che mi ha travolto durante queste ultime settimane e quindi non ho avuto modo di pubblicizzarla e pubblicizzarmi.
Colgo l'occasione di farlo ora anche perchè i ragazzi con questa intervista hanno vinto il premio messo in palio dalla Fondazione Cinema dei fratelli Taviani.
Sono stato molto felice quando mi hanno informato, già stavo preparando il mio IBAN per rimpinguare le mie casse esangui ma poi mi hanno detto che hanno vinto un bellissimo proiettore per la scuola.
E sono ancora più contento.
Qui sotto copio/incollo l'intervista.
Spero che vi piaccia....

Pisa - Come è nata l'idea di aprire un blog di cinema? "Sono sempre stato appassionato di cinema fin da ragazzo, forse anche da bambino perché sono stato guidato da un padre appassionatissimo di cinema. Scrivevo già su un sito di cinema come semplice utente e un paio di anni fa ho avuto l'esigenza di crearmi uno spazio mio, autogestito in cui sprigionare tutto il mio amore per il cinema. In fondo parlo solo di qualcosa che amo profondamente, non mi sembra di fare nulla di particolare. Altra cosa che mi ha spinto a frequentare maggiormente la blogosfera è l'aria di libertà che si respira in ogni blog, diciamo che per quanto riguarda il mio campo è un modo diverso di parlare di cinema, ben lontano da qualsiasi tipo di condizionamento. E' un mondo vivacissimo quello dei blog, colorato, ricco di passione e di sensibilità. Decisamente un bel mondo da frequentare".
Sei soddisfatto del tuo blog?
"Direi abbastanza, certo si può sempre migliorare soprattutto dal punto di vista grafico si potrebbe fare qualcosa di più ma in fondo mi piace così, con il suo aspetto un po' casalingo ricorda le cose buone che si facevano una volta, fatte in casa, appunto, una creaturina che sto facendo crescere giorno dopo giorno e che mi rispecchia sempre di più. Ha solo due anni e ancora deve dare il meglio di sé".
Il tuo blog piace alla gente?
"Beh, spero proprio di si. I feedback che ricevo sono positivi, l'audience è in costante aumento per cui credo che a qualcuno piaccia. Questo è fondamentale perché i blog, e il mio non fa eccezioni, sono animati per prima cosa dall'esigenza di condividere le proprie passioni, il cinema nel mio caso, anche se ultimamente sto improvvisando abbastanza sullo spartito e mi sono aperto anche a post un po' più particolari e a serie televisive di culto".
Quali sono i tuoi generi preferiti?
"Io sono un appassionato di cinema a 360 gradi, sono praticamente onnivoro, mi piace guardare dal film spazzatura al film d'autore, non mi pongo limiti. Se devo dire un paio di generi per cui mi batte il cuoricino allora dirò "horror" e "sci fi". Al momento credo che siano i generi che hanno i maggiori margini di creatività, in cui c'è voglia di sperimentare soluzioni narrative nuove. Mi piace scoprirne sempre di nuovi, soprattutto tra quelli non importati in Italia. Ci sono gioielli cinematografici sparsi per il mondo che da noi non arriveranno mai attraverso i canali ufficiali, per cui bisogna andarli a cercare comprando i dvd all'estero oppure usando download rigorosamente legali. Lo scotto che si paga è quello di vedere il film sottotitolato, in italiano se esiste, ma molte volte sono costretto a guardare film sottotitolati in inglese, lingua di cui fortunatamente ho una buona conoscenza".
Perché hai deciso di chiamarlo Le maratone di un bradipo cinefilo?
"Il mio nickname su internet è sempre stato bradipo: è un animale che mi ha sempre appassionato, un vero e proprio mistero zoologico noto soprattutto per la sua lentezza proverbiale. Io sono un po' come lui, vivo alla mia velocità che non è necessariamente uguale a quella del mondo che mi circonda ma andare lentamente fa sbagliare di meno. Ho voluto associare un animale lento come il bradipo a una corsa lunghissima come la maratona forse perchè sentivo che avevo e ho tanto da dire. La mia è una corsa continua ma al mio ritmo, quello di un maratoneta, lento ma costante..."
Il tuo blog è molto seguito?
"Diciamo che non mi posso lamentare: tra i blog di cinema attualmente è uno dei più seguiti. In due anni ho superato le 200 mila visualizzazioni e attualmente  viaggio a una media di circa 18 mila visualizzazioni al mese. E spero di continuare a crescere come sto facendo giorno per giorno. I numeri sono incoraggianti e fino ad ora la passione mi sostiene".
Ricevi molti commenti sul tuo blog e ne ricordi qualcuno in particolare?
"Devo dire che anche sotto questo profilo non mi posso lamentare: ricevo un buon numero di commenti di appassionati e di amici che mi seguono costantemente nel mio viaggio nel mondo del cinema. Ce ne sarebbero tanti da citare, li dovrei citare tutti perchè i commenti tengono in vita il blog, qualsiasi blog e non solo il mio. Il blog deve essere condivisione per cui i commenti sono vitali".
Cosa ne pensi dell'Oscar a “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino?
"Sono molto contento dell'Oscar vinto da Paolo Sorrentino, in primis perchè sono italiano e un premio del genere può rivitalizzare il nostro panorama cinematografico che in questi ultimi anni è in forte sofferenza e poi a me è piaciuto moltissimo. Trovo che sia un film molto bello, suscettibile di molteplici letture e che ha l'indubbio merito di far uscire il nostro cinema dalle sabbie mobili del provincialismo in cui ultimamente è scivolato. La grande bellezza ci dice  che sappiamo ancora fare del grande cinema in Italia, che con gli investimenti giusti siamo ancora in grado di dire la nostra anche in campo internazionale. E non dimentichiamo l'Orso d'oro vinto a Berlino dall'ultimo film dei fratelli Taviani nella scorsa stagione cinematografica con il bellissimo “Cesare deve morire”. Speriamo solo che queste vittorie non rimangano  casi isolati, la classica rondine che non fa primavera perchè sarebbe veramente un peccato".
Siamo alla fine dell'intervista: titoli di coda?
"Andate al cinema perché il cinema oltre che intrattenimento è anche cultura e privilegiate i piccoli film, quelli fatti con pochi soldi e tantissime idee".

Grazie per l'intervista  e un saluto bradipo a tutti i lettori!

venerdì 16 maggio 2014

LUCREZIA FINALMENTE E' TORNATA A CASA!!!

Il percorso di recupero sarà ancora lungo, le terapie altrettanto ma già averla con noi a casa è fonte di una

felicità immensa.

Ed è felicissima anche lei.

Si ritorna alla tanto agognata routine quotidiana.

Non avrei mai pensato che il mio tran tran quotidiano mi sarebbe mancato così tanto.

Eppure ora come ora mi sembra ossigeno puro.

Il tempo di incamerare qualche visione di scorta e il blog ricomincerà a breve come prima.

Almeno lo spero.

Io conto di esserci e spero ci sarete anche voi che non finirò mai di ringraziare per quanto mi siete stati

vicini in questo periodo così terribile.

Vorrei tanto cancellare dalla mia vita queste ultime tre settimane.....

giovedì 15 maggio 2014

Alabama Monroe- Una storia d'amore ( 2012 )

Elise di professione fa i tatuaggi e utilizza il proprio corpo come pubblicità avendoci tatuato tutta la sua storia.
Didier suona in un gruppo che fa musica bluegrass, una sorta di country purista ed è un po' scombinato esattamente come appare.
Si conoscono casualmente e si attraggono come i poli opposti di una calamita.
E' amore a prima vista, amore vero, forse per la prima volta per entrambi.
Ed è coronato dalla nascita della bellissima Maybelle , un dono che però Dio, o chi per lui, si riprende troppo presto dopo una brutta malattia.
Elise e Didier si trovano davanti a un vicolo cieco: la prova più dura a cui è stato mai messo il loro amore.

Chi segue questo blog e chi mi conosce sa benissimo che sto vivendo un momento della mia vita molto particolare.
Alabama Monroe - Una storia d'amore era forse il film che non dovevo assolutamente vedere in questo momento.
E questo perché?
Perché con tutto quello che mi è successo non riesco a mantenere la giusta distanza sulla materia narrativa di questo film, almeno su  parte di essa.
Per me è stato inevitabile specchiarmi in quelle immagini e vedermi riflesso nel dolore per la paura della perdita di un figlio e questo mi ha portato a essere praticamente una superficie anelastica su cui si è
schiantato tutto quel bailamme di sofferenza e costernazione che è l'ingrediente principale di questo film
Dico parte di essa perchè il giovane Felix Van Groeningen invece di giocarsi la carta della lacrima che bastarda ti scende sul viso, si gioca tutto sul melodramma amoroso, un vero e proprio duello all'ultimo brandello di sentimento, andando sopra e addirittura oltre le righe.
Tratta il dolore per la perdita di Maybelle come una tappa di un percorso ben più ampio, la cartina di tornasole su cui esaminare una storia d'amore tra due specialisti nel precariato sentimentale ed esistenziale.
Elise e Didier sono due diversi, due outsider che si trovano a vivere per sbaglio in un Belgio ordinato e azzimato  con i confini troppo stretti per loro.
Lei continua a disegnare la sua storia sul suo corpo ossuto e ormai sono veramente pochi i centimetri quadrati di pelle libera, lui va in giro col suo cappellone da cowboy e una faccia che sembra non avere cognizione di che cosa gli sta intorno, sognando l'America in ogni momento della sua giornata e ricreandola artificialmente nel mondo in cui vive.
Maybelle è il catalizzatore del loro ritorno a una sorta di normalità anche se papà continua lo stesso a giocare al cowboy e a fare l'americano.
Questa normalità dura poco , troppo poco e ciò vuol dire scivolare in un baratro senza fondo.
E qui veniamo a noi.
Ogni film che vediamo è irrimediabilmente segnato dalla propria sensibilità e dalle proprie esperienze personali.
Per quanto mi riguarda vedendo Alabama Monroe- Una storia d'amore il mio vissuto recente, recentissimo è entrato prepotentemente in campo mettendosi di traverso tra me e lo schermo e ha ingombrato il mio cervello non permettendomi di abbandonarmi totalmente al film e di empatizzare i personaggi di Elise e Didier.
Il dolore ti inebetisce, ti lascia svuotato, ti stordisce e ti atterra abbandonandoti lì come se un autoarticolato ti fosse appena passato addosso.
Una pellicola come questa colpisce basso, anche sotto la cintola premendo il pedale dell'acceleratore a tavoletta per evocare reazioni che provengano direttamente dai visceri.
Un film che vuole evocare reazioni istintive, di pancia ma che a un'analisi un po' più attenta si rivela costruito molto più col cervello che con la suddetta pancia.
Girato in maniera un po' fighetta, diciamolo.
Quelle scene bucoliche che simulano le praterie americane , quella frammentazione della scansione temporale che fa tanto Tarantino e che a conti fatti sembra più un vezzo autoriale che non qualcosa di sostanziale, l'uso del sonoro e della musica come maglio per arrivare direttamente al cuore, sono tutte tessere di un mosaico studiato a tavolino e che mette abilmente in campo una poetica del dolore che va molto vicina alla pornografia dello stesso, senza però mai valicare quella linea sottilissima.
E questo succede soprattutto grazie al lavoro fantastico degli attori, due emeriti sconosciuti per me fino a questo film ma che rendono assai credibile il loro scendere tutti i gradini che portano direttamente all'abisso.
Veerle Baetens recita con ogni fibra muscolare del proprio corpo, una sorta di carta geografica di storie e di sentimenti che attraversano due occhi incredibili, Johan Heldebergh che con questo film pare racconti una storia realmente avvenuta a lui, è una specie di versione etilica del Jeff Bridges di Crazy Heart, filmetto modesto che gli ha fatto  vincere un Oscar e che già di suo era propenso all'alcolismo selvaggio.
Non c 'è nulla che non vada in questo film e forse questo paradossalmente è il suo limite: non sbanda mai come era lecito aspettarsi, è tutto perfettamente controllato, il dolore di Elise e Didier scoppia improvviso ma assolutamente non inatteso.
Alabama Monroe - Una storia d'amore mantiene esattamente quello che promette: sentimenti che lacerano anime e carni , una morbosa attenzione sul rapporto tra i due protagonisti che  col passare dei minuti diventa una vera e propria autopsia di un amore.
E dopo tanto scavare nelle anime di due protagonisti devastati dalla perdita, quel finale che appare come sospeso a mezz'aria tra una dimensione e l'altra sembra quasi la certificazione dell'artificiosità del tutto....

Non riesco a giudicare questo film con un semplice voto numerico: ripeto, probabilmente l'ho visto nel momento sbagliato della mia vita e non mi è entrato dentro come magari sarebbe successo se non fossi in questo momento particolare.
Il dolore di Elise e Didier non è riuscito a scalfire tutto quello che ho vissuto in queste ultime due tre settimane e mi ha lasciato piuttosto indifferente.
O forse la mia è solo autodifesa.


The Broken Circle Breakdown (2012) on IMDb